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Depistaggio Borsellino, l’avvocato Repici vuole i poliziotti in aula: “Dichiarazioni sconvolgenti sulla borsa dopo decenni di letargo”

12-12-2023 – Mai, nell’esperienza giudiziaria, un reperto di esorbitante rilievo investigativo è stato trasferito dalla disponibilità del Carabinieri a quella della Polizia di Stato, e ciò sia attraverso formale documentazione del trasferimento sia attraverso attività mai formalizzata e per ciò solo abbondantissimamente illecita“. È con queste parole che l’avvocato Fabio Repici, legale di Salvatore Borsellino, si esprime sul passaggio di mano della valigetta di Paolo Borsellino in via d’Amelio poco dopo la strage del 19 luglio 1992. Secondo il racconto di tre poliziotti, infatti, il capitano dei carabinieri Giovanni Arcangioli avrebbe ceduto quella borsa, dove Borsellino aveva riposto la sua agenda rossa, all’ispettore Giuseppe Lo Presti. Quest’ultimo non ricorda quasi nulla di quella giornata, ma secondo i colleghi Armando Infantino e Nicolò Manzella avrebbe sottolineato ad Arcangioli come la competenza delle indagini fosse della Polizia, visto che sul luogo della strage erano intervenute per prime le Volanti. La procura generale di Caltanissetta ha depositato i verbali di questi testimoni al processo di secondo grado per il depistaggio delle prime indagini sulla strage.

“Quei verbali non possono essere prove” – Oggi l’avvocato Repici, con una memoria di 13 pagine inviata via pec alla corte d’Appello nissena, chiede al presidente Giovanbattista Tona di non acquisire quei verbali, ma di ascoltare in aula i tre poliziotti. “Preliminarmente, ragioni morali prima ancora che professionali e processuali impongono al sottoscritto difensore di negare il consenso all’acquisizione dei verbali delle dichiarazioni di Infantino, Lo Presti e Manzella, perché sarebbe davvero irragionevole che esse assumano dignità di prova”, scrive l’avvocato, riferendosi ai sette verbali firmati da Armando Infantino, Giuseppe Lo Presti e Nicolò Manzella tra il marzo del 2019 e il novembre del 2023. “Trattasi di dichiarazioni che, eufemisticamente, possono essere qualificate come sconvolgenti. Poiché in una prima fase (e anche in una prima versione) esse furono raccolte nel 2019, cioè durante il giudizio di primo grado del presente processo, se ne ricava che la Procura della Repubblica non le ritenne meritevoli di attenzione, visto che non le depositò nel presente procedimento. Ora vengono depositate, insieme ad altre raccolte in una seconda fase (e anche in una seconda versione) in tempi recentissimi, con le conseguenti richieste già formulate dalla Procura generale”, prosegue Repici. Ricordando che “dal 2019, memorie di appartenenti alla Polizia di Stato si sono miracolosamente riattivate dopo decenni di letargo e dopo lustri di omertà perfino davanti al robustissimo battage informativo che accompagnò il processo a carico del capitano Arcangioli e hanno prodotto rivelazioni che illuminano lo scenario della strage di via D’Amelio, dell’apprensione della borsa di Paolo Borsellino e del trafugamento della sua agenda rossa in una ricostruzione psichedelica con tanto di luci stroboscopiche“, scrive l’avvocato, citando il titolo di un articolo pubblicato da Salvatore Borsellino su Micromega (“Luci stroboscopiche sulla strage di via d’Amelio”). Negando il consenso all’acquisizione dei verbali, Repici scrive ai giudici: “Vista l’enormità delle rivelazioni fatte da soggetti che sono pur sempre (per quanto verrebbe difficile crederlo, visti i modi e i tempi delle dichiarazioni) testi istituzionali, ritiene doveroso che sulla scorta di quelle fonti (che, se ritiene, la Corte potrà valutare solo ai fini delle determinazioni da assumere sulle richieste istruttorie) indicate dalla Procura generale venga disposta attività istruttoria”.

“Scarantino era il jolly di La Barbera” – La citazione dell’ex superconsulente informatico della Polizia viene chiesta anche in ordine ad altri filoni. Il primo è quello relativo alla foto segnaletica di Vincenzo Scarantino, il falso pentito che con le sue bugie ha reso possibile il depistaggio di via d’Amelio: fu mostrata a Vincenzo Agostino, il padre del poliziotto ucciso insieme alla moglie a Villagrazia di Carini il 5 agosto del 1989. Repici ha ricostruito tutta la vicenda, visto che rappresenta la famiglia Agostino nel processo sul duplice omicidio, risolto dopo più di trent’anni anche grazie alle sue indagini difensive. “Correttamente la Procura generale rileva che quel verbale costituisce la prova che la Squadra mobile guidata da Arnaldo La Barbera aveva la figura di Vincenzo Scarantino come ‘jolly‘ da utilizzare per sviare le investigazioni e la giurisdizione già due anni prima della strage di via D’Amelio”, scrive l’avvocato di Borsellino. Che poi spiega come l’inserimento della foto del balordo della Guadagna tra le segnaletiche sottoposte ad Agostino servisse a “individuare Vincenzo Scarantino quale ‘Faccia da mostro‘, col prevedibile seguito di misura cautelare per Scarantino nel 1990 per il duplice omicidio Agostino-Castelluccio, le forzature a farlo confessare, magari al fine di fornire un supporto alla scandalosa causale passionale di quel delitto che la Squadra mobile di Palermo nel 1990 furiosamente tentava di accreditare. L’effetto, oltre al depistaggio in sé, esattamente come anni dopo accadde per la strage di via D’Amelio, sarebbe stato di eliminare presenze istituzionali (Giovanni Aiello era stato un poliziotto e sicuramente era stato al centro di relazioni criminali, istituzionali e non, ben più che allarmanti, comprovate nel processo palermitano) dallo scenario. In fondo, nascondere le responsabilità di apparati istituzionali è stato il leit-motiv del depistaggio della Polizia di Stato sulla strage di via D’Amelio”.
La lista dei testimoni – Quel verbale d’individuazione fotografica, tra l’altro, è firmato da Maurizio Zerilli, indagato per depistaggio insieme ad altri quattro colleghi, che in aula è stato definito come “l’uomo dei misteri” dal sostituto pg Maurizio Bonaccorso. “È sicuramente doveroso nel presente processo (fondato sul concorso nelle calunnie fatte esecutivamente eseguire a Vincenzo Scarantino) sapere come, quando, perché e su impulso di chi si decise l’individuazione di Vincenzo Scarantino quale ‘jolly’ per imbastire depistaggi su delitti eccellenti. Naturalmente, lo si dovrà fare non solo con l’esame dell’ufficiale di polizia giudiziaria sottoscrittore del verbale in questione, ma anche con i funzionari della Squadra mobile del tempo”, scrive l’avvocato di Salvatore Borsellino. Per questo motivo, oltre a Zerilli e a Genchi, Repici vuole ascoltare Guido Longo, che nel 1990 era vice dirigente della Squadra mobile di Palermo, e Luigi Savina, all’epoca responsabile della sezione omicidi.

Sentire i testimoni dell’indagine sui La Barbera – Secondo l’ipotesi dell’inchiesta coordinata dal procuratore Salvatore De Luca e l’aggiunto Pasquale Pacifico, infatti, l’agenda rossa di Borsellino sarebbe finita all’allora capo della Mobile. E dopo la sua morte, avvenuta nel 2002, il diario del giudice ucciso in via d’Amelio sarebbe stato custodito alla moglie e alla figlia di La Barbera. Almeno secondo quanto riferito ai pm da un super testimone, cioè il padre di un’amica della figlia del superpoliziotto. La procura, nei mesi scorsi, ha anche ordinato delle perquisioni e dei sequestri ma ha rifiutato di depositare i relativi decreti al processo sul depistaggio, come avevano richiesto le parti civili. “Per sconcertante paradosso, dunque, oggi persone congiunte del dottor Arnaldo La Barbera hanno (e doverosamente, ci mancherebbe che non fosse così!) piena cognizione di risultanze di indagine che indurrebbero a ipotizzare che l’agenda rossa del dottor Borsellino sia stata fino al momento della sua morte nella disponibilità del dottor La Barbera, trapassando al suo decesso nella disponibilità della moglie e/o della figlia, fino a epoca recente; al contempo, ai familiari del dottor Paolo Borsellino viene negata cognizione di quegli stessi elementi”, attacca Repici nella sua memoria. L’avvocato chiede quindi di sentire in aula l’amica di Serena La Barbera e suo padre, che sarebbe poi l’uomo che con la sua testimonianza ha fatto riaprire le indagini sull’agenda rossa. Repici vuole pure che venga in aula Marina Busetto, “che secondo quanto accertato nel processo Borsellino quater è stata unita da un legame intimo al dottor La Barbera da prima del 19 luglio 1992 fino alla sua morte, perché riferisca sul possesso in capo a La Barbera dell’agenda rossa del dottor Borsellino e sul percorso che quel prezioso reperto abbia fatto alla morte del funzionario di polizia”.

Giuseppe Pipitone (ilfattoquotidiano.it)
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