18-11-2023 – L’hanno definita “la scatola nera della Seconda Repubblica”. Paolo Borsellino l’ha avuta in regalo dai carabinieri a Natale del 1991 e fino al 23 maggio 1992, il giorno di Capaci, l’ha tenuta chiusa in un cassetto per poi iniziare a usarla. In quell’agenda rossa sono finite annotazioni investigative, impressioni personali, piste da seguire in un periodo in cui l’Italia stava cambiando volto a suon di bombe. Qualcuno sostiene che sia il diario della consapevolezza di un martirio. Fino al giorno di via D’Amelio, quando è sparita nel nulla, volatilizzata dalla borsa di cuoio del magistrato recuperata bruciacchiata dall’auto in fiamme. Trentun anni dopo, i magistrati di Caltanissetta la cercano a casa del maggiore sospettato, il superpoliziotto Arnaldo La Barbera: “Sono perplesso e anzi la considero un depistaggio. – è il commento a caldo di Salvatore Borsellino, fratello di Paolo –. L’unica certezza che abbiamo è che quella borsa (che conteneva l’agenda rossa) l’ha presa un carabiniere, e mi sembra impensabile che possa averla consegnata a un funzionario di polizia.
Perché un depistaggio?
Sono perplesso sulla tempistica, un po’ strana. E non credo sia casuale che la notizia salti fuori nel momento in cui si cerca di santificare Mario Mori dopo l’assoluzione in Cassazione sulla trattativa Stato-mafia.
Perché è importante l’agenda rossa?
Quei 57 giorni tra Capaci e via D’Amelio sono fondamentali per comprendere le ragioni della strage e dei fatti che hanno influenzato le istituzioni. In quei giorni, mio fratello Paolo aveva annotato le rivelazioni di pentiti non verbalizzate, in vista di future verbalizzazioni, è plausibile che avesse scritto ciò che aveva annunciato di rivelare a Caltanissetta la sera del 25 giugno, quando disse di attendere una convocazione dall’autorità giudiziaria. Ed è probabile che avesse appuntato le sue impressioni sul dossier mafia e appalti, fugando un altro depistaggio, visto che oggi viene riportato come motivo scatenante della strage, cosa a mio avviso irreale. L’importanza di quell’agenda è testimoniata anche dalla prontezza con cui è stata fatta sparire nell’immediatezza dell’attentato, da uomini evidentemente presenti sul posto con quello scopo.
Le Agende Rosse che lei coordina, hanno mappato i movimenti delle persone in quel pomeriggio di 31 anni fa per ricostruire con precisione cosa accadde attorno a quella borsa. Che cosa ha impedito un risultato utile?
Angelo Garavaglia e Anna Protopapa hanno fatto un lavoro prezioso e immane con le foto a nostra disposizione, purtroppo quasi tutte in bassa definizione. Con le foto originali, ad alta definizione, saremmo arrivati più lontano. Ma ci sono state negate: Mediaset, ad esempio, che ha a disposizione un nutrito archivio di quelle foto, nonostante le nostre richieste non ce le ha volute fornire. Ho anche chiesto alla presidente dell’Antimafia Colosimo la costituzione di un comitato per ricostruire i movimenti della borsa che custodiva l’agenda rossa, utilizzando come consulenti i nostri due esperti.
Qualche anno fa, lei disse di essere convinto che suo fratello avesse fatto delle copie dell’agenda. Lo pensa ancora?
Sì, a me risulta che Paolo facesse delle copie di tutto ciò di cui si occupava, che poi conservava con meticolosità assoluta. Così come sono riusciti a entrare nell’ufficio di Falcone per cancellare il data bank, o come sono riusciti a far sparire le carte dalla cassaforte di Dalla Chiesa, penso che lo stesso sia stato fatto in occasione dell’uccisione di mio fratello. Ricordo che mio nipote Manfredi ha dovuto bloccare nello studio di Paolo alcuni personaggi che cercavano o mostravano di cercare qualcosa. Le copie sono state fatte sparire così com’è sparita l’agenda.
Giuseppe Lo Bianco (Il Fatto Quotidiano)
Comments are closed.