di Salvatore Borsellino
15 gennaio 2022 – Quando, il 2 luglio del 2007, scrissi quella lettera aperta, che intitolai “19 luglio 1992: una strage di Stato”, non avrei mai potuto immaginare lo scenario che oggi, a 15 anni di distanza, mi si presenta davanti agli occhi.
Quella lettera nasceva da anni di silenzio, dopo i primi cinque anni, dopo la morte di mio fratello, nel corso dei quali avevo a lungo coltivato la illusoria speranza che quella strage e quella morte avessero scosso l’indifferenza della gente, che la coscienza civile degli italiani si fosse finalmente risvegliata, che fosse reale quella che mi era sembrata essere la volontà di riscatto nella lotta alla criminalità organizzata che dallo Stato Italiano non è stata mai portata avanti con determinazione ma da sempre delegata soltanto ad una parte delle Istituzioni, alla Magistratura ed alle forze dell’ordine, che in questa battaglia solitaria hanno da sempre sacrificato i loro uomini migliori.
Dopo gli anni della speranza vennero gli anni della delusione e dello sconforto, gli anni in cui ho dovuto rendermi conto che quell’alba che mi era sembrato di intravedere era soltanto un miraggio, gli anni di quello che è stato chiamato il “ventennio” Berlusconiano, gli anni in cui la coscienza civile si è di nuovo assopita sotto il peso dell’indifferenza, gli anni della normalizzazione e del compromesso, della delegittimazione dei magistrati vivi e della mistificazione del messaggio di quelli morti.
Sono, quegli anni di silenzio, quelli in cui, a poco a poco, ho dovuto capire che la strage di Via D’Amelio era stata messa in atto per fermare quello che rappresentava un ostacolo insormontabile alla scellerata trattativa che pezzi deviati dello Stato avevano avviato con la criminalità organizzata nell’illusorio tentativo di fermare la guerra che i corleonesi di Totò Riina avevano dichiarato allo Stato.
Guerra che nasceva dalla rottura degli accordi tra mafia è politica conseguente alla conferma in Cassazione delle condanne del maxi processo, dalla volontà della mafia di vendicarsi di quei politici che non avevano mantenute le proprie promesse, e dalla necessità di determinare nello Stato un altro equilibrio politico ed altri referenti per quella convivenza tra mafia e Stato che la stessa mafia, e non solo quella, ritiene indispensabile per continuare ad esercitare il proprio potere.
Vana illusione quella che questa trattativa potesse fermare le stragi, perché se da una parte, al tavolo della trattativa c’è un Stato di diritto (o che dovrebbe essere tale) che per trattare può solo concedere dei benefici legislativi, l’abolizione dell’ergastolo ostativo, del 41 bis, modifiche alla legge sui collaboratori di Giustizia, l’ammissione della semplice dissociazione per accedere agli sconti di pena, dall’altro ci sono dei criminali che per alzare il prezzo della trattativa non possono fare altro che quello che sanno fare, mettere in atto altre stragi, estendere il teatro delle stesse stragi, il teatro di guerra al “continente”, indirizzare gli attentati, secondo il suggerimento di “menti raffinatissime”, al patrimonio artistico dello stato che diversamente dai magistrati, che sono degli uomini che possono essere sostituiti da altri uomini, una volta distrutto è perduto per sempre.
Ed è quello che è successo, questa scellerata trattativa, oltre che a chiedere, per potere essere portata avanti, l’accelerazione della strage di Via D’Amelio e l’eliminazione di Paolo Borsellino, piuttosto che fermarle ha portato ad altre stragi, e altre morti di persone innocenti, la strage di Via dei Georgofili a Firenze, la strage di Via Palestro a Milano e a quella che avrebbe dovuto essere la più grande di tutte le stragi, quella dello Stadio Olimpico a Roma, dove avrebbero dovuto perdere la vita centinaia di componenti delle forze dell’ordine.
Se questa strage non c’è stata non è perché i timers posti all’interno di due autovetture cariche di esplosivo non abbiano funzionato, ma perché intanto la trattativa era stata conclusa con la resa incondizionata dello Stato, ed erano state sottoscritte quelle cambiali che per trenta anni governi dell’uno e dell’altro colore hanno pagato e continuano ancora oggi a pagare.
Anche l’attuale governo, lo stesso governo, che ha avuto il cattivo gusto di mettere l’effige di Paolo Borsellino e Giovanni Falcone sulla moneta da due euro, sta sistematicamente smantellando tutto l’impianto legislativo studiato da Paolo Borsellino e Giovanni Falcone per il contrasto alla criminalità organizzata, l’ergastolo ostativo, il 41 bis, le leggi sui collaboratori di giustizia.
Anche l’attuale governo, con lo “snellimento” delle procedure di controllo sugli appalti, sta aprendo la strada alla partecipazione della criminalità organizzata nella spartizione dell’immensa “torta” dei fondi che ci arriveranno dall’Europa
Anche l’attuale governo, il tanto magnificato governo Draghi, sta portando a termine quello che neanche Berlusconi con le sue leggi “ad personam” era riuscito a fare.
Usando la deprecata epidemia di Covid come un’arma di “distrazione di massa” sta per condurre in porto una pretesa riforma della Giustizia che rappresenta la rinuncia dello Stato ad essere uno Stato di diritto.
Non può essere infatti considerato tale uno Stato che rinuncia ad esercitare la Giustizia introducendo un concetto abnorme come quello della “improcedibilità”.
Se un processo, con tutti i suoi gradi di giudizio, non si conclude entro un dato periodo di tempo il processo viene chiuso e contro l’imputato non si può più procedere, non può essere dichiarato colpevole ma neanche dichiarato innocente e la vittima di quel reato deve rinunciare ad avere giustizia.
Non era questo che ci chiedeva la Corte Europea, ci veniva chiesto di accorciare la durata dei processi e ci sono ben altri modi per farlo, a partire da un potenziamento degli organici della magistratura, dall’informatizzazione delle procedure dei processi, non attraverso la rinuncia dello Stato ad esercitare le proprie funzioni.
In questi giorni, in seguito al discorso di commiato del Presidente Mattarella, abbiamo dovuto assistere ad un surreale dibattito, legato all’arredamento floreale del Quirinale, teso a dirimere la questione se la nostra repubblica debba essere chiamata la Repubblica delle banane o la Repubblica dei datteri.
Ci sarebbe da ridere se il discorso non fosse tragico dato che ben altro è il nome che può essere dato a questa nostra disgraziata Repubblica.
Non esiste credo altra Repubblica in Europa e forse al mondo la cui storia sia costellata da tante stragi come quelle che si sono succedute nel nostro paese dalla strage di Portella della Ginestra ad oggi: strage di Ciaculli, strage di Piazza Fontana, strage di Gioia Tauro, strage di Peteano, strage della Questura di Milano, strage di Piazza della Loggia, strage del treno Italicus, strage di Via Fani, strage di Ustica, strage della stazione di Bologna, strage di Via Pipitone, strage del rapido 904, strage di Fiumicino, strage del Pilastro, strage di Via Carini, strage di Capaci, strage di Via D’Amelio, strage di Via dei Georgofili, strage di Via Palestro, per citarne soltanto alcune, stragi di cui si conoscono qualche volta gli esecutori, non sempre i mandanti e spesso neanche i reali motivi per cui sono state commesse.
Questa repubblica di cui a breve dovrà essere nominato il Presidente che la rappresenterà per sette anni può, a ragione, essere chiamata Repubblica delle Stragi.
Avevo sempre pensato che il momento più nero della nostra Repubblica fosse stato quello in cui, per un doppio settennato, a rappresentare la massima carica delle nostre Istituzioni era stato chiamato quello che io considero essere stato il garante del silenzio su quella trattativa Stato Mafia che è costata la vita a Paolo Borsellino.
Quel Giorgio Napolitano che da, Presidente della Repubblica aveva preteso la distruzione delle intercettazioni in cui era incappato mentre parlava al telefono con Nicola Mancino, allora indagato, sollevando per questo un conflitto di attribuzioni con la Procura di Palermo.
Io ritengo che un degno rappresentante di quella Istituzione avrebbe dovuto pretendere che quelle intercettazioni fossero pubblicate e conosciute da tutti perché nessuno dei cittadini della Repubblica che rappresentava potesse avere il più lontano dubbio che in quelle intercettazioni il Presidente della Repubblica promettesse l’impunità ad un indagato.
E’ pur vero che nella recente riforma in appello di quel processo i funzionari dello Stato che hanno portato avanti quella trattativa sono stati assolti “perché il fatto non costituisce un reato”, in pratica una trattativa tra stato e mafia è stata considerata un reato per i mafiosi, che sono stati condannati, ma non per lo Stato, ma se quella trattativa ha causato delle altre stragi e degli altri morti, chi le ha volute, chi le ha portate avanti, e chi le ha coperte ne ha almeno la responsabilità morale.
Credevo che quello fosse stato il momento, un lungo momento, più nero per la nostra Repubblica, ma forse mi sbagliavo, anche quando si crede di essere arrivati al fondo del baratro ci si deve rendere conto che il fondo e ancora più in basso, che il peggio deve ancora arrivare.
E’ in questa ottica che va visto l’invito fatto ieri dagli stati generali della destra riuniti a Silvio Berlusconi di “sciogliere la riserva” alla sua candidatura alla presidenza della Repubblica.
E’ un qualche cosa che fino a ieri sarebbe stato impensabile e non parlo del fatto che sia effettivamente eletto ma sul fatto stesso che un individuo come lo stesso Berlusconi, con tutto il carico di processi per accuse anche infamanti per i quali è passato e dai quali spesso è stato assolto non per il merito dell’accusa ma per avere saputo sfruttare le maglie di un sistema giudiziario che è forte con i deboli e derelitti ma ignavo contro i potenti, possa ipotizzare di potere aspirare a tale carica e che i rappresentanti di almeno la metà dell’elettorato del nostro paese possano avallare questa ipotesi.
Ma forse mi sbaglio, forse è proprio una persona condannata in via definitiva per frode fiscale, una persona adusa alla corruzione, soprattutto una persona tuttora indagata presso la Procura di Firenze per accuse gravissime come quella di strage in concorso con Cosa Nostra, accuse tanto gravi da essere imprescrittibili, una persona che da Presidente del Consiglio ha continuato, attraverso Marcello Dell’Utri, condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, a pagare la mafia per assicurarsene la protezione, ad essere degno rappresentante di una Repubblica, che a ragione, può essere chiamata “Repubblica delle stragi”.
Salvatore Borsellino