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L’intervista – Salvatore Borsellino: «L’Agenda Rossa è stata nascosta. È diventata arma di ricatto»

L’Agenda Rossa (foto Rita Rossi) (clicca per ingrandire)

di Paolo De Chiara

INTERVISTA a Salvatore BORSELLINO/Terza ed ultima parte.
DEPISTAGGI DI STATO.
«La sentenza del Borsellino quater, che è la prima sentenza che fa un po’ di luce su quella che è stata la strage di via D’Amelio, dice che c’è stato un depistaggio e non soltanto. Un depistaggio di Stato. Ci sono stati funzionari di Stato che hanno messo in bocca a Scarantino quello che Scarantino non poteva conoscere». Ma dove è finita l’Agenda Rossa rubata da una mano “amica”? «L’Agenda Rossa non doveva essere distrutta, doveva sparire. E c’era chi attendeva in via D’Amelio che ci fosse quella esplosione per mettere in atto tutto quello che è stato fatto. L’Agenda Rossa non doveva sparire altrimenti l’assassinio di Paolo non sarebbe servito a nulla».

Una Paese fondato sui depistaggi. Per nascondere la verità, per non far emergere le responsabilità. Da Salvatore Giuliano a Peppino Impastato, da Pino Pinelli (l’anarchico accusato della strage di Piazza Fontana, lanciato dalla finestra della questura di Milano) ad Attilio Manca. Senza dimenticare Ilaria Alpi, fino a Stefano Cucchi.  Da piazza Fontana alla stazione di Bologna, passando per via D’Amelio. L’elenco è drammaticamente lungo. Il Paese è senza vergogna. Per colpa di questi maledetti manovratori, inseriti nelle Istituzioni della Repubblica.

Hanno giostrato, imbrogliato, occultato, inquinato. Ucciso. Altro che mafia. Hanno superato le mafie. In questi secoli hanno utilizzato i criminali per i lavori sporchi: prima i mafiosi, poi i terroristi. Poi ancora i mafiosi. La manodopera, la longa manus per compiere omicidi e stragi. Veri e propri eccidi di Stato. Compiuti da killer di Stato. Peggio dei mafiosi, più schifosi e pericolosi dei mafiosi. Senza anima, senza pietà. Per il potere, per mantenere i loro maledetti equilibri.

Non hanno mai guardato in faccia a nessuno. I loro progetti dovevano (e devono) andare avanti. Senza ostacoli. Chi può creare qualche problema deve essere eliminato. «Lo sai… tra oggi e domani dovrebbero ammazzare a Falcone, lo dovrebbero ammazzare con un lanciamissili». Sono due mafiosi che parlano tra di loro. Ma il piano salta, viene rinviato.

«Si venne a sapere – spiega uno dei due – che la cosa non era stata fatta in quanto, da parte dei politici era stata data assicurazione che Falcone sarebbe stato bruciato politicamente». Non ci riusciranno politicamente. Lo faranno saltare in aria in autostrada, a Capaci. Insieme alla sua signora e alla sua scorta.

Come faranno saltare in aria Borsellino. Il nuovo ostacolo. Non hanno guardato in faccia a nessuno questi vigliacchi. Persone senza dignità. A Borsellino lo hanno ridotto a brandelli. Lo stavano aspettando in via D’Amelio, per rubare la sua Agenda. La loro arma di ricatto.

Ed è iniziato il depistaggio. Hanno utilizzato una versione di comodo. Il metodo è sempre lo stesso. Per via D’Amelio questi idioti hanno tirato fuori dal cilindro il balordo Scarantino. Gli hanno fatto imparare la lezione a furia di botte. Ma sono stati scoperti. I processi, è vero, ancora non rendono giustizia. Ma ognuno di noi sa benissimo che quella “accertata” non è la verità.  Siete voi i balordi.

E proprio sul più grande depistaggio della storia di questo Paese riprendiamo e concludiamo l’intervista a Salvatore Borsellino, il fratello del magistrato Paolo. Per non dimenticare l’Agenda Rossa rubata da mani “amiche”. «Chi ha ucciso Paolo è chi ha prelevato l’Agenda Rossa».       

Salvatore Borsellino in via D’Amelio con l’Agenda Rossa (foto Rita Rossi) (clicca per ingrandire)

Anche su via D’Amelio ci sono stati dei depistaggi. Non possiamo non citare la vicenda del falso pentito Scarantino. Ma possiamo parlare di depistaggio di Stato?

«La sentenza del Borsellino quater, che è la prima sentenza che fa un po’ di luce su quella che è stata la strage di via D’Amelio, dice che c’è stato un depistaggio e non soltanto. Un depistaggio di Stato.
Ci sono stati funzionari dello Stato che hanno messo in bocca a Scarantino quello che Scarantino non poteva conoscere. Una cosa che risalta agli occhi è questa: quando, finalmente, dopo i due processi deviati dal depistaggio di Scarantino, si è arrivati alla collaborazione di Spatuzza, quindi a sapere effettivamente quello che era successo – come il furto della 126 e tante altre cose –, le stesse cose dette da Scarantino, che non poteva sapere.

Scarantino non era nient’altro che un balordo di quartiere.

Chi ha messo in bocca a Scarantino quelle cose erano personaggi di certi ambienti. Per me l’ipotesi più probabile è che conoscevano quello che era successo, perché avevano direttamente partecipato. Spatuzza dice che c’è un personaggio nel garage di Palermo, quando la 126 viene riempita di esplosivo, che non è un mafioso.
Nel Borsellino quater Scarantino era ancora imputato di calunnia, a cui era stato costretto con torture fisiche e psicologiche che sono durate per anni. È stata soltanto la mia parte civile, oltre ovviamente agli avvocati di Scarantino, a richiedere la sua assoluzione. Per me Scarantino è la settima vittima di via D’Amelio. Perché è stato massacrato, hanno addirittura tentato di farlo autoaccusare di un assassinio.»

Quale assassinio?

«Dell’agente Agostino.»

Lei cosa si aspetta da questo processo?

«Tanto. È uno dei punti fondamentali che possono portare alla verità. Sempre se la verità verrà perseguita. Cosa che non avviene, sicuramente, a Caltanissetta.
Sono convinto che, fin quando le indagini sulla strage di via D’Amelio staranno a Caltanissetta non si farà un passo avanti sulla strada della verità e della giustizia, se non quello che è stato fatto nel Borsellino quater in cui, però, l’impianto processuale dei pubblici ministeri è stato sovvertito. Altrimenti la verità non si sarebbe avuta nemmeno da quel processo.»

Cosa si afferma nel Borsellino quater?

«Che c’è stato un depistaggio di Stato. Sono state rimandate le carte processuali all’Ufficio Istruzione perché si indaghi veramente sulla sparizione dell’Agenda Rossa, che è uno snodo fondamentale nella strage di via D’Amelio.
Solo attraverso quello si potrà arrivare agli assassini. Su questo punto non ci sono mai state indagini serie. Noi al Borsellino quater abbiamo presentato un video, nel quale mettemmo insieme gli spezzoni girati in via D’Amelio. Noi delle Agende Rosse siamo riusciti ad identificare anche delle persone che non sono mai state prese in considerazione, come il generale Borghini, a cui probabilmente il capitano Arcangioli porta la borsa dopo averla prelevata dalla macchina di Paolo. Sa che cosa è successo?»

Cosa è successo?

«I pubblici ministeri si sono alzati, si sono allontanati dall’aula e non sono ritornati più per tutto il giorno.»

Lei come ha interpretato questo atteggiamento?

«Evidentemente spunti di indagine che riguardavano la sparizione dell’Agenda Rossa non erano di loro interesse. Ma io so perché.»

Perché?

«Perché sanno benissimo dove si trova l’Agenda Rossa

Dove si trova?

«Nei sotterranei dove hanno sede i servizi.»

Quindi l’Agenda Rossa non è stata distrutta?

«Assolutamente no. Ci sono stati dei falsi scoop giornalistici in cui hanno mostrato quello che era un parasole. Sotto la macchina, presentata come l’Agenda Rossa.
L’Agenda Rossa non doveva essere distrutta, doveva sparire. E c’era chi attendeva in via D’Amelio che ci fosse quella esplosione per mettere in atto tutto quello che è stato fatto. L’Agenda Rossa non doveva sparire altrimenti l’assassinio di Paolo non sarebbe servito a nulla. E, sicuramente, non interessava alla mafia farla sparire. Ma a chi non poteva permettere che a soli 57 giorni dalla strage di Capaci, con quello che era l’opinione pubblica in quel momento, venisse fuori che lo Stato stava trattando con la mafia. Era impossibile. Immaginate cosa sarebbe successo nel nostro Paese.»

Secondo lei cosa sarebbe successo?

«Se a 57 giorni dalla morte di Falcone avesse detto, come faceva ogni tanto con le sue interviste che rendeva per denunciare certe cose, dell’esistenza di una Trattativa tra Stato e mafia. Sarebbe successo l’inferno.
E questo non poteva succedere, dal punto di vista di quelle persone. Perciò hanno deciso di sacrificare Paolo, per poter portare avanti quella Trattativa. E perché quella Trattativa venisse alla luce dopo anni. Allora, ripeto, sarebbe successa la rivoluzione nel nostro Paese.»

Ed oggi cosa è cambiato?

«Oggi la gente sente parlare di Trattativa ed è diventata quasi una cosa normale. Non si indigna, non reagisce. A questo sono serviti anni di depistaggio. Gente, come Tinebra, sono passati ad altra vita e, purtroppo, l’oblio sta scendendo anche su questo. Io penso che bisogna cercare di evitare che questo oblio scenda e tenere viva la memoria soprattutto dei giovani che queste cose non le hanno conosciute, perché possano continuare a gran voce a chiedere la Verità nel nostro Paese.
Fino a quando la Verità non verrà a galla quel fresco profumo di libertà, di cui parlava Paolo, nel nostro Paese non si potrà sentire. Ma solo il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e della complicità. Questa è la vera mafia, non la mafia di Provenzano, di Riina. Ma quello che sta attorno alla mafia, chi con la mafia collude, chi con la mafia fa affari. La mafia persegue gli interessi perché sono i loro stessi interessi.»

I responsabili sono solo i soggetti finiti sotto processo?

«Oggi c’è un processo in cui vengono processati, per questo depistaggio, quattro pedine. Sono ben altre le persone che io vorrei vedere alla sbarra. Alcune non posso vederle più.
Tinebra che, sicuramente, del depistaggio fa parte per aver avallato delle testimonianze assolutamente incredibili. E oggi, purtroppo, non c’è più.
Forse, per arrivare alla verità, bisogna aspettare che la maggior parte dei protagonisti, di quella terribile stagione, non ci siano più. Però, ripeto: fino a quando l’inchiesta della Procura sulla strage di via D’Amelio starà alla Procura di Caltanissetta non mi aspetto che possa venire fuori alcuna verità.»

Perché a Caltanissetta non può emergere la verità?

«Per quello che è stato l’iter di tutti i processi lo dimostra chiaramente. La Procura è su una linea che si è perpetrata anche al cambiare del Capo della Procura, che è andata sempre nella stessa direzione. Non si è mai, veramente, cercata la verità.
L’Agenda Rossa, ripeto e continuo a ripeterlo, è un punto fondamentale di quella strage. È la scatola nera di quella strage.
E proprio in quella direzione non si è fatto mai alcun passo. Anzi, si sono fatti solo dei passi indietro. Ho dovuto assistere al Borsellino quater a sette testimoni che dicevano delle cose che succedevano in quella via quel giorno, attorno alla macchina di Paolo. Dicono delle cose completamente diverse tra di loro. Non sono mai stati messi a confronto tra di loro. Come può succedere che il capo dei pompieri arriva e dice che cerca di guardare dentro le macchine per vedere se ci sono dei feriti da soccorrere. Dice che non si vedeva nulla, perché i vetri erano completamente neri per il fumo.
Poi arriva Ayala e dice ‘ho guardato, ho visto la borsa di Paolo sul sedile della macchina. Allora ho fatto aprire la portiera per prenderla’. Una delle sue tante diverse versioni di quello che è successo sempre in quella strada. Ecco, su questo non viene nemmeno fatto un confronto. È assolutamente assurdo. A Caltanissetta non si vuole arrivare alla verità

Ci vorrebbe un pentito di Stato?

«Sì, ma purtroppo è un sogno che non esiste. Anche quando si dovesse arrivare alla possibilità di avere un pentito di Stato o qualcuno che parli come avrebbe potuto fare, perché tante cose sicuramente sapeva, quel «faccia da Mostro», allora c’è chi pensa di eliminarlo prima che possa parlare con un provvidenziale infarto o qualcosa del genere. O come ritengo sia successo, negli ultimi anni, a Provenzano. Per il pericolo che potesse, in qualche maniera, passando gli anni, dire qualcosa. Secondo me è stato massacrato di botte, fino a farlo diventare demente. E poi a morire.
Questi sono gli effetti del Protocollo Farfalla e di tutto quello che è avvenuto nelle carceri italiane con quel protocollo che permetteva ai servizi di entrare nelle carceri senza che la magistratura ne fosse, in nessuna maniera, messa al corrente.»

A proposito di carceri, nei mesi scorsi c’è stata una forte polemica tra il magistrato Nino Di Matteo e il ministro della Giustizia. A distanza di mesi, lei cosa può aggiungere?

«Ho rapporti sia con Di Matteo che con Bonafede. Ritengo che la versione data da Di Matteo sia assolutamente veridica e, ritengo, che Bonafede non abbia detto abbastanza.
Si è tradito quando ha detto che ‘la prossima volta non ci saranno né interventi né condizioni che tengano’.
Ho chiesto a Bonafede: ‘tu devi dirmi cosa intendevi con quella frase’. Lui dice che è stata una frase infelice e non c’è niente dietro. Ritengo che sia una persona assolutamente in buonafede, ma che non abbia detto tutto quello che doveva dire.

Sicuramente ci saranno stati dei condizionamenti per quanto riguarda la nomina di Di Matteo a capo del DAP. Anche se ritengo che quello che era il progetto di Bonafede sarebbe stato valido, cioè ritengo che avrebbe potuto fare, forse di più, Di Matteo messo a capo di un qualcosa che era come l’Ufficio degli Affari Penali di cui era stato capo Falcone, anche se dopo la morte di Giovanni Falcone quell’Ufficio era stato snaturato e, quindi, avrebbe potuto essere riportato a quello che era. Oggi come oggi il Capo degli Affari Penali non risponde più direttamente al Ministro, ma c’è un personaggio intermedio.
Però, sicuramente, qualcosa che non quadra c’è.»

Se ci fosse stato Di Matteo al DAP si sarebbero registrate tutte quelle scarcerazioni?

«Assolutamente no.»

Sono passati due anni dalla scomparsa di Rita Borsellino. Che ricordo ha di sua sorella?

«Insieme a Rita abbiamo combattuto la stessa battaglia, anche se con mezzi diversi. Rita aveva in più il suo essere donna. Ricordiamo la mamma di Impastato e le tante persone che, sicuramente, in quello che hanno fatto ci hanno messo in più il fatto di essere donna. Rita mi manca molto, sono da solo a combattere.
Adesso c’è anche Fiammetta che ha cominciato a parlare, anche se segue una strada diversa dalla mia. Lei, ad esempio, ammette che una delle cause dell’assassinio di mio fratello possa essere stato il dossier “Mafia e appalti”. Mentre io ritengo che “Mafia e appalti” sia uno degli elementi messi in campo dal ROS proprio per depistare quello che era il vero motivo dell’accelerazione messa in atto nella strage di via D’Amelio. Tutti combattiamo per la verità. Una cosa è certa…»

Cosa?

«Che spesso devono essere sempre i familiari delle vittime di mafia a cercare la verità e a continuare a chiedere la verità.
Oggi, nei miei incontri, non incontro più gli adulti. Incontro i giovani nelle scuole perché, come diceva Paolo, solo da un completo cambio generazionale possa arrivare la sconfitta della mafia. Paolo, nell’ultimo giorno della sua vita, a dei ragazzi risponde con le parole di un pazzo. Dice ‘sono ottimista’. Come si può essere ottimisti quando si sa di dover morire, come lo sapeva Paolo. Bisogna tenere viva la memoria, ed è quello che cerco di fare.»

Il Paese ancora non è pronto?

«Non solo il Paese non è pronto, ritengo che le cose stanno peggiorando. La fortissima penetrazione della ‘ndrangheta, all’interno del nostro Paese, non trova un sufficiente contrasto dal punto di vista della popolazione. Mentre noi siciliani, da ragazzi, ci siamo fatti gli anticorpi perché abbiamo visto i morti ammazzati per strada, i giudici ammazzati, i poliziotti ammazzati. Invece, purtroppo, al nord questo non c’è. Al nord la mafia penetra con la finanza, pulisce e impiega i propri capitali. Questo fa si che non si formino nella gente gli anticorpi per poterla contrastare.
Purtroppo non esiste ancora una legislazione europea comune per poter contrastare la criminalità mafiosa.»

Gli anticorpi si formano in molti modi. In via D’Amelio le Agende Rosse non permettono alcun tipo di “passerella” ai rappresentanti politici. Perché?

«A me la passerella è una parola che poco mi piace perché spesso, addirittura, hanno accusato noi delle Agende Rosse di fare delle passerelle in via D’Amelio. Io non permetto che rappresentanti delle Istituzioni, che ancora non hanno assicurato la verità e la giustizia per la strage di via D’Amelio, vengano a portare dei simboli di morte. In cui, in ogni caso, pezzi dello Stato, sicuramente, hanno partecipato a quella strage. Quindi non lo permetto. All’inizio dovevamo fare dei presidi per impedire che venisse qualcuno, oggi non ce n’è più bisogno.»

Non vengono più?

«Non vengono, non c’è nessuno che ha il coraggio di presentarsi in via D’Amelio. Hanno paura. Ma noi non facevamo altro che alzare l’Agenda Rossa e voltare le spalle ai rappresentanti delle Istituzioni che venivano in via D’Amelio a portare le loro corone di morte, i loro simboli di morte. Non vengono. Hanno unificato l’anniversario e vengono in via D’Amelio il 23 maggio (giorno della strage di Capaci, nda), invece di venire il 19 di luglio.»

Ci fu un episodio con un ex presidente della Repubblica. Lo vuole ricordare?

«Nei primi anni, quando io avevo cominciato con questa mia determinazione a non far venire le Istituzioni in via D’Amelio, ci fu l’ex – per fortuna – presidente Napolitano, il quale fece chiedere alla polizia aeroportuale di Palermo se Salvatore Borsellino aveva prenotato un volo per Palermo il 23 maggio. Voleva andare il 23 maggio in via D’Amelio, ma voleva essere sicuro che io non fossi presente lì per poter portare avanti la mia battaglia con un presidente della Repubblica che è stato indegno di questo ruolo

Perché indegno?

«Quel presidente della Repubblica ha fatto distruggere le intercettazioni, invece di pretendere che fossero conosciute da tutto il popolo italiano per evitare che nessuno potesse pensare che in quei colloqui il presidente avrebbe potuto assicurare l’impunità ad un imputato in un processo, quale era allora il processo di Palermo sull’attentato al corpo politico dello Stato. Avrebbe dovuto pretendere che fossero note a tutti, invece ne ha preteso la distruzione. E questo è indegno di un Presidente della Repubblica degno di questo nome.»

Senza dimenticare il conflitto di attribuzione?

«Certo, ancora più grave. È stato tentato di mettere un macigno sulla strada della verità e della giustizia, sul processo portato avanti da Di Matteo e Ingroia. Che poi, per fortuna, ha avuto un esito diverso da quello che il presidente Napolitano avrebbe sperato. Anche se, a mio avviso, non sufficiente. Purtroppo a causa della possibilità del rito abbreviato, quindi sdoppiare i processi che dovrebbero essere non sdoppiabili, alcuni imputati – come ad esempio Mannino – hanno potuto avere una sorte diversa da quella di altri imputati. Anche quel Mancino, che ritengo abbia delle grosse responsabilità e sappia tante cose che non ha detto, ha potuto essere assolto anche lui.»

In via D’Amelio, negli anni passati, ci fu un abbraccio simbolico, forte, importante tra lei e Massimo Ciancimino. Perché decise di abbracciarlo?

«L’ho spiegato più volte, anche se quell’abbraccio mi ha provocato delle critiche all’interno del mio stesso Movimento. Ho abbracciato quel giorno Ciancimino, che era nel retropalco, per quella che era la sua condizione umana. Massimo Ciancimino ha rinunciato ad una vita di agi, di ricchezze e di essere rispettato, come succedeva fino a quel momento da tutta la Palermo bene, per potere – come mi disse lui – fare si che suo figlio non dovesse un giorno vergognarsi, come si era dovuto vergognare lui del nome che portava suo padre.
Massimo Ciancimino è un personaggio che sicuramente ha dei problemi, il fatto di essere vissuto con quel padre che, addirittura, lo incatenava per impedire di fare le sue scorribande con le macchine di cui poteva godere. Lo prendeva a schiaffi in continuazione. Quindi, sicuramente, è una persona che ha qualche problema.
L’ho abbracciato perché dal punto di vista umano ho ritenuto che le sue scelte fossero delle scelte coraggiose. E non solo. È stato il primo a parlare, senza Massimo Ciancimino il processo sulla Trattativa, forse, non si sarebbe neanche potuto svolgere. L’ho abbracciato allora e lo riabbraccerei. Dal punto di vista umano, pur con tutti gli errori compiuti, ritengo che abbia fatto delle scelte coraggiose.»

Chiudiamo questa intervista con la “Casa di Paolo”. Un sogno che si è realizzato?

«Un mio sogno che ho perseguito a lungo e quando nei sogni si crede veramente si realizzano. L’ho messa in piedi da solo, semplicemente con l’aiuto di volontari, rifiutandomi di chiedere qualsiasi tipo di aiuto allo Stato.
Un giorno camminavo per quella via dove da ragazzi giocavamo, spesso con quei bambini che avrebbero preso delle cattive strade, e mi sono detto che questa cosa non doveva più succedere. Avrei dovuto fare tutto il possibile per evitare che i ragazzi a rischio di quel quartiere – che ho sempre amato – potessero avere una opportunità, per sfuggire alla povertà, all’emarginazione, alla criminalità organizzata. Ho ripreso in mano la mia vecchia farmacia che era ridotta un rudere, ho acquisito i locali vicini e ho fatto nascere una Casa di Accoglienza per i ragazzi del quartiere, gestita solo da volontari.
Penso di esserci riuscito, penso anche di aver trovato chi continuerà anche dopo di me.»

Chi continuerà dopo di lei?

«Mia nipote Roberta Gatani, figlia di mia sorella Adele. Una sorella di cui si parla poco, ma per me era una grandissima donna. Nella Casa di Paolo facciamo doposcuola per i ragazzi ma, soprattutto, cerchiamo di dare amore. Quell’amore che i ragazzi a casa non possono trovare. Vivono in bassi dove non hanno nemmeno un tavolo per studiare, i genitori spesso sono in carcere, non hanno i soldi per comprare i libri. Nella Casa di Paolo ho fatto anche una scuola di informatica, non per usare il computer, ma per programmarlo. Quella strada, una volta, era piena di artigiani che mettevano a bottega i ragazzi. Davano la possibilità ai ragazzi di imparare un mestiere e di avere, quindi, un lavoro. Oggi, purtroppo, quegli artigiani non ci sono più. Attraverso l’amore voglio offrire un’alternativa e spero che questa cosa possa continuare anche quando io non ci sarò più.»   

3 parte/fine

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L’intervista a Salvatore Borsellino.

Prima parte: L’intervista – Salvatore Borsellino: «gli assassini di mio fratello sono dentro lo Stato»

Seconda parte: L’intervista – Salvatore Borsellino: «Chi ha ucciso Paolo Borsellino è chi ha prelevato l’Agenda Rossa»

 

L’intervista ad Angelo Garavaglia Fragetta: L’intervista – Agenda Rossa: spunta fuori «una novità assoluta»

 


Leggi anche: L’intervista al colonnello dei carabinieri Michele Riccio.

Prima parte: L’intervista: «Dietro alle bombe e alle stragi ci sono sempre gli stessi ambienti»

Seconda parte: L’intervista – Riccio: «Mi ero già attrezzato per prendere Bernardo Provenzano»

Terza parte: L’intervista – Riccio: «Non hanno voluto arrestare Bernardo Provenzano»

Quarta parte: L’intervista – Riccio: «L’ordine per ammazzare Ilardo è partito dallo Stato»

 

Per approfondimenti:

Impastato: «La mafia è nel cuore dello Stato» 

Stato e mafie: parla Ravidà, ex ufficiale della DIA

Attilio Manca suicidato per salvare Bernardo Provenzano

INGROIA: «Lo Stato non poteva arrestare Provenzano»

INGROIA: «Provenzano garante della Trattativa Stato-mafia»

 

L’intervista al pentito siciliano Benito Morsicato:

Prima parte: «Cosa nostra non è finita. È ancora forte»

Seconda parte: Il pentito: «Matteo Messina Denaro è un pezzo di merda. Voglio parlare con Di Matteo»

 

Tratto da: www.wordnews.it

 

 

 

 

 

 

 

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