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Quale “etica” nella scelta di affidare a due imputati un seminario di formazione per aspiranti avvocati?

Pubblichiamo la lettera aperta indirizzata al Presidente dell’Ordine degli avvocati di Modena, a seguito della notizia della partecipazione di Mario Mori e Giuseppe De Donno ad un seminario che darà la possibilità ai legali emiliani di ottenere tre crediti formativi in “etica”.

Gentile Presidente Dondi,

apprendiamo dalla stampa che due degli imputati (sic!) del Processo sull’acclarata trattativa Stato-mafia, Mario Mori e Giuseppe De Donno, terranno il Seminario di formazione: “Criminalità organizzata e terrorismo: tra prevenzione, repressione e diritti di libertà” presso la Camera di Commercio di Modena. Leggiamo anche che “la partecipazione totale al convegno darà diritto a n. 3 crediti formativi in etica”.
Ci e vi chiediamo quale etica dovrebbero imparare gli avvocati della città di Modena da due personaggi su cui gravano numerose ombre sia dal punto di vista penale (chieste condanne a 12 e 15 anni di carcere nel processo sopracitato) che dal punto di vista etico-professionale.

Sulle scelte professionali di Mario Mori hanno scritto più giudici di diverse sezioni penali del Tribunale di Palermo nelle motivazioni delle sentenze che lo hanno visto assolto nei processi nei quali era imputato per favoreggiamento aggravato.

Cosiddetta mancata perquisizione Covo Riina
Dalla sentenza emessa dalla III sezione penale del Tribunale di Palermo, il 20 febbraio 2006, si legge: “…consente di ritenere che l’omessa perquisizione della casa e l’abbandono del sito sino ad allora sorvegliato abbiano comportato il rischio di devianza delle indagini che, difatti, nella fattispecie si è pienamente verificato…“. E ancora: “Il sito, come già detto, fu abbandonato e nessuna comunicazione ne venne data agli inquirenti. Questo elemento, tuttavia, se certamente idoneo all’insorgere di una responsabilità disciplinare, perché riferibile ad una erronea valutazione dei propri spazi di intervento…”.

Cosiddetta mancata cattura di Provenzano
Dalla sentenza emessa dalla IV sezione penale del Tribunale di Palermo il 17 luglio 2013: “…può, ad avviso del Tribunale, ammettersi che nell’arco di tempo oggetto della contestazione siano state adottate dagli imputati scelte operative discutibili, astrattamente idonee a compromettere il buon esito di una operazione che avrebbe potuto procurare la cattura di Bernardo Provenzano“.
Nel giudizio di appello, la sentenza della V sezione penale della Corte d’Appello del Tribunale di Palermo, emessa il 19 maggio 2016, rincara la dose:
Le scelte tecnico-investigative adottate dagli imputati…, a maggior ragione ove si consideri che esse vennero adottate da esperti Ufficiali di Polizia giudiziaria, inducono più di un dubbio sulla correttezza, quantomeno dal punto di vista professionale, dell’operato dei due e lasciano diverse zone d’ombra…”; e ancora: “Rimane davvero razionalmente inspiegabile – né gli imputati lo hanno spiegato in qualche modo – perché tutte le attività di indagine… furono compiute in modo tardivo, non coordinato, e soprattutto burocratico… e, soprattutto, senza che da parte degli imputati fosse dedicata l’attenzione che la particolare delicatezza del caso senza ombra di dubbio richiedeva“.

Le assoluzioni nei processi di cui sopra quindi non cancellano i dubbi sull’opportunità delle scelte operate dal Generale Mori, che si sono tradotte quantomeno in involontari favori alla mafia.

Giuseppe De Donno è stato protagonista di quella che qualcuno ha battezzato la “mancata cattura” del boss Benedetto Santapaola.
L’allora capitano De Donno, insieme alla squadra di Sergio De Caprio (detto Capitano Ultimo), inseguirono e presero a colpi di pistola un incensurato (scambiandolo, dissero, per il trentaquattrenne boss Pietro Aglieri); contestualmente, uomini dello stesso reparto eseguivano una irruenta perquisizione nella villa di famiglia del giovane incensurato di cui sopra. Entrambe le azioni avvenivano proprio il giorno dopo (ed a pochi metri dal luogo) in cui Nitto Santapaola veniva intercettato dal Ros.
Mori, secondo l’ufficiale del Ros di Messina Giuseppe Scibilia, era stato avvisato di quella e di intercettazioni precedenti che individuavano il capomafia catanese in quella zona. Il giorno seguente i suoi uomini di fiducia passavano “casualmente” proprio a pochi metri da lì, nel semisconosciuto paese di Terme Vigliatore, ad inseguire (spararandogli senza per fortuna colpirlo) un ragazzo di vent’anni e a perquisirgli la villa.
Nitto Santapaola fu arrestato dallo Sco qualche tempo dopo lontano dalla zona di Terme Vigliatore.

I pm di Milano Paola Pirotta e Cristiana Roveda hanno chiesto a fine 2017 per De Donno, nel processo su una serie di presunti appalti pilotati, tra cui alcuni di assistenza legale e tecnica-amministrativa legati ad Expo, una condanna a 2 anni e 4 mesi di carcere. La Procura ha chiesto anche le condanne di due società, tra cui la G-Risk – l’agenzia investigativa di De Donno (che è pure editrice dei libri di Mario Mori) coinvolta in un filone dell’indagine – a una sanzione pecuniaria di 400.000 euro.

Vi chiediamo dunque se sia stato “eticamente” opportuno scegliere, per tenere corsi “formativi” a operatori del “sistema Giustizia”, tra tutti gli ufficiali che hanno servito il Paese con onore contrastando criminalità organizzata e terrorismo, proprio Mario Mori e Giuseppe De Donno, le cui condotte sono tuttora oggetto di processo o hanno quantomeno ricevuto giudizi severi da parte di più giudici della Repubblica.


Movimento Agende Rosse

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