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Convegno su scarcerazioni dal 41-bis e coronavirus: primo intervento dell’avv. Fabio Repici

Quali sono le norme che disciplinano le scarcerazioni dei detenuti e l’esecuzione della pena alternativa al carcere? Le recenti scarcerazioni “eccellenti” di boss mafiosi, alcuni anche al 41 bis, sono state disposte sulla base della legislazione ordinaria (c.p.p., o.p.) o sulla base di leggi speciali (D.L. 18/2020)? Che ruolo hanno avuto la circolare del DAP del 21 marzo e la nota del PG della Cassazione Dott. Salvi del 1° aprile inviata alla Procure Generali presso le Corti di Appello?

Riportiamo di seguito il testo e il video del primo intervento dell’Avv. Repici.

Alessandra Antonelli:

Adesso ho una domanda per l’avvocato Repici. Andiamo un po’ sul tecnico e sviluppiamo quello che ha accennato il dottor Ardita. Ci stiamo chiedendo un po’ tutti: queste scarcerazioni, avvocato, sono state disposte in virtù di questa normativa speciale emergenziale oppure in base alla normativa ordinaria, quindi codice di procedura civile, ordinamento penitenziario e quant’altro, che ruolo ha avuto in particolare quella circolare del DAP del 21 marzo e anche le chiedo la nota del procuratore generale della Cassazione che è stata diffusa a tutte le corti di appello il primo di aprile.

Avv. Fabio Repici:

Sì grazie e buonasera a tutti. Partiamo da un primo punto. Non ci sono stati provvedimenti emessi sulla base di norme eccezionali e della situazione di diritto o che sarebbe seguita, o interventi che ci fossero stati dopo l’inizio della epidemia da covid-19. Le norme che sono state applicate sono norme che esistevano, norme che esistevano e che però non riguardano, diciamo, la condizione ordinaria dei detenuti: i benefici penitenziari sono previsti sostanzialmente dalla legge sull’ordinamento penitenziario. La gran parte dei casi sui quali si è un po’, in modo io ritengo particolarmente insufficiente accesa l’attenzione, quanto a provvedimenti della magistratura di sorveglianza, sono dei provvedimenti fatti per motivi di salute che hanno comportato la sospensione dell’esecuzione della pena.

I detenuti, a tutela del diritto alla salute e del diritto a non subire trattamenti contrari al principio di umanità, naturalmente possono accedere a una previsione che è prevista dal codice penale, dall’articolo 147 in particolar modo, del differimento della esecuzione della pena, differimento che è lasciato alla valutazione della magistratura di sorveglianza a differenza di altra norma. Qui si è innescato un cortocircuito, che già bene era descritto dal dottor Ardita. Perché, fermo restando che poi bisognerebbe parlare anche di provvedimenti emessi dai giudici in materia di misure cautelari, così come ci sono stati bei boss scarcerati dalla magistratura di sorveglianza perché erano in espiazione di sentenze di condanna definitive, altri boss sono stati scarcerati mentre erano sottoposti a misura cautelare.

Faccio un esempio, giusto non perché è più significativo di altri, ma perché sui giornali se ne è letto, un boss di Lamezia Terme che si chiama Vincenzo Iannazzo non è stato scarcerato a seguito di provvedimento di un tribunale di sorveglianza ma di un giudice della cautela.

Ora, tornando invece alle scarcerazioni che hanno fatto più clamore e che peraltro hanno riguardato in molti casi dei personaggi di grande livello criminale che proprio in considerazione di questo erano sottoposti al regime detentivo del 41 bis qual è stato il corto circuito… il corto circuito, cosa che ci consente di dire che ci sono sicuramente state responsabilità da parte del mondo politico e del settore di governo dell’istituzione carceraria, anche in conseguenza di quella davvero incomprensibile circolare del direttore del DAP del 21 marzo ma ci sono state poi ricadute che hanno riguardato secondo me delle scelte non sempre adeguate da parte di tribunali di sorveglianza o singoli magistrati di sorveglianza che hanno preso dei provvedimenti che naturalmente in un regime democratico devono anche essere suscettibili di critica senza che nessuno reagisca come la rana di Galvani, in realtà preso da sindrome corporativa a tutela sempre e comunque di una categoria.

Cosa è accaduto allora, è accaduto che il virus si è innestato nei provvedimenti della magistratura di sorveglianza. Le scarcerazioni di cui si è più discusso nel dibattito pubblico, tutte, tutte includono le conseguenze dei rischi di contagio da covid-19 nei provvedimenti di scarcerazione. Ma lo fanno attraverso un esercizio dogmatico, come correttamente rilevava il dottor Ardita, in nessuno dei provvedimenti di scarcerazione che sono stati giustificati anche col rischio di contagio c’è scritto un accertamento in punto di fatto e cioè in quella struttura in cui c’è quel detenuto che ha fatto l’istanza di scarcerazione è stato dimostrato che il rischio di contagio è concreto e attuale. Questo non c’è, anzi c’è esattamente in alcuni casi il contrario, e cioè ci sono provvedimenti che hanno attestato la assenza assoluta di casi di contagio e di rischi di contagio, circostanza della realtà che è stata superata con argomentazione del tutto astratta e virtuale, e cioè che poiché gli istituti penitenziari sono luoghi in cui non ci stanno solo i detenuti, ma ci entrano anche soggetti che vivono in condizioni di libertà come gli operatori della polizia penitenziaria, gli educatori penitenziari, il personale, questo, cioè l’assenza di rischio di contagio, è un dato che non si può mai, proprio questo è il il senso, non si può mai escludere. Epperò, poiché non possiamo discutere delle vicende giudiziarie come se accadessero su Marte, dobbiamo cercare di valutarle in termini anche di buon senso e di praticità.

Come si fa a ritenere che in una struttura al 41 bis un detenuto che già è in condizioni detentive che quanto al rischio di contagio è sicuramente migliore dei detenuti comuni, lo stesso detenuto viene scarcerato con un provvedimento che cita il rischio di contagio e viene mandato in detenzione domiciliare insieme a tre familiari in una zona della provincia di Brescia che è fra le più in assoluto rischiose sotto il profilo del rischio epidemiologico.

Considerate che anche nelle case ci sono gli stessi problemi e cioè, poiché ciascuno di noi deve mangiare, si deve alimentare, deve bere, deve provvedere ad altre necessità naturalmente in qualunque famiglia ci sono soggetti che necessariamente sono dovuti uscire di casa, hanno avuto rischi di contagio e poi sono rientrati.

Come si fa a sostenere che c’è il rischio in una situazione al 41 bis, nella quale i contatti sono davvero ridottissimi e invece non ci sarebbe il rischio tornando al domicilio. Aggiungo, anche le condizioni. Uno dei casi più noti di scarcerazione, quello del boss Francesco Bonura, che fa anche un po’ sorridere per certi versi, perché il domicilio raggiunto da Bonura si trova all’ottavo piano di un palazzo della città di Palermo. Capite bene che, poiché è stata preventivamente concessa dal magistrato di sorveglianza che ha emesso il provvedimento l’autorizzazione in ragione a precise e esigenze che mi permetto di leggere per non dire parole inesatte e cioè “comprovati e documentabili motivi di salute, propri o inerenti i familiari conviventi”, il signor Francesco Bonura, per un’esigenza magari della moglie convivente, secondo questo provvedimento è autorizzato a uscire.

Ora capite bene che si tratta di una valutazione che cozza in modo direi insanabile con le ragioni della detenzione di quel soggetto o di tanti altri soggetti che erano detenuti al 41 bis. Ora su questo dovremmo fare alcune valutazioni anche di ordine generale. La previsione del carcere duro del 41 bis, come sappiamo, risale a un decreto legge dell’8 giugno del 1992, che fu adottato dal governo nel periodo che intercorre fra la strage di Capaci e la strage di via D’Amelio. Perché? Perché si ebbe prova che una certa tipologia di criminali, e cioè i soggetti che fanno parte di organizzazioni criminali di tipo mafioso, avevano possibilità di comandare perfino da dentro il carcere. Quello è il motivo per cui fu fatta la norma e noi sappiamo che nel modo in cui Cosa Nostra e le altre organizzazioni mafiose ricevettero quel forte segnale di una norma, che peraltro era stata immaginata da Giovanni Falcone prima di morire, e ci dovrebbe dire qualche cosa quale fu la reazione.

Perché c’è una sentenza emessa in nome del popolo italiano, seppure ancora di primo grado, che ha statuito che Cosa Nostra procedette a operare una trattativa con soggetti istituzionali anche e soprattutto per ottenere la revoca, o comunque la riduzione, dell’applicazione di quella norma dell’articolo 41 bis.

Questo è il punto che, secondo me, con scarsa sensibilità si è trattato di questi tempi, al momento in cui in modo cronologicamente coordinato sono scattate delle ribellioni in vari istituti penitenziari d’Italia, con un sincronismo che mi ha lasciato parecchio preoccupato. Aggiungo, ribellioni che sono state sia dentro gli istituti penitenziari, ma anche fuori. Perché noi abbiamo visto anche congiunti di molti mafiosi detenuti che in contemporanea operavano davanti a strutture penitenziarie.

Io ho scarsi dubbi che non ci sia stato una sinergia operativa che ha fatto scattare quella situazione. Da quella situazione, purtroppo, sono discesi a cascata gli incredibili strafalcioni da parte di alcuni organismi istituzionali e, io ritengo, pronunciamenti di provvedimenti giudiziari che a leggerli bene lasciano parecchio perplesso. Soprattutto, e qui concludo, perché c’è stato pure qualcuno che ha enunciato il proprio plauso a certi provvedimenti, richiamando il principio di rieducazione della pena.

E qui davvero ci vorrebbe un filosofo che potesse applicare i criteri della logica, perché vorrei capire come il principio di rieducazione della pena si abbina alla sospensione dell’esecuzione della pena. Perché di questo si tratta. I provvedimenti di esecuzione sono sospesi e riprenderanno fra cinque mesi, fra sei mesi, secondo quanto statuito dalla magistratura di sorveglianza. Quindi, si tratta di scarcerazioni in questo momento che poi dovranno, in teoria dovrebbero, avere fine.

Purtroppo, l’esperienza invece ci insegna che in Italia soprattutto il dato della temporaneità e molto più perdurante di ciò che invece dovrebbe essere perpetuo.

 

 

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