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Il suicidio di un democratico tradito dalla politica

Adolfo Parmaliana, docente siciliano, inascoltato uomo della questione morale

Adolfo Parmaliana adorava la famiglia, la Juve, Berlinguer, l’idrogeno, il risotto di mare, gli studenti, Benigni. Voleva una vita d’impegno, di battaglie, di polemiche, di arrivi in salita. A poco più di cinquant’anni Adolfo Parmaliana si è dimesso dalla vita dopo essersi dimesso dall’essere prima italiano e poi siciliano. L’ottobre di un anno addietro si è lanciato dal viadotto di Patti Marina lasciando dietro di sé una terribile lettera d’accusa e lo sgomento dei tanti increduli che a compiere un simile atto fosse stato il cantore della gioia di vivere.

E anche se in questa storia ufficialmente non esistono colpevoli, il suicidio del professore di Chimica industriale, molto più apprezzato e amato all’estero che nella sua terra, pesa peggio di un omicidio sulle coscienze di coloro che l’hanno perseguitato. Ma costoro ce l’hanno una coscienza?

Adolfo Parmaliana credeva nell’onestà dei siciliani, credeva che gli amministratori pubblici avessero quale scopo primario il benessere dei cittadini, credeva che i magistrati e i giudici vincessero il concorso per contrastare il Male e far trionfare il Bene. Adolfo Parmaliana credeva che fosse importante combattere per le proprie idee. Nel messaggio d’addio ha scritto: “Ho trascorso trent’anni bellissimi dentro l’università innamorato ed entusiasta della mia attività di docente universitario e di ricercatore. I progetti di ricerca, la ricerca del nuovo, erano la mia vita. Quanti giovani studenti ho condotto alla laurea. Quanti ricordi. Ora un clan mi ha voluto togliere le cose più belle: la felicità, la gioia di vivere, la mia famiglia, la voglia di fare, la forza per guardare avanti. Mi sento un uomo finito, distrutto”.

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