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Pregiudicati e rinviati a giudizio paladini di Mario Mori

Crespi, Mori, De Donno, Chiocci

di Redazione 19luglio1992.com

A pochi giorni dalla sentenza sulla trattativa Stato-mafia pronunciata il 20 Aprile 2018 dal presidente della corte d’Assise di Palermo Alfredo Montalto, ci tocca registrare l’ennesimo tentativo di far passare per “eroe” il neo condannato a 12 anni di reclusione Mario Mori. La strana coincidenza è che, a ergersi a paladini del Generale, sono personaggi che a loro volta hanno avuto “problemi” con la giustizia. 

Pochi mesi fa vi abbiamo raccontato di Ambrogio Crespi tramite l’ottimo giornalista Paolo Bonacini.

…deve rispondere davanti ad un tribunale, nell’Appello iniziato a fine febbraio a Milano e subito rimandato ai nostri giorni, di reati che hanno a che fare con le mafie. Si tratta di una indagine che coinvolge l’ex assessore regionale della giunta Formigoni Domenico Zambetti, condannato dal Tribunale di Milano in primo grado con l’accusa di essere stato eletto alle regionali del 2010 grazie a quattromila voti comprati dalla ‘ndrangheta lombarda per circa 200mila euro. La sentenza di primo grado ha inflitto l’anno scorso ad Ambrogio Crespi, coimputato nella vicenda, la condanna a 12 anni con l’aggravante del concorso esterno in associazione mafiosa.
Crespi è stato anche riconosciuto colpevole con sentenza definitiva nel 2015 dalla Corte di Cassazione per la bancarotta della società HDC spa, riconducibile al fratello Luigi definito “il sondaggista” di Berlusconi. La pena per Ambrogio era stata di quattro anni di reclusione ma dovrà essere rideterminata per le modifiche di legge intervenute sui fallimenti societari.

Ambrogio Crespi, oltre ad essere il pregiudicato sopra descritto, è il regista del docufilm “Generale Mori – Un’Italia a testa alta” che ci racconta, magnificandole, le gesta di Mario Mori.

Per coincidenza, anche l’autore del docufilm sulla strabiliante carriera di Mori è uno che ha già avuto “guai” con la giustizia. Parliamo dell’ex colonnello Giuseppe De Donno. Per molti anni è stato agli ordini di Mori ed è stato suo coimputato nel processo Trattativa Stato-mafia ricevendo una condanna a 8 anni di reclusione. Nel momento in cui vi scriviamo siamo ancora in attesa di conoscere gli esiti di un processo che lo vede coinvolto per fatti avvenuti all’epoca di Expo: 
I pm di Milano Paola Pirotta e Cristiana Roveda hanno chiesto a fine 2017 per De Donno, nel processo su una serie di presunti appalti pilotati, tra cui alcuni di assistenza legale e tecnica-amministrativa legati ad Expo, una condanna a 2 anni e 4 mesi di carcere. La Procura ha chiesto anche le condanne di due società, tra cui la G-Risk – l’agenzia investigativa di De Donno (che è pure editrice dei libri di Mario Mori) coinvolta in un filone dell’indagine – a una sanzione pecuniaria di 400.000 euro.”

Un altro pluricondannato invece, Vittorio Sgarbi, ha voluto a tutti i costi organizzare in pompa magna la proiezione del suddetto docufilm all’ARS come primo atto del suo mandato di assessore ai beni culturali della regione Sicilia, nonostante le polemiche e i sitin della società civile.

Tutto questo avveniva prima della sentenza emessa alla fine del processo Trattativa Stato-Mafia.
Il giorno dopo tale sentenza, che ha visto, tra le altre, la condanna di Mario Mori a 12 anni, scorrendo le prime pagine dei giornali che ne parlavano, una in particolare ha attirato la nostra attenzione. Quella del Tempo. Il titolo del quotidiano diretto da Gian Marco Chiocci, a nove colonne e all’indomani della sua condanna era “ONORE A MORI”.

Dopo aver stropicciato per bene gli occhi, leggiamo a bordo pagina un editoriale del direttore che ci spiega che “mancano prove indizi e ogni minima logica” e “l’assurdo è divenuto sentenza. L’abominio giuridico è realizzato, complice l’inchiesta su quella boiata pazzesca che è la “trattativa” Stato -mafia“.

E’ una fortuna che il direttore nel suo editoriale ci parli di logica perché ricordiamo bene quanto avvenuto il 19 maggio 2013.
Dalle pagine del Giornale, Chiocci ci voleva convincere, sempre a colpi di logica (e paternali), rilanciando il presunto scoop di Repubblica, che l’agenda rossa che cercavamo da anni in realtà si trovava sotto una macchina in via D’Amelio, accanto al cadavere di uno degli agenti di scorta, immortalata da una telecamera e sotto gli occhi di tutti. E noi “pro­fessionisti indomiti dell’antimafia mili­tante” che per anni avevamo vivisezionato i filmati del giorno della strage, non ce ne eravamo accorti.
Trovato il video in questione, ci fu subito evidente, analizzando i fotogrammi, che la sagoma rossa, spacciata per l’oggetto da cui Paolo Borsellino non si separava mai, era troppo più piccola di quell’agenda che i carabinieri gli avevano regalato. Guardando poi con maggiore attenzione, ci risultò semplice capire che quell’oggetto rosso altro non fosse che un pezzo di cartone che faceva parte di un parasole dei mondiali del 1990.
Invece secondo Chiocci, uno dei misteri d’Italia era stato facilmente risolto, tanto da insistere anche il giorno dopo: Agenda rossa, ora rispunta la pista americana

Fu, tra gli altri, proprio il Tempo a riprendere la notizia dell’errore madornale di Chiocci:  «È un parasole e non l’agenda di Borsellino».
La cosa, probabilmente, deve avere fatto lo stesso una buona impressione ai nuovi proprietari della testata. Pochi mesi dopo questi articoli, infatti, Chiocci è diventato direttore del giornale che qualche anno prima lo aveva colto in difetto.

Come paladino del Generale Mori, Chiocci (che l’8 gennaio di quest’anno ha organizzato la “prima” nazionale della proiezione del docufilm di cui sopra “Generale Mori – Un’Italia a testa alta“),  non poteva non avere qualche conto in sospeso con la giustizia. Ed infatti, oltre ad una condanna per diffamazione sulle spalle, è recentemente stato rinviato a giudizio per un reato ben più grave. Il contesto è quello di Mafia Capitale. Stando al capo d’imputazione, Chiocci avrebbe aiutato “Massimo Carminati a eludere le investigazioni dell’autorità giudiziaria che procedeva nei suoi confronti per i delitti di associazione a delinquere di stampo mafioso e di corruzione, comunicandogli per il tramite di Salvatore Buzzi, di aver appreso in ambienti giudiziari dell’indagine e di attività di intercettazione e di riprese video in corso“.

Del resto, come diceva un vecchio detto siciliano: “Nuddu si pigghia si un si rassumigghia”

 

Angelo Garavaglia Fragetta

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