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Processo Masi, l’ex carabiniere Arcoleo: ”Sapevamo della pista su Provenzano. Ma non fu seguita”

aula legge uguale per tuttidi AMDuemila
A giudizio anche il maresciallo Fiducia, l’avvocato Carta ed 8 giornalisti
 
E’ ripreso ieri mattina, di fronte al I Collegio della X Sezione Penale del Tribunale di Roma (giudice monocratico Gennaro Romano) il processo per diffamazione che vede come imputati il maresciallo Saverio Masi e il luogotenente Salvatore Fiducia insieme al loro avvocato Giorgio Carta e ad otto giornalisti (Sigfrido Ranucci, Giuseppe Lo Bianco, Sandra Rizza, Antonio Padellaro, Michele Santoro, Sandro Ruotolo, Dina Lauricella e Walter Molino) accusati di diffamazione nei confronti degli ufficiali dei Carabinieri Giammarco Sottili, Michele Miulli, Fabio Ottaviani e Stefano Sancricca. Un’audizione dedicata ai testi citati dalle difese, che ha visto la deposizione di Angela Caponnetto, giornalista di Rainews24, la quale in passato intervistò Ranucci in merito alle denunce fatte da Masi sugli ostacoli che avrebbe ricevuto da alcuni superiori, durante le indagini per la cattura dell’allora latitante Bernardo Provenzano, e del superlatitante Matteo Messina Denaro.
La giornalista ha spiegato che in quel servizio, realizzato nello stesso periodo in cui si erano manifestate le minacce nei confronti dell’allora pm di Palermo Antonino Di Matteo (oggi sostituto procuratore nazionale antimafia), “c’erano riferimenti a specifici episodi ma si trattava comunque di notizie tutte da verificare”. “Ricordo – ha detto la donna – che più volte nel corso dell’intervista, ci si esprimeva sempre in maniera ipotetica ed io stessa facevo fatica a capire quali fossero i soggetti di cui si faceva riferimento”.
Successivamente è stata la volta dell’ex appuntato scelto Pietro Arcoleo, oggi in pensione. Rispondendo alle domande dell’avvocato Sandro Grimaldi, legale di Masi, Fiducia e Carta, ha confermato di aver saputo che “il maresciallo Masi aveva una pista su Provenzano”. “All’epoca facevo parte della quarta sezione del reparto operativo di Palermo. Dopo essermi occupato delle indagini sul latitante Motisi ero entrato nel gruppo che si occupava delle indagini su Provenzano a Bagheria – ha aggiunto – Al reparto era nota da me, ma anche da altre persone, che il Maresciallo Masi, tramite una fonte, aveva una pista su Provenzano nella zona di Ciminna. Gli erano stati segnalati due fiancheggiatori, due contadini che poi anni dopo furono arrestati dalla polizia proprio per quel collegamento con Provenzano. Masi chiedeva sostegno per le indagini, uomini e mezzi, ma non gli furono dati. Questa indagine non fu presa in considerazione anche se da quella di Bagheria non veniva fuori nulla. Che quelle prove fossero certe l’abbiamo capito anni dopo quando ci furono gli arresti della polizia”. Rispondendo alla domanda di specificazione da parte del Presidente Romano ha ribadito che “ai superiori si portavano le relazioni di servizio ma non si sviluppava nulla. Come se non vi fosse un vero interesse”.
Il teste ha anche parlato delle doglianze che anche altri militari avevano manifestato un certo scontento per l’operato degli ufficiali: “So che non c’era un buon animo con il generale Gebbia. Poi so che c’erano state lamentele anche del capitano Angeli, ma c’erano anche altri che si lamentavano. Fiducia mi parlò che scomparve una sua relazione di servizio e anche Nino Tempo raccontava della sparizione dei file dal suo computer personale. Non erano indagini esplicite su Provenzano ma anche altre. La denuncia la presentò alla polizia”. Ma alla domanda specifica del presidente se vi fosse stata una “dissuasione a fare le indagini” Arcoleo ha risposto: “L’aria che tirava era quella… Avendo un comandante a capo del reparto operativo che non dava nulla, neanche un input. L’impressione è che non interessavano i latitanti. Non lo so”. Sempre il teste ha riferito che “quelli che si lamentavano sono poi stati trasferiti. Il motivo non lo so. Ma si parlava addirittura di una black list di coloro che si rivolgevano contro”.
Durante la deposizione ha anche confermato che era “usuale, senza il bisogno di particolari autorizzazioni, l’utilizzo di mezzi propri per il servizio. Io stesso ho utilizzato il mio mezzo”.

E quando l’avvocato Colonna (legale di Sottili) ha voluto approfondire la questione della denuncia di Masi l’ex carabiniere ha aggiunto: “Che Masi e Fiducia si erano occupati della ricerca di latitanti non risulta solo a me. E che non si fece nulla se ne parlava fra noi colleghi, che Masi avesse questa buona pista. Lo sapevamo tutti che Masi stava lavorando sulla vicenda di Ciminna. A me dispiace che qui ci sono solo io. Altri sono ancora in servizio…”. Terminata l’udienza il processo è stato rinviato al prossimo 1 giugno.

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