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Salvatore Borsellino: «una catena di comando per uccidere Paolo»

Salvatore Borsellino (ph Rita Rossi) (clicca per ingrandire)

ISS «ALGERI MARINO», CASOLI (Chieti). L’amarezza e il dolore nella voce di Salvatore fanno male al cuore, soprattutto quando afferma – quasi gridando – che lo Stato ha trattato con mafiosi e criminali sacrificando la vita di un servitore dello Stato come Paolo Borsellino. Cosa sarebbe successo, si chiede ancora parlando agli studenti, se si fosse saputo allora della trattativa tra pezzi dello Stato e la mafia, magari subito dopo le stragi?

di Alessandra Ruffini

FESTIVAL DELLA LEGALITA’ 2020. Un’edizione diversa quella di quest’anno a Casoli (Chieti). La manifestazione si è svolta per il quarto anno, con tre giornate di incontri e dibattiti sul tema della legalità e della giustizia. Agli incontri, organizzati dal Movimento Agende Rosse di Salvatore Borsellino di Chieti insieme ai docenti dell’Istituto Superiore Statale Algeri Marino di Casoli, hanno attivamente partecipato gli studenti, naturalmente da remoto.
Durante la seconda giornata (venerdì 18 dicembre) c’è stato il dibattito con Salvatore Borsellino, fratello del giudice Paolo Borsellino ucciso a Palermo in via D’Amelio il 19 luglio del 1992 insieme agli agenti della scorta Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi, Claudio Traina, Vincenzo Fabio Li Muli
Sono trascorsi 28 anni dall’attentato, avvenuto a soli 57 giorni dalla strage di Capaci che uccise Giovanni Falcone “il vero fratello di Paolo”, come dice Salvatore Borsellino, commuovendosi ancora oggi per la morte di suo fratello. 

Salvatore non ha mai ceduto un solo momento nella costante ricerca di una verità volutamente ostacolata attraverso depistaggi, falsi testimoni e silenzi che ancora oggi gettano ombre sui veri mandanti di quelle morti.
Parla ai ragazzi delle scuole e se in questa occasione deve farlo dallo schermo di un pc, ci tiene a dire che spera di tornare presto ad incontrarli perché, confessa, sente il bisogno di guardarli negli occhi e di ascoltare il battito dei loro cuori, perché solo da questo riesce ad ottenere la forza necessaria per proseguire il viaggio intrapreso quasi trent’anni fa.

Ai “suoi” ragazzi Salvatore racconta episodi dolorosi e straordinari, come quello in cui ricorda l’anziana madre che, dopo l’attentato di via D’Amelio, chiese di essere accompagnata dalle madri degli agenti di scorta morti insieme a Paolo Borsellino per inginocchiarsi innanzi a loro e ringraziarle per quel sacrificio così grande, per aver sacrificato la vita dei propri figli per difendere quella del suo amato figlio magistrato.
C’è dolore e la rabbia di sempre nelle parole di Salvatore Borsellino per quella strage di mafia ma non solo perché, come hanno dimostrato le sentenze, la morte del giudice è stata voluta da quei pezzi deviati dello Stato che non lo hanno protetto e che hanno trattato con la mafia.

Appartenenti delle istituzioni che sapevano bene che Paolo Borsellino non avrebbe mai accettato di trattare con mafiosi e antistato. È stato ammazzato perché aveva scoperto quella trattativa portata avanti da appartenenti delle istituzioni ora condannati in primo grado nel processo sulla trattativa stato-mafia.
Una sentenza storica quella del 20 aprile del 2018 che ha visto le condanne a 12 anni di reclusione per il generale Mori e Marcello Dell’Utri fondatore di Forza Italia, secondo il Pm Nino Di Matteo “l’ex senatore cinghia di trasmissione tra Cosa Nostra e Silvio Berlusconi”. Condannati, inoltre, a otto anni il colonnello De Donno, il generale Antonio Subranni (12 anni), a ventotto Leoluca Bagarella, a dodici anni Antonino Cinà.

Il dolore di Salvatore Borsellino è attuale, la sua sofferenza non si è sopita nonostante il trascorrere del tempo. E poi quella Agenda Rossa dove Paolo appuntava tutto e a cui il Movimento si richiama.
Agenda che qualcuno ha fatto sparire dalla macchina ancora in fiamme del magistrato. Mani colluse di appartenenti non alla mafia, dice Salvatore, ma a quello Stato che ha tradito e abbandonato uno dei suoi migliori servitori perché, come spiega bene durante il suo intervento, solo chi ha portato avanti la scellerata trattativa con la mafia aveva interesse a conoscerne i contenuti e a farla sparire.

Una maledetta trattativa che ha messo fine alle stagioni delle bombe in Sicilia, ma che dopo l’omicidio del giudice ha comportato una strategia della tensione spostata nel continente con le stragi di via dei Georgofili e di via Pastrengo.
Una vergognosa trattativa che ha favorito la ventennale latitanza del boss Provenzano. Conseguenze drammatiche a conferma del fatto che – dice Salvatore – con la mafia non si può trattare per alcun motivo.

Salvatore sottolinea con la voce rotta dall’emozione che, nonostante la tragica morte, la storia di Paolo è una storia d’amore perchè solo l’amore può portare ad una scelta come la sua: andare avanti fino all’ultimo pur nella certezza della imminente morte. Una scelta d’amore che ha cambiato tante persone in questi lunghissimi anni, persone che ora combattono per la definitiva affermazione della verità: adesso quella Agenda rossa è simbolo di una lotta che continua perché non si è ancora arrivati alla verità.

Ricorda il fratello del giudice assassinato che non si conoscono ancora i nomi dei mandanti e manca un processo sulla sparizione dell’Agenda di Paolo, Dopo la strage di via d’Amelio vi è stato un depistaggio di Stato, come viene riconosciuto nel processo Borsellino quater, posto in essere per allontanare la verità.

L’amarezza e il dolore nella voce di Salvatore fanno male al cuore, soprattutto quando afferma quasi gridando che lo Stato ha trattato con mafiosi e criminali sacrificando la vita di un servitore dello Stato come Paolo Borsellino: tutto questo è inaccettabile.
Cosa sarebbe successo, si chiede ancora parlando agli studenti, se si fosse saputo allora della trattativa tra pezzi dello Stato e la mafia, magari subito dopo le stragi? Probabilmente si sarebbe scatenato l’inferno anche da parte dell’opinione pubblica molto scossa dalle stragi del 1992 e il depistaggio in parte è servito anche ad evitare tutto questo.

Dopo tanti anni la sentenza che riconosce la trattativa toglie ogni dubbio in merito, ma non è ancora la fine: sicuramente, spiega il fondatore delle Agende Rosse, vi è stata una catena di comando formata anche da appartenenti alle istituzioni che ha deciso di uccidere Paolo Borsellino.
L’intervento si conclude con parole di ottimismo, quello stesso ottimismo che hanno accompagnato il giudice sino agli ultimi istanti di vita.

Salvatore ricorda la lettera scritta da suo fratello alle 7:00 di mattina di quel 19 luglio del 1992, la sua ultima lettera.
In quelle poche righe Paolo, rispondendo ad alcuni ragazzi, si diceva ottimista perché vedeva da parte dei giovani un’attenzione particolare verso la criminalità, mentre lui era rimasto indifferente al fenomeno mafioso durante la giovinezza, per poi occuparsene da magistrato con quella toga indossata sull’anima e che lo ha portato al sacrificio estremo per servire con amore la sua Sicilia, il suo paese e quello Stato che lo ha tradito e abbandonato.

 

Fonte: WORDNEWS.IT © Riproduzione vietata

 

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Seconda parte: L’intervista – Salvatore Borsellino: «Chi ha ucciso Paolo Borsellino è chi ha prelevato l’Agenda Rossa»

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