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Le inchieste delle Procure di Messina, Catania e La Spezia sui traffici di armamenti

6 ottobre 2021 – Da una conversazione intercorsa tra individui riconducibili all’Autoparco di Via Salomone a Milano e intercettata dagli uomini del GICO (Gruppo di Investigazione sulla Criminalità Organizzata) della Guardia di Finanza di Firenze, la Procura di La Spezia avviò nel 1995 delle indagini su un presunto traffico di armamenti. I magistrati, coadiuvati dai militari del GICO di Firenze, disposero degli accertamenti su Rosario Cattafi e sull’uomo a cui Cattafi aveva fatto da testimone di nozze, Filippo Battaglia, avvocato, già impiegato del consorzio autostradale Messina-Catania, successivamente diventato mediatore internazionale nel settore delle armi. Pochi anni prima altre due Procure della Repubblica, quella di Catania e quella di Messina, avevano già avviato inchieste su presunti traffici di armi in cui comparivano i nomi di Cattafi e Battaglia. Il GICO di Firenze utilizzò quindi gli elementi emersi dalle indagini siciliane e li condensò in un’informativa che fu presentata alla Procura di La Spezia il 3 aprile 1996. Nell’informativa venivano evidenziati i rapporti tra Rosario Cattafi ed individui appartenenti a diverse realtà fra loro in contatto: aziende produttrici di armi (come la OTO MELARA e la BREDA), entità politiche, criminalità organizzata e magistratura. Le indagini della Procura ligure e del GICO fiorentino proseguirono fino a dividersi in tre tronconi: il primo sui presunti traffici di armamenti bellici, il secondo sugli appalti delle Ferrovie dello Stato per l’Alta Velocità e infine il terzo sulla presunta corruzione di alcuni magistrati. Le inchieste portarono all’emissione di misure cautelari per uomini che ricoprivano incarichi di massimo rilievo, come il banchiere Francesco Pacini Battaglia e l’allora amministratore delegato della OTO MELARA Pierfrancesco Guarguaglini. Tuttavia, poco tempo dopo gli arresti, le misure cautelari a carico di Pacini Battaglia e Guarguaglini furono annullate, il dirigente del GICO di Firenze fu trasferito e l’inchiesta spezzina, dopo esser stata smembrata, fu trasferita in altri distretti giudiziari.

 

MAFIA E ANTIMAFIA

A BARCELLONA POZZO DI GOTTO

 

Capitolo 4

Le inchieste delle Procure di Messina, Catania e La Spezia sui traffici di armamenti

 

A cura del “Movimento delle Agende Rosse”

Rev. 2 – 6 ottobre 2021

 

Il dossier che vi apprestate a leggere racconta le vicende riguardanti alcuni dei principali protagonisti della storia giudiziaria degli ultimi 50 anni riconducibili alla città di Barcellona Pozzo di Gotto e al suo cittadino probabilmente più indagato dalle Procure di ogni latitudine d’Italia e, allo stesso tempo, meno conosciuto dall’opinione pubblica: Rosario Pio Cattafi.

I dati contenuti nel presente documento sono tutto ciò che siamo riusciti a trovare sugli argomenti trattati e saranno oggetto di costante aggiornamento. Qualora ci venissero segnalate imprecisioni e/o informazioni mancanti, saremo pronti a modificare e integrare il testo, a seguito della verifica documentale delle segnalazioni che eventualmente arriveranno (all’indirizzo 19luglio1992@gmail.com).

Riprendiamo, quindi, e facciamo nostra l’avvertenza del prof. Enzo Ciconte, scrittore, docente ed ex consulente della Commissione parlamentare antimafia, anteposta alla lettura del dossier che, per la Regione Toscana, curò nel 2009: “L’autore avverte il lettore che questo lavoro, sebbene compilato con grande scrupolo riguardo alle fonti delle notizie e alle loro citazioni, non intende, e non può, dare alle fonti stesse una credibilità maggiore di quella da essa attinta in sede giudiziaria o per altra via. In questo l’autore si è posto anch’egli come un lettore scrupoloso dell’infinita serie di fatti, atti, dichiarazioni sparsi in un arco di tempo non breve e in luoghi a volte tanto distanti, e da essi ha cercato di trarre un quadro storico dell’evolversi del fenomeno. E’ quest’ultimo il compito di cui si rivendica intera la responsabilità. Ogni valutazione definitiva sotto il profilo delle responsabilità penali – questione del tutto secondaria in sede di ricostruzione storica – è rinviata all’esito dei numerosi processi [svolti e] tuttora in fase di svolgimento. (…) La fedeltà e correttezza della ricostruzione storica sta nel riportare il complesso dei fatti processuali sui quali essa si fonda. L’eventuale giudizio sul disvalore sociale e morale appartiene al Giudice, all’opinione pubblica ed al lettore”.

Un ringraziamento particolare lo dobbiamo ai giornalisti Antonio Mazzeo e Enrico Di Giacomo, i cui articoli sono stati un vero e proprio archivio storico da cui attingere informazioni fondamentali per la realizzazione del presente dossier.

 

 

Vogliamo dedicare questo lavoro a tutti i familiari delle vittime della collaborazione tra mafia e apparati deviati, che si fanno carico del peso della ricerca della verità e della giustizia, e a chi li aiuta in questo difficile e sofferto percorso ad ostacoli.

 

Ringraziamo per la disponibilità e la cortesia dimostrateci il giornalista Claudio Gatti, autore di un egregio servizio giornalistico sull’azienda FINMECCANICA Spa (oggi Leonardo Spa), pubblicato nel 2011 su “Il Sole 24 Ore”.[1]

 

 

Sinossi

Da una conversazione intercorsa tra individui riconducibili all’Autoparco di Via Salomone a Milano e intercettata dagli uomini del GICO (Gruppo di Investigazione sulla Criminalità Organizzata) della Guardia di Finanza di Firenze, la Procura di La Spezia avviò nel 1995 delle indagini su un presunto traffico di armamenti. I magistrati, coadiuvati dai militari del GICO di Firenze, disposero degli accertamenti su Rosario Cattafi e sull’uomo a cui Cattafi aveva fatto da testimone di nozze, Filippo Battaglia, avvocato, già impiegato del consorzio autostradale Messina-Catania, successivamente diventato mediatore internazionale nel settore delle armi. Pochi anni prima altre due Procure della Repubblica, quella di Catania e quella di Messina, avevano già avviato inchieste su presunti traffici di armi in cui comparivano i nomi di Cattafi e Battaglia. Il GICO di Firenze utilizzò quindi gli elementi emersi dalle indagini siciliane e li condensò in un’informativa che fu presentata alla Procura di La Spezia il 3 aprile 1996. Nell’informativa venivano evidenziati i rapporti tra Rosario Cattafi ed individui appartenenti a diverse realtà fra loro in contatto: aziende produttrici di armi (come la OTO MELARA e la BREDA), entità politiche, criminalità organizzata e magistratura. Le indagini della Procura ligure e del GICO fiorentino proseguirono fino a dividersi in tre tronconi: il primo sui presunti traffici di armamenti bellici, il secondo sugli appalti delle Ferrovie dello Stato per l’Alta Velocità e infine il terzo sulla presunta corruzione di alcuni magistrati. Le inchieste portarono all’emissione di misure cautelari per uomini che ricoprivano incarichi di massimo rilievo, come il banchiere Francesco Pacini Battaglia e l’allora amministratore delegato della OTO MELARA Pierfrancesco Guarguaglini. Tuttavia, poco tempo dopo gli arresti, le misure cautelari a carico di Pacini Battaglia e Guarguaglini furono annullate, il dirigente del GICO di Firenze fu trasferito e l’inchiesta spezzina, dopo esser stata smembrata, fu trasferita in altri distretti giudiziari.

 

 

Cronologia degli eventi

 

Primi anni ’80 – Il Giudice Istruttore del Tribunale di Trento Carlo Palermo, sulla base delle risultanze di indagini da lui condotte, redige un’analisi concernente il traffico dei materiali di armamento ed introduttiva ad una pubblicazione concernente tale argomento:

 

«Il commercio delle armi del secondo dopoguerra si è svolto sotto la diretta responsabilità o supervisione dei governi, i quali hanno avocato a sé la facoltà di autorizzare qualunque esportazione di materiale militare. (…) Appare sempre più evidente come la spinta verso l’esportazione di materiale bellico dai paesi produttori verso gli Stati clienti viene oggi alimentata, nella maggioranza delle nazioni occidentali, dall’azione di una serie di gruppi di pressione la cui natura non è stata finora adeguatamente messa a fuoco nell’analisi sociale e dall’opinione pubblica di queste stesse nazioni. Ciò è dovuto in non piccola parte proprio alle mutate caratteristiche dell’odierno commercio degli armamenti, le quali prevedono un controllo ed un intervento attivo dei governi in quasi tutte le fasi della progettazione, produzione e vendita degli armamenti pesanti. (…) Vi sono in primo luogo, com’è ovvio, gli apparati imprenditoriali e finanziari delle industrie produttrici di armamenti. Il collegamento di questi con l’establishment militare e con i vertici dei servizi di sicurezza è molto stretto in quasi tutti i paesi, date le peculiari relazioni di committenza con l’amministrazione della difesa, la frequente prassi di interscambio di personale e di informazioni, in alcuni contesti come l’Italia e la Francia, l’incidenza della proprietà statale di molte industrie strategiche. (…) Troviamo, in secondo luogo, il gruppo molto più numeroso dei mediatori e dei commercianti all’ingrosso e al minuto (seicento dei quali registrati ufficialmente nella sola Israele). (…) i moderni commercianti di armamenti sono quasi sempre alle dipendenze dirette o comunque strettamente collegati alle industrie produttrici o ai servizi di sicurezza di qualche paese. I mediatori rappresentano invece una categoria nuova di più difficile identificazione, il cui ruolo nei trasferimenti clandestini di armamenti costosi e sofisticati è particolarmente importante e la cui attività ha un peso molto maggiore – in termini di scala economica e di capacità di protezione politica delle transazioni – di quella dei commercianti all’ingrosso. Il compito dei mediatori consiste nel finanziamento dei trasferimenti di partite di armi tra Stati, assumendosi i rischi della “carenza di fiducia” esistente tra i contraenti della transazione. E’ presso tale categoria che troviamo gli “incroci”, molto frequenti con il mondo della droga e della finanza clandestina (…)».[2]

 

Primi anni ’80 – Rosario Cattafi tratta una partita di cannoni svizzeri il cui destinatario finale è l’emirato di Abu Dhabi. I documenti sulla transazione di materiale bellico a favore di Abu Dhabi saranno scoperti nel corso di un’indagine della Procura di Milano, mirata a verificare se dietro un viaggio del Cattafi a Saint Raphael vi fosse l’obiettivo di «stipulare per conto della famiglia Santapaola un accordo con la famiglia dei Greco per la distribuzione internazionale di stupefacenti”».[3] Le indagini consentiranno di accertare che Rosario Cattafi aveva avuto accesso a numerosi e cospicui conti correnti in Svizzera e che lo stesso aveva tenuto «non meglio chiariti» rapporti con presunti appartenenti ai servizi segreti.[4]

 

Febbraio 1982 – Filippo Battaglia comunica, in forma scritta,[5] ad un interlocutore peruviano la possibilità di rappresentare in Perù le società “AGUSTA – SIAI Marchetti” e “CRM Motori”, attive anche nel settore dell’industria bellica.

Filippo Battaglia è un avvocato nato a Messina ed è inizialmente impiegato presso il Consorzio autostradale Messina-Catania. Lasciato l’impiego, Battaglia inizia l’attività di intermediatore nel settore delle armi, stabilendo il suo domicilio anche a Lima, in Perù, paese che diventerà poi il centro dei suoi affari. E’ coniugato con Rosalia Grillo, sorella di Maria Pia Grillo, coniugata a sua volta con Eraldo Luxi.

La “AGUSTA – SIAI Marchetti” è un’azienda attiva nelle produzioni per il settore aeronautico mentre la “CRM Motori” è un’azienda fornitrice di motori per il settore aeronautico, automobilistico e marino. L’ingegner Franco Mariani sarà rappresentante legale della “CRM Motori” almeno dai primi anni ’90. Il nome di Mariani comparirà assieme a quello di Rosario Cattafi, a partire dal 1983, nelle indagini milanesi sulle infiltrazioni della criminalità organizzata nei Casinò del nord Italia e sul sequestro dell’industriale Giuseppe Agrati (28 gennaio 1975).[6] Nel 1982 sia Rosario Cattafi che Filippo Battaglia sono già legati alla “CRM Motori” tramite la persona di Franco Mariani.[7] Battaglia instaurerà rapporti così stretti con Rosario Cattafi da sceglierlo come testimone di nozze.[8]

 

Marzo 1991 – Nel mese di marzo 1991 hanno luogo numerosi contatti telefonici tra Rosario Cattafi e Domenico Maria Ripa, funzionario della “OTO MELARA”, una delle aziende italiane protagoniste del mercato mondiale degli armamenti. L’esistenza e la frequenza di tali contatti emergeranno da un’informatica del GICO di Firenze, trasmessa nel 1996 alla procura di La Spezia, in cui si legge che «…i tre attori sin qui indicati Cattafi – Battaglia [Filippo, nda] – Ripa erano in stretto rapporto tra loro. (…) tali rapporti ragionevolmente erano in stretta connessione e dipendenza con la funzione di responsabile delle vendite di armamenti svolta dal Ripa in seno ad “OTO MELARA” e “BREDA”».[9]

Altri contatti frequenti emersi dai tabulati di Cattafi e Battaglia sono quelli con l’assessore regionale siciliano Francesco Sciotto e con il sottosegretario al tesoro Dino Madaudo. Ne scriverà il giornalista Antonio Mazzeo nel libro “I padrini del ponte”:

«Altro importante punto di contatto di Battaglia alla regione Sicilia, [era] l’allora assessore regionale all’Industria Francesco Sciotto, leader socialdemocratico originario di Milazzo (affiliato alla loggia massonica “La Maestra” del Grande Oriente d’Italia), successivamente transitato nel Ccd di Pier Ferdinando Casini. Sino al novembre 1986 Franco Sciotto aveva pure ricoperto il ruolo di amministratore unico della Idc-Italian Drinks Company, una società a responsabilità limitata con sede a Barcellona Pozzo di Gotto interessata alla “produzione e commercializzazione in Italia e all’estero di bibite, vini, latte e prodotti affini”, di proprietà di Rosario Cattafi. Come [sarà] accertato dal GICO della Guardia di finanza di Firenze, negli stessi mesi in cui Filippo Battaglia era sceso in campo per l’acquisizione della società pro-Ponte,[10] Cattafi tempestava di telefonate le utenze fisse ed i cellulari intestati alla Regione Siciliana, alla Presidenza di tale Ente e all’assessorato all’Industria. “Particolare non trascurabile – aggiunge il GICO – è che tutti e tre i soggetti (Battaglia, Cattafi e Sciotto N.d.a.) avevano a loro volta rapporti telefonici con l’onorevole Dino Madaudo, sottosegretario al Tesoro”. Deputato nazionale del Psdi, poi sottosegretario alla Difesa, Madaudo è stato indicato dal collaboratore di giustizia Antonino Calderone come persona che avrebbe cercato di impossessarsi dell’eredità elettorale del ministro Giuseppe Lupis: nel 1979 si sarebbe rivolto alla cosca Santapaola per ottenere il suo appoggio in vista delle imminenti elezioni politiche; a dire del collaboratore i voti non gli sarebbero stati dati perché ritenuto poco affidabile.[11] Conclusa l’esperienza parlamentare, Dino Madaudo si è dedicato prioritariamente alla produzione e commercializzazione di vini ed attualmente risulta pure cointeressato alla gestione di alcune sale Bingo tra Messina e Catania. Nel mese di maggio 2007, il suo nome è comparso nella lista degli «indagati a piede libero» della cosiddetta operazione Montagna sugli interessi economici delle cosche mafiose dell’area dei Nebrodi».[12],[13]

 

I rapporti tra Rosario Cattafi e Madaudo saranno evidenziati anche dalle annotazioni sulle agende del Cattafi che saranno sequestrate dal GICO di Firenze nel 1993 nell’ambito dell’inchiesta sull’autoparco di Via Salomone a Milano. I finanzieri fiorentini si esprimeranno sui rapporti tra Rosario Cattafi e Dino Madaudo nei seguenti termini: «I rapporti [di Cattafi, nda] con il MADAUDO sono evidenziati dalle annotazioni che lo riguardano sulle agende del CATTAFI, nelle quali sono riportate tutte le utenze di pertinenza del MADAUDO, dagli uffici della segreteria del Partito (PSDI) a quelle delle abitazioni e del Ministero delle Finanze, nonché dai contatti telefonici intercorsi con alcune di tali utenze. Tali contatti telefonici attengono a utenze sia del Ministero delle Finanze che dal Ministero della Difesa proprio nell’arco di tempo in cui il MADAUDO era Sottosegretario in tali Dicasteri[14]».[15]

 

Estate 1991 – estate 1993 – Continuano gli intensi rapporti telefonici tra Rosario Cattafi e Filippo Battaglia. Le chiamate effettuate tra le utenze in uso ai predetti ammonteranno a ben trecentoquaranta nell’arco di due anni. Il GICO di Firenze riscontrerà diverse utenze cellulari nella disponibilità di Filippo Battaglia, tra cui quelle intestate a Ivone Giovanna (sua suocera), Ilaria Luxi e Fulvio Luxi (suoi nipoti e figli di Eraldo Luxi e Maria Pia Grillo) e Gaetana Arlotta (sua madre).[16]

 

Settembre 1991 – Nel 1991 entra sotto l’attenzione dell’Autorità giudiziaria di Catania Ascenzio Elios Curcio, personaggio noto per aver avuto rapporti con personaggi di Cosa Nostra catanese, come Giuseppe Ercolano, e della ‘Ndrangheta, come Alberto Magliari. Da indagini espletate nel settembre 1991, Curcio viene «osservato presso l’hotel “Parco dei Principi” di Roma prendere parte ad un vero e proprio summit mafioso al quale erano presenti diverse persone, tra cui Ercolano Giuseppe, Magliari Alberto, uomo di fiducia del boss mafioso della zona di Cosenza Pino Francesco».[17]

 

Gennaio/febbraio 1992 – Il boss mafioso Aldo Ercolano, nipote di Nitto Santapaola, dà incarico all’affiliato Filippo Malvagna, nipote di Giuseppe Pulvirenti (capoclan alle pendici dell’Etna), e a Salvatore Grazioso di “sondare” un immobile vicino Taormina. Secondo Malvagna – che successivamente diventerà collaboratore di giustizia – Aldo Ercolano, in quel momento avviato ormai a fare da reggente della mafia catanese al posto dello zio latitante Benedetto Santapaola, aveva in mente di «impiantare nei dintorni di Taormina la sede per incontri riservati (in odore di massoneria) fra emissari di Cosa Nostra e rappresentanti di organi istituzionali, del mondo imprenditoriale e della classe politica».[18] Filippo Malvagna, nelle sue dichiarazioni, spiegherà anche il ruolo di Rosario Cattafi:

 

“(Ercolano, n.d.a.) ci ha dato incarico a me e a Salvatore Grazioso di andare a visionare un immobile che si trovava tra Taormina e Letojanni, immobile che loro intendevano acquistare in quanto era loro intenzione fare una sede di riunioni dove dovevano partecipare imprenditori, gente delle istituzioni, si parlava di roba di massoneria … (Cattafi, n.d.a.) era una delle persone più interessate a portare questi personaggi in questa abitazione … Loro dicevano che questo Cattafi, non mi ricordo se era un avvocato o comunque non era un pregiudicato, era una persona pulita, avesse agganci con il mondo dell’imprenditoria, qualcuno delle istituzioni, cioè faceva parte della massoneria … Siamo nel 1992, siamo prima degli eventi delle stragi, siamo nel gennaio o febbraio 1992 … Loro (Aldo Ercolano e Giuseppe Pulvirenti, n.d.a.) mi hanno detto che (Cattafi, n.d.a.) conosceva politici, conosceva esponenti di servizi segreti, cioè loro mi hanno detto che in poche parole era massone, mi hanno detto che conosceva sia esponenti di servizi, sia esponenti politici, sia imprenditori e addirittura mi hanno detto che conosceva anche magistrati”».[19]

 

Poco dopo, Aldo Ercolano disse a Malvagna che non serviva più quella villa perché “avevano risolto il problema”.

 

30 gennaio 1992 – Rosario Cattafi stipula un contratto di affitto con cui ottiene per un anno (con possibilità di rinnovo), a partire dall’1 febbraio, la disponibilità di una villa a Taormina, di proprietà di un magistrato milanese di origini messinesi.[20]

 

13-14 febbraio 1992 – Filippo Battaglia soggiorna a Roma, presso “Le Grand Hotel”, dove era alloggiato anche il rappresentante legale della “AGUSTA spa” Roberto D’Alessandro. Scriverà il GICO di Firenze: «Che tale incontro non fosse casuale appare dimostrato dalle circostanze che il Battaglia, prima di partire alla volta di Roma, aveva contattato la sede milanese dell’Agusta spa e il Cattafi, ricevendo poi telefonate da questi e dallo Sciotto [assessore all’industria della regione Sicilia, nda] durante la sua permanenza in albergo».[21] Battaglia e Cattafi si tengono in stretto contatto telefonico durante il soggiorno di Battaglia a Roma. «Non appena tornato a Catania il Battaglia si era messo subito in contatto con lo stesso Cattafi, chiamando contestualmente anche un’utenza peruviana (vedremo successivamente dalle telefonate intercettate che vi erano state forniture di elicotteri al Perù da parte dell’Agusta per le quali il Battaglia doveva ancora riscuotere parte di un cospicuo compenso per l’intermediazione)».[22]

I militari del GICO di Firenze, che analizzeranno le telefonate espletate tra Filippo Battaglia e Rosario Cattafi prima, durante e dopo il soggiorno di Battaglia a Roma, concluderanno su di esse in questo modo: «Si ritiene quindi che non sussistano dubbi che… [le telefonate, nda] abbiano riguardato attività di vendita di armamenti che, evidentemente, in quel momento erano in corso…; né possono avere conseguentemente alcuna altra spiegazione i reciproci contatti di Battaglia e Cattafi con Oto Melara, Breda, Agusta e con Ripa Domenico Maria».[23]

 

7 marzo 1992 – Nel pomeriggio avviene una triangolazione di telefonate tra Filippo Battaglia, Ascenzio Elios Curcio (il personaggio noto per avere rapporti con la famiglia mafiosa catanese di Santapaola) e l’utenza intestata alla ditta “AVIMEC srl”. Prima l’AVIMEC contatta Battaglia, successivamente Battaglia contatta Curcio e infine Battaglia viene richiamato dalla AVIMEC.

L’“AVIMEC srl” è un’azienda con sede a Catania che si occupa di trasporto di merci per conto terzi. Prima della nomina di un amministratore giudiziario da parte del Tribunale di Catania nel 1989, l’amministratore unico dell’azienda era Grazia Santapaola, sorella di Benedetto e moglie di Giuseppe Ercolano.

L’utenza di Curcio, dal marzo all’ottobre 1992, risulterà essere stata chiamata più volte sia dai cellulari in uso al Battaglia che da un altro cellulare intestato all’AVIMEC, anche in piena notte. «Appare rilevante aggiungere poi che a mezzo delle due utenze cellulari intestate alla “AVIMEC” le utenze in uso al Battaglia sono state chiamate nei mesi di marzo e aprile 1992 14 volte. (…) Emerge immediatamente che i contatti tra il Curcio, il Battaglia e l’Ercolano sono molto più numerosi, potendosi rilevare che il Curcio ha contattato anche l’utenza fissa installata presso l’AVIMEC srl»[24]. Secondo la ricostruzione degli investigatori del GICO di Firenze, l’analisi incrociata dei tabulati lascia intendere che, in quel momento, quantomeno il Battaglia e il Cattafi «stessero trattando forniture di armamenti e che per tale motivo fossero in contatto con le più grosse aziende nazionali del settore da una parte e con i più importanti rappresentanti della famiglia del Santapaola dall’altra»[25].

 

Marzo 1992 – L’Autorità Giudiziaria di Catania, nelle persone dei Pm Mario Amato e Nicolò Marino, inizia complesse indagini su un presunto vasto traffico di armamenti – attuato con la possibile connivenza di dirigenti delle più importanti aziende produttrici italiane – e sui possibili collegamenti tra questi e alcuni dei partecipi alla “famiglia” mafiosa di Benedetto Santapaola[26]. Le indagini prendono avvio su “input” dell’Ufficio dell’Alto Commissario per il coordinamento della lotta contro la delinquenza mafiosa e vengono rivolte alla «individuazione di ramificazioni anche all’estero, della “famiglia” catanese inserita in “Cosa Nostra”, facente capo a Benedetto Santapaola e dei canali di arricchimento utilizzati dalla stessa per il traffico internazionale di sostanze stupefacenti, nonché per il riciclaggio di denaro di provenienza illecita. Il quadro probatorio che ne scaturiva consentiva di dimostrare l’inserimento di persone collegate al sodalizio criminale diretto dal Santapaola… nei circuiti internazionali degli affari e in contatto con noti finanzieri e personaggi già inquisiti per traffico d’armi e stupefacenti: fra questi Adnan Kasshoggi (finanziere internazionale già arrestato negli USA per traffico d’armi e droga), Al Kassar Monzer (faccendiere internazionale di origine siriana, già inquisito per traffico d’armi, associato al “Fronte di Liberazione della Palestina”), Albert Chamad, Hassan Hennany. L’attenzione investigativa veniva particolarmente diretta su un gruppo di italiani residenti nella città di Marbella (Spagna) e segnatamente su Cultrera Felice e Meninno Gianni (…). Tale attività investigativa si incrociava con analoga azione in atto in Spagna ove la locale A.G. aveva disposto intercettazioni telefoniche sulle utenze in uso ai citati Cultrera e Meninno. L’attività investigativa svolta a Catania veniva attuata con intercettazioni telefoniche disposte su utenze in uso a persone che tenevano contatti con i succitati soggetti residenti in Spagna, quali: Curcio Ascenzio, Papalia Aldo, Scaringi Roberto e Guerrera Salvatore. Lo sviluppo successivo faceva emergere anche Battaglia Filippo in quanto, presentato al Cultrera da Curcio Ascenzio, era divenuto uno degli anelli di congiunzione più importanti (…)».[27] Felice Cultrera, però, non sarà mai imputato per associazione mafiosa, le indagini aperte su di lui in merito saranno archiviate.

L’inchiesta della Procura di Catania, che durerà circa tre anni e dalla quale sparirà in seguito il collegamento con la mafia, prenderà il nome di “Operazione Andalusia”.

 

31 marzo – 1 aprile 1992 – Ascenzio Curcio e Filippo Battaglia vengono intercettati all’aeroporto di Catania, in attesa di imbarcarsi per Roma. I due parlano di Giuseppe Ercolano e dei problemi giudiziari di sua moglie e di suo figlio Vincenzo. Arrivati nella capitale, Curcio e Battaglia prendono alloggio al “Le Grand Hotel”, dove, peraltro, risulterà alloggiato anche Roberto D’Alessandro, responsabile della “AGUSTA Spa”. Il giorno successivo, Curcio e Battaglia giungono a Marbella, in Spagna. Dalle conversazioni intercettate in Spagna tempo prima si era scoperto che Curcio si era proposto di «presentare al Cultrera un “amico messinese”, identificato successivamente nel Battaglia, che poteva essere utile nella gestione di affari relativi alla fornitura di armi a paesi extracomunitari, riferendo al Meninno di aver chiesto, a tale scopo, un appuntamento per incontrarsi, insieme a tale amico, con il Cultrera in Spagna».

Dall’abitazione del Cultrera il Battaglia contatta due volte l’utenza della “BREDA MECCANICA BRESCIANA Spa” e, parlando con Domenico Ripa, chiede informazioni «sull’iter da seguire per l’aggiudicazione di una commessa di munizioni al Marocco e all’Arabia Saudita. Nell’occasione il Battaglia, parlando evidentemente per conto del Cultrera, riferiva al Ripa che per l’aggiudicazione delle commesse avrebbero potuto contare sull’appoggio del principe Feisal dell’Arabia e del re del Marocco. Nello stesso giorno e dalla stessa abitazione del Cultera, il Battaglia contattava l’Ing. Airoldi della “AGUSTA spa”, chiedendo informazioni circa il rappresentante della società in Arabia Saudita».[28]

Quelle e altre telefonate intercettate, secondo quanto scriverà il GICO di Firenze, non lascerebbero dubbi «sul fatto che il Battaglia tenesse stretti rapporti con responsabili e funzionari delle maggiori aziende d’armamento nazionali al fine di favorire transazioni di armi. Le telefonate intercettate risultano estremamente in chiaro, evidenziando trattative di vendita del tutto lecite per quanto attiene merce e destinazione, tranne per la circostanza che il Battaglia e i compartecipi non erano autorizzati dagli organi di controllo a esercitare la veste di intermediario nelle stesse trattative. Le intercettazioni sin lì effettuate non avevano evidenziato, però, in tali trattative, né la figura né il ruolo di Cattafi Rosario, neanche in un pur minimo riferimento, anche indiretto, nei colloqui tra il Battaglia e i partecipi, compresi i vari responsabili delle società armiere. Non sfugge, però, (…) che ben precisi e massicci erano i contatti telefonici, nonché i riscontri documentali (annotazioni sulle agende) che riguardano il rapporto d’interessi perlomeno tra il Cattafi e il Battaglia e i vari responsabili delle più volte richiamate aziende, con particolare riguardo a Ripa Domenico Maria».[29]

 

Primavera 1992 – Per conto dell’AGUSTA Spa, una delle aziende protagoniste del mercato mondiale degli elicotteri da guerra, Filippo Battaglia tratta la vendita di dodici elicotteri CH47 per il trasporto truppe ed armamenti alla Guardia nazionale dell’Arabia Saudita.[30] Di quella transazione (e di molto altro) scriverà il mensile L’Espresso:

«Nel corso di una telefonata del 15 giugno 1992 tra Filippo Battaglia e Domenico Maria Ruiz, direttore generale dell’industria bellica [AGUSTA Spa, nda], il primo forniva l’identità del suo diretto interlocutore: “È lo sceicco Hassan Hennany a tenere le fila con re Fahd. Hennany è il segretario del principe Feisal ben Fahd, il figlio del sovrano d’Arabia, e può darci una mano a vendere elicotteri anche al Marocco”. Il mese precedente, Filippo Battaglia, in compagnia di Felice Cultrera (il finanziere domiciliato a Marbella…), del commerciante catanese Aldo Papalia e di tale Gianni Meninno, era stato ospite del saudita a bordo del suo yacht ormeggiato a Cannes. I particolari di quell’incontro erano stati raccontati dal Papalia, responsabile per le relazioni estere di Forza Italia, al direttore commerciale di Publitalia-Fininvest Alberto Dell’Utri. “In questi giorni sapremo le date, te le comunico e ci incontriamo. Ok?”, chiedeva il Papalia. Poi aggiungeva: “Se per caso il tuo presidente, se potesse venire per dire… un incontro. Perché c’è pure in grande pompa magna quell’Hennany. Alberto, io non ci sto dormendo la notte!”. L’identità del “presidente” prendeva forma nel corso di una telefonata intercorsa il 3 giugno 1992 tra il Cultrera e il Papalia, oggetto un appuntamento importante fissato da lì a cinque giorni. “Scusami Aldo, noi lunedì c’incontriamo. Possiamo parlare con questo Berlusconi o no?”, domandava Cultrera. “Gioia mia, mi auguro di sì. Io non te lo posso dire in questo momento e neanche lui me lo sa dire”, replicava Papalia. E Cultrera: “Sì, ma va bene. Sai perché è importante. Non perché voglio parlare con lui, è che di solito, quando c’è un filtro non è la stessa cosa”».[31]

 

13 aprile 1992 – Filippo Battaglia, accompagnato da un amico, si reca all’aeroporto di Catania Fontanarossa per accogliere – secondo la stampa – il Dc9 privato su cui viaggiano Adnan Kashoggi (trafficante d’armi e socio d’affari dei sovrani sauditi e del padre di Osama bin Laden), la moglie Azam, il figlio Kabilia e «tre mercanti d’armi di fama internazionale: il siriano Marwan Hamwik, l’americano Robert Shaneen (un ex ufficiale dell’esercito Usa, braccio destro del miliardario saudita), il belga Josef Rogmans. Nella sala vip dello scalo siciliano, Battaglia formalizzò al saudita la proposta di vendita dei CH47 [elicotteri da guerra, nda] prodotti in licenza dall’AGUSTA. Alla vigilia della firma del contratto, Filippo Battaglia ricevette perfino una chiamata del chiacchierato uomo d’affari libanese Albert Chamad, ricercato dall’Interpol per l’omicidio del connazionale Samir Traboulsi, avvenuto nel 1982 a Parigi.[32] Lo stesso Traboulsi aveva lavorato alle dipendenze di Kashoggi sino alla seconda metà degli anni Settanta, per poi mettersi in proprio e trasferirsi nella capitale francese. Romeo Dalla Chiesa, fratello del generale-prefetto Carlo Alberto barbaramente assassinato dalla mafia, nel corso della sua deposizione al maxiprocesso di Palermo si soffermò ad un tratto proprio su Kashoggi. “Prima di andare a Palermo – ha spiegato Romeo Dalla Chiesa – mio fratello stava lavorando ad un dossier su mercanti di armi ed intermediari nella vendita fra aziende collegate all’EFIM e all’IRI e paesi mediorientali. Di quel dossier non si è saputo più nulla. In quei giorni c’era in ballo anche la storia dei due giornalisti romani Italo Toni e Graziella De Palo, scomparsi in Libano. L’ultima traccia fu una cena a Beirut col petroliere Kashoggi. (…) Mio fratello mi disse di non frequentare quel personaggio”».[33]

 

27 aprile 1992 – I sostituti procuratori Nicolò Marino e Amedeo Bertone, nell’ambito dell’indagine della Procura di Catania sui traffici di armi legati alle cosche mafiose catanesi, chiedono ed ottengono l’autorizzazione ad intercettare una delle utenze in uso a Filippo Battaglia.[34]

 

26 maggio 1992 – L’Autorità Giudiziaria di Messina inizia delle indagini su un presunto traffico di armamenti nei confronti di alcuni soggetti già posti sotto indagine dalla Procura di Catania. Il Comando Gruppo della Guardia di Finanza di Messina redige una relazione concernente, tra gli altri, Filippo Battaglia:

 

«Fonte informativa di sicura attendibilità, classificata B/2, ha fatto conoscere che tale Battaglia Filippo…, in un brevissimo arco di tempo ha mutato repentinamente il tenore di vita manifestando ricchezze non giustificate, sebbene in assenza di conosciute attività lavorative, economiche o altre fonti di guadagno. In merito, la fonte riferiva che lo stesso aveva acquistato beni immobili, autovetture di grossa cilindrata, imbarcazioni di lusso unitamente ad altri beni per un valore di svariati miliardi, servendosi di sicuri e fidati prestanomi quali suocera, moglie, madre, ecc. con proventi riconducibili ad attività illecite. In particolare, inoltre, la citata fonte rappresentava che il predetto Battaglia Filippo:

– non è conosciuto nell’ambiente forense e non risulta esplichi alcuna attività lavorativa;
– intrattiene significativi rapporti con l’ambasciata del Perù in Roma;

– intrattiene rapporti non meglio precisati con la nota società “BREDA”;

– effettuerebbe frequenti viaggi di “lavoro” a Roma, Milano, America Latina e con maggiore frequenza nel Perù;

– utilizzando alcune sue imbarcazioni, effettuerebbe diversi viaggi e noleggi non meglio conosciuti con finalità apparentemente non da diporto;

– disporrebbe di un appartamento a Roma (…);

– disporrebbe di un domicilio a Cortina d’Ampezzo;

– riceverebbe diverse personalità, anche straniere, nella villa ubicata in Messina (…)

– avrebbe un cospicuo deposito di denaro in un C/C intestato alla di lui moglie presso la Banca del Sud, agenzia di Ganzirri (ME)»[35].

 

Sulla scorta di queste notizie informative viene quindi attivata l’A.G. di Messina, nella persona del Sostituto procuratore Pietro Vaccara, avanzando richiesta di intercettazione telefonica delle utenze di Battaglia. Due giorni più tardi il magistrato, ottenuta l’autorizzazione dal Gip, dispone l’intercettazione di alcune utenze telefoniche in uso a Battaglia. Il 3 giugno giugno il dott. Vaccara chiede alla SIP di comunicare «se alcuna delle utenze suddette è stata posta sotto intercettazione da altra Autorità Giudiziaria e ciò al fine di coordinare le indagini con dette autorità». La SIP di Messina, con nota del 5 giugno, riferirà che una di quelle utenze era in effetti già sotto intercettazione dal 27 aprile 1992, su richiesta dei sostituti procuratori Amedeo Bertone e Nicolò Marino della Procura della Repubblica di Catania.

Le conseguenti riservate indagini preliminari, nonché gli accertamenti ed i riscontri eseguiti, nel confermare sostanzialmente quanto riferito dalla fonte confidenziale, consentiranno di identificare i prestanomi ai quali il Battaglia avrebbe intestato i propri beni: Grillo Rosalia, moglie del Battaglia; Ivone Giovanna, suocera del Battaglia; Arlotta Gaetana, madre del Battaglia. Inoltre le indagini permetteranno di evidenziare che Filippo Battaglia aveva la disponibilità dei seguenti beni: tre motoscafi, una villa del valore di oltre un miliardo di lire, dove Battaglia aveva il domicilio, un natante da diporto avente una lunghezza di 30 circa metri, quattro autovetture di grossa cilindrata (tre Maserati e una Lancia Thema), tutte fornite di telefono, diverse piccole utilitarie e numerosi appartamenti ed appezzamenti di terreni ubicati in Messina e provincia.[36]

L’inchiesta su Filippo Battaglia verrà condotta inizialmente (maggio/ottobre 1992) dal gruppo della Guardia di Finanza di Messina sotto la direzione dapprima del dr. Pietro Vaccara e quindi del dr. Franco Langher.[37]

Parallelamente, negli anni 1992/1993, i magistrati Franco Langher e Angelo Giorgianni dirigono anche un’indagine avviata nei confronti di Eraldo Luxi, Presidente del Consorzio dell’Autostrada Messina-Catania.[38] Eraldo Luxi è cognato di Filippo Battaglia, avendo sposato la sorella della moglie di quest’ultimo.

 

31 maggio 1992 – Viene registrata una conversazione nella quale l’interlocutore sollecita Filippo Battaglia a «contattare il Sen Carmelo Santalco, attraverso suo nipote Giuseppe Santalco, alias “Peppuccio”, oppure l’On. Dino Madaudo e l’on. Stefano De Luca». Scriverà il GICO di Firenze che Madaudo e De Luca «al tempo erano sottosegretari alle Finanze mentre il Santalco, l’anno successivo, farà parte della Commissione Permanente Finanze e Tesoro presso il Senato della Repubblica. Appare opportuno sottolineare che Carmelo Santalco risiede a Barcellona Pozzo di Gotto e che l’utenza dell’agenzia turistica “Santalco” (…) risulta più volte chiamata dal Cattafi [Rosario, nda]».[39]

 

Giugno 1992 – Continuano i contatti tra Filippo Battaglia e Domenico Ripa. Sulla scorta del contenuto delle telefonate intercettate sulle utenze del Battaglia – scriverà il GICO di Firenze – risulta evidente che «i rapporti tra questi e il Ripa, perlomeno quelli evidenziati al telefono, riguardano la vendita di armamenti al Marocco e all’Arabia Saudita».[40] Battaglia prende anche un appuntamento con Domenico Ripa per l’11 giugno, facendo riferimento alle «trattative in quel momento in corso, comprese le percentuali di intermediazione che l’Oto Melara avrebbe elargito».[41] Subito dopo, sempre telefonicamente, Battaglia ottiene la conferma della presenza all’incontro dell’11 anche di Felice Cultrera, al quale conferma che l’oggetto della riunione sarà la “BREDA”.

Nel mese di giugno avviene anche un contatto tra il Battaglia e l’utenza di Lionello Rossi, della “AGUSTA spa”. Anche tali colloqui riguardano «vendite di armamenti al Marocco, Arabia Saudita e Perù».[42]

 

4 giugno 1992 – A Catania si tiene una riunione di coordinamento per le indagini sui traffici di armamenti che stanno svolgendo sia la Procura di Catania che quella di Messina. Alla riunione partecipano due ufficiali del Comando Gruppo di Messina, dirigenti della Criminalpol di Catania e i sostituti procuratori di Catania Petralia e Marino. Al termine dell’incontro viene concordato che alla sede di Messina le indagini sarebbero state prevalentemente rivolte ai collegamenti di Filippo Battaglia con personaggi messinesi coinvolti nella vicenda, mentre l’Autorità giudiziaria di Catania avrebbe curato le altre investigazioni in Italia e all’estero.[43]

Una settimana dopo, il Sostituto procuratore di Messina Franco Langher, che a quel punto dirigeva le indagini sui traffici di armi (come risulta dalle relazioni della Guardia di Finanza a lui indirizzate), invia una missiva ai PM di Catania Nicolò Marino e Amedeo Bertone con il seguente contenuto:

 

«Poiché nel corso di un procedimento a carico del nominato in oggetto [Filippo Battaglia, nda] è emerso che uno dei telefoni di cui era stata disposta la intercettazione è stato sottoposto ad intercettazione anche da parte di Codesta Autorità Giudiziaria (utenza n. XXX/XXX127 intestata ad Ivone Giovanna), prego V.S., ai sensi dell’art. 117 c.p.p. ai fini del compimento delle ulteriori indagini ed anche al fine di valutare se tra i procedimenti ricorrono i presupposti di cui all’art. 371 c.p.p., di trasmettere copia degli atti del procedimento costì pendente, o informazioni sul loro contenuto. Con l’occasione invio copia degli atti del procedimento di cui all’oggetto».[44]

 

La Procura di Catania non trasmetterà a quella di Messina copia degli atti richiesti.

 

10 giugno 1992 – Filippo Battaglia si incontra a Roma con Felice Cultrera. Il GICO di Firenze elencherà gli elementi di prova di quell’incontro, tra cui il «registro delle presenze de “Le Grand Hotel” di Roma, ove risulta aver soggiornato il Battaglia unitamente a Cultrera, Meninno e Capogreco». I militari concluderanno poi che le «successive telefonate del mese di giugno tra i partecipi, impegnati nelle vendite degli armamenti, evidenziano le trattative sia con la OTO MELARA, nella persona di Ripa Domenico Maria, che con l’AGUSTA nelle persone di Roberto D’Alessandro, Lionello Rossi e Domenico Ruiz».[45]

 

Luglio 1992 – Continuano i rapporti telefonici tra Rosario Cattafi e Filippo Battaglia. Il 5 luglio Cattafi contatta Battaglia mentre si trova in procinto di partire da Milano per recarsi in Sicilia. Il GICO di Firenze, analizzate le informazioni tratte dalle intercettazioni a carico dei due, riterrà che «attesa la estrema delicatezza dei traffici in atto, gli interlocutori fossero convinti che un giro in barca avrebbe potuto impedire a chiunque ne avesse l’intenzione di intercettare il contenuto dei loro colloqui. Una immediata e conseguente considerazione, che si riallaccia a quanto già detto in precedenza, concerne la constatazione che nessun riferimento al Cattafi risulta mai essere stato fatto nei colloqui tra i partecipi impegnati nella intermediazione di vendite di armamenti: vendite, peraltro, del tutto lecite essendo state autorizzate dagli organi istituzionali competenti. Appare, quindi, logico e fondato ritenere che, attesi gli evidenti e frequenti paralleli tra il Cattafi e Battaglia ed alcuni responsabili delle maggiori fabbriche di armamenti, ed in particolare con il Ripa, questi riguardassero trattative afferenti cessioni di armamenti in violazioni a norme penali ben più gravi di quelle concernenti l’illecita intermediazione. Per questo tipo di attività i contatti avvenivano tranquillamente ed in chiaro, attraverso i telefoni. In poche parole, si ritiene che tali rapporti concernessero cessioni non autorizzate. Se così non fosse rimarrebbe incomprensibile il motivo per cui, pur intervenendo in tali trattative altri soggetti, non se ne fa menzione né qualsivoglia riferimento nei colloqui intercettati.

Va ricordato che nelle trattative concernenti l’intermediazione non autorizzata erano state ben chiaramente appalesate le persone intervenute e i relativi compensi che ognuno avrebbe percepito in tali operazioni. Non sono, infine, assolutamente compatibili con la tranquillità appalesata nei colloqui (…), le estreme cautele adottate, in particolare, dai Battaglia, Cattafi e Ripa che non possono che riguardare, quindi, ben più gravi fattispecie delittuose».[46]

 

Luglio 1992 – A partire dal luglio 1992 si evidenziano molteplici contatti telefonici tra le utenze in uso, da una parte, ai magistrati della Procura di Messina Franco Langher e Angelo Giorgianni e le utenze in uso, dall’altra, ad una persona e ad alcune società in contatto, quantomeno, con Filippo Battaglia.[47] La persona e le società individuate sono, rispettivamente, Riccardo Rodriquez e le società “GIANO Srl”, “ANDROMEDA Srl” e “FRI Srl”.

 

Riccardo Rodriquez, industriale, coniugato con Narcisa Mondello, è un «imprenditore molto noto in città (Messina, nda) proprio per la sua peculiare attività di costruttore di aliscafi che esporta in tutto il mondo».[48] Rodriguez risulta essere: Amministratore della “RODRIQUEZ CANTIERI NAVALI SpA”, società con capitale sociale di quasi 6 miliardi e mezzo di vecchie lire, che si occupa principalmente della costruzione di Aliscafi; Amministratore unico, unitamente al fratello Leopoldo, della “SICILGARDEN gestione Srl”; Amministratore unico della “FITRE Spa”, società con capitale sociale di 4 miliardi e 400 milioni di lire, operante nel settore della cantieristica navale ed attività armatoriale in genere; Vicepresidente della “RODRIQUEZ Spa”, società quotata in borsa, recentemente ceduta dal Gruppo “CAMELI” al Credito Romagnolo, con capitale sociale di quasi 17 miliardi di lire, che opera nelle attività industriali, commerciali e finanziarie delle società controllate, in particolare della “RODRIQUEZ CANTIERI NAVALI” (Riccardo Rodriquez rassegnerà le dimissioni dalla carica di Vice Presidente, “motivate da una serie di contrasti insorti con gli altri Amministratori sugli aspetti gestionali del Gruppo”); Amministratore unico della “Sicil Garden Srl”, società operante nel settore agricolo.[49]

Nel 1992 furono molti i contatti telefonici tra le utenze in uso a Riccardo Rodriquez e quelle in uso a Rosario Cattafi, Filippo Battaglia e Eraldo Luxi.

Nel giugno 1994 Riccardo Rodriquez, secondo articoli stampa, sarebbe stato raggiunto da informazione di garanzia e perquisito dalla Guardia di Finanza di Roma su ordine della Procura della Repubblica di Asti, in ordine a “traffico di materiale strategico verso paesi sottoposti ad embargo”, mentre, negli anni a venire, annovererà precedenti di polizia per violazione delle norme di navigazione (condannato nel 1996) e per reati contro il patrimonio (2002).[50]

 

La “RODRIQUEZ” SpA svolge “l’attività industriale in genere, l’importazione e lo sviluppo delle strategie industriali e finanziarie delle numerose società controllate”. Ha uffici di rappresentanza a Roma e Milano. Il consiglio di Amministrazione risulta composto da: Cameli Sebastiano, Regis Milano Luigi, Rodriquez Riccardo, Ricci Tommaso. Preposti alle sedi di Roma e Milano risultano rispettivamente: Mancuso Salvatore e Rodriquez Leopoldo (fratello di Riccardo).

La società in argomento ed i suoi amministratori risultano figurare a vario titolo in molte altre società operanti nel settore navale ed in particolare nella RODRIQUEZ CANTIERI NAVALI SpA, con stabilimenti a Messina e Pietra Ligure, che rappresenta una delle società controllate dalla holding RODRIQUEZ SpA.[51]

 

Salvatore Mancuso, originario di Sant’Agata di Militello (ME), già dipendente di Sicilcassa, è stato presidente del Banco di Sicilia, storico istituto controllato dalla Regione Siciliana (azionista di minoranza della Stretto di Messina Spa) e da Unicredit.

A metà anni Ottanta, Salvatore Mancuso ricopriva l’incarico di amministratore delegato dei RODRIQUEZ CANTIERI NAVALI di Messina, costruttori di aliscafi civili e militari, in quegli anni impegnati pure nel trasporto veloce tra le isole minori della Sicilia e nei Caraibi e nella programmazione – poi non conclusa – di un grosso investimento turistico nelle Antille olandesi. Nei primi anni Novanta fu proprio Mancuso a pianificare prima il fallimentare ingresso in borsa dei Cantieri Rodriquez e, successivamente, il loro passaggio al gruppo CAMELI di Genova. Dopo due anni trascorsi alla guida della holding ligure, Mancuso sarà chiamato da Romano Prodi a dirigere Iritecna, azionista di maggioranza della concessionaria statale per la realizzazione del collegamento stabile nello Stretto. Il manager occupò l’incarico per solo sei mesi per approdare poi alla Banca Santavaleria di Gianni Varasi.[52]

 

Tra il 7 luglio 1992 e il 12 aprile 1995 il dr. Angelo Giorgianni risulta aver avuto 465 contatti telefonici con Rodriquez Riccardo; tra il 12 luglio 1992 e l’8 luglio 1995 il dr. Franco Langher risulta avere avuto 8 contatti con lo stesso Rodriquez.[53]

 

La società “GIANO” Srl, invece, ha come oggetto sociale la valorizzazione e vendita immobiliare ed è rappresentata da Gaetano Mobilia. Ha come socio, oltre al predetto Mobilia, Maria Rodriquez (sorella di Riccardo Rodriquez). La “GIANO srl”, la cui utenza ha contatti con Filippo Battaglia, risulta avere numerose partecipazioni in altre società, fra cui:

– srl “ANDROMEDA”, al cui indirizzo la stessa GIANO attualmente ha domicilio fiscale.

– srl “FRI”, azienda che ha come oggetto sociale l’organizzazione, sviluppo ed esercizio dell’industria

turistico-alberghiera. Rappresentanti legali (dal 19.09.1991 al 23.05.1995) sono Rodriquez Riccardo          e sua moglie Mondello Narcisa.[54]

 

Le utenze della GIANO Srl sono chiamate per 130 volte dal dr. Giorgianni (tra il luglio 1992 e il marzo 1995) e, a sua volta, un’utenza della GIANO chiama quelle di Giorgianni per 72 volte, (tra il giugno 1992 e il marzo 1995, di cui 62 contatti avvengono solo nel periodo tra il 25 giugno 1992 e il 23 giugno 1993).

Il dr. Langher, invece, riceve dall’utenza intestata alla GIANO tre chiamate il 14 ottobre 1995 e quattro chiamate tra l’aprile 1995 e il giugno 1995.

L’utenza intestata alla srl “ANDROMEDA” chiama per 8 volte il dr. Giorgianni (nel periodo compreso tra il settembre 1992 e il gennaio 1993) ed è chiamata dal predetto magistrato per 5 volte (nel periodo compreso tra il settembre 1992 e il giugno 1993). Il dottor Franco Langher, invece, riceve 3 chiamate nel periodo tra il 28 agosto e il 9 settembre 1994.

L’utenza intestata alla srl “FRI” chiama 416 volte le utenze telefoniche in uso al dr. Giorgianni (nel periodo tra il 19 aprile 1994 [l’anno indicato nell’informativa è verosimilmente un errore dell’ufficiale di p.g., che verosimilmente intendeva scrivere “1992”, nda] e l’11 marzo 1994) ed è stata da questi chiamata per 306 volte nel periodo tra il 13 giugno 1992 e il 24 marzo 1994.[55]

 

15 e 17 agosto 1992 – Il 15 agosto l’utenza intestata ed in uso a Eraldo Luxi viene contattata dall’utenza risultata intestata a Franco Langher. Nel giorno di Ferragosto, inoltre, le utenze di Langher e di Eraldo Luxi avranno contatti telefonici con l’utenza intestata alla società “SRL ACCOUNTANTS”:[56]

ore 9,56 e 10,22 – “Srl Accountants” chiama Langher Franco

ore 16,03 e 16,28 – Giorgianni Angelo chiama Langher Franco

ore 17,11 – “Srl Accountants” chiama Langher Franco

ore 17,13 – Langher Franco chiama Luxi Eraldo

ore 17,21 – Accountants chiama Luxi Eraldo

Il 17 agosto l’utenza di Franco Langher chiama l’utenza in uso a Luxi Eraldo.

Scriverà lo SCICO della Guardia di Finanza di Roma: «Si ritiene opportuno ricordare che nel periodo in cui tali telefonate venivano effettuate il Langher aveva autorizzato l’intercettazione delle utenze telefoniche di Battaglia Filippo, cognato del Luxi, su richiesta della Guardia di Finanza di Messina; le intercettazioni erano iniziate nel maggio 1992 ed interrotte nell’ottobre 1992».[57]

L’utenza intestata a “ACCOUNTANTS srl”, con sede a Messina, oltre ai numerosi contatti con Franco Langher,[58] risulterà in stretto contatto con le utenze in uso a Eraldo Luxi e a Filippo Battaglia.[59]

Inoltre, tra il 22 novembre 1992 e il 24 dicembre 1993, l’utenza intestata alla “Srl Accountants” chiamerà 8 volte anche diverse utenze in uso ad Angelo Giorgianni, mentre quest’ultimo chiamerà la “Srl Accountants” il 15 agosto 1993, alle ore 22,56.[60]

 

Settembre 1992 – Riprendono gli stretti rapporti telefonici tra Rosario Cattafi, Filippo Battaglia e Domenico Ripa. Le conversazioni intercettate evidenziano i vari settori a cui erano interessati il Battaglia e gli altri partecipi e, per quanto attiene la commercializzazione di armamenti e motori, «erano chiaramente in avanzato stato di esecuzione le forniture al Marocco e all’Arabia Saudita ed in via di perfezionamento quelle al Venezuela e alla Colombia. Per quanto attiene questi due ultimi Paesi il Battaglia, come già detto, aveva anche stretti rapporti telefonici con un rappresentante della “DANIELI spa” di Udine… Comunque una descrizione di alcune delle attività (quelle di cui naturalmente era possibile esplicitare al telefono) in quel momento in atto, viene fatta dal Battaglia a tale Dr. Tabacchi di Milano… laddove egli riferisce di “avere delle belle cose per le mani: DANIELI e FATA di Torino in Venezuela e BREDA in Marocco”. (…) Appare del tutto evidente dalle conversazioni intercettate che tali trattative e le altre sopra elencate risultano portate avanti in stretto rapporto con Cultrera e Meninno. (…) Non vi è traccia, come già detto, nelle conversazioni intercettate riguardanti tali trattative, di un riferimento diretto o allusivo al ruolo del Cattafi e tantomeno ai rapporti con esponenti di rilievo della “famiglia” del Santapaola. Le uniche conversazioni intercettate e sin qui evidenziate risultano estremamente ermetiche e finalizzate ad incontri per mettere a punto piani operativi, peraltro, evidentemente in atto; basta ricordare la conversazione già citata, in cui i due si accordano per compiere un “giro in barca” al fine di poter parlare degli argomenti più delicati».[61]

 

4 settembre 1992 – Il Comando Gruppo della Guardia di Finanza di Messina inoltra alla Procura della Repubblica peloritana, all’attenzione del Dr. Franco Langher, un’informativa contenente l’esito delle prime indagini su «un’associazione criminosa operante in Italia e all’estero facente capo a tale Battaglia Filippo, collegata ad una famiglia appartenente all’organizzazione mafiosa denominata Cosa Nostra»,[62] con contestuale richiesta di proroga delle intercettazioni in atto. Nella stessa informativa veniva premessa la genesi delle indagini e precisato che, a seguito della parallela attività diretta dalla Procura della Repubblica di Catania e della conseguente riunione operativa tra i vari organismi interessati, la Guardia di Finanza di Messina avrebbe indagato sui rapporti tra il Battaglia e soggetti messinesi (mentre gli altri organismi avrebbero curato le altre investigazioni in Italia e all’estero). Sarà il GICO di Firenze ad illustrare i contenuti dell’informativa, spiegando che «la relazione passava in rassegna le attività affaristiche del Battaglia, evidenziando che era in atto:

 

  • l’acquisizione della “SI.CO.S – Siciliana Costruzioni e Servizi” di Palermo attraverso la “S.A.IN. – Società Appalti Internazionali” di Roma al fine di fruire di finanziamenti e aggiudicazioni di appalti pubblici per la realizzazione di opere edili nonché la gestione di acquedotti in Sicilia.
    Sebbene la relazione non lo evidenzi esplicitamente, le conversazioni intercettate lasciano facilmente intuire che tale disegno si giovava della connivenza di funzionari pubblici che avrebbero agevolato la concessione degli appalti e il dirottamento di ingenti capitali pubblici. (…);
  • l’acquisto di un lotto di mq. 45.000 di terreno nella zona industriale di Catania tramite la “EDIL PREFABBRICATI spa” a Misterbianco (CT), con la favorevole aggiudicazione di una gara d’appalto attraverso la connivenza di amministratori pubblici;
  • il commercio di prodotti alimentari, tra cui ingenti partite di burro;
  • il commercio di 1000 autovetture Skoda;
  • l’esecuzione di lavori edili in Venezuela nel contesto del programma di cooperazione governativo.
    Anche in questo caso, sebbene la relazione non lo manifesti, nell’attuazione di tale progetto si evidenziano colloqui telefonici indicanti connivenze con responsabili dei dicasteri degli Esteri venezuelano ed italiano. In tale contesto si fa riferimento ad incontri a Capri con l’allora ministro degli Affari Esteri Gianni De Michelis, che avrebbe garantito il buon esito dell’operazione;
  • forniture belliche al Marocco, all’Arabia Saudita e al Venezuela;
  • forniture di motori nella disponibilità di Mohamed Faouzì (illegibile) società statunitense “BARCO”.

La citata informativa elencava, quindi, i personaggi messinesi legati al Battaglia quali: Santalco Giuseppe, De Rose Angelo, La Maestra Francesco, Merenda Giuseppe e concludeva: “Alla luce dei fatti su esposti:

  1. considerato che sussistono fondati elementi di reato ascrivibili alla condotta tenuta dal soggetto investigato Battaglia Filippo e ai soggetti a lui collegati operanti nel messinese;
  2. attesa la forte relazione d’affari e d’amicizia intercorrente tra Battaglia Filippo, Cultrera Felice e Meninno Gianni, come si evince in particolare nelle conversazioni telefoniche;
  3. al fine di acquisire ulteriori elementi per delineare compiutamente le condotte antigiuridiche poste in essere,

si ritiene opportuno che codesta A.G. voglia autorizzare la proroga dell’intercettazione delle utenze in oggetto indicate”».[63]

 

Ottobre 1992 – Si registra una totale caduta dei rapporti telefonici tra Filippo Battaglia e Rosario Cattafi e le aziende produttrici di armamenti, in particolare quelli con Domenico Maria Ripa. Le uniche tracce del permanente rapporto, scriverà il GICO di Firenze, «evidentemente intrattenuto con maggiori cautele, sono rappresentate dalle telefonate del Cattafi all’utenza intestata alla madre di Ripa. Nello stesso periodo e successivamente continueranno a registrarsi, invece, gli strettissimi rapporti intrattenuti a mezzo dei telefoni cellulari tra il Battaglia e il Cattafi e tra questi, Sciotto e Madaudo».[64] Nello stesso periodo cessano anche i contatti tra Battaglia e Felice Cultrera e Gianni Meninno.

 

7 ottobre 1992 –  Il Comando della Guardia di Finanza di Messina richiede un’ulteriore proroga dell’autorizzazione alle intercettazioni, riepilogando gli elementi di prova sin lì acquisiti, unitamente alla segnalazione dell’intensificarsi delle conversazioni telefoniche ed incontri tra «il Battaglia ed il noto pregiudicato barcellonese Cattafi Rosario».[65]

 

21 ottobre 1992. Rosario Cattafi va a pranzo da Filippo Battaglia. Nel mentre, Battaglia telefona a Giuseppe Santalco, asserendo di avere «un ospite del Ministero ed in particolare della “cooperazione”. Santalco invita il Battaglia ad approfondire con tale ospite se i “tagli” alla “cooperazione” attuati con la legge finanziaria si riferiscono ad attività pregresse. Battaglia chiede all’interlocutore se siano stati indicati nella citata legge i Paesi interessati a tali tagli».[66] I militari del GICO di Firenze evidenzieranno come, «al momento della conversazione, erano passati appena quattro giorni dall’intervento effettuato presso l’autoparco di Via Salomone [a Milano, nda] e i mezzi di informazione stavano dando continuamente ampio risalto a tale operazione. Il Cattafi ben sapeva, in quel momento, di essersi recato all’autoparco e di essere stato probabilmente filmato ed intercettato nelle sue telefonate».[67]

 

26 ottobre 1992 – Diciannove giorni dopo la richiesta di proroga delle intercettazioni, il Comando Gruppo della Guardia di Finanza di Messina inoltra un’ulteriore informativa, sempre all’attenzione del dott. Franco Langher, facendo riferimento alla «conclusione del servizio di indagini tecniche inerenti le utenze telefoniche in uso al Battaglia Filippo».

Non si rileva dalla citata relazione come mai, dopo una richiesta di proroga, si fosse deciso di cessare le attività di intercettazione senza porre in essere conseguenti attività repressive. Scriveranno, infatti, i militari del GICO di Firenze, che «per quanto attiene le illecite trattative inerenti le cessioni delle armi si erano acquisite, peraltro, decisive fonti di prova, in ordine alla clandestinità delle figure di intermediari di Battaglia Filippo, Meninno Gianni e Cultrera Felice e della illecita compartecipazione di esponenti di rilievo delle società “AGUSTA” e “BREDA” e di Cattafi Rosario».[68]

L’informativa della Guardia di Finanza di Messina conclude con la rubricazione, nei confronti dei personaggi attenzionati, dei reati contestati (associazione per delinquere, corruzione, mancata autorizzazione al commercio di materiali di armamento, trasferimento fraudolento di valori) e con la richiesta di valutazione dell’emissione di provvedimenti atti ad accertare ulteriori elementi probatori, rimanendo “in attesa delle direttive che Ella [il PM titolare delle indagini, nda] riterrà opportuno impartire”. Il GICO di Firenze concluderà: «Dalla copia degli atti in possesso di questo Comando non si rileva l’effettuazione di ulteriore attività di indagini né da parte della Guardia di Finanza né da parte del Magistrato procedente».[69]

 

30 novembre 1992 – Rosario Cattafi compie un viaggio da Milano a Roma. Il giorno seguente contatta più volte l’utenza del Battaglia. Nell’agenda che verrà successivamente sequestrata a Cattafi, in corrispondenza della data del 30 novembre 1992, si leggerà l’annotazione: “BATTAGLIA X ELICOTTERI”. L’importanza di tale appunto, secondo il GICO di Firenze, si evincerà anche dal fatto che «Cattafi ha poi tentato di mistificare puerilmente tale appunto aggiungendo successivamente la parola “modellini”; ciò si evince perché tale parola è stata scritta con penna di colore diverso, così come la cerchiatura tra la parola “elicotteri” e “modellini”».[70]

 

5 e 21 gennaio 1993 – Rosario Cattafi spedisce comunicazioni fax a Filippo Battaglia:

 

5.1.1993 “Da: Saro Cattafi A: Avvocato Filippo Battaglia – Ho urgenza di sentirti e vederti. Ciao Saro”;
21.1.1993 “ATTN: Avv. Battaglia – Avrei bisogno di avere tue notizie perché impossibilitato sentirti causa “tuoi telefoni speciali”. Saro Cattafi – ATTN: Filippo Battaglia. “Sono ancora in attesa di tue comunicazioni. Ciao.”;

 

I militari del GICO di Firenze sottolineeranno come «proprio in tale periodo era maturata la decisione da parte dell’A.G. di Messina di trasmettere il fascicolo processuale, riguardante le indagini eseguite nei confronti dei responsabili del traffico di armamenti, tra cui gli stessi Cattafi e Battaglia, per competenza all’A.G. di Catania (trasmissione avvenuta in data 3.2.1993)».[71]

 

Gennaio-maggio 1993 – In gennaio Rosario Cattafi contatta due volte un’utenza telefonica intestata al Ministero della Difesa. Anche nei mesi di febbraio e marzo si rilevano contatti tra Cattafi e un’utenza del ministero della Difesa e tra Cattafi e l’utenza in uso a Domenico Ripa. Tra aprile e maggio si rilevano i consueti rapporti tra Cattafi e Battaglia, tra Cattafi e Francesco Sciotto e tra quest’ultimo e Dino Madaudo. In detti mesi nessun contatto tra Cattafi e l’utenza intestata a Domenico Ripa.[72]

 

Primo semestre del 1993 – I Carabinieri del Ros di Messina iniziano un’attività investigativa sulla base di intercettazioni (telefoniche e tra presenti) di alcune conversazioni avvenute tra soggetti presenti nel barcellonese. In tale contesto si avrà la prova che Benedetto Santapaola era stato ospite del gruppo di Giuseppe Gullotti, a sua volta in contatto con Rosario Cattafi. La DIA evidenzierà, inoltre, che lo stesso Cattafi era stato identificato come soggetto «più volte chiamato da persone appartenenti al circuito del Dell’Utri [Marcello, nda], cioè da persone entrate con lui in contatto telefonico od esistenti nelle sue agende».[73]

 

3 febbraio 1993 – Il PM dr. Franco Langher trasmette al Procuratore della Repubblica di Catania il fascicolo processuale riguardante le indagini eseguite a Messina nei confronti dei presunti responsabili del traffico di armamenti. Negli atti trasmessi si legge:

 

«Per competenza e per l’unione al proc. pen. costì pendente (PM Dott. Marino – Dott. Bertone) dovendosi ritenere, alla luce dell’esame degli atti del procedimento qui pendente (del quale ho tenuto informata la S.V. inviando copia degli atti con note: 11 giugno, 10 ottobre e 31 ottobre 1992) e dell’esito della riunione svoltasi presso codesta Procura il 5/10/1992, che a Catania siano stati commessi i reati più gravi, oltre che il maggior numero degli stessi. Per gli eventuali stralci da trasmettere ad altre AA.GG. (compresa questa) potrà più ponderatamente provvedere la S.V., nella cui disponibilità vi è un ben maggior numero di atti, non a conoscenza di questo Ufficio essendo rimasta senza seguito la richiesta di copia degli stessi di cui alla nota 11.6.1992. Di tutte le intercettazioni eseguite è stata richiesta ed ottenuta dal G.I.P. l’autorizzazione a ritardare il deposito».[74]

 

14 aprile 1993 – Rosario Cattafi spedisce un altro fax a Filippo Battaglia:

 

«Fax per Avv: Battaglia OK 090/XXX311 “Caro Filippo aspetto ancora informazioni da persone a Roma e tengo in serbo un telefon [sic]. Da regalarti in modo da risolvere il problema del telefono. Un abbraccio Saro”».[75]

 

Giugno 1993: Contrariamente ai mesi precedenti, riprendono i contatti telefonici tra Rosario Cattafi, Filippo Battaglia ed Eraldo Luxi.[76]

 

11 giugno 1993 – Il “pool di Mani Pulite” di Milano, dopo aver firmato l’informazione di garanzia per i reati di concussione e corruzione nei confronti di Eraldo Luxi, nella sua veste di Direttore del Consorzio per la costruzione dell’autostrada Messina-Catania, ordina la perquisizione delle sue abitazioni. La mattina dell’11 giugno, alle ore 05,26, dal cellulare in uso al Luxi viene effettuata «una telefonata all’indirizzo del suo difensore Avv. Giuseppe Sturniolo e successive telefonate eseguite alle ore 6,27 – 6,28 – 6,29 – ecc. al Battaglia Filippo».[77] Come scriverà il 13 giugno il quotidiano che pubblicherà la notizia della perquisizione, la polizia delegata dall’A.G. di Milano rimarrà “fuori dell’abitazione del Luxi per oltre un’ora e mezza in quanto questi non aveva inteso per tutto quel tempo aprire la porta”.

 

15 giugno 1993 – Un articolo di stampa riferisce che anche la Procura della Repubblica di Messina aveva aperto un’inchiesta sul Consorzio dell’autostrada Messina-Catania e che, in tale contesto, aveva richiesto all’A.G. di Milano copia degli atti e della documentazione sequestrata durante le perquisizioni di quattro giorni prima.[78]

 

16 giugno 1993 – Avvengono ripetuti contatti tra il cellulare di Rosario Cattafi, che si trova a Milano, e quello intestato a Salmeri Tommaso ma in uso a Eraldo Luxi.[79]

 

Il magistrato Francesco Di Maggio diventa vicedirettore del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, su decreto ad personam dell’allora Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. L’ufficio detenuti del Dap viene affidato a Filippo Bucalo, magistrato di origine barcellonese.

 

20 giugno 1993 – La stampa riporta la notizia che i P.M. della Procura di Messina Angelo Giorgianni e Vincenzo Romano stanno indagando non solo sul Consorzio dell’autostrada Messina-Catania ma anche su quello della Messina-Palermo. Per quanto attiene a quest’ultimo, l’informazione di garanzia era stata notificata al direttore generale Ubaldo Luxi, fratello di Eraldo.[80]

 

19 – 23 giugno 1993 – Si ripetono contatti telefonici tra utenze in uso a Rosario Cattafi e utenze in uso a Filippo Battaglia (ma intestate a Luxi Fulvio, Luxi Ilaria e a Grillo Maria Pia).[81]

 

22 giugno 1993 – Secondo la stampa, presso la DNA di Roma si tiene una riunione a cui partecipano il Procuratore nazionale antimafia Bruno Siclari, il Procuratore di Milano Saverio Borrelli, il sostituto procuratore Antonio Di Pietro, il Procuratore di Messina Antonio Zumbo ed il sostituto procuratore Angelo Giorgianni.[82]

 

29 giugno 1993 – Rosario Cattafi arriva in Sicilia e vi rimarrà fino al 16 luglio[83].

 

30 giugno 1993 – Secondo notizie di stampa, presso la Procura della Repubblica di Messina si tiene una riunione tra i PM di Milano Antonio Di Pietro e Paolo Ielo, il Procuratore della Repubblica di Messina Antonio Zumbo, l’aggiunto Pietro Vaccara e i sostituti Franco Langher, Carmelo Marino, Angelo Giorgianni e Giuseppe Santalucia. Tale visita faceva seguito alla riunione tenutasi presso la DNA di Roma la settimana precedente.[84] La sera stessa il Dr. Di Pietro e il Dr. Giorgianni avevano interrogato negli uffici della locale Questura «un imprenditore messinese».[85]

 

Estate 1993 – Assidui contatti telefonici (circa centoquaranta) risultano tra le utenze in uso a Rosario Cattafi e le utenze in uso all’avvocato Sergio Bucalo.[86] Sergio Bucalo, barcellonese trapiantato a Roma, è il fratello di Filippo Bucalo, il magistrato che da poche settimane aveva assunto l’incarico di capo dell’Ufficio detenuti del Dap. Il traffico telefonico riguardante i due fratelli testimonia «intensi rapporti tra i due che appaiono non giustificabili dai soli motivi affettivi (circa 450 chiamate)».[87] Inoltre, l’avvocato Bucalo è anche «cognato del ragioniere che gestisce l’impresa di calcestruzzo del boss barcellonese, legato a Cattafi, Giovanni Rao».[88] Nelle agende di Rosario Cattafi si possono rilevare i recapiti telefonici di Bucalo. In particolare,  «l’annotazione [nell’agenda di Cattafi, nda] “Sergio e Luisa”… lascia intuire il grado di “amicizia” con la famiglia Bucalo. Luisa infatti si identifica nella moglie del Bucalo».[89]

 

Luglio 1993 – Si registrano contatti tra Rosario Cattafi e Francesco Sciotto e tra questi e il Madaudo. Inoltre, anche in tale mese sono evidenti i contatti telefonici tra le utenze in uso a Cattafi e le utenze in uso a Eraldo Luxi (utenza intestata a Salmeri Tommaso) e Filippo Battaglia (utenze intestate a Luxi Fulvio e Ilaria).[90]

 

14 luglio 1993 – Viene firmata una relazione congiunta di vari organismi delle tre Forze di Polizia di Messina, «sulla base di un documento risalente al 1982 riguardante il Battaglia e il Luxi, concernente la comunicazione da parte di questi di referenze ad interlocutore estero nella prospettiva di poter rappresentare in Perù le società “AGUSTA – SIAI MARCHETTI – CRM MOTORI” e un manoscritto, privo di data, concernente accordi per forniture di elicotteri al Venezuela».[91] A seguito di questa relazione i sostituti della Procura di Messina Franco Langher, Angelo Giorgianni e Vincenzo Romano riapriranno l’indagine condotta un anno prima nei confronti del Battaglia (le cui risultanze erano state già trasmesse per competenza alla Procura di Catania). L’indagine prenderà il nome di “Arzente Isola”.

 

16 luglio 1993 – Rosario Cattafi torna a Milano.

 

27-29 luglio 1993 – Nella notte tra il 27 e il 28 luglio Rosario Cattafi ritorna in Sicilia, per rientrare a Milano circa ventiquattrore dopo, la sera del 28. Alle ore 23,45 del 28 luglio, giunto da poche ore nuovamente nel capoluogo lombardo, Cattafi viene chiamato dal cellulare di Eraldo Luxi, che lo tratterrà in una lunga conversazione; analoga telefonata si ripete alle ore 00,11. Subito dopo il Luxi compone un’utenza del Perù e quindi, alle ore 1,26, chiamerà un’utenza intestata a La Gazzetta del Sud di Messina. Poche ore più tardi, nella mattinata del 29 luglio, Eraldo Luxi verrà arrestato.[92]

 

30 luglio 1993La Gazzetta del Sud pubblica la notizia dell’arresto di nove persone, tra cui Eraldo Luxi, a seguito di provvedimenti restrittivi emessi dall’A.G. di Messina, per i reati di associazione a delinquere, turbativa d’asta, abuso d’ufficio, corruzione e ricettazione.[93] Avvocato di Eraldo Luxi sarà Ugo Colonna.[94]

(Per approfondimenti sulla figura di Ugo Colonna, si rimanda al Capitolo “L’avvocato dei pentiti Ugo Colonna ed i contatti con i servizi segreti”, nda).

 

31 luglio 1993 – Rosario Cattafi torna in Sicilia.

 

3 agosto 1993 – Sergio Bucalo giunge in Sicilia. Rientrerà a Roma il 3 settembre 1993.

 

7-9 agosto 1993 – Rosario Cattafi prende alloggio presso l’albergo “Mazzarrò Sea Palace” di Taormina (provincia di Messina), unitamente alla sua convivente Maria Cappelli. Negli stessi giorni soggiornerà nel medesimo albergo anche Francesco Sciotto. Cattafi a Taormina disponeva già di un appartamento in affitto e il traffico telefonico riguardante l’utenza ivi installata fa rilevare che «dal 15 agosto 1993 al 1 settembre dello stesso anno la stessa è stata chiamata più volte dal Cattafi, nonché dallo Sciotto e dal Bucalo Sergio»[95].

 

25 agosto 1993 – Il magistrato Filippo Bucalo fa il check-in all’albergo “Mazzarò Sea Palace” di Taormina, assieme alla moglie. Stante al registro degli ingressi, subito dopo, nello stesso albergo, viene registrato l’arrivo di Ignazio Moncada. Quest’ultimo, a seguito delle intercettazioni della Procura di Napoli che saranno eseguite nell’ambito di un’inchiesta condotta nel 2012 su Finmeccanica, diventerà noto come il “grande burattinaio” della grande holding di Stato, a cui facevano capo anche società produttrici di armi.

Fabio Repici, avvocato esperto di mafia e di depistaggi, farà una veloce descrizione di Ignazio Moncada: «Così l’allora capo dello Ior Ettore Gotti Tedeschi allertava confidenzialmente Giuseppe Orsi, in quel momento amministratore delegato di Finmeccanica, su Moncada: “Non semplificarlo come agente segreto della Cia, o un massoncello qualsiasi, è veramente un grandissimo burattinaio”.[96] E proprio a Moncada nel giugno 2012, in un’altra conversazione intercettata, l’ex ministro Tremonti [Giulio, nda] offriva un cd con le intercettazioni segretissime fra Mancino [Nicola, nda] e il capo dello Stato [Giorgio Napolitano, nda], oggetto poi del famoso conflitto istituzionale fra Napolitano e la Procura di Palermo. Sentito dai pubblici ministeri, Tremonti glissò: si sarebbe trattato di parole scherzose. (…) [Moncada] è legatissimo anche alla banda del Sisde che in quel momento [estate 1993, nda] è nei guai per i fondi neri del Sisde. A ottobre 1993 uno dei più stretti amici di Moncada, Michele Finocchi, capo di gabinetto del direttore del Sisde Malpica, sarà costretto per oltre nove mesi alla latitanza (…). Moncada, il quale, peraltro, come raccontato su Repubblica da Ettore Boffano e Paolo Griseri nel 2007, prima di fare carriera in Finmeccanica aveva mosso i primi passi al Sid con Maletti e poi, trasferitosi a Torino, era entrato nella dirigenza della Fata, grossa società di produzione di impianti industriali, particolarmente attiva negli impianti per la produzione di petrolio e di gas»[97]. La Fata «a un certo punto viene acquisita da Finmeccanica. E da quel momento Moncada diventa uno degli uomini forti, pur senza ruoli formali, di Finmeccanica. Non occorre dimenticare che Finmeccanica detiene le azioni di molte industrie militari e di armamenti, come Oto Melara e Agusta».[98]

Filippo Bucalo lascerà l’hotel “Mazzarrò Sea Palace” il 2 settembre.

 

28 agosto 1993 – Una serie di contatti telefonici intercorre tra il magistrato Angelo Giorgianni e l’avvocato Ugo Colonna e tra quest’ultimo e Filippo Battaglia. Alle ore 15,24 Ugo Colonna viene chiamato dall’utenza intestata alla Procura della Repubblica di Messina e in uso al dr. Giorgianni; alle ore 17,42 Colonna viene chiamato dall’utenza in uso a Battaglia Filippo; alle ore 17,56 e 17,58 è Colonna a chiamare due volte l’utenza in uso al Giorgianni; alle ore 18,38 Colonna viene richiamato dal Battaglia. I contatti tra Colonna e Battaglia proseguiranno anche nei giorni successivi «con una certa frequenza, come risulta dal traffico telefonico».[99]

(Per approfondimenti sulla figura di Ugo Colonna, si veda il capitolo “L’avvocato dei pentiti Ugo Colonna e i contatti con i servizi segreti”).

 

29 agosto 1993 – Dai tabulati telefonici si rileva un contatto telefonico tra l’utenza cellulare in uso al magistrato Filippo Bucalo, intestata al Ministero di Grazia e Giustizia, e l’utenza cellulare in uso a Rosario Cattafi.[100]

 

30 e 31 agosto 1993 – La sera del 30 agosto Rosario Cattafi chiama, alle ore 21,11, un’utenza di Villafranca Tirrena (Messina), intestata a tale Ferrigno Stefano. Subito dopo contatta due volte di seguito (ore 21,12 e 21,13) l’utenza cellulare intestata all’avvocato Antonio Giuffrida. Infine, alle ore 22,32, dopo diversi mesi di assoluta mancanza di contatti telefonici, Cattafi chiama l’utenza installata nell’abitazione di Domenico Ripa; la conversazione dura 6 minuti circa.[101]

Il 31 agosto, alle ore 16,26, dal distretto di Roma, il cellulare di Domenico Ripa contatta quello di Rosario Cattafi, per la durata di un minuto circa. Alle ore 20,21, dal distretto di Palermo, dal cellulare del Ripa viene effettuata una chiamata all’utenza intestata a Ferrigno; alle ore 21,20, dallo stesso cellulare del Ripa, vengono eseguite due telefonate all’indirizzo dell’utenza intestata alla madre di Cattafi (Di Benedetto Nicoletta).[102]

I militari del GICO di Firenze, quindi, ricostruiranno così la vicenda: «Appare inoltre evidente dagli elementi sopra indicati che ai contatti telefonici tra il Ripa e il Cattafi del 30 e 31 agosto 1993, effettuati dal distretto di Roma, era seguito uno spostamento del Ripa in Sicilia ed, in particolare, tale viaggio risulta compiuto nell’arco di tempo compreso tra le ore 16,26 e le ore 20,21 del giorno 31».[103]

 

Per quanto riguarda l’utenza intestata al ragionier Stefano Ferrigno, essa era annotata, senza prefisso, sulle agende di Cattafi con la semplice indicazione “Villafranca”.[104] Gli inquirenti dello SCICO della Guardia di Finanza di Roma eseguiranno verifiche sul nominativo e scopriranno che Ferrigno era nato nel 1889, per cui, concluderanno, «è presumibile che non sia in realtà la persona che ha in uso materialmente il telefono. Non solo, tale tesi è avvalorata dal fatto che il traffico telefonico si concentra principalmente in estate (…). Pertanto, si deve ritenere che tale telefono sia stato in uso ad un soggetto diverso dal Ferrigno, che lì dimora durante il periodo estivo, comunque collegato agli indagati dell’operazione “Arzente Isola”».[105]

L’utenza intestata, invece, a Giuffrida Antonio, avvocato di Messina che sarà uno dei difensori dei soggetti coinvolti nell’inchiesta “Arzente Isola”,[106] sarà chiamata più volte dal Cattafi, oltre che il 30 agosto, anche il giorno successivo, mentre il 2 settembre sarà Giuffrida a chiamare Cattafi dal suo telefono cellulare.[107]

L’utenza del Ferrigno risulterà essere stata contattata dal cellulare dell’avvocato Giuffrida ed, in particolare, ripetute volte nel mese di agosto e settembre 1993. Una di tali chiamate è stata effettuata il giorno 30 agosto alle ore 21,30, altre l’1, il 2 e il 3 settembre successivi.

 

1 settembre 1993 – I sostituti procuratori della Procura di Messina Angelo Giorgianni, Franco Langher e Vincenzo Romano, alle prime luci dell’alba, fanno scattare la cosiddetta operazione “Arzente Isola”, attuata attraverso perquisizioni dei domicili e delle relative pertinenze di Filippo Battaglia, Rosario Cattafi, Rosario Spadaro e Kweder Abdullatif, indagati per il traffico di armamenti di cui alle intercettazioni telefoniche eseguite un anno prima. Le perquisizioni vengono eseguite anche presso le sedi e gli stabilimenti di alcune fra le maggiori industrie produttrici di armi leggere e pesanti operanti nel territorio nazionale: l’OTO MELARA di La Spezia, la BREDA di Milano e l’AGUSTA di Varese. Contestualmente la Procura convocherà presso i propri uffici, in qualità di persone informate sui fatti, Sebastiano Agrati, Lionello Rossi e Raffaele Sangiovanni (tutti funzionari del gruppo AGUSTA) e Domenico Ripa (funzionario del gruppo BREDA). Secondo gli inquirenti, lo scopo delle suddette attività è stato quello di «pervenire all’acquisizione di elementi conoscitivi nel settore del commercio dei materiali bellici prodotti dalle società sopraindicate. Le indagini in questione, tuttora in corso, sono rivolte ad approfondire i complicati meccanismi delle intermediazioni operate a livello internazionale nonché sulle procedure, fissate dalla legge con estremo rigore, concernenti le autorizzazioni, le concessioni e le licenze spesso aggirati con procedure fraudolente al fine di realizzare vere triangolazioni e superare gli ostacoli degli embarghi e degli altri divieti internazionali. In tale contesto, specifico riferimento viene rivolto ai rapporti intercorsi con Paesi dell’America del Sud e del Nord Africa e naturalmente, vertendo le indagini nello specifico settore del commercio con Paesi stranieri operato da aziende ad intero capitale pubblico, vengono particolarmente attenzionati i profili penali correlati a reati in danno della P.A».[108]

 

Così scriverà la stampa sull’operazione:

 

“Armi, armi pesanti di tutti i tipi, vendute ovunque. Affari per centinaia di milioni di dollari. Un giro colossale, un gran bazar dove potevano rifornirsi i signori della guerra di tutto il mondo. La centrale operativa era a Messina, da dove partivano ordini e disposizioni, le casseforti a Lugano. Di questo intrigo internazionale, che non teneva conto di embarghi e divieti, i magistrati messinesi ormai conoscono i tanti meandri. L’organizzazione ha armato mezzo mondo, ha venduto cannoni, carri armati, elicotteri, camion militari, mitragliatrici, fucili e pistole nell’America del Sud, in Nord Africa, in Medio Oriente. Armi regolarmente prodotte in Italia dai colossi dell’industria bellica nazionale, l’Agusta di Varese, la Breda di Milano, la Oto Melara di La Spezia, che con triangolazioni varie avrebbero raggiunto anche i fronti incandescenti della Bosnia. Quattro persone sono ufficialmente indagate: un commerciante d’armi, un ex esponente di Ordine Nuovo con interessi nel settore farmaceutico, un oscuro funzionario dell’Università messinese nativo di Damasco, un imprenditore che passa il tempo tra i Caraibi e la costa orientale siciliana dove abitano moglie e figli. L’accusa: associazione a delinquere finalizzata al traffico di armi e corruzione. Niente mafia, dunque. E non sembri strano, avvertono i magistrati inquirenti: alla forza intimidatrice usata dalle cosche, si è preferita la tecnica della corruzione per aggirare gli ostacoli e poter far uscire dai porti italiani gli armamenti pesanti. (…) I magistrati messinesi hanno sentito come testi alcuni dirigenti delle aziende di armi, poi si sono fatti consegnare (non c’è stato bisogno di perquisizione) documenti idonei a ricostruire la mappa delle esportazioni e un completo elenco dei personaggi “autorizzati” a vendere. Trattandosi di aziende a intero capitale pubblico, i magistrati vogliono accertare pure che non siano stati commessi reati contro la pubblica amministrazione. L’operazione “Arzente isola”, isola ardente, parte da lontano. Prende le mosse addirittura dall’ultima indagine di Domenico Sica, l’alto commissario antimafia il quale, agli inizi del ’90, mandò i suoi 007 in un’isola dei Caraibi, S. Martin, un paradiso fiscale pronto ad accogliere anche capitali mafiosi. Lì operava un costruttore messinese, Rosario Spadaro, possedeva due casinò, si era accaparrato i lavori del porto e dell’aeroporto. Spadaro, 61 anni, sospettato allora di avere dato ospitalità al boss catanese Nitto Santapaola e sotto osservazione per i suoi rapporti con i “cavalieri” di Catania e con Salvatore Ligresti, è adesso uno dei quattro inquisiti per questo colossale traffico d’armi. La sua abitazione a Giardini Naxos è stata perquisita. Assieme a lui sono indagati Filippo Battaglia, 43 anni, messinese, misterioso commerciante d’armi con base a Lugano, Rosario Cattafi, 41 anni, ex di Ordine Nuovo dal passato burrascoso soprattutto negli anni universitari, anche lui messinese di Barcellona Pozzo di Gotto, e infine il siriano Kwerder Abdullatif, 50 anni, segretario alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Ateneo di Messina. Si punta però a complicità di altissimo livello. Un business di questo tipo, assicura il sostituto procuratore Enzo Romano, presuppone coperture istituzionali. E si lascia sfuggire l’altro sostituto, Angelo Giorgianni: “Questa indagine sarebbe ben poca cosa se i protagonisti fossero questi quattro soltanto”. L’inchiesta avviata con i segugi di Sica, ha incrociato quella che il pool Mani pulite sta conducendo sulla tangentopoli peloritana. Il trattino di congiunzione è Filippo Battaglia. A lui si arriva anche, incidentalmente, con le indagini sulle mazzette miliardarie incassate dal direttore del Consorzio per l’Autostrada Messina-Catania, il dc Eraldo Luxi, che di Battaglia è cognato. Quando alla frontiera con la Svizzera venne bloccata la milanese Ombretta Orlandi, amante di Luxi, mentre trasportava pacchi di milioni frutto di tangenti da depositare in un conto svizzero, gli inquirenti trovarono tracce che portarono anche al forziere di Battaglia, dove erano depositati, si dice, ben 400 milioni di dollari, quasi 600 miliardi di lire. E il cerchio si è chiuso. Battaglia è un personaggio dal passato oscuro. All’inizio di questa estate voleva acquistare la squadra di calcio cittadina che navigava in un mare di guai. Di lui si sa poco. Era casellante sull’autostrada controllata dal cognato, poi si sarebbe trasferito in Sud America, quindi rientrava in Italia ricco, con ufficio a Lugano, rappresentante di alcune industrie di armi”.[109]

 

Secondo quanto riportato dal GICO di Firenze, Domenico Ripa si presentava «spontaneamente ai magistrati messinesi per essere sentito proprio quel giorno. Il tabulato Telecom del telefono cellulare del Ripa permette di rilevare che la prima telefonata eseguita con tale apparecchio avviene alle ore 15,37 all’indirizzo dell’utenza intestata alla “SILSIM spa” di Roma. Seguono due telefonate alle ore 18,00 e alle 20,59 eseguite: la prima dal distretto di Palermo e la seconda da quello di Roma all’indirizzo dell’utenza di casa del Ripa, effettuate prima della partenza da Catania e al momento dell’arrivo all’aeroporto di Roma. (…) Riepilogando: il Ripa, al momento di prenotare il biglietto aereo con destinazione Reggio Calabria (30.8.1993), sapeva benissimo di rientrare a Roma da Catania il giorno 1.9.1993. L’utenza succitata della “SILSIM” risulta chiamata molte volte dal Ripa ma le ricerche attraverso varie interrogazioni al terminale del Ministero delle Finanze non hanno consentito di acquisire elementi atti a spiegare la natura di tali contatti telefonici. (…)

Tale intervento [il “blitz” operato dalle forze di polizia messinesi nell’operazione “Arzente Isola”, nda], in particolare per quanto riguarda le perquisizioni nelle abitazioni dei principali indagati, secondo quanto è dato di sapere, ha sostanzialmente dato “esito negativo”. Non appare che abbia rilievo la circostanza del rinvenimento di armi nell’abitazione del Battaglia, sequestrate esclusivamente perché detenute in luogo diverso da quello denunciato».[110]

Risultato assai diverso sortirà invece l’analoga attività di perquisizione che condurrà il GICO della Guardia di Finanza di Firenze poco più di un mese dopo, a seguito delle indagini in corso sull’organizzazione operante presso l’autoparco di Via Salomone a Milano. In tale circostanza, infatti, saranno state sequestrate agende e documentazione nella disponibilità di Rosario Cattafi, che sarebbero potute «risultare molto utili alle indagini in corso a Messina».[111]

 

Sempre nella giornata del 1 settembre, Eraldo Luxi, cognato di Filippo Battaglia, fa una serie di telefonate: alle ore 06,48 e 07,01 contatta l’utenza intestata a suo figlio Fulvio, ma in uso a Filippo Battaglia; alle 07,53 chiama il centralino del Comando Gruppo della Guardia di Finanza di Messina; alle 10,38 richiama Battaglia, ma utilizzando l’utenza intestata alla propria moglie Grillo Maria Pia; alle 10,54 chiama l’utenza intestata ad un ufficiale del Gruppo della Guardia di Finanza di Messina, che all’epoca conduceva le indagini in argomento; alle ore 12,37 e 12,41 chiama un appartenente all’Arma dei Carabinieri in contatto anche con le utenze intestate a Eraldo Luxi, Angelo Giorgianni, Tommaso Salmeri (ma in uso a Luxi Eraldo), la società Giano srl, Gaetano Mobilia, Riccardo Rodriquez.[112]

 

4 settembre 1993 – Filippo Battaglia rilascia un’intervista a La Gazzetta del Sud.

 

«“Ho svolto l’attività di casellante all’autostrada Messina-Catania, per la precisione allo svincolo di Roccalumera. Dopo tre mesi venni trasferito negli uffici con mansioni superiori, fino a diventare poi il direttore del servizio del centro elettronico. Rimasi alla A-18 fino al 1978”. Esordisce così Filippo Battaglia in un’intervista rilasciata alla Gazzetta del Sud dopo un tentativo di acquisto nei primi anni Novanta, misteriosamente naufragato, della società calcistica del Messina. Come Rosario Spadaro, anche lui era stato insignito del passaporto diplomatico: “Io non ho mai fatto misteri del fatto di essere rappresentante di alcune società che, tra l’altro, producono materiale bellico. Vorrei precisare che sono stato più volte insignito a livello internazionale per la mia attività. Ad esempio il ministro degli Interni del Perù mi ha nominato rappresentante all’Unfdac,[113] la sezione dell’Onu di Vienna che si occupa della lotta al narcotraffico. Io ho combattuto per ottenere dal governo peruviano donazioni di mezzi per combattere il narcotraffico nel Sud America”».[114]

 

15 settembre 1993 – Rosario Cattafi fa rientro a Milano.

 

8 ottobre 1993 – Gli uomini del GICO della Guardia di Finanza di Firenze, nell’ambito dell’indagine sull’Autoparco di Via Salomone, arrestano Rosario Cattafi ed eseguono perquisizioni delle sue abitazioni. Attraverso le sue agende e l’analisi del suo traffico telefonico, i militari del GICO rilevano l’importanza, oltre che dei suoi legami mafiosi, anche delle sue relazioni sociali, che verranno elencate vent’anni dopo dall’avvocato Fabio Repici: «dalla Associazione milanese Amici della lirica al circolo barcellonese Corda Fratres dell’ex Procuratore generale di Messina Franco Cassata (i cui recapiti anche privati erano nell’agendina di Cattafi), dall’attore Gianfranco Jannuzzo agli allora coniugi Pippo Baudo e Katia Ricciarelli, dalla giornalista Carmen La Sorella all’allora sottosegretario alla Difesa Dino Madaudo, dall’ex sottosegretario piduista Renato Massari ai responsabili di numerosi enti pararegionali siciliani, dall’ex viceprefetto di Messina Giuseppe Rizzo (suo “camerata” in gioventù) all’ex presidente della Consob Bruno Pazzi, dall’allora amministratore della Oto Melara Arcangelo Ferrari al dirigente della Alenia Giuseppe Ciongoli (già finito nei primi anni Ottanta nelle investigazioni di Carlo Palermo a Trento), dal dirigente della Oto Melara Alberto Conforti a Mimmino Ripa della Breda, da Leopoldo Rodriquez dell’omonima società di cantieri navali a Salvatore Mancuso, amministratore della stessa Rodriquez s.p.a. e in anni successivi impegnato nel private banking in Svizzera e in Lussemburgo, per diventare prima vice presidente di Alitalia e poi, in quota al Ncd di Angelino Alfano, consigliere d’amministrazione di Enel, incarico lasciato il mese scorso, in contemporanea con il suo rinvio a giudizio a Milano insieme all’immobiliarista Luigi Zunino per aggiotaggio».[115]

 

Così scriveranno sempre i militari del GICO di Firenze sui contenuti delle agende di Rosario Cattafi: «Appare evidente che il Cattafi, parallelamente ai rapporti con il Battaglia, intratteneva rapporti con i vertici e funzionari delle più importanti fabbriche di armamenti nazionali. Nelle sue agende è possibile rilevare infatti le seguenti annotazioni:

– INGEGNER FERRARI… INTERMARINE. Esse concernono, con tutta probabilità, l’ingegnere Ferrari

Arcangelo… Amministratore dal 27.7.1989 al 22.12.1994 della “OTO MELARA s.p.a.” e rappresentante legale dal 5.2.1991 al 5.2.1993 del “CONSORZIO ITALMISSILE”. Comunque, l’utenza e l’annotazione si riferiscono alla “Intermarine s.p.a.”, società avente per oggetto, in particolare: la produzione e la vendita di scafi marini per usi civili e militari… deposito in La Spezia.

– CIONGOLI 781 DIFESAU X VITA (illeggibile) MINISTERO DELLA DIFESA (…). Le annotazioni

si riferiscono a Ciongoli Giuseppe…, Dirigente (dati riferibili al 1992) della “ALENIA – AERITALIA & SELENIA spa”. …apparrebbe verosimile che il n. “781” possa essere un interno del Ministero della Difesa e che l’indicazione “DIFESAU” possa riferirsi ad un reparto o ad un ufficio di tale ministero addetto alle autorizzazioni. La succitata società… aveva come oggetto dell’attività: l’esercizio dell’industria meccanica e l’esercizio di stabilimento per la costruzione e la riparazione di veicoli aerei e aerospaziali; nel 1993 è stata incorporata dalla “FINMECCANICA spa”. Le succitate utenze, peraltro molto vecchie, e ciò conferma l’annosità dei contatti tra il Cattafi e funzionari di imprese nazionali operanti nel settore degli armamenti, risultavano intestate come segue: …Ciongoli Di Maio Elena… madre del Ciongoli; …Ciongoli Bruno… risulta aver percepito negli anni dal 1989 al 1992 compensi di lavoro dipendente da: Ministero della Difesa, Regione Militare Centrale e dalla Prefettura di Roma. (…) il Ciongoli era emerso in quella che può essere considerata l’unica, sebbene non completata, approfondita indagine sui traffici di armamenti: quella condotta dall’allora G.I. Del Tribunale di Trento Dr. Carlo Palermo. Egli aveva acquisito decisivi elementi di prova concernenti illecite transazioni di armamenti a paesi del Terzo mondo, avvenute con l’intermediazione di società gestite da Ferdinando Mach di Palmestein, più recentemente emerso e tratto in arresto nel contesto delle indagini cosiddette “Mani pulite” condotte dalla Procura della Repubblica di Milano. (…) “In sostanza [scrive Carlo Palermo, nda] le società del Mach mettevano in contatto società italiane con governi esteri acquirenti, che spesso, per effetto di normative italiane, usufruivano di finanziamenti agevolati o veri e propri donativi, da parte del Ministero degli Affari Esteri italiano. (…) Alcuni clienti, come mi [a Carlo Palermo, nda] venne precisato dal Mach, erano l’AERITALIA (per aerei G222 da vendere al Mozambico), l’AGUSTA (che fabbrica elicotteri e di cui era amministratore delegato il socialista Raffaele Teti) (…), la SIAI MARCHETTI (che fabbrica aerei)”.

(…) come vedremo, più avanti, le attività di illecita intermediazione di armamenti operata dall’organizzazione di cui faceva parte il Cattafi erano già in atto proprio nello stesso periodo a cui facevano riferimento le indagini del Dr. Carlo Palermo e proprio attraverso le società “AGUSTA” e “SIAI MARCHETTI”; (…) l’organizzazione, secondo quanto asserito dagli attori nei colloqui intercettati a Messina, beneficiava del placet di responsabili del Ministero degli Affari Esteri, tra cui il ministro pro-tempore Gianni De Michelis (socialista) e che il Cattafi veniva identificato in uno dei colloqui come “l’uomo della cooperazione”;

– ALBERTO CONFORTI… LA SPEZIA – DOTT. CONFORTI OTO…Tali annotazioni si riferiscono a

Conforti Alberto… Direttore Centrale dal 7.11.1989 al 2.2.1993 della “OTO MELARA S.P.A.” – Rappresentante legale dal 1?.1.1992 al 15.4.1993 del “Centro Avanzato Ricerca Tecnologica CART” di Aulla e dal 30.9.1991 al 20.7.1992 della “TECNOCAR srl” di Torino, Procuratore dal 5.11.1993 al 5.8.1994 della “GF – Gestioni Industriali” di Roma. In merito a quest’ultima azienda con sede, come altre collegate, in Roma…, essa opera sotto l’insegna “AGUSTA” (…)

– Dott. RIPA MIMMINO…

– in corrispondenza della data 27 maggio 1992: “MIMMINO”;

– in un foglietto: “…DOMENICO RIPA – 1259/1993 R.G. VINCENZO ROMANO e ANGELO

 GIORGIANNI 673490”».[116]

 

4 novembre 1993 – Il Comando Legione della Guardia di Finanza di Messina richiede al Comando Generale notizie riguardanti collegamenti con la criminalità organizzata e ambienti massonici nazionali ed internazionali riferibili a: Battaglia Filippo, Battaglia Salvatore, Spadaro Rosario, Luxi Eraldo, Kweder Abdullatif, Cattafi Rosario, Cultrera Felice, D’Alessandro Roberto, Khashoggi Adnan, Rendo Ugo, Graci Gaetano, Costanzo Carmelo, Curcio Ascenzio Elios, Meninno Gianni, Corallo Gaetano.[117]

 

7 novembre 1993 Si rileva un contatto telefonico tra Benedetto Mondello e la società “FRI”. Quest’ultima, come precedentemente evidenziato, è direttamente riconducibile al già citato Riccardo Rodriquez. Benedetto Mondello, nato a Barcellona Pozzo di Gotto, è invece fratello di Lorenzo Mondello (che, vent’anni dopo, sarà indagato e successivamente archiviato per l’omicidio di Attilio Manca)[118] e di Narcisa Mondello, moglie di Riccardo Rodriquez. Benedetto Mondello, nel passato, aveva militato all’interno di organizzazioni di estrema destra.[119]

 

30 novembre 1993 – Si rilevano conversazioni intercorse tra l’utenza cellulare in uso a Sergio Bucalo e quella in uso all’avvocato Gaetano Berni di Firenze, difensore di Rosario Cattafi. Dai dati telefonici si rileva che il Bucalo si trovava in quel frangente a Firenze. Le telefonate tra Bucalo e Berni intercorreranno anche il 4, 5 e 9 febbraio 1994. Il giorno 15 gennaio 1994, invece, il Bucalo contatterà l’abitazione di Milano della convivente del Cattafi, Cappelli Maria, e il 10 agosto 1994 l’abitazione della madre del Cattafi.[120]

L’avvocato Gaetano Berni sarà successivamente difensore anche di Domenico Ripa e, nel 1996, di Pier Francesco Guarguaglini (presidente di Finmeccanica dal 2002 al 2011) in un processo a suo carico a La Spezia. Berni diventerà poi consigliere d’amministrazione della OTO MELARA.

 

1995 – La Procura della Repubblica di La Spezia, nelle persone dei sostituti procuratori Alberto Cardino e Silvio Franz, apre un’inchiesta su dei presunti traffici internazionali illegali di armamenti. L’indagine trae origine da un’attività investigativa svolta nel 1994 dalla Procura di Firenze nell’ambito dell’inchiesta sull’autoparco di Via Salomone a Milano. Alla Procura fiorentina erano giunte notizie informative secondo cui un sodalizio criminale sarebbe stato impegnato in un «vasto traffico di armi a cui avrebbero partecipato aziende italiane leader nel campo degli armamenti e soggetti appartenenti al sodalizio di stampo mafioso, la cui base operativa principale era costituita dall’ormai famoso autoparco di via Salomone in Milano».[121] Il GICO della Guardia di Finanza di Firenze aveva infatti intercettato conversazioni scaturite a seguito degli interventi di sequestro di alcuni container presenti nell’autoparco, contenenti auto di grossa cilindrata di provenienza furtiva. I partecipi alle conversazioni intercettate, riferendo quanto appreso in loco, si dichiaravano fortunati in quanto gli interventi erano stati rivolti alla ricerca degli “altri giocattoli”. Secondo i militari del GICO, l’organizzazione criminale risultava essere composta, oltre che da referenti nazionali, anche da «esponenti di nazionalità straniera operanti in Siria e a Dubai, impegnati anche a dirottare in altri Paesi merci “interessanti” per l’organizzazione ed in particolare verso quei Paesi nei cui confronti è stato decretato l’embargo dalla Comunità Internazionale (ad esempio l’Iraq e la stessa Siria)».[122]

Tra le carte sequestrate all’autoparco, la Procura di Firenze aveva trovato documenti relativi ad una partita di armi inviate a Paesi sotto embargo dal porto di La Spezia ed aveva aperto un fascicolo che fu trasferito per competenza territoriale alla Procura spezzina.[123]

 

18 marzo 1995 – Nell’ambito dell’inchiesta “Operazione Andalusia”, la Procura di Catania avanza richiesta di misure cautelari nei confronti di: Cultrera Felice, Meninno Gianni, Battaglia Filippo, Papalia Aldo, Beneforti Walter, Curcio Ascenzio Elios, Ripa Domenico Maria, Ruiz Domenico Maria e Rossi Lionello. I magistrati catanesi accusano Cultrera, Meninno, Battaglia, Papalia, Curcio e Ripa (i primi cinque quali intermediari tra, da un lato, la “BREDA MECCANICA BRESCIANA SPA” e la “AGUSTA SPA” e, dall’altro, il Marocco; Ripa Domenico, invece, quale dirigente della BREDA) di aver posto in essere  «trattative per la fornitura di materiale bellico alla Marina Militare, all’Esercito e all’Aviazione Militare del Marocco in assenza dell’autorizzazione prevista dall’art. 9 Legge 185/90 e comunque senza indicare nella “comunicazione di inizio di trattative contrattuali” i nomi degli effettivi “intermediari”»; Cultrera, Meninno, Battaglia, Papalia, Ruiz e Rossi (i primi quattro quali intermediari fra la “AGUSTA SPA” e l’Arabia Saudita; Ruiz Domenico e Rossi Lionello quali persone legate da rapporti lavorativi con la AGUSTA) accusati di aver posto in essere «trattative per la fornitura di materiale di armamento, nella specie elicotteri CH47, allo Stato Maggiore dell’Arabia Saudita come sopra».[124] Il collegamento tra la vendita di armi e la mafia esce definitivamente dall’inchiesta.

 

9 maggio 1995 – La richiesta avanzata dalla Procura di Catania nell’ambito dell’inchiesta “Operazione Andalusia” sulla vendita internazionale di armi viene accolta dal Gip, che emette un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di Filippo Battaglia, Domenico Ripa [funzionario della OTO MELARA, nda] e Lionello Rossi [funzionario della AGUSTA, nda], nonché nei confronti di Felice Cultrera, Gianni Meninno, Aldo Papalia, Walter Beneforti, Ascenzio Elios Curcio, Domenico Ruiz. I destinatari dell’ordinanza erano stati sottoposti ad indagini con l’ipotesi di reato di avere illegalmente venduto armi della BREDA e dell’AUGUSTA a Paesi del Nord Africa e del Sud America. Tuttavia i provvedimenti restrittivi di cui sopra saranno successivamente revocati dal Tribunale della Libertà per mancanza di esigenze cautelari.[125]

Il mese successivo uscirà sulla stampa un articolo che legherà i protagonisti delle indagini delle Procure di Catania e Messina sui traffici internazionali di armi con altri personaggi attenzionati da un rapporto della DIA su Silvio Berlusconi, tra cui Marcello Dell’Utri.

 

“Chi si ricorda più il rapporto della Direzione investigativa antimafia su Silvio Berlusconi? Il documento recava la data del 15 febbraio 1994 e il numero di protocollo 125/II/T/2810/90. Solo dieci paginette, ma fitte di nomi e riferimenti che legano i due fratelli Dell’Utri, Marcello e Alberto, a uomini della “Duomo connection” come Gaetano Carollo e ai “colletti bianchi” della mafia di stanza a Milano bloccati nel famoso blitz della notte di San Valentino di quindici anni fa, come Luigi Monti e Antonio Virgilio. In quel documento compare anche un collegamento dei fedelissimi dell’ex presidente del consiglio con l’inchiesta sui traffici internazionali di armi della procura di Messina in carico al giudice Angelo Giorgianni. Quattro i nomi che spuntano con insistenza: quello del faccendiere italo-peruviano Filippo Battaglia, del siriano Abdullatif Kweder (coordinatore della segreteria della facoltà di giurisprudenza a Messina), del re dei casinò a Saint Marteen Saro Spadaro e dell’ex ordinovista Rosario Battaglia [l’autore dell’articolo ha evidentemente sbagliato il cognome, intendendo Rosario Cattafi, nda], in trasferta a Milano per conto del numero uno di Cosa nostra a Catania Nitto Santapaola. (…) Ancora a Messina ritroviamo i finanzieri Pierluigi Sicilia e Riccardo Rodriquez, che insieme al faccendiere luganese Marco Gambazzi sono sotto “osservazione” alla procura di Asti per un traffico di materiale strategico. Gambazzi è in ottimi rapporti con l’entourage della Fimo, la finanziaria di Chiasso che ospitò le operazioni di Giuseppe Lottusi, il finanziere del clan Madonia, e che fu crocevia di tangenti nel processo Enimont e cassaforte privilegiata delle prime scalate di Silvio Berlusconi. Il documento Dia definisce Legnaro “referente della cosca Santapaola” e si sofferma su un altro intermediario del traffico di armi, Antongiulio Lo Prete, che “collabora fattivamente con Silvio Berlusconi in vista della nascita del nuovo partito politico facente capo all’imprenditore”. Altri personaggi ancora gravitano nell’orbita del traffico. Come Rosario Cattafi, interessato agli affari messinesi e arrestato nell’ambito dell’inchiesta sull’autoparco della mafia di via Salomone a Milano; don Saro Spadaro, finito in galera per lo scandalo della costruzione del nuovo aeroporto delle Antille, la cui moglie è alla testa di un consorzio messinese nel quale compare la C&D Costruzioni della famiglia Caligiore; il siriano Kweder, che tira in ballo l’avvocato Filippo Battaglia nelle transazioni d’armi coi sauditi. E infine le telefonate intercettate tra Papalia, Battaglia e Cultrera a cui si aggiunge Alberto Dell’Utri che briga per far venire agli incontri “il suo presidente”. Una storia infinita, questa del traffico di armi e del riciclaggio che ha come base di partenza Catania e Messina. Un giro che finisce con il coinvolgere alcune logge massoniche e persino il Comitato Montecarlo, quel gruppo di fratelli della P2 rifugiatisi oltrecortina dopo la scoperta nel 1981 a Castiglion Fibocchi della lista della super loggia. Un Comitato di imprenditori tra cui spuntava Ezio Giunchiglia e l’avvocato Federico Federici, stretto collaboratore di Gelli, che secondo i magistrati bolognesi si fece promotore del commercio delle armi con l’Argentina”.[126]

 

Per quanto riguarda i rapporti tra i fratelli Marcello e Alberto Dell’Utri e gli indagati nella vendita di armi, gli uomini della DIGOS di Messina scriveranno che, «nel corso di un servizio di intercettazioni telefoniche svolto nel 1992 dallo SCO, sono emersi effettivamente contatti tra Alberto Dell’Utri ed i nominati Papalia Aldo e Cultrera Felice, in ordine all’acquisizione di alcuni terreni in territorio spagnolo».[127]

 

Nel 2001 Gianni Barbacetto pubblicherà sul proprio sito societacivile.it un “focus” sul generale Francesco Delfino, tornando a parlare dell’indagine “Operazione Andalusia” e dei personaggi in essa implicati:

 

“I magistrati di Catania mettono sotto osservazione, attorno al 1994, un gruppo di colletti bianchi (…), l’uomo d’affari catanese Felice Cultrera e i suoi soci, Gianni Meninno a Bologna e Walter Beneforti a Milano, in contatto, tra l’altro, anche con Alberto Dell’Utri.
(…) Ma mentre Cultrera e soci fanno affari che dimostrano una vastissima disponibilità di capitali, non dimenticano di stringere rapporti ad alto livello con uomini della politica e con rappresentati dello Stato. Cultrera, Meninno e Beneforti parlano più volte al telefono, intercettati dagli uomini della Dia, con personaggi delle istituzioni e perfino con un notissimo generale dei carabinieri: Delfino, appunto, che nel 1994 è a Roma, al vertice della Direzione centrale antidroga. Ore 23.04 del 15 gennaio 1994: Cultrera conversa con il suo socio Meninno. Questi fa cenno «al generale» e raccomanda a Cultrera di «non insistere», assicurando che seguirà lui personalmente «la cosa» con Beneforti.

La mattina del 2 febbraio seguente, alle 9.12, Cultrera chiama Beneforti da Lisbona e gli dice che «è il momento buono» per andare a Roma. Il suo interlocutore risponde che telefonerà subito «a quell’amico» per fissare un appuntamento. Alle 9.18, appena chiusa la conversazione, compone lo 06.51994435. E’ un numero del ministero dell’Interno, Direzione centrale antidroga. «Pronto, sono il dottor Franz», dice Beneforti al centralinista, mentendo sulla propria identità. «Vorrei parlare con il Comandante». Quando gli viene passato Delfino, gli si rivolge con familiarità, dandogli del tu, e gli comunica che «c’è qualche buona speranza filatelica» che spera di portare a conclusione entro il mese di febbraio. Il generale risponde che ha capito.

Poi Beneforti dice che avrebbe piacere d’incontrarlo, di fare una chiacchierata con lui per fare il punto sulla situazione; e chiede se può portare la persona che «lui sa». Delfino risponde di no. Alle rimostranze di Beneforti, il generale replica che spiegherà il perché quando parleranno di persona. «Ma c’è qualcosa su di lui?», chiede Beneforti. E Delfino: «Ma c’è…, c’è…, c’è e non c’è. E’ che lui lo deve capire!». I due chiudono la conversazione dopo una contrattazione sul luogo dell’incontro e la decisione di risentirsi al telefono il lunedì successivo.

Walter Beneforti è una vecchia conoscenza di chi ha qualche familiarità con le vicende nere d’Italia. Durante la guerra lavorò per i servizi speciali della polizia americana a Trieste, in quegli anni punto di convergenza dei servizi segreti di ogni parte del mondo. Nel 1956 fu inviato a Roma, all’Ufficio Affari Riservati. Fino al 1960, quando cadde il governo Tambroni, realizzò per la Cia azioni di spionaggio e controllo nei confronti dei politici italiani, democristiani in primo luogo. Poi fu trasferito a Frosinone, indi arrivò a Milano come capo della Criminalpol. Nel 1971 presentò ufficialmente le dimissioni, anche se di fatto rientrò negli Affari Riservati. Nel 1973 fu coinvolto nell’inchiesta delle intercettazioni telefoniche insieme a Tom Ponzi, fu arrestato e restò per mesi in carcere.[128] Venne arrestato di nuovo nel 1976 e nel 1978, coinvolto in traffici e riciclaggio di denaro dei sequestri”[129].[130]

 

5 ottobre 1995 – Il GICO di Firenze visita un albergo di Milazzo, l’Hotel Silvanetta Palace, per esaminare ed estrarre copia del registro delle presenze. L’albergo risulta essere gestito dalla società “CARMEN s.r.l.”, amministrata da Muscianisi Giovanni Filippo che, sentito nell’ambito di un’inchiesta a Firenze il 17 maggio 1993, aveva dichiarato di «svolgere l’attività di commercialista (…) e di aver avuto remota conoscenza con Cattafi Rosario, con il quale però non aveva intrattenuto alcun rapporto». Al momento dell’intervento del GICO presso l’hotel, però, «il Muscianisi richiedeva che a tale attività presenziasse, con la relativa firma agli atti, tale Piccolo Stefano… nella sua qualità di “responsabile dell’ufficio contabile dell’Hotel”». Il Piccolo, che veniva fatto giungere appositamente da Barcellona Pozzo di Gotto per assistere i militari operanti, risulterà essere in stretto contatto con il Cattafi, di cui era anche commercialista.

Dall’analisi dei soggiorni nell’hotel risulteranno essere stati ivi alloggiati, il giorno 30 aprile e 1 maggio 1993: Gambino Maria (classe 1954), Santapaola Sandro (classe 1984), Santapaola Federica (classe 1984), Santapaola Giorgia (classe 1985), Santapaola Benedetto (classe 1981); il 1 maggio si univa ad essi Santapaola Giuseppe (classe 1936), fratello del boss Benedetto Santapaola e marito di Gambino Maria. Il gruppo partiva il giorno 2 maggio. Nello stesso periodo risultava alloggiato anche Di Mauro Salvatore, con precedenti di polizia per associazione mafiosa e detenzione di armi.[131]

 

3 aprile 1996 – Gli uomini del GICO della Guardia di Finanza di Firenze, nell’ambito delle indagini della Procura di La Spezia sulla presunta vendita illegale di armamenti, redigono un’informativa e la inviano ai Sostituti procuratori Alberto Cardino e Silvio Franz. Nell’informativa i militari delineano soprattutto la figura di Rosario Pio Cattafi, evidenziando la sua rete di contatti “eccellenti” e concludendo quanto segue:

 

«Sono già stati descritti i rapporti di rilievo intrattenuti dal Cattafi con persone e società atti a delineare più compiutamente la sua personalità criminale e quella di altri partecipi, nonché testimonianti il grado di infiltrazione negli apparati dello Stato dell’organizzazione mafiosa della quale egli fa parte. (…) Si ritiene che le indagini sin qui condotte abbiano permesso di acquisire ed evidenziare importanti fonti ed elementi di prova che testimoniano come appartenenti alla famiglia Santapaola abbiano, e peraltro da moltissimo tempo, in concorso con dirigenti di importanti fabbriche d’armi nazionali, monopolizzato il traffico di armamenti. Nel medesimo disegno criminoso, gli elementi raccolti lasciano fondatamente ritenere che siano stati dirottati negli interessi di Cosa Nostra ingenti risorse pubbliche attraverso la “gestione” delle azioni di stato e regionali siciliane. In tale contesto si ritiene che la figura di indubbia rilevanza investigativa, che si eleva sulle altre, sia da considerare quella del Cattafi in quanto egli è evidente scrigno di conoscenza di meccanismi perversi dell’apparato statale e cioè di quelle “cose delicatissime”, come egli usa definirle».[132]

 

Metà 1996 – L’inchiesta sui traffici illegali di armamenti della Procura di La Spezia porta i magistrati ad indagare anche sul conto del finanziere e banchiere Pierfrancesco Pacini Battaglia e sui suoi legami con Ferdinando Mach di Palmestein, già attenzionato dal giudice Carlo Palermo nelle sue investigazioni sul commercio internazionale di armi.[133]

 

15 settembre 1996 – Su richiesta dei Sostituti procuratori di La Spezia Alberto Cardino e Silvio Franz, il Gip presso il Tribunale locale emette un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di Pierfrancesco Pacini Battaglia e di alcuni dirigenti delle più importanti aziende italiane, tra cui Ferrovie dello Stato e OTO MELARA. Ne scriverà il giornalista Antonio Mazzeo:

«La megainchiesta della Procura di La Spezia sul comitato d’affari creato da Pacini Battaglia, piduisti vecchi e nuovi ed importanti manager pubblici per la gestione di grandi opere ferroviarie e l’export internazionale di armi da guerra, aveva preso avvio dopo l’irruzione del GICO di Firenze il 17 ottobre 1992 presso l’Autoparco di Via Salomone a Milano, una delle maggiori basi operative di Cosa nostra nel nord Italia. Tra le carte sequestrate nell’autoparco i documenti su una partita di armi inviate a Paesi sotto embargo dal porto di La Spezia all’interno di container utilizzati dall’imprenditore Ugo Sottomano, personaggio in stretto contatto con il gestore dell’autoparco, Giovanni Salesi. La triangolazione “vedeva protagonisti alcuni faccendieri di Messina” e alcuni dirigenti della Oto Melara di La Spezia. (…) Per orientarsi sulla possibile identità dei “faccendieri di Messina” è opportuno riportare alcuni passi dell’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Pierfrancesco Pacini Battaglia ed alcuni dirigenti della Oto Melara, emesso dai magistrati di La Spezia nel settembre 1996”:

 

“A seguito delle indagini a carico di un’organizzazione criminale dedita al traffico di auto di grossa cilindrata (…), e al contrabbando di ingenti quantitativi di tabacchi lavorati esteri, venivano effettuate intercettazioni telefoniche, nell’ambito delle quali destava sospetto una conversazione avvenuta l’1 settembre 1993 tra Giuseppe Paolo Frisone (spedizioniere di La Spezia e uno dei principali organizzatori dei traffici di auto rubate) e Felice Dell’Eva. Nella circostanza il Frisone segnalava all’interlocutore le notizie diffuse quella sera stessa e riguardanti la cosiddetta “Operazione Arzente Isola”, diretta dall’Autorità Giudiziaria di Messina, concernente traffici internazionali di armi. La conversazione lasciava capire che il Frisone fosse implicato in qualche modo nel traffico di cui alle notizie televisive (…). Giova ricordare, inoltre, che la predetta attività investigativa aveva tratto origine da notizie informative secondo cui il sodalizio sarebbe stato impegnato in un vasto traffico di armi a cui avrebbero partecipato aziende italiane leader nel campo degli armamenti e soggetti appartenenti al sodalizio di stampo mafioso la cui base operativa principale era costituita dall’ormai famoso “Autoparco” di via Salomone a Milano”[134]».[135]

 

Ma è indagando su Francesco Pacini Battaglia che l’inchiesta spezzina si allarga a dismisura, andando ad aprire altri due filoni: uno sugli appalti delle Ferrovie dello Stato per l’Alta Velocità e l’altro sulla presunta corruzione di alcuni magistrati.[136]

17 settembre 1996 – Nell’ambito delle stesse indagini della Procura di La Spezia anche l’imprenditore Pier Francesco Guarguaglini è destinatario di un ordine di custodia cautelare con applicazione degli arresti domiciliari. Guarguaglini è «amministratore delegato della Oto Melara, l’azienda produttrice di sistemi di difesa (artiglieria navale, carriarmati…) passata di recente dall’Efim alla Finmeccanica, ovvero dall’ex ente a partecipazione statale – ormai all’epilogo della liquidazione – ad una delle subholding più importanti del gruppo Iri».[137] Undici giorni più tardi, però, Guarguaglini sarà scarcerato e, dopo appena un mese, autorizzato a tornare al lavoro, dove – come scriverà il giornalista Claudio Gatti su “Il Sole 24 Ore” – «pur nelle sue condizioni d’indagato, fu accolto a braccia aperte da Finmeccanica».[138]

 

20 settembre 1996 – Il dottor Carlo Mastelloni, magistrato della Procura di Venezia, invia al collega spezzino Silvio Franz un plico di documenti dell’inchiesta sul traffico d’armi che aveva coinvolto l’organizzazione palestinese Olp. Nel plico, «da una parte c’era Omar Yahia, che significa i governanti di Paesi “caldi”, dall’altra gli uomini del Sid».[139] Di Yahia parlerà pochi giorni dopo il giornalista Gianluigi Nuzzi:

 

«Negli ambienti diplomatici di New York quel ricevimento del ’74 al Grand Hotel di Roma, se lo ricordano ancora. Si parlava solo di armi. Chi faceva gli onori di casa era Omar Yahia, 65 anni, l’uomo di origine libica che ora, clamorosamente, è rispuntato nelle intercettazioni degli amici di Pierfrancesco Pacini Battaglia. E anche in questi nastri, come vent’anni fa, si organizzano vendite di sistemi di difesa. Di Omar e dei suoi contatti ad altissimo livello (Clinton, Nobili, Andreotti) Pacini Battaglia ne aveva già parlato a Di Pietro nel ’93. Ma per capire chi è, bisogna partire proprio da quel ricevimento. Omar aveva organizzato il Gran Galà in onore del sultano dell’Oman, Muskat. Bisognava suggellare le alleanze con i produttori d’armi e i servizi segreti italiani, il Sid di Vito Miceli. Al ricevimento Omar invita, tra gli altri, il conte Agusta, l’allora presidente della Oto Melara, Gustavo Stefanini, e il generale Miceli. Ai sostituti Franz e Cardino quella riunione interessa parecchio. (…) Yahia ambiva a rappresentare i produttori di armi italiani nell’area del Mediterraneo e nei Paesi degli emirati del Golfo. Da lì Franz e Cardino vogliono ripartire. (…)».[140]

 

22 settembre 1996 – Omar Yahia, il misterioso uomo d’affari libico «mente» del commercio internazionale di armi e punto di riferimento di Francesco Pacini Battaglia, è sotto inchiesta per associazione a delinquere, nell’ambito del filone sul traffico di armi che ha portato i magistrati spezzini a chiedere la custodia cautelare per lo stesso Pacini Battaglia e l’amministratore delegato dell’OTO MELARA, Pierfrancesco Guarguaglini. Lo rivela il quotidiano L’Unità:

 

«Anzi – anche se non c’è alcuna conferma ufficiale – a quanto pare Omar ha finora evitato l’ordine di cattura perché gli inquirenti sanno benissimo che il personaggio risiede al Cairo, è difficilmente raggiungibile e un eventuale mandato internazionale sarebbe difficilmente eseguito. Omar Yehia, infatti, è molto di più di un faccendiere. È uno degli uomini d’affari più potenti nel mondo, pedina fondamentale per essere introdotti nel mondo arabo, legato a servizi segreti, capi di Stato e industrie belliche di molte nazioni. Così potente che – come spiega Pacini Battaglia in una intercettazione – Omar non si “abbassa” nemmeno a chiamare uno sceicco per concludere un affare, ma pretende che sia lo sceicco a rivolgersi a lui. Proprio Yehia è considerato il personaggio chiave della vicenda, dalla quale è emerso uno “spaccato” del commercio internazionale di armi che, nonostante gli impegni della Comunità internazionale e le leggi dei singoli Stati, continua ad avvenire in maniera illegale, aggirando gli embarghi e alimentando le mire degli imprenditori del settore e dei loro potentissimi mediatori. In pratica, ritengono gli inquirenti, dalle indagini potrebbe emergere che l’embargo non sia stato violato solo per la Bosnia. No. Che siano stati violati sistematicamente tutti gli embarghi, se questi impedivano la conclusione di qualche buon affare. E infatti particolare attenzione viene prestata ad una frase pronunciata lo scorso 9 gennaio da Pacini Battaglia nel corso di una sua conversazione con Omar: “Dove? E’…è laggiù.. non è ancora andata giù… no, perché è ancora lì bloccato perché siamo tutti con gli embarghi, tanto te guardami…”. Cosa vuol dire quella frase? Il sospetto è che Omar abbia chiesto al suo interlocutore l’esito di qualche affare, sentendosi rispondere che «ancora» non era andato in porto perché c’era l’embargo. Quell’“ancora” potrebbe significare che si stava studiando come superare gli ostacoli. Come aggirare gli embarghi. Ad esempio, un manager del settore che rispettasse scrupolosamente le leggi non direbbe – a proposito di una fornitura di armi alla Bosnia – che l’affare è ancora bloccato. Direbbe più semplicemente che l’affare non è possibile, perché – appunto – è in vigore l’embargo. Proprio su questi punti gli uomini dello Scico della Finanza sperano di poter capire qualche cosa di più. Il nervosismo non manca, proprio perché tra gli investigatori c’è la consapevolezza di aver toccato interessi enormi. Qui non si tratta di una semplice organizzazione criminale. Qui si tratta di interessi militari, di Stati, di servizi segreti, di diplomazie sotterranee, di commesse per centinaia di miliardi. Non a caso, dagli atti, sono saltati fuori i nomi di imprenditori, ministri, generali o personaggi, come Michel Coren, legati ai servizi segreti israeliani. Ad esempio, in una conversazione dello scorso 17 gennaio, Guarguaglini, a proposito di una trattativa con il Kuwait, dice: “Uno dei servizi c’è già stato… ieri e oggi… e il capo… cioè secondo me ci va la settimana prossima”. Parole utili per comprendere quali fossero gli ambienti interessati a quelle trattative. “Questa storia delle armi chissà dove ci porterà – commentava ieri mattina un investigatore della Finanza – speriamo solo di non finire sopra una mina”. Nell’inchiesta, come detto, compaiono anche i nomi di una serie di persone, come l’ex ministro Corcione, l’ex sottosegretario alla Difesa, Silvestri, ambasciatori e addetti militari, nonché il presidente della Finmeccanica, Fabiano Fabiani. Nessuno di loro risulta iscritto nel registro degli indagati. Il problema, sanno i giudici, non è quello di commerciare armi con paesi non sottoposti ad embargo. Il problema è che quel tipo di commercio deve sottostare a norme precise. Possono trattare solo le persone autorizzate. Per cui un ministro che aiuta un’azienda italiana a vendere i propri prodotti all’estero fa il suo dovere. Sarebbe censurabile, però, se fosse a conoscenza che i veri motori della trattativa sono due faccendieri internazionali che si attivano tramite canali illegali».[141]

 

22/29 settembre 1996 – Sulla stampa iniziano a comparire i dettagli dell’inchiesta della Procura di La Spezia sui presunti traffici di armamenti e sul possibile coinvolgimento in essi di organizzazioni criminali di stampo mafioso:

 

«I missili e i carri armati della Oto Melara potrebbero essere arrivati in Bosnia alla fine del ’95, quando il paese era in guerra e la vendita di armi vietata. Grazie ai buoni uffici di uomini d’affari libici e israeliani, ma anche di ministri e generali italiani, Guarguaglini e Pacini Battaglia avrebbero chiuso accordi per commesse di armi con il Kuwait, il Perù, lo Sri Lanka, l’Algeria, l’Est europeo – commesse spesso inviate in violazioni di leggi o accordi internazionali. Un altro filone dell’inchiesta porta invece a Catania e Messina: si parla di legami fra l’azienda di armi e membri del clan Santapaola, la cui base operativa era costituita dall’ormai celebre autoparco di via Salomone a Milano.

La Bosnia.

Nell’inchiesta della procura della Spezia su presunti traffici di armi che avrebbero avuto per protagonista la Oto Melara, ci sono tracce di una possibile violazione da parte dell’Italia dell’embargo di armi alla Bosnia. I magistrati parlano di “verosimili forniture alla Bosnia” avvenute alla fine del ‘ 95 con il metodo delle triangolazioni. Nelle novanta pagine dell’ordinanza si analizzano una serie di presunte vendite illegali a paesi esteri avvenute tra la fine del 1995 e l’inizio di quest’anno. I giudici evidenziano “la commistione tra rappresentanti delle istituzioni italiane e ‘faccendieri’ nell’accaparramento delle commesse di armamenti”. E tra i faccendieri, un ruolo di primo piano nella vicenda viene attribuito a Michel Coren, indicato come “capo dei servizi segreti israeliani”, che dalle intercettazioni risulta essere stato un intermediario per la vendita di armi a paesi dell’Est europeo e mediorientali. Compito analogo avrebbe rivestito “Omar” (si tratterebbe di Omar Yahia, che già mediò per la costruzione della seconda tratta del gasdotto algerino realizzato dall’Eni, facendo transitare una tangente di 21 milioni di dollari).

Il Kuwait.

Nel ripercorrere vari affari ritenuti illeciti, i magistrati sottolineano come “i rappresentanti governativi italiani siano ‘sensibili’ alle sollecitazioni dei responsabili delle aziende da cui dipende il comparto militare e come queste utilizzino qualunque strumento per raggiungere i propri scopi”. L’affermazione viene documentata riportando un’ intercettazione del 12 gennaio 96 tra Guarguaglini e Zappa, nella quale sono citati Corcione, Fabiani e l’ ambasciatore Liotta, che avrebbero dovuto sbloccare una vendita di armi all’ emirato. Guarguaglini: “Ti volevo dire: io ho parlato con Fabiani, Fabiani ha parlato col ministro (della difesa Corcione) e il ministro ha detto che uno dei due glielo spedisce giù… uno dei due sottosegretari… però giustamente Fabiani dice: ma questo non può incontra’ … no? Allora gli sto preparando l’appunto… poi ho telefonato a Francis (Pierfrancesco Pacini Battaglia)… comunque io ero rimasto d’ accordo con Omar che gli telefonavo domani, comunque Francis oggi telefona… ora, siccome torno da Fabiani… non so forse dovrò telefonare io a Liotta e dirgli: guardi Fabiani s’è messo d’accordo con il ministro”. La commessa (torrette per carri armati), grazie all’ intervento di Coren e Omar Yahia, sarebbe andata alla Oto Melara che avrebbe battuto la concorrenza straniera elargendo tangenti: si parla di un 7% ad uno sceicco e di un 5% “ai suoi amichetti militari”.

Il Perù.

La vicenda del Perù, per l’accusa, sarebbe esplicativa di un meccanismo di vendita di armi dietro corresponsione di tangenti “a coloro che detengono il potere decisionale in quei paesi”. Nell’ottobre 95 l’organizzazione si sarebbe attivata per modificare una decisione sui compensi di intermediazione presa dal nuovo ambasciatore italiano in Perù, Vinci Gigliucci. Il diplomatico aveva ritenuto congrua una quota del 3-5%, ribaltando quella che secondo i magistrati era una prassi che prevedeva quote del 15%. “Subito si mettevano in moto funzionari e responsabili dell’Oto Melara – scrivono i giudici – che, attraverso ripetuti colloqui con i responsabili sul controllo degli armamenti del ministero degli Esteri e interventi presso l’ambasciatore”, riportavano la percentuale al 15%. L’antieconomicità della trattativa (838 mila dollari di intermediazione, su una commessa di 5,8 milioni di dollari), evidenzia per l’accusa come “le percentuali di intermediazione altro non siano se non un artificio per erogare tangenti”.

India e Sri Lanka.

Gli investigatori hanno ricostruito vari casi di aggiramento della normativa sulle armi tramite i metodi end user (non far risultare nelle autorizzazioni il vero paese destinatario, ma uno intermedio per il quale non esistono divieti) e final use (esportazione di prodotti il cui uso dichiarato non è quello che sarà poi l’ uso militare definitivo). Un caso di end user sarebbe stata la progettata fornitura all’ India da parte dell’Oto Melara di pezzi di ricambio della svedese Bofors (aggirando un embargo in vigore tra i due paesi), simulando un contratto di manutenzione. Si parla poi di una triangolazione di armi che, ufficialmente destinate alla Malesia, sarebbero arrivate in Sri Lanka.

La mafia.

Le indagini del GICO della Guardia di finanza di Firenze hanno fatto emergere contatti con la mafia siciliana. Gli atti delle indagini dei finanzieri toscani son stati trasmessi alla Dda di Catania, che li ha inseriti in un’inchiesta che ha già portato all’arresto di un uomo d’affari messinese, Felice Battaglia [Filippo Battaglia, nda] e (…), “per un traffico di armamenti a cui erano interessate le società Oto Melara, Breda e Agusta”. Al centro dell’indagine era finita subito la figura di Rosario Cattafi, un imprenditore di Barcellona Pozzo di Gotto (Messina) coinvolto nell’inchiesta dell’autoparco, che viene ritenuto “legato alla criminalità mafiosa da molto tempo, dopo aver militato in gioventù in organizzazioni terroristiche”. “Cattafi era inserito a pieno titolo nel commercio illecito delle armi e degli armamenti nella sua qualità di appartenente alla famiglia mafiosa capeggiata da Nitto Santapaola, potendo anche disporre di coperture e connivenze all’ interno dell’apparato statale”».[142]

 

«Mafia, tangenti, fondi neri. L’industria delle armi non è fatta per attrarre le simpatie del grande pubblico, e non le ha mai attratte. Ma, nel pentolone scoperchiato dall’inchiesta di La Spezia sugli intrecci affaristici di Pier Francesco Pacini Battaglia con Lorenzo Necci e le Ferrovie, da una parte, il vertice di una delle maggiori industrie militari italiane, l’Oto Melara (ieri Efim, dal 1994 nella Finmeccanica di Fabiano Fabiani), dall’altra, si agitano cose che, con il giudizio morale sul prodotto – missili o mitragliere “da spalla” – non hanno niente a che vedere. L’inchiesta, anzi le inchieste, sono in corso. Ma il dubbio è posto: come funziona davvero il mercato dell’industria militare? In parte, c’è un vizio di origine. Il settore, dicono gli addetti ai lavori, ha almeno un punto di contatto con un altro ramo, finito spesso sotto il microscopio delle inchieste giudiziarie: il petrolio. In un caso o nell’altro, l’interlocutore dall’altra parte del tavolo è un governo. E il linguaggio troppo spesso è quello delle tangenti: il 5, il 10, il 15 per cento dell’affare. In nero. Estero su estero, come dicono nelle banche. Con fondi che, in bilancio, non possono stare perché nessuno saprebbe come giustificarli. Fino alla fine degli anni ’80, quello dei “mercanti di morte” (come li chiamavano i pacifisti), anche di quelli italiani, era un commercio ricco e fiorente, disinvolto, certo, ma in larga misura alla luce del sole. Poi, come un ciclone, è arrivata la fine della guerra fredda. Basta con la corsa al riarmo di potenze grandi, medie e piccole, a occidente come ad oriente. Basta, anche, con guerre e guerricciole alimentate dalle due superpotenze. Ma anche progressiva scomparsa dei regimi militari disposti a svenarsi per un po’ di elicotteri o di carri armati. Sul mercato arrivano concorrenti inaspettati, pronti a liquidare, a prezzi stracciati, gli arsenali degli eserciti dell’Europa dell’Est. E, intanto, i governi occidentali varano legislazioni sempre più restrittive sull’export di armi. Beffa finale, all’industria militare vengono sottratti i clienti più disponibili, quelli che la guerra la fanno o la vogliono fare: nel nuovo clima internazionale, si moltiplicano le misure di embargo. Non si possono vendere armi all’Iraq, all’Iran, a Bosnia e Serbia, ma neanche a Sri Lanka. Il commercio alla luce del sole non basta più: accanto ad esso si allarga il traffico, illegale o direttamente criminale. Contro gli embarghi, l’industria militare, piccola e grande, ha sempre lottato in Italia come altrove. Negli anni ’80, le inchieste giudiziarie hanno sfiorato gruppi come la Fiat, per la vendita di mine antiuomo della Valsella, una partecipata del gruppo torinese, all’Iraq e investito l’inglese Matrix, sempre per vendite vietate all’Iraq. Ma, adesso, la concorrenza è ancora più dura. Fra il 1987 e il 1993, secondo una stima del Dipartimento della Difesa americano, il mercato delle armi si è ridotto del 70 per cento. Lo studio riguarda i volumi finanziari degli scambi: dove prima giravano 100 dollari, oggi ne girano 30. E saranno sempre di meno. Accaparrarseli diventa sempre più difficile. Occorre avere alle spalle governi capaci di far valere il loro peso economico, politico, militare. Occorre anche, in un mercato dominato da strumenti sempre più sofisticati (bombe intelligenti, missili autoguidati, aerei invisibili), una qualità tecnologica superiore a quella dei concorrenti. E, infatti, metà di quei 30 dollari li intascano le imprese americane. L’industria militare italiana non è roba piccola. In tutto, le ditte autorizzate ad esportare armamenti sono 172. Fra le 15 imprese che più hanno esportato nel 1995, sette sono dell’arcipelago Iri e tre di quello Fiat: Fincantieri, Finmeccanica, Agusta, Oto Melara, Italtel, Alenia, Omi per il primo; Fiat Avio, Simmel, Componenti per la seconda. Ma il settore continua a perdere terreno sul mercato internazionale. Negli anni ’80, esportavamo armi, ogni anno, per 4-5 mila miliardi di lire. Negli anni ’90 siamo crollati alla metà e, nel 1995, è andata ancora peggio: 1.680 miliardi, secondo la relazione che il governo, nel marzo scorso, ha presentato al Parlamento. Frutto, dicono le imprese, di un governo e di una diplomazia che, al contrario di quanto avviene in Inghilterra, Francia, Germania, non sanno pesare nelle trattative. Anche la Spagna, sottolineano, ci ha superato. Ma la colpa è anche, ribatte il governo, di un’industria che perde colpi. Solo una commessa su 10, dice la relazione al Parlamento, vale più di 3 miliardi. E ne ricava che il grosso dei contratti riguarda “componenti e parti di ricambio di limitato contenuto tecnologico” e solo pochissimi “sistemi d’arma nuovi e completi”. Come sopravvive l’industria italiana a questa crisi? Ridimensionandosi. Ma l’inchiesta della Procura di La Spezia sulla Oto Melara, insieme a quelle di altre Procure, come Messina e Catania, fornisce un’altra inquietante risposta. E’ presto per sapere se i magistrati hanno ragione, se le loro accuse reggeranno alle contestazioni della difesa e al giudizio del tribunale. Ma le 90 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare nei confronti dei dirigenti dell’Oto Melara non si limitano a portare sotto i riflettori faccendieri come Francesco Pacini Battaglia (il “Francis Drake” delle intercettazioni effettuate a Pier Francesco Guarguaglini, amministratore delegato dell’Oto Melara). Individuano, quanto meno, come una grossa impresa – lo abbia fatto o meno davvero la Oto Melara – può scivolare dal commercio legale di armi al traffico, illegale, perché contro le disposizioni di legge, e criminale, perché effettuato in associazione con organizzazioni criminali. All’estremo opposto del commercio legale di armi, spinto dalle pressioni dei governi e dalle capacità tecnologiche, c’è il traffico clandestino, in cui a fare da dettagliante c’è la mafia. L’ inchiesta di La Spezia si collega a quelle in corso a Messina e Catania su un traffico che ruota intorno a Rosario Cattafi, legato all’ambiente mafioso dell’Autoparco di via Salomone a Milano e, più specificamente, al clan catanese di Nitto Santapaola. Secondo gli investigatori, il traffico passava per il porto di La Spezia. Ufficialmente si trattava di container che contenevano prodotti lavorati in vetro. In realtà, nei cassoni c’erano armi ed esplosivi che arrivavano soprattutto, via la ex Jugoslavia, dalla Bulgaria. A La Spezia, però, nessuno ispezionava i container. La merce, infatti, non veniva sdoganata, ma inviata negli Stati Uniti. Di qui, tornava in Germania, da dove veniva distribuita in Europa. Perché questo ozioso giro dell’oca? Perché la merce che arriva dagli Stati Uniti viene sottoposta a controlli meno scrupolosi di quella che proviene dai paesi dell’Est. Ma dentro, dicono gli investigatori, non c’erano solo armi bulgare. C’era anche merce targata Oto Melara, Breda, Agusta, tre aziende Finmeccanica, del gruppo Iri. E dicono di più. L’Oto Melara, dicono, lo sapeva. Fra gli arrestati dell’inchiesta di Catania c’è Domenico Maria Ripa, dirigente dell’Oto Melara, che cura l’area Africa dell’azienda. I magistrati hanno contato 80 telefonate fra Rosario Cattafi e Ripa e un’altra ventina fra lo stesso Ripa e un altro degli indiziati di Catania, Filippo Battaglia, non solo a casa, ma anche in ufficio. Dalle intercettazioni effettuate, gli investigatori hanno tratto la convinzione che Ripa non teneva questi contatti regolari per iniziativa personale, ma “in esecuzione – sostiene l’ordinanza di La Spezia – di un preciso disegno avallato e perpetrato quanto meno dai vertici aziendali”. Scarcerato a Catania, Ripa è tornato alla sua scrivania all’Oto Melara, con le stesse funzioni di prima. E, in questa veste, è tornato in carcere, insieme agli altri dirigenti dell’azienda, per rispondere non più di spedizioni clandestine, ma di traffico illegale. Del resto, un’azienda delle dimensioni di quella spezzina (130 miliardi di esportazioni l’anno scorso) ha bisogno di ben altro ossigeno. E, se i magistrati di La Spezia hanno ragione, questo ossigeno veniva trovato aggirando ripetutamente, o cercando di aggirare, la legge sul commercio delle armi del 1990, in un vortice di bustarelle e fondi neri».[143]

 

5 ottobre 1996 – Francesco Pacini Battaglia viene interrogato dai Pm di La Spezia Alberto Cardino e Silvio Franz. Il quotidiano La Repubblica lo rivela il giorno successivo: «Pacini Battaglia ha risposto, per due ore e mezzo, solo su armi, su contratti internazionali, bilanci e mediatori d’affari, come Omar Yayà (o Yheà, o Yejà), personaggio che sembra nascere da un film di 007, ma è ben reale e presente nei mercati internazionali. Di Omar non si conosce bene il cognome, ma è anche noto l’indirizzo, in un albergo svizzero, dove un intero piano è presidiato dai suoi uomini, e i servizi segreti di mezzo mondo hanno i codici del suo aereo privato, un Falcon nero, che sfreccia soprattutto lungo le rotte del Mediterraneo. Come riassume Giuseppe Lucibello, l’avvocato del banchiere con cittadinanza svizzera ed eloquio toscano, “abbiamo spiegato, in termini di estraneità, il suo ruolo in un traffico d’armi. Traffico che non c’è”. (…) Loro [i pm Cardino e Franz, nda] leggono le intercettazioni, lui ne spiega il senso. E la sua difesa si integra con quella di Pierfrancesco Guarguaglini, l’amministratore delegato Oto Melara, che ha raccontato di aver conosciuto Pacini a un ricevimento e di averlo utilizzato come banchiere. Esattamente come gli aveva indicato Omar Yayà, uomo fondamentale per poter vendere o comprare qualsiasi macchinario pesante nel Medio Oriente e nei Paesi arabi».[144]

 

7 ottobre 1996 – I Gip di La Spezia Maria Cristina Failla e Diana Brusacà, nell’ambito dell’indagine relativa ai traffici di armi, revocano l’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Francesco Pacini Battaglia e l’interdizione dall’esercizio professionale a tre dirigenti della OTO MELARA, tra cui Domenico Maria Ripa. Scriverà La Repubblica: «Di sicuro, l’attenzione degli inquirenti si sta concentrando sull’inchiesta sulla cooperazione, dalla quale Chicchi Pacini Battaglia si vantava di essere riuscito a sgattaiolare senza danni, e dalla quale sosteneva di aver salvato il mediatore internazionale Omar Yaya. Omar Yaya è uno dei protagonisti del filone d’indagine sulle vendite di armi, che sembra ora ridimensionarsi».[145]

18 ottobre 1996 – I giudici di La Spezia si pronunciano sulla posizione di Francesco Pacini Battaglia e di Pierfrancesco Guarguaglini nell’indagine sul traffico di armi. Secondo i giudici genovesi, «non emerge alcun elemento relativo a trattative per il commercio d’armi condotte autonomamente dal Pacini Battaglia», mentre di Guarguaglini scrivono che era soltanto «un ausiliatore». Dopo aver analizzato i fatti, i giudici sosterranno che «in presenza di una tale situazione e in mancanza di gravi indizi circa la realizzazione di un solo reato scopo specifico non possono dirsi sussistenti gravi indizi di un’associazione per delinquere». Rimarranno in ballo, a carico di Pacini Battaglia, solo le violazioni delle regole per l’esportazione.[146]

 

8 novembre 1996 – Il comandante del GICO di Firenze, il colonnello Giuseppe Autuori, firmatario della “famosa” informativa del GICO di Firenze del 3 aprile 1996 incentrata sulla figura di Rosario Cattafi e sul suo possibile coinvolgimento nel presunto traffico di armi da aziende dell’industria bellica italiana, viene rimosso dal suo incarico. Qualche giorno prima, Autuori aveva avuto un colloquio con un cronista di La Repubblica, al quale avrebbe comunicato alcuni elementi delle indagini ancora in corso.[147]

 

26 novembre 1996 – Le inchieste condotte dai magistrati di La Spezia Alberto Cardino e Silvio Franz, a causa del presunto coinvolgimento di magistrati della Capitale, vengono trasferite per competenza alla Procura di Perugia. Rimane ai due Pm della Procura di La Spezia la titolarità delle indagini riguardanti il traffico di armi.

 

21 luglio 1997 – I Pubblici Ministeri della Procura di Catania, Mario Amato e Nicolò Marino, chiudendo le indagini dell’inchiesta “Operazione Andalusia” sulle vendite di armamenti, avanzano richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di Felice Cultrera, Gianni Meninno, Filippo Battaglia, Aldo Maria Papalia, Walter Beneforti, Ascenzio Elios Curcio, Domenico Maria Ripa e Lionello Rossi.

 

2 settembre 1997 – Lo SCICO della Guardia di Finanza di Roma firma un’informativa che invia alla Procura di Reggio Calabria, nella quale vengono riportati i risultati delle indagini sul traffico telefonico in entrata e uscita, tra il 1992 e il 1995, delle utenze intestate e/o in uso ad Angelo Giorgianni e a Franco Langher, i magistrati del distretto di Messina che, negli anni 1992-1993, avevano diretto l’indagine nei confronti di Filippo Battaglia (quale presunto trafficante internazionale di armi strettamente collegato ai noti Rosario Spadaro e Rosario Cattafi) e l’indagine avviata nei confronti di Eraldo Luxi (quale Presidente del Consorzio dell’Autostrada Messina-Catania).

 

1 ottobre 1997 – Lo Scico della Guardia di Finanza di Roma redige e invia una seconda informativa alla Procura di Reggio Calabria, contenente approfondimenti sui «numeri telefonici risultati in contatto sia con gli indagati dell’operazione “Arzente Isola” (Cattafi Rosario, Battaglia Filippo e Luxi Eraldo), sia con i magistrati incaricati delle relative indagini, Giorgianni Angelo e Langher Franco».[148]

 

8 ottobre 1997 – Alberto Cardino lascia la Procura di La Spezia e si trasferisce al Tribunale della stessa città, con funzioni di giudice.[149]

 

Primi mesi 1998 – La Procura di Reggio Calabria, in un’audizione innanzi alla Commissione parlamentare antimafia, comunica di star «indagando su diversi episodi che vedono coinvolti i magistrati di Messina (…). Anche nella inchiesta del ’93 sul traffico d’armi, i sostituti Langher e Giorgianni si sono fermati solo all’invio di quattro avvisi di garanzia nei confronti di quattro indagati. Adesso l’Antimafia è stata messa al corrente che i sostituti Langher e Giorgianni conversavano dai loro cellulari con alcuni indagati della loro inchiesta e della inchiesta di La Spezia (si fanno i nomi di Pacini Battaglia e di Filippo Battaglia)».[150] Le carte dell’inchiesta, arrivate da La Spezia, finiranno proprio sul tavolo di Langher, che, prima di trasmetterle alla procura competente di Reggio Calabria, aggiungerà una propria nota difensiva.[151]

 

10 marzo 1998 – La Procura di La Spezia chiede l’archiviazione dell’indagine sul traffico di armamenti a carico di Pier Francesco Guarguaglini e Francesco Pacini Battaglia, richiesta di archiviazione che i giudici accoglieranno. Secondo i giudicanti, «il proposito di Pier Francesco Guarguaglini non risulta abbia mai avuto concreta esecuzione, concernendo le conversazioni intercettate e riportate nella nota dello Scico, solo espressione di intenti futuri e ancora generici».[152] Quindi, per i giudici, Pacini Battaglia e Guarguaglini avevano «sì creato una rete di società alle quali contavano di far avere commesse del gruppo Finmeccanica, ma il piano era rimasto sulla carta».[153] Poco dopo a Francesco Guarguaglini sarà affidata la direzione di tutto il comparto difesa di Finmeccanica.

 

19 marzo 1998 – Il sostituto procuratore Franco Langher smentisce «qualsiasi suo contatto con persone sospette», facendo presente che, «già nel ’96, proprio lui aveva chiesto alla procura di Reggio Calabria di intervenire nelle indagini sul traffico di armi con una nota riservata inviata al procuratore di Messina, Antonino Zumbo». Nella nota, scriverà La Repubblica, «si parlava esplicitamente dei sospetti sulle telefonate a suo carico e ne forniva spiegazioni. Ma – hanno detto ieri alcuni componenti della Commissione Antimafia – il procuratore Zumbo, anziché spedire la nota del suo sostituto alla Procura di Reggio Calabria, se l’è tenuta nel cassetto».[154]

 

2000 – L’indagine aperta sul magistrato Franco Langher, a seguito dei suoi contatti con indagati delle inchieste che lui stesso stava conducendo, è archiviata.[155] Della posizione di Angelo Giorgianni non si avrà evidenza pubblica.[156] Verosimilmente il nome di Giorgianni non sarà stato iscritto nel registro degli indagati o anche per lui sarà stata richiesta l’archiviazione.

 

2002 – Pierfrancesco Guarguaglini diventa presidente di Finmeccanica.[157]

 

1 ottobre 2003 – La prima sezione penale del Tribunale di Catania, nell’ambito del procedimento denominato “Operazione Andalusia”, assolve (con la formula “il fatto non sussiste”) Filippo Battaglia, Felice Cultrera, Walter Beneforti, Gianni Mennino e Aldo Maria Papalia dall’accusa di avere gestito una vendita  internazionale d’armi con Paesi extracomunitari non autorizzata. I reati contestati, ritenuti non fondati dai giudici del Tribunale, erano «intermediazioni illecite in traffico d’armi internazionale, truffa e ricettazione di moduli di certificati di deposito falsi. Gli imputati erano, per la maggior parte, intermediari finanziari che operavano anche nel settore dell’acquisto di armi prodotte in Italia e rivendute a Paesi del Nord Africa e del Sud America. Le indagini, svolte dallo Sco con supporti del Sisde e dell’Audencia Nacional spagnola, furono avviate nel marzo 1992 per individuare presenze all’estero di Santapaola e Cosa Nostra. Nell’inchiesta erano confluiti anche dati istruiti dalla Dda di Messina».[158]

 

11 ottobre 2003 – Un comunicato ufficiale dell’ufficio stampa del Comune di Messina annuncia la visita di una delegazione del governo del Venezuela, appena giunta in Italia, guidata dall’intermediario Filippo Battaglia. La delegazione sarà subito ricevuta a Palazzo Zanca dal Presidente del Consiglio Comunale Umberto Bonanno e, successivamente, si recherà ai Cantieri Navali Rodriquez, accolta «dall’avvocato Aldo Cuzzocrea, presidente allora della Rodriquez Engineering, per definire le trattative, seguite appunto da Battaglia per la Rodriquez, in Venezuela, con il governo di Hugo Chavez, relative alla fornitura di acquastrada e pattugliatore guarda costa, che il cantiere Rodriquez costruiva per la Marina Militare Italiana, e per le possibili intese su una joint venture con la società Dianca, cantiere della Marina Militare Venezuelana».[159]

 

2 dicembre 2004 – Il giudice del Tribunale di Messina Alfredo Sicuro mette definitivamente la parola “fine” al procedimento sulla vendita di armamenti denominato “Arzente Isola”: vengono archiviate le posizioni, tra gli altri, di Filippo Battaglia, Rosario Cattafi, Felice Cultrera, Kweder Abdullatif e Rosario Spadaro. Il Giudice per le indagini preliminari, nel decreto di archiviazione, scrive che, nei confronti degli indagati, «gli spunti investigativi ampiamente sviluppati in atti giustificano per lo più elementi di sospetto, connessi a rapporti con individui sicuramente inseriti in consorterie mafiose, ma non consentono di sostenere accuse in giudizio, né per il reato associativo, né per altri fatti determinati; che le intercettazioni disposte non hanno fornito elementi rilevanti nei confronti dei suddetti indagati; che non si individuano spunti investigativi concretamente esplorabili che consentano di ragionevolmente arricchire il quadro degli elementi acquisiti nel corso dell’indagine».[160]

 

2007 – 2011 –  Filippo Battaglia acquisisce precedenti di polizia per, nel 2007, traffico internazionale di armi  (poiché «poneva in essere trattative contrattuali per l’esportazione di materiale d’armamento, nella fattispecie imbarcazioni militari destinate al Venezuela») e, nel 2011, per associazione per delinquere ed estorsione aggravata (Battaglia sarà tratto in arresto nell’ambito del procedimento penale nr. 14109/11, insieme a Gallace Antonio + altri) e per omicidio colposo e insolvenza fraudolenta.[161]

 

[1]     ‘FINMECCANICA e le sue favorite’, Claudio Gatti, Il Sole 24 Ore, 15 aprile 2011.

[2]     Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, Nr. 109/U.G. di prot., procedimento penale nr. 876/95/21-3, 3 aprile 1996.

[3]     “I Padrini del Ponte”, Antonio Mazzeo, Ed. Alegre, 2010. Pag. 95; cfr. “La trattativa. Mafia e Stato: un dialogo a colpi di bombe”, Maurizio Torrealta, Editori Riunioni, 2002, pag. 126.

[4]     Ibidem.

[5]                 Il documento sarà rinvenuto durante una perquisizione eseguita a Messina nel 1993.

[6]     Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[7]                 Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[8]                “Cosa Nostra a Messina: il figlio del boss Cattafi difensore del Centro Pio La Torre”, Davide Milosa, ilfatto-quotidiano.it, 21 ottobre 2013

[9]     Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[10]   La società che avrebbe dovuto occuparsi della costruzione del ponte sullo stretto di Messina.

[11]             Tribunale di Reggio Calabria, Ordinanza di applicazione di misure cautelari nei confronti di Siracusano Salvatore + 22, cit., p. 262. Cfr anche “I Padrini del Ponte”, Antonio Mazzeo, Ed. Alegre, 2010.

[12]             Cfr. ‘Politici, funzionari e imprenditori tra i 57 indagati della Dda’, G. Lazzaro, “Gazzetta del Sud”, 10 maggio 2007. Cfr anche “I Padrini del Ponte”, Antonio Mazzeo, Ed. Alegre, 2010.

[13]              Cfr “I Padrini del Ponte”, Antonio Mazzeo, Ed. Alegre, 2010.

[14]             Incarichi governativi di Dino Madaudo: nella 10^ Legislatura: Governo De Mita – 13.4.1988 sottosegretario alle Finanza; 6° Governo Andreotti – 27.1.1989 sottosegretario alle Finanze; 7° Governo Andreotti – 12.4.1991 sottosegretario alle Finanze; nella 11^ Legislatura: Governo Amato – 28.6.1992 sottosegretario alla Difesa.

[15]   Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[16]   Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[17]   I virgolettati e le informazioni di questo capoverso sono tratti dall’informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[18]           “Trattativa Stato-mafia: il 41 bis in vacanza a Taormina”, Fabio Repici, ilGuastatore.it, 18 dicembre 2014.

[19]           “Trattativa Stato-mafia: il 41 bis in vacanza a Taormina”, Fabio Repici, ilGuastatore.it, 18 dicembre 2014.

[20]           “Trattativa Stato-mafia: il 41 bis in vacanza a Taormina”, Fabio Repici, ilGuastatore.it, 18 dicembre 2014.

[21]   Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[22]   Ibidem.

[23]   Ibidem.

[24]   Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[25]   Ibidem.

[26]   Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[27]   Ibidem.

[28]   Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla Procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[29]   Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[30]   “I Padrini del Ponte”, Antonio Mazzeo, Ed. Alegre, 2010. Pag. 96.

[31]           ‘Siamo sicuri che Silvio verrà?’, A. Carlucci, “L’Espresso”, 3 febbraio 1995.

[32]           Tribunale di Catania – Ufficio del giudice per le indagini preliminari, Ordinanza custodia cautelare in carcere nei confronti di Cultrera Felice + 8, N. 6975/93, Catania, 5 maggio 1995, pp. 77-78. Cfr anche “I Padrini del Ponte”, Antonio Mazzeo, Ed. Alegre, 2010.

[33]             Cfr. Gazzetta del Sud, 24 luglio 1986. Cfr anche “I Padrini del Ponte”, Antonio Mazzeo, Ed. Alegre, 2010.

[34]   Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[35]   Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[36]     Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[37]             Informativa dello SCICO della Guardia di Finanza di Roma alla Procura della Repubblica di Reggio Calabria, nr. 22339/I di prot., proc. pen. nr. 2726/96 RG atti, 2 settembre 1997.

[38]             Informativa dello SCICO della Guardia di Finanza di Roma, 2 settembre 1997.

[39]   Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[40]   Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[41]   Ibidem.

[42]   Ibidem.

[43]   Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[44]   Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[45]   Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[46]   Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[47]   Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996; Informativa del Servizio Centrale Antiterrorismo dell’1 aprile 2016; informativa dello Scico della Guardia di Finanza di Roma, 2 settembre 1997.

[48]             Nota della DIGOS di Messina del 26 luglio 1995.

[49]           Nota della DIGOS di Messina del 26 luglio 1995.

[50]   Informativa del Servizio Centrale Antiterrorismo dell’1 aprile 2016.

[51]           Nota della DIGOS della Questura di Messina, 21 aprile 1993.

[52]           Nota cat. A4.95 della Questura di Messina, datata 26 luglio 1995, avente come oggetto: “Notizia stampa su traffico armi apparse su Liberazione” (allegato 2).

[53]             Informativa dello Scico della Guardia di Finanza di Roma, 2 settembre 1997.

[54]     Informazioni e virgolettati tratti dall’Informativa dello Scico della Guardia di Finanza di Roma, 2 settembre 1997.

[55]           Informativa dello Scico della Guardia di Finanza di Roma, 2 settembre 1997.

[56]           Informativa dello Scico della Guardia di Finanza di Roma, 2 settembre 1997.

[57]           Informativa dello Scico della Guardia di Finanza di Roma, 2 settembre 1997.

[58]           Tra il 29 febbraio 1992 e il 3 gennaio 1994, l’utenza intestata alla “Accountants srl” chiamerà 73 volte due utenze intestate a Franco Langher. Tra il 29 febbraio 1992 e il 30 agosto 1992 sarà l’utenza in uso a Franco Langher a chiamare per 30 volte l’utenza intestata alla “Accountants srl” e un’altra utenza in uso a Langher chiamerà l’“Accountants srl” per una volta il 13 agosto 1994 (Cfr. Informativa dello Scico della Guardia di Finanza di Roma, 2 settembre 1997).

[59]           Le informazioni e i virgolettati dei tre capoversi sono attinte dall’informativa dello Scico della Guardia di Finanza di Roma del 2 settembre 1997.

[60]           Informativa dello Scico della Guardia di Finanza di Roma, 2 settembre 1997.

[61]     Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[62]     Informativa ex art. 347 cp del Comando Gruppo della Guardia di Finanza di Messina alla Procura di Messina, 4 settembre 1992, ripresa nell’informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[63]     Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[64]     Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[65]     Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[66]     Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[67]     Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[68]     Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[69]     Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[70]     Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[71]     Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[72]     Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[73]               Nota della Direzione Investigativa Antimafia nr. 125/RM6/H2-24/6937 di prot. del 31 agosto 1995, citata nel libro “I Padrini del Ponte”, Antonio Mazzeo, Ed. Alegre, 2010.

[74]   Missiva del Pm di Messina Franco Langher ai Pm di Catania Bertone e Marino del 3 febbraio 1993, citata nella Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[75]   Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[76]   Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[77]     Informazioni e virgolettati tratti dalla informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[78]     Informazioni e virgolettati tratti dalla informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[79]     Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[80]     Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[81]     Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[82]     Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[83]     Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[84]     La notizia sarà pubblicata sulla stampa l’1 luglio 1993. Cfr. Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[85]     La notizia sarà pubblicata sulla stampa il 2 luglio 1993. Cfr. Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[86]     Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[87]     Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[88]     Fabio Repici, “La peggio gioventù: vita nera di Rosario Pio Cattafi”, AntimafiaDuemila.com, 9 novembre 2012.

[89]     Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[90]     Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[91]     Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[92]     Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[93]     Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[94]               «In libertà il direttore amministrativo», Gazzetta del Sud, 3 settembre 1993.

[95]     Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[96]     “Caso Finmeccanica, perquisito il manager Moncada, ‘il grande burattinaio’”, Redazione ilfattoquotidiano.it, 3 luglio 2012.

[97]               “Trattativa Stato-mafia: il 41 bis in vacanza a Taormina”, Fabio Repici, ilGuastatore.it, 18 dicembre 2014.

[98]     “La peggio gioventù: vita nera di Rosario Pio Cattafi”, Fabio Repici, AntimafiaDuemila.com, 9 novembre 2012.

[99]     Informazioni e virgolettati tratti dall’Informativa dello Scico della Guardia di Finanza di Roma, 1 ottobre 1997.

[100]    Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[101]    Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[102]    Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[103]    Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[104]    Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[105]    Informativa dello Scico della Guardia di Finanza di Roma, 1 ottobre 1997.

[106]    Informativa dello Scico della Guardia di Finanza di Roma, 1 ottobre 1997.

[107]    Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[108]    I due precedenti virgolettati e le informazioni del capoverso sono estratti dall’Informativa della DIGOS di Messina, CAT.A4.95, 26 luglio 1995.

[109]          “Messina: ‘Alte protezioni dietro quel traffico di armi’”, Pantaleone Sergi, La Repubblica, 3 settembre 1993.

[110]    Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[111]    Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[112]    Informativa dello Scico della Guardia di Finanza di Roma, 1 ottobre 1997.

[113]            I lettori ricorderanno l’acronimo ‘Unfdac’ (‘United Nations Fund for Drug Abuse Control’ ovvero ‘Fondo delle Nazioni Unite per la lotta contro l’abuso di stupefacenti’) dal capitolo sull’omicidio del Procuratore Bruno Caccia, poiché l’Agenzia antidroga dell’Onu a Vienna fu anche la destinazione a cui il magistrato Francesco Di Maggio fu assegnato quale esperto, nei primi anni novanta, dal governo italiano.

[114]    F. Pinizzotto, “Filippo Battaglia: non ho scheletri nell’armadio”, Gazzetta del Sud, 4 settembre 1993; cfr. anche Fabio Repici, “La peggio gioventù: vita nera di Rosario Pio Cattafi”, AntimafiaDuemila.com, 9 novembre 2012.

[115]            Fabio Repici, “Trattativa Stato-mafia: il 41 bis in vacanza a Taormina”, ilGuastatore.it, 18 dicembre 2014.

[116]    Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[117]    Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[118]    In merito alla vicenda relativa alla morte del medico Attilio Manca vedi anche il capitolo “L’omicidio (negato dallo Stato) dell’urologo Attilio Manca”.

[119]    Informativa del Servizio Centrale Antiterrorismo della Polizia di Stato alla Procura di Reggio Calabria, 1 aprile 2016.

[120]    Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[121]    Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[122]    Informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[123]             “Una strage già dimenticata”, Misteri d’Italia, Antonio Mazzeo, 2 dicembre 2002.

[124]    Informazioni e virgolettati tratti dalla Richiesta di applicazione di misura cautelare della Procura di Catania, 18 marzo 1995, citata nell’informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[125]    Le informazioni del capoverso sono tratte dall’informativa della DIGOS di Messina, CAT. A4.95, 26 luglio 1995.

[126]          “Traffico d’armi. Il registro degli indagati dello “Stretto” sotto la voce Agusta – Forza Italia”, Liberazione, 18 luglio 1995.

[127]    Informativa della DIGOS di Messina, CAT.A4.95, 26 luglio 1995.

[128]  Dell’esito dell’inchiesta ne scriverà il giornalista Maurizio Torrealta nel libro “Il quarto livello”, ed. BUR, 2011: “L’inchiesta fu successivamente avocata dalla Procura di Roma – si legge nel testo – e fu il magistrato Domenico Sica a riceverla. L’inchiesta si insabbiò nelle nebbie che circondavano allora il Palazzo di giustizia romano”.

[129]  Dopo gli arresti del 1976 e 1978 Walter Beneforti venne scarcerato. Non è stato possibile, per gli autori di questo dossier, risalire all’esito delle due indagini che portarono all’arresto e alla successiva scarcerazione di Beneforti.

[130]    Cfr. da www.societacivile.it/focus/articoli_focus/Delfino_6.html. Cfr. anche l’informativa del ROS dei Carabinieri di Roma alla Procura di Milano e di Brescia, 23 luglio 1996.

[131]  Le informazioni e i virgolettati del paragrafo sono tratti dall’informativa del GICO della Guardia di Finanza di Firenze alla procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[132]  Informativa del Gico della Guardia di Finanza di Firenze alla Procura di La Spezia, 3 aprile 1996.

[133]  Ferdinando Imposimato, Sandro Provvisionato, Giuseppe Pisauro, “Corruzione ad Alta velocità”, Koinè Nuove Edizioni, 2014.

[134]  “Dialoghi segreti. I verbali delle conversazioni di Pacini Battaglia su armi, politica, soldi, favori”, I libri di Avvenimenti, Supplemento al n. 41 di Avvenimenti, settembre 1996, pp. 6-7.

[135]          “Una strage già dimenticata”, Antonio Mazzeo, Misteri d’Italia, 2 dicembre 2002.

[136]          “Corruzione ad Alta Velocità. Viaggio nel governo invisibile”, F. Imposimato, G. Pisauro, S. Provvisionato, Koinè Nuove Edizioni, Roma, 1999, pp. 181-182.

[137]            “Torna la tempesta sui boiardi di Stato”, Marco Patucchi, La Repubblica, 18 settembre 1996

[138]  “Finmeccanica e le sue favorite”, Claudio Gatti, Il Sole 24 Ore, 15 aprile 2011.

[139]            “Omar, l’uomo-chiave dei traffici d’armi con il Medio Oriente”, Gialuigi Nuzzi, Il Giornale, 26 settembre 1996

[140]          “Omar, l’uomo-chiave dei traffici d’armi con il Medio Oriente”, Gialuigi Nuzzi, Il Giornale, 26 settembre 1996

[141]          “Armi, indagato Omar il libico”, Gianni Cipriani e Giorgio Sgherri, L’Unità, 23 settembre 1996.

[142]          “Armi proibite in Bosnia”, La Repubblica, 22 settembre 1996.

[143]          “Operazione embargo, il gioco dell’oca dei mercanti d’armi”, Maurizio Ricci, La Repubblica, 29 settembre 1996.

[144]          “Ora Pacini Battaglia comincia a parlare”, Piero Colaprico, La Repubblica, 6 ottobre 1996.

[145]          “Traffico d’armi, in libertà gli indagati”, Franca Selvatici, La Repubblica, 8 ottobre 1996.

[146]            Le informazioni e i virgolettati del capoverso sono tratti dall’articolo di Piero Colaprico e Wanda Valli, “La Spezia, i Pm rischiano di perdere l’inchiesta”, La Repubblica, 18 ottobre 1996.

[147]          “Bufera sul GICO di Firenze”, Gianni Cipriani e Giorgio Sgherri, L’Unità, 9 novembre 1996.

[148]          Informativa dello Scico della Guardia di Finanza di Roma, 1 ottobre 1997.

[149]  ADNKRONOS, 8 ottobre 1997.

[150]          “La procura è indagata”, Il Manifesto, 19 marzo 1998.

[151]   “Messina come la piovra”, Pantaleone Sergi, La Repubblica, 19 marzo 1998.

[152]    “Finmeccanica e le sue favorite”, Claudio Gatti, Il Sole 24 Ore, 15 aprile 2011.

[153]            “Finmeccanica e le sue favorite”, Claudio Gatti, Il Sole 24 Ore, 15 aprile 2011.

[154]  “Giorgianni ha mentito”, Francesco Viviano, La Repubblica, 20 marzo 1998.

[155]    Agli autori di questo dossier non è stato possibile reperire gli atti dell’archiviazione (o articoli di stampa sull’argomento) della posizione di Franco Langher.

[156]    Quantomeno per quello che è dato di sapere agli autori di questo dossier dopo ricerca su fonti aperte.

[157]             “Guarguaglini, 10 anni di regno assoluto”, Andrea Di Stefano, La Repubblica, 20 novembre 2011.

[158]    “Traffico d’armi del clan Santapaola, assolti gli imputati”, Salvatore Sorce, SiciliaTv.org, 1 ottobre 2003.

[159]    “Memoria e polemiche: quando il Comune faceva gli onori al faccendiere Battaglia”, Messinaora.it, 23 agosto 2017.

[160]  Decreto di archiviazione del Gip del Tribunale di Messina, n. 811/03 R.G. G.I.P., 2 dicembre 2004.

[161]  Informativa del Servizio Centrale Antiterrorismo della Polizia di Stato alla Procura di Reggio Calabria, 1 aprile 2016.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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