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I parenti dell’agente Agostino “Processate Faccia di mostro”

di Sandra Rizza – 30 ottobre 2016   

Chiuse le indagini sul poliziotto ucciso a Palermo nell’89: la parte civile chiede ai pm di incriminare Aiello indicato dai pentiti come il killer dei Servizi e due boss

Gli approfondimenti ordinati nel giugno del 2015 dal giudice Maria Pino, che aveva rigettato la richiesta di archiviazione concedendo altri sei mesi di tempo per nuove verifiche, sono stati eseguiti. E ora i termini dell’indagine preliminare sull’uccisione dell’agente Nino Agostino e di sua moglie Ida Castelluccio, assassinati il 5 agosto 1989, sono scaduti. Ma la Procura di Palermo ancora non si muove. E così il difensore di parte civile, l’avvocato Fabio Repici, ha inviato una memoria ai pm Vittorio Teresi, Nino Di Matteo, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia (gli stessi del pool Stato-mafia) sollecitandoli ad “assumere le determinazioni conclusive”. Cioè? “Esercitare l’azione penale nei confronti degli indagati, previa emissione dell’avviso di conclusione delle indagini”.

A 27 anni dal duplice delitto di Villagrazia di Carini, nel mirino delle indagini c’è l’ex poliziotto Giovanni Aiello, detto “Faccia di Mostro” e ci sono i mafiosi Gaetano Scotto e Salvino Madonia, boss di Resuttana. Proprio sul loro ruolo si sono concentrati i nuovi accertamenti espletati dai pm nell’ultimo anno: il pentito Vito Galatolo ha riscontrato il collaboratore Vito Lo Forte “sui rapporti tra Scotto ed esponenti della polizia di Stato e dei servizi di sicurezza”. Poi a febbraio scorso, in un confronto all’americana nell’aula bunker dell’Ucciardone, Vincenzo Agostino ha riconosciuto Aiello come l’uomo che venne in motocicletta a cercare suo figlio pochi giorni prima dell’omicidio. “È lui!”, ha urlato l’anziano padre, prima di perdere i sensi per un malore. E ora? Tutte le sollecitazioni investigative pronunciate dal gip, scrive Repici nella sua memoria, “hanno trovato conferma piena: non resta che procedere con la richiesta di un processo”.

È la prima volta che un legale di parte civile si spinge a una pressione così esplicita sulla conclusione di un’inchiesta dai risvolti istituzionali. Ma per il dossier Agostino, che oggi punta a chiarire il ruolo cruciale di “Faccia di Mostro”, indicato dai pentiti come il killer dei servizi, non è la prima sollecitazione esterna che arriva a stimolare l’attività dei pm. Già nel 2015 il procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato, rilevando l’inerzia della Procura, avocò l’indagine “al fine di compiere tutte le investigazioni utili” su un caso che potrebbe essere collegato all’attentato all’Addaura, dove due mesi prima qualcuno aveva piazzato 20 chili di tritolo a pochi metri dalla villa di Falcone.

Chi? “Menti raffinatissime”, disse il giudice antimafia, che per la prima volta parlò di “collegamento tra Cosa Nostra e centri occulti di potere”. Un’iniziativa, quella di Scarpinato, che secondo Repici già in quella fase “preludeva all’esercizio dell’azione penale”. Ma poi il procuratore di Palermo Francesco Lo Voi mise in dubbio la legittimità del decreto di avocazione, giudicandolo “tardivo” e la Cassazione gli diede ragione, restituendo il fascicolo ai pm.

Oggi la storia sembra ripetersi. Nella memoria di parte civile, firmata anche da Agostino padre, si legge che “sono incontrovertibili le acquisizioni sulla sinergia tra Madonia, Scotto, Aiello, e un blocco criminale, individuato tra Polizia e servizi segreti”. Due anni fa l’anziano Agostino ha denunciato: “Nel 1990 l’ex capo della Mobile Arnaldo La Barbera mi convocò per mostrarmi le fotografie dei possibili assassini di mio figlio. Puntava il dito su un biondino mai visto prima. Solo dopo la strage Borsellino, riconobbi che si trattava di Scarantino”. Ormai, sottolinea Repici, una conclusione positiva per l’ipotesi d’accusa è stata raggiunta “sulla contiguità tra La Barbera e il clan di Resuttana, così come sui tentativi di depistaggio della sua squadra a Palermo. Il processo si deve fare – conclude l’avvocato – anche per ripagare le persone offese dalle oltraggiose azioni di depistaggio, correlate alla necessità che possenti apparati criminali mantenessero l’impunità”.

da: Il FattoQuotidiano del 30 Ottobre 2016

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