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Cinquantasette giorni. Ti porto con me alla Casa di Paolo di Roberta Gatani

La penna di Roberta non è un’arma, ma uno strumento emotivo potentissimo capace di definire le vie del vento, di posare inchiostro sulla decisione del foglio che resta decisone dell’esistere, scandito in questo doloroso conto alla rovescia che l’autrice, ripercorre, condividendolo con il Paese. Insegnandoci che la rivoluzione gentile è l’anima dei sogni e, che Paolo Borsellino desiderava che la lotta alla mafia si mostrasse nell’interezza degli intenti, anziché dilaniarsi nella strage di via D’Amelio.

Roberta ha canalizzato in questo libro l’eredità del vivere, la desolazione dell’isolamento dentro e fuori dall’isola azzurra, che poi diventa fenice e rinasce rilucente e placida.

Le mie lacrime scivolano insieme ai giorni che seguono al batacchio delle campane e, come perle pulite sulla stoffa di pelle schiudono la mano, come se volessero carezzare ogni parola, ed animarsi di fiato esercitato sulle paure di Roberta e di suo zio Paolo.

Soffia, soffia più forte e proteggi le loro vite dallo strappo del tuono.
Soffia, soffia più forte e regalargli il mare.
Soffia, soffia più forte e rompi la bolla che distanzia le voci, che come zampilli di cristallo colano sulla superfice e si annientano, per poi scoprirsi suoni gentili.
Soffia, soffia più forte e Roberta si riscopre meravigliosa in mezzo al pianto e, accompagnando suo zio Paolo verso la vita diventa figlia, nipote, mamma dolcissima che senza risparmiarsi presta gli occhi al Paese, e ci chiede di essere testimoni d’Amore insieme a Paolo Borsellino.


“La morte non sarà un attimo e tu lo sai. E’ un processo.
Quello di Casa Professa sarà il tuo ultimo discorso pubblico. Sarà l’ultima volta in cui ti permetteranno di fare paura. Sarà l’ultimo atto del tuo processo di morte”.

 

Silvia Camerino

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