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57 giorni, il tempo di una verità negata

di Marcello Campomori

Grosseto, 22 marzo 2024 – “I ragazzi che arrivano alla Casa di Paolo non sanno sognare. Non riescono a pensare che la loro vita può essere diversa. Hanno l’orizzonte oscurato, questa è la nostra sofferenza, non possono scegliere, è questo il vuoto più grande”. Queste sono le prime parole di Roberta Gatani, nipote del magistrato Paolo Borsellino e autrice del libro: “Cinquantasette giorni, ti porto con me alla Casa di Paolo”. Siamo nella sala della Fondazione Il Sole, a Grosseto. L’A.N.P.I. di Grosseto, Libera, l’ARCI, il gruppo Peppino Impastato delle Agende Rosse e Working Class Hero hanno organizzato questo incontro il 22 marzo nell’ambito della giornata dedicata alle vittime di mafia che si è celebrata il giorno 21.

L’anno scorso Roberta ha scritto una sorta di diario che va dal 23 maggio 1992 al 19 luglio dello stesso anno, i giorni che separano la strage di Capaci da quella di via d’Amelio. Tra Falcone e Borsellino va mantenuta questa distanza temporale, perché negli anni i magistrati uccisi con le loro scorte e la moglie di G. Falcone, vengono citati sempre insieme annullando quei cinquantasette giorni decisivi per comprendere ancora di più e poter arrivare alla verità su quei fatti così importanti per la nostra Repubblica. Mantenere aperto questo intervallo equivale a non chiudere per sempre quell’agenda rossa che resiste come una speranza per chi cerca la verità e allo stesso tempo getta pesantissime ombre sulla piena credibilità dello Stato. Nel buco nero di quei giorni sguazzano ancora troppe verità che alcuni non vogliono rivelare o per paura o per interesse.

D’altronde Paolo Borsellino con una semplice e lucida analisi ci consegna una scena paradigmatica che aiuta a riconoscere chi sta dalla parte della giustizia: “Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d’accordo”. Con questo libro Roberta, insieme a Salvatore Borsellino fratello del magistrato, tiene alta l’attenzione sulla questione della verità, da cercare non solo nel cuore delle persone, ma negli uffici delle procure. Le celebrazioni di facciata che tentano di dare un senso alla memoria contrastano in modo evidente con inspiegabili e impunite azioni di intralcio alla definizione della verità.

Tra le vittime insufficientemente difese dallo Stato non si cerca la vendetta, ma semplicemente giustizia. Questa voce femminile di contrasto alla mafia prende corpo in un sogno realizzato nel quartiere della Kalsa, a Palermo. La casa che ha dato i natali a Paolo Borsellino oggi ospita, nei suoi locali, quei ragazzini del quartiere che imparano a conoscere un luogo, una cultura, un modo di pensare la vita, alternativo a quello in cui sono cresciuti. Attraverso una rieducazione nel rapporto con la scuola molte crepe aperte sul loro futuro si riparano e possono sperimentare la novità di pensare a un avvenire diverso. All’ingresso di questa casa non ci sono immagini che richiamano la rabbia o l’impotenza, ma c’è una tela che rappresenta un Paolo Borsellino sorridente, che rimanda alla gioia di una vita che prende un senso diverso da quello della violenza e dalla povertà culturale.

Anche alcuni adulti, che vivono un periodo di messa alla prova, scontando una pena alternativa al carcere, quando incontrano questi ragazzini e i volontari che li seguono cominciano a farsi delle domande. Non tutti, certamente, ma molti quasi benedicono il giorno in cui hanno commesso quel reato che li ha portati fino a lì.

Una breve ma incisiva annotazione, in risposta a una domanda del pubblico presente, Roberta l’ha offerta riguardo alle serie televisive che hanno come protagonisti mafiosi e camorristi in giovane età. Il suo giudizio è stato nettamente negativo. L’assenza di figure che rappresentino il bene e la trappola psicologica che induce a parteggiare per l’uno o per l’altro protagonista, non lasciano spazio ad orizzonti diversi se non a quello della malavita. Il risultato è che queste serie tv sono come secchiate di veleno sulla coscienza sociale delle giovani generazioni.

Non perde il sorriso Roberta camminando sospinta dalla stella polare che qualcuno ha voluto spegnere quel 19 luglio 1992, ma che brilla ancora nelle coscienze di tante persone. Difronte al male che si ostina a vivere nutrendosi di menzogna, Roberta ricorda come possono cambiare le cose, affidandosi, e noi con lei, alle parole profetiche dello zio: “Palermo non mi piaceva, per questo ho imparato ad amarla. Perché il vero amore consiste nell’amare ciò che non ci piace per poterlo cambiare”.

 

 

 

 

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