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Quel silenzio che fa paura

 altPescara. In sala il piccolo pubblico partecipa attentamente nell’aula austera del palazzo provinciale di Pescara. Nell’ultima giornata di dibattito del XIV premio nazionale Paolo Borsellino risuonano le parole del sostituto procuratore di Palermo Nino Di Matteo, del Gip della stessa distrettuale antimafia Piergiorgio Morosini e del parroco di Forcella don Luigi Merola. Saranno state le polemiche sull’aggressione all’organizzatore Leo Nodari e le condivisibili prese di posizione dei ragazzi delle agende rosse, ma il grido echeggiato quest’estate a Palermo di non lasciare soli i magistrati più esposti della Procura questa volta non c’era. Sono stati tre lucidi interventi basati su esperienze professionali e di vita importanti tra Napoli e Palermo. “E’ servito il sacrificio di una ragazzina” ha detto don Merola “Annalisa Durante, per richiamare su Napoli le telecamere dei mezzi d’informazione”. Solo dopo a Forcella, sono arrivati gli aiuti per aprire centri di aggregazione giovanile che tolgono la manovalanza alle cosche. “Ognuno deve fare la sua parte e anche la Chiesa deve fare la sua”. Quando, al suo arrivo nel quartiere, varcando la porta della parrocchia di Forcella dove avrebbe dovuto dire messa, don Merola aveva notato gli orari di chiusura si era ribellato. “La casa di Dio doveva restare aperta ventiquattro ore su ventiquattro”. Da lì il prete anticamorra aveva attirato lo sguardo sfuggente dei ragazzini del cuore di Napoli che si sarebbero confrontati presto con la malavita della loro città. Per questi ragazzi convivere con la mafia non è una scelta, ha detto il prete antimafia. Se vogliono restare nel loro quartiere si devono adattare.


Così molti di quei giovani entrano nel circuito della manovalanza criminale mentre altri si rivolgeranno al “barone” di turno per chiedere un posto di lavoro.  Ma a Napoli i “picciotti” sono ben visti perché aiutano le famiglie, ti portano la spesa a casa. Insomma la Camorra copre quegli spazi in cui lo Stato è tragicamente assente. E questo resta il cuore del problema. Perché non basta colpire l’ala militare delle mafie se non si sradicano le radici che le alimentano. Bisogna indagare nei rivoli del compromesso morale della politica che da sempre ha legato i suoi affari con le potenze criminali. La ‘Ndrangheta, Cosa Nostra e la Camorra hanno infiltrato le istituzioni. “Lo Stato – ha detto nel suo intervento il Gip di Palermo –  nel 1978 decise ufficialmente di non scendere a patti con le Br a discapito della vita di Aldo Moro”. Sapere che nel 1992 pezzi dello Stato hanno scelto la via del dialogo con Riina è allarmante perché “hanno portato la criminalità sul loro stesso piano”. “Io spero che ciò di cui sta parlando Massimo Ciancimino oggi non sia vero” però. “Se noi leggiamo il testo del papello ci sono dei punti che richiamano riforme che nel tempo sono state proposte”. Per esempio “lo sapevate che nel 1999 è stato depositato un disegno di legge per la revisione dei procedimenti, che se fosse assecondato porterebbe alla revisione del maxiprocesso?

Dopo le terribili stragi del ‘92-’93, Cosa Nostra ha battuto i pugni sul tavolo varie volte. Lo aveva fatto con il proclama di Bagarella chiedendo ai politici seduti in parlamento di rispettare gli accordi presi e lo aveva rifatto con lo striscione contro il 41 bis “Berlusconi dimentica la Sicilia”. Cosa Nostra aveva un pegno che lo Stato probabilmente ha concesso solo a metà. Ma il riconoscimento del suo potere, la criminalità, lo aveva già ottenuto attraverso la condivisione di lucrosi appalti con esponenti della finanza italiana. “Negli anni ’80 – ’90 gruppi imprenditoriali del Nord, come nel caso della Calcestruzzi del Gruppo Ferruzzi – Gardini, condivisero grossi affari con gruppi mafiosi”. Quest’azienda aveva beneficiato dell’intervento economico di Provenzano ed era solo la punta dell’iceberg di un sistema tangentizio diffuso in tutto il Paese e del quale i giudici Falcone e Borsellino si stavano occupando prima di morire. “Per questo – ha ribadito Morosini –  è importante colpire i reati finanziari e quelli contro la pubblica amministrazione”. Servono nuove risorse specializzate contro i crimini della new economy. La tracciabilità dei soldi illeciti, che vengono ripuliti attraverso una miriade di società all’estero, è praticamente impossibile. I tempi sono cambiati e noi siamo di fronte “a un fenomeno di fragilità nazionale” senza precedenti.  La parola d’ordine è dunque: conoscenza. Il silenzio è la morte dell’anima, il freno che immobilizza le coscienze. 
Il silenzio è la prima causa di morte della democrazia. Per questo l’omertà è sempre stata per la criminalità organizzata la condizione ideale su cui costruire il suo dominio.
 
Che Paese è quello in cui sappiamo tutto dei vari delitti di Garlasco, Cogne, Perugia… e che non sa praticamente nulla su indagini e processi in corso in cui si contestano accordi di alto livello tra esponenti dello Stato ed esponenti di Cosa Nostra?”. Questa è una delle riflessioni di Nino di Matteo, uno dei titolari dell’inchiesta sulla trattativa che stamattina, insieme a don Merola, il giudice Morosini e altri  è stato premiato per il suo impegno antimafia. “Il Paese ha diritto di sapere” ha detto. “Noi in questo momento dovremmo essere sottoposti a un controllo spietato da parte dell’opinione pubblica”. La gente “dovrebbe essere informata in modo serio, analitico e corretto”. “I nostri uffici si stanno occupando di vicende delicate e il Paese ha diritto di sapere se ce ne stiamo occupando bene, in modo approfondito o se, come dice qualcuno, ce ne stiamo occupando per una strumentale lotta politica”. “I cittadini hanno diritto di sapere e, se sarà il caso, di criticarci, ma quello che fa più paura è il silenzio”.  Un silenzio che per diciassette lunghi anni dalle stragi del ’92 ha creato un muro di gomma dietro al quale si sono nascosti gli accordi e i ricatti che hanno segnato il passaggio tra la prima e la seconda Repubblica. Il Paese non può accettare verità parziali su questo capitolo, ma quest’anno qualcosa è cambiato. Si stanno aprendo spiragli di verità importanti “grazie anche a chi ha deciso di raccontare”, “di pochi magistrati che non si sono rassegnati a considerare la lotta alla mafia una questione di repressione di bassa criminalità”. “E grazie alla rinnovata battaglia dei familiari delle vittime e mi riferisco a Salvatore Borsellino” che con forza sta risvegliando le coscienze per chiedere che sia fatta luce sui mandanti esterni dell’uccisione di suo fratello.

Un impegno che tutti noi sentiamo verso i giudici di Palermo che con sacrificio e dedizione sono andati incontro alla morte per trasferire alla società quei valori di onestà e libertà su cui dovrebbe reggersi una sana democrazia.

Silvia Cordella (da Antimafia Duemila)


Intervento audio di don Luigi Merola al Premio Borsellino del 5 Novembre 2009

Intervento audio del Pm Antonino Di Matteo al Premio Borsellino del 5 Novembre 2009 – PRIMA PARTE

Intervento audio del Pm Antonino Di Matteo al Premio Borsellino del 5 Novembre 2009 – SECONDA PARTE

Intervento audio del Gip Piergiorgio Morosini al Premio Borsellino del 5 Novembre 2009 PRIMA PARTE

Intervento audio del Gip Piergiorgio Morosini al Premio Borsellino del 5 Novembre 2009SECONDA PARTE

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