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Memoriali di Vincenzo Calcara

A circa tre mesi e mezzo di distanza dal 30 Maggio 2008, giorno in cui pubblicai la prima parte dei memoriali di Vincenzo Calcara, che in questo periodo hanno realizzato in totale più di 34.000 accessi, li ripubblico sotto altra veste grazie alla preziosa collaborazione di Federico Elmetti, un ricercatore italiano che vive a Bruxelles

Di Federico voglio anche riportare la mail che mi scrisse quando venne in contatto con me per la prima volta.

 

Caro Salvatore,
mi chiamo Federico e sono un ricercatore in fisica che vive a Bruxelles.

 

 

Spero possa prendermi la licenza di darti del “tu”, perchè in qualche modo mi sento vicinissimo a te e alla battaglia che stai portando avanti in prima persona.

 

 

Quando è morto tuo fratello avevo poco più di dodici anni e, essendo bambino, il rumore delle bombe era solo un’eco lontana. Ero scosso sì,
ma certamente non potevo capire. Poi ho iniziato a leggere e a documentarmi. E più leggevo, più cresceva in me la curiosità di sapere e conoscere la verità su fatti che hanno segnato la storia dell’Italia.

 

Lo sdegno nel vedere passeggiare in parlamento personaggi condannati per collusione con la mafia e per i reati più disparati, l’amarezza di assistere impotente all’usurpazione delle istituzioni democratiche, per cui tuo fratello ha dato la vita, da parte di gente spudoratamente senza vergogna mi ha spinto ad aprire il mese scorso un blog (

http://verraungiorno.blogspot.com

).
Ho cominciato quindi a navigare e, saltando di blog in blog, sono capitato sul tuo, così come quello di Benny Calasanzio.

 

Sono rimasto sconvolto quando pochi giorni fa ho visto che avevi deciso di pubblicare i memoriali del pentito Vincenzo Calcara.

 

 

Sconvolto perchè contengono verità inquietanti e sconvolto perchè, se sei stato costretto a pubblicare certe cose su un blog, significa che nessun organo di informazione, nè tanto meno di giustizia, se la sono sentiti di dar seguito a certe testimonianze.

 

 

Credo che questo sia inaccettabile. Qui c’è in ballo l’onore stesso dello Stato italiano. Qui c’è in ballo la Storia dell’Italia.

 

 

Nel mio piccolo quindi, come tanti altri ho visto con piacere hanno fatto, ho deciso di pubblicare anch’io sul mio blog questi memoriali.
Credo che ti farà piacere sapere che in pochi giorni le visite si sono quintuplicate, segno che la gente ha fame di verità e aspetta solo che qualcuno gliela dica.

 

 

Così per gioco, mi sono messo anche a tradurli in inglese perchè volevo che anche la mia ragazza, che è peruviana ma vive negli USA, li potesse leggere e comprendere.

 

 

Poi, mi è venuta un’idea. Se è vero che i giornali italiani non accetteranno mai di pubblicare certe cose, è anche vero che all’estero (penso alla Spagna, penso all’America ecc…) sarebbero i primi ad interessarsi.
Ogni giorno, sul New York Times o su El Pais, leggo articoli di denuncia sulla condotta del governo italiano, articoli forti e netti che è impossibile sperare che appaiano in Italia.

 

 

La mia proposta allora è questa: perchè non pensare di tradurre tutti i memoriali di Calcara in inglese (o spagnolo) e sottoporli a qualche
importante quotidiano straniero? Se lo scopo è quello di far conoscere a più gente possibile queste scomode verità, credo che questo potrebbe essere un buon modo per avere una cassa di risonanza addirittura a livello internazionale.

 

 

Ho appena scritto a Benny proponendogli la stessa cosa. Lui mi ha subito risposto dicendosi entusiasta dell’idea e mi ha consigliato di scrivere direttamente a te.

 

 

Ti allego la traduzione che ho fatto. Ho cercato di essere il più letterale possibile e aderente al testo. Se ti sembra che la cosa sia fattibile e possa avere un senso, potrò in futuro dedicare altro tempo libero alla traduzione dei memoriali. E’ solo un modo per tentare, nel mio piccolo, di essere d’aiuto.

 

 

Perdonami per il tempo che ti ho rubato, un abbraccio

 

 


Federico Elmetti

Insieme a lui voglio ringraziare un’altra persona, Stefano Rossi, che, per primo aveva avuto la stessa idea e si era offerto di fare la traduzione dei memoriali. Mi aveva anche preparato la seguente bozza da inviare ad un giornalista del NY Time

Dear Ian Fisher,
i’m writing this letter to let you know something about mafia, Vatican and also corrupted italian governement.
I’ll try to explain my aim.
First of all, you have to call a good interpreter to read these documents.
I have the reveletions of an italian “pentito di mafia” Vincenzo Calcara. He shared with Paolo Borsellino (the italian judge killed by Cosa Nostra) his knowledge about relationships between mafia, state and Vatican.
He also was the one called to kill Paolo Borsellino, but Mafia decided to blow him with TNT. When Vincenzo Calcara started to collaborate with the judge he gave him a dangerous knowledge.
Paolo Borsellino wrote Calcara’s thoughts and revelations on a “RED AGENDA”, that the judge brought in a handbag.
When Paolo Borsellino was killed a policeman stole the handbag and took the red agenda. Then he put the empty handbag again on the crime scene.
Now Calcara has decided to share his knowledge with Paolo Borsellino’s brother Salvatore.
I’m writing you because we have to support these Heroes. We can’t put the truth in the desert!
Please read these documents and made an article with them.
Help us

 

 

Riporto di seguito, per completezza, anche le introduzioni apposte nella pubblicazione dei post originali.

 

 
1 – Venerdì 30 Maggio 2008 17:24 – Accessi : 9030
 
 

 

Inizio con oggi, dopo averne ottenuto l’autorizzazione da parte dell’interessato, la pubblicazione di alcune lettere e di un memoriale che mi è stato consegnato da Vincenzo Calcara.

Ho conosciuto di persona Vincenzo durante la trasmissione Top Secret ma quasi mi sembrava di conoscerlo da tanto tempo. Me ne avevano parlato la moglie e i figli di Paolo che hanno continuato ad aiutarlo e stargli vicino da quando lo Stato, nella sua costante opera di scoraggiamento dei testimoni di Giustizia, dei collaboratori di Giustiza e dei (pochi) veri pentiti, lo ha abbandonato al suo destino. Me ne aveva parlato già lo stesso Paolo negli ultimi mesi della sua vita, quando stava raccogliendo le sue rivelazioni nello stesso periodo in cui ascoltava anche Gaspare Mutolo e Leonardo Messina, ma con Vincenzo Paolo aveva stabilito un rapporto particolare perchè era quello che gli aveva confessato di avere avuto, dalla famiglia di Francesco Messina Denaro, la famiglia che deteneva saldamente il controllo della zona di Castelvetrano, alla quale apparteneva come uomo d’onore “riservato”, l’incarico di ucciderlo con un fucile di precisione in un agguato sulla statale tra Palermo ed Agrigento.
 
Gli uomini d’onore “riservati” sono quelli che non rientrano nella normale gerarchia della “famiglia” mafiosa e la cui affiliazione viene decisa direttamente dal capo famiglia, spesso sul modello e con i riti “massonici”, informando della sua qualità soltanto i capi dell’organizzazione e restando poi segreti all’interno dell’organizzazione segreta. Come dice Antonio Ingroja “solo i capi di Cosa Nostra possono decidere, naturalmente in maniera segreta, simili affiliazioni, che rimangono assolutamente riservate rispetto agli altri aderenti alle varia famiglie mafiose sparse nel territorio. L’uomo d’onore riservato serve anche per difendersi del fenomeno dei collaboratori di giustizia…..”. Ad essi vengono affidate le operazioni più delicate, e certamente l’assassinio di Paolo Borsellino era tra questi, nel caso in cui, come spesso succede, non vengano svolte direttamente dal “capo famiglia” insieme  con gli uomini più fidati ed esperti del “gruppo di fuoco” della famiglia stessa.
 
Come leggerete c’erano due piani alternativi per uccidere Paolo, il primo prevedeva l’uso di un fucile di precisione ed era affidato a Vincenzo Calcara, il secondo l’uso di un’autobomba ed in questto Vincenzo avrebbe svolto soltanto un lavoro di copertura. Da Palermo arrivò poi però, direttamente da Totò Riina, l’ordine che avrebbe dovuto essere ucciso prima Giovanni Falcone  e così i piani furono  momentaneamente accantonati.
 
Vincenzo Calcara è uno dei pochi collaboratori di Giustizia che possono veramente essere chiamati “pentiti”.
 
In lui, come leggerete dalle sue parole, l’incontro con Paolo Borsellino provocò una profonda crisi e un sovvertimento dei valori ai quali era stato indotto a credere fin da bambino. Oggi per lui la “Giustizia” e il “Bene” sono al di sopra di tutto ed è tanto più da ammirare in quanto quelle Istituzioni nelle quali oggi lui crede fermamente le  vede ogni giorno infangate da chi, indegnamente, le occupa e quello Stato che per lui rappresentava il nemico da combattere o nel quale infiltrarsi  capisce oggi come abbia contribuito all’assassinio del “suo” Giudice e come non voglia e non possa, perchè esso stesso responsabile, rendergli Giustizia.
 
Oggi Vincenzo Calcara, uscito volontariamente dal programma di protezione, vive con la nuova compagna e le quattro figlie avute insieme con lei, dopo che la famiglia precedente lo ha abbandonato a seguito della sua scelta.
 
Non ha una nuova identità, non ha un lavoro che gli permetta di vivere dignitosamente e di provvedere alla sua famiglia, lo Stato e le Istituzioni nelle quali, nonostante tutto crede fermamente, lo hanno abbandonato e rischia ogni giorno di cadere sotto la vendetta della mafia, che, diversamente dallo Stato, non dimentica mai.
 
Del memoriale di Vincenzo Calcara si trovano tracce  nelle motivazioni delle sentenze, di diversi processi, del processo Calvi, al processo Antonov per l’attentato al Papa, al processo Aspromonte, al processo per l’omicidio Santangelo, figlioccio di Francesco Messina Denaro, ai processi Alagna+15 e Alagna+30, alla sentenza del Giudice Almerighi, nei quali tutti si è dimostrata la piena attendibilità di Calcara nononostante i numerosi tentativi di screditarlo.
 
Ma Calcara non è stato mai messo a confronto con altri pentiti come Leonardo Messina o Gaspare Mutolo o come Giuffrè, che, quindici anni dopo di lui, ha parlato di quelle stesse cose di cui lui aveva già parlato tanti anni prima.
Non è stato mai chiamato a deporre nel processo Andreotti anche se aveva parlato del notaio Albano quando nessuno ne conosceva neppure il nome, non è stato mai chiamato nel processo Canale, non è stato mai utilizzato nell’istruttoria sui Mandanti Occulti delle stragi del 92 o nell’istruttoria del processo, mai arrivato alla fase dibattimentale, sulla sottrazione dell’Agenda Rossa, nonostante io stesso avessi portato al tribunale di Caltanissetta le parti del memoriale dove di quell’agenda proprio si parlava.

 
2 – Martedi 3 Giugno 2008 21:02 – Accessi : 7404
 
 
Continuo a pubblicare la trascrizione del memoriale di Vincenzo Calcara. In queste pagine Vincenzo racconta della sua iniziazione alla massoneria, che era quasi un obbligo per gli uomini d’onore “riservati”, della preparazione  e dell’esecuzione dell’attentato al papa, della successiva uccisione ed occultamento del cadavere di uno dei due esecutori turchi, dell’avvelenamento di Papa Luciani e dei motivi per i quali è stato eliminato, della complicità con la criminalità mafiosa del Maresciallo dei Carabinieri di Paderno Dugnano, della cricca di cardinali che pilotava Mons. Marcinkus, del notaio Albano.
 
 
Tralascio qualsiasi tipo di commento, i fatti raccontati parlano da soli.
Mi chiedo quante persone, in Italia, siano al corrente di questi fatti, quanti organi di informazione li abbiano riportati.
 

3 – Domenica 8 Giugno 2008 21:23 – Accessi : 4535 
 
Pubblico la terza parte del memoriale di Vincenzo Calcara. Di questo episodio, esemplificativo dell’accordo e della comunità di intenti tra entità mafiosa, Vaticano deviato, servizi segreti deviati e un uomo politico del quale in questo punto Calcara non fa ancora il nome ma che mi sembra facilmente identificabile in un senatore a vita prescritto, non avevo mai trovato notizia neppure sulla rete ma dovrebbe essere possibile trovarne traccia nella sentenza, non so se di archiviazione o meno, di un procedimeto gestito dal Dr. Croce, dato che ad esso fa riferimento in un punto il Calcara.
 
 
Mi rendo conto ora però perchè di questo uomo poltico Paolo, che aveva raccolto le deposizioni di Calcara, diceva che aveva una intelligenza “diabolica”, e Paolo non era persona da adoperare le parole a caso.
 

 
4 – Martedi 11 Giugno 2008 23:33 – Accessi : 5133
 
 
Pubblico la parte 4 dei memoriali di Vincenzo Calcara. In questa parte si parla con maggior dettagli delle 5 “Entità” giá accennate da Calcara nelle parti precedenti e si parla della riunione nella quale fu deciso l’assassinio di Roberto Calvi. Vi comunico che, con l’aiuto di alcuni lettori del nostro sito che si sono offerti di collaborare a questo scopo, abbiamo iniziato a tradurre in inglese, spagnolo e francese questi memoriali per poi poterli fare avere alla stampa estera dato che la stampa italiana é impermeabile a questi argomenti
 

 
5 – Lunedì 16 Giugno 2008 23:11 – Accessi : 4733
 
 
Pubblico la quinta parte del memoriale di Vincenzo Calcara. Poichè si tratta di un insieme di fogli e non di un memoriale appositamente redatto il tutto puo’ non apparire organico, mi riservo alla fine della pubblicazione, e non ne manca ancora molto, di tentare di dare un ordine a tutto in maniera da dargli una certa organicità e una successione temporale o logica. Tramite colloqui con Vincenzo Calcara tenterò poi di chiarire e/o sviluppare i punti più oscuri ed eventualmente di completarli. E’ necessario poi, e qui sará ben accetto il contributo di chiunque, aggiungere link e riferimenti ad altra documentazione reperibile in rete. In questa parte sono di particolare rilievo sia l’incontro con Finocchiaro con alcuni interrogativi che Calcara sembra sottintendere più che esplicitare e lo schema finale nel quale lo stesso Calcara tenta di schematizzare l’insieme di affermazioni fatte nel corso del memoriale.
 

 
6 – Lunedì 30 Giugno 2008 14:32 – Accessi : 3767
 
 
Pubblico l’ultima parte del manoscritto di Vincenzo Calcara.
In realtà, secondo la numerazione originale del manoscritto, che ho riportato come capoverso, non si tratta dell’ultima parte ma di una parte intermedia dato che le pagine del manoscritto sono numerate da 1 a 60 (più un’appendice schematica) e queste sono le pagine da 28 a 49.
In effetti però riguardano considerazioni interiori fatte dallo stesso Calcara dopo la morte di Paolo Borsellino e non contengono più fatti ma solo pensieri oltre che il riferimento ad alcune frasi pronunciate da Paolo dopo la morte di Giovanni Falcone.
 
 

 

Ho preferito quindi tenerle per ultime. Il prossimo impegno sarà quello di riunire in un unico documento la varie parti del memoriale, che sono state scritte in momenti diversi, cercando di dargli un ordine logico o cronologico,e di riportare la numerazione originale in tutto il testo, che sarà corredato da note e riferimenti a sentenze nelle quali le stesse rivelazioni sono state, in tempi e processi diversi, utilizzate.

Nella sintesi che pubblico oggi tutto il materiale è stato riassemblato e ricomposto in un ordine per quanto possibile logico e cronologico e, per renderne più agebole la lettura che spesso poteva risultare ostica, sono state riscritte le frasi più lunghe correggendo le strutture sintattiche magari troppo involute ma senza modificare mai il senso nè le parole utilizzate da Calcara.
Il tutto è stato poi suddiviso in capitoli cercando di rendere la prosa più narrativa possibile.

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PROLOGO
 
  
22 Marzo 2008
 
Mio Amatissimo e Stimatissimo Salvatore,
 
tutto ciò che doverosamente ho comunicato a tua cognata Agnese e a tuo nipote Manfredi ritengo giusto dirlo anche a te.
Tutto ciò che scrivo è dettato, ponderato e pensato secondo la mia coscienza, a cui non potrei mai mentire.
Non metterò mai in pratica alcun mio desiderio, alcuna mia decisione che pur io ritenga doverosa e giusta, se, prima, questi desideri, queste decisioni non saranno scandagliati dalla mia coscienza.
Agirò sempre seguendo la mia coscienza.
In questo viaggio catartico che sono le mie confessioni, mi farò accompagnare sì dai miei sentimenti ma anche da quella ragione che sa tener a bada i sentimenti.
D’altra parte, sono anche consapevole del fatto che, di fronte ad una coscienza più grande della mia e a sentimenti, doveri, desideri e decisioni più grandi dei miei, tutto ciò che è stato passato al vaglio della mia coscienza si deve fermare.
 
Caro Salvatore, in questi lunghi anni di intensi colloqui che ho avuto con tua cognata Agnese, ho percepito il suo grande affetto verso di me. Mi ha più volte consigliato di dare un taglio al mio passato, di non voltarmi più indietro, ma di guardare avanti e pensare al futuro dei miei figli. Ovviamente non posso fare a meno di apprezzare la cura che questa grande donna ha avuto nei miei confronti e alle lezioni di vita che con animo sincero ha saputo impartirmi. Credo che le parole di Donna Agnese abbiano un unico significato: svincolarsi dal proprio passato permette ad ognuno di noi di acquisire una posizione da cui è più facile poi afferrare e vivere meglio sia il presente che l’avvenire.
 
Una cosa è certa. Tutto quello che questa nobile grande donna mi ha trasmesso, compreso quell’onore che solo donne particolari sanno avere, mantenere, difendere e mettere in pratica, lo trasmetterò alle mie figlie. Nel caso in cui, per mia debolezza, non riuscissi a trasmettere loro tutto quello che indegnamente ho ricevuto da tuo fratello Paolo, da tua cognata, dai tuoi nipoti e adesso anche da te, sarebbe per me una una vergognosa e terribile sconfitta!
 
Nelle lunghe conversazioni che ho avuto con la grande anima di tuo fratello Paolo e con tua Cognata, non posso non ricordarmi due grandi parole: “verità’” e “uomo libero”. Queste due meravigliose parole fanno parte di quel grande patrimonio di valori che erano propri del tuo amato fratello Paolo e che anche a te degnamente appartengono.
 
E’ vero: la Verità rende liberi.
Ma è anche vero che un diamante sporco di carbone non può mai riflettere la propria luce.
 
Sono fermamente convinto che un uomo può essere definitivamente libero solamente dopo aver fatto rispettare la Verità e aver amato ciò che sta dentro e oltre la Verità.
Solo dopo essere stata amata più di ogni altra cosa, la Verità entra nell’animo di un uomo rendendolo libero.
 
La figlia del re di Troia, Cassandra, diceva la Verità, ma nessuno le credeva. Nessuno si è mai mosso in suo favore in quanto la Verità di Cassandra era una “Verità di previsione”, di presagio e quindi senza fondamento. Solo quell’uomo astuto, usato e comandato dai capi greci affinché convincesse con l’inganno i Troiani a far entrare il cavallo dentro le mura, sapeva la Verità.
 
Sono consapevole del fatto che, prima di pensare alle mie figlie, devo amare la Verità, in quanto essa è stata alla base della loro nascita. Solo con questo profondo sentimento di amore verso la Verità posso diventare un uomo libero e quindi evitare una triste sconfitta! Cosa sarebbero le mie figlie senza onore? Sarebbero come il cibo senza sale. Come posso trasmettere e insegnare a queste quattro creature quel sentimento d’onore che mi fa essere uomo libero, quando poi questo onore è inquinato da paura ed egoismo? Cercherò di difendere il mio onore e la Verità a qualunque prezzo. Anche trascurando i miei sentimenti. Ritengo l’onore e la verità più importanti della mia vita stessa. Solo onorando la Verità, il mio cuore, logorato da una tragedia infernale, potrà avere pace.
 
Chi mi ascolta non deve avere nessuna commozione per me. La commozione si deve avere per il sangue innocente del Dr. Borsellino e per quel fior di ragazzi della Polizia di Stato che sono morti per lui standogli accanto fino alla fine. Davanti a questi valorosi e coraggiosi poliziotti io mi inchino profondamente.
 
Credetemi, io so quello che dico. E mi assumo ogni responsabilità. Sfido chiunque a dimostrare il contrario di ciò che ho sempre detto, che sto dicendo e che sempre dirò fino all’ultima goccia di sangue. La mia forza è la Verità, che ho sempre detto e che sempre dirò. Niente mi fa paura. Mi potranno uccidere fisicamente (e ben venga la morte) ma non potranno uccidere la Verità. Vi prego di considerare con attenzione la mie parole e la sincerità che sta dietro di esse. La società civile mi insegna che quando un uomo è sincero il mondo si muove!
 
Messina Denaro Francesco, il mio capo assoluto, amava più della sua stessa vita, più di suo figlio Matteo e più di ogni altro affetto, quell’Idea del Male che ha partorito Cosa Nostra e che ha fatto di essa una forte Entità collegata ad altre Entità. Messina Denaro Francesco era ben cosciente del fatto che, solo mettendo in primo piano l’Entità di Cosa Nostra, avrebbe potuto fare di suo figlio Matteo un genio e un grande capo. Matteo Messina Denaro oggi testimonia suo padre Francesco Messina Denaro, che continua a vivere dentro di lui. Al contrario di Messina Denaro Francesco, io ho consacrato le mie quattro figlie a quell’Idea del Bene che racchiude tutto quanto il mio amato Dr. Paolo Borsellino amava, compresa la Verità, i valori, il coraggio e il dovere. Ed io, se non farò il mio dovere, non mi sentirò degno di pensare ai miei figli.
 
Sappi, mio stimatissimo Salvatore, che se io ho consacrato le mie quattro figlie, la loro madre e tutto me stesso a questa nobile Idea del Bene, piena di luce infinita, è stato perché gli ho creduto!
E io sono pronto a morire per ciò che credo!
 
Queste mie figlie e la mia donna hanno il sacrosanto diritto di essere amate da me di un amore che non sia egoistico, privo di coraggio, di valori e di Verità, perché allora quell’amore li renderebbe schiavi dell’Idea del Male e li porterebbe alla distruzione fisica e spirituale. Le mie figlie hanno il diritto di attingere, attraverso di me, a quella Verità che mi ha reso libero e che io ho il dovere di trasmettere con amore altruistico e coraggio. Tali valori daranno sicuramente alle mie figlie una solida base. Su di essa potranno degnamente prepararsi alla “gara della vita”, a cui parteciperanno come donne libere, insieme con la libera società civile. Da lì, poi, potranno proiettarsi al futuro e avere come meta la vittoria finale su quell’infame Idea del Male che ho conosciuto direttamente e che tante amare lacrime, sangue e dolore ha causato ai figli della grande nobile Idea del Bene, piena di luce e di verità.
 
Sono consapevole che il mio presente attuale è legato a “quel presente”, a quei momenti in cui ho maturato la mia scelta e all’incontro che ho avuto con tuo fratello Paolo. Il Dr. Paolo Borsellino ha tolto delle ore preziose alle persone che amava per dedicarle alla Verità, facendo della Verità lo scopo della sua vita. Il Dr. Borsellino era ed è una grande anima che ha servito lo Stato e la società civile fino in fondo. Io non ho il suo coraggio, ma ho il dovere di far rispettare e difendere la Verità che mi ha reso libero.
 
Carissimo Salvatore, ciò che continuo a comunicarti ha un solo obiettivo: il mio dovere di riconoscenza verso il Dr. Paolo Borsellino, che si traduce nel dire a te ogni mio pensiero, sentimento, idea e ogni cosa che realmente era ed è collegata a “quel presente” che ho vissuto con tuo Fratello Paolo. “Quel presente” che è e sarà sempre il mio presente. Non permetterò a nessuno di mettere questo presente nel dimenticatoio.
 
Al cuore non si comanda, ma ancor di più alla ragione! Sono però consapevole che, di fronte a un cuore e a una ragione più grandi della mia, mi devo fermare e ubbidire. Farò sempre di tutto per dimostrare che dietro ogni mia parola ci sia un riscontro, una realtà.
 
Qualcuno continua a dimostrare di volermi bene solo “con le belle parole” e mi ha dato l’impressione che, con diabolica sottigliezza, abbia invece interesse a mettere nel dimenticatoio quel presente che mi lega a tuo fratello Paolo. Dico questo perché spesso sento dire queste parole: “Sono passati molti anni”. Vorrei tanto far capire a chi con intelligenza sa usare la ragione (la stessa che predicava Machiavelli) che non bisogna affiancare a questa ragione quella sottigliezza diabolica che contribuisce a rafforzare l’Idea del Male. Mi posso permettere di dire a chi vuole apparire come “Paladino di Francia” e fa credere di essere all’altezza di combattere il Male, che il frutto non nasce dalle belle parole, ma nasce e matura con un’azione forte e determinata. Vogliono dimostrare chissà che cosa, ma in realtà cercano solo il proprio interesse. I frutti non sono tutti uguali. Ci sono frutti che saziano solo il corpo e ci sono frutti che saziano sia il corpo che lo spirito. Le belle azioni compiute di chi ha in mano i “semi” del Dr. Paolo Borsellino non devono essere egoistiche (in modo da saziare solo il corpo), ma devono essere altruistiche, piene di lealtà e coraggio, in modo da saziare corpo e spirito. Se c’è da fare una cosa, la si faccia bene. L’azione più deplorevole e meschina è quella tiepida, quella che non è né fredda né calda.
 
Quella società civile, a cui il Dr. Paolo Borsellino era devoto e che serviva con fedeltà, deve ben sapere che quegli uomini dei Poteri Occulti degli anni ’80 e ’90 che facevano parte delle Istituzioni (comprese quelle religiose) hanno lasciato degli eredi. Questi eredi continuano a portare avanti ciò che hanno ereditato.
Senza ombra di dubbio, come allora il carnefice andava al funerale della vittima, così anche oggi succede la medesima cosa. Ci sono tante associazioni che sono schierate apertamente contro la mafia (e non solo la mafia) e che continuano ancora oggi a ricordare, difendere e onorare le vittime delle stragi, ben consapevoli del rischio che corrono (come ad esempio Giorgio Bongiovanni). Ma non si dovrebbe dimenticare che anche il carnefice sa piangere ed è bravissimo ad esternare un falso dolore. Gli eredi dei carnefici sanno anche schierarsi apertamente e ricordare con inganno e ipocrisia le vittime di questo male oscuro. Anzi, in certi casi, dimostrano di essere più bravi di chi veramente combatte con lealtà. Chi ha ereditato forza e potere a sua insaputa, se vuole essere veramente leale, per prima cosa non deve mai onorare e difendere quella forza negativa che l’ha creato e deve capire che la guerra non si fa come la faceva Don Chisciotte.
 
Una volta, Antonino Vaccarino, l’ex Sindaco di Castelvetrano, pupillo e delfino di Francesco Messina Denaro, mi disse queste parole: “La forza dell’antica Roma e le conquiste dei Romani erano dovute esclusivamente all’Idea di Roma. Roma era un’Idea! Sappi, caro Enzuccio, che l’Idea a cui noi apparteniamo è più forte dell’Idea di Roma. In questa sublime e potente Idea è racchiusa la nostra Entità, insieme ad altre Entità”.
 
Carissimo Salvatore, per vincere questa Idea del Male si devono attaccare gli eredi di questa Idea che li fa essere forti. Bisogna colpirli nel cuore! Ma più che gli uomini, si deve distruggere l’Idea che è radicata in questi uomini.
 
Sono sicurissimo che chi ha ordinato a Messina Denaro Francesco di organizzare il piano per uccidere il tuo Amato Fratello, gli ha anche manifestato la preoccupazione e la paura che questo piano fallisse. Tanto è vero che, per mettersi al sicuro, Messina Denaro Francesco ha organizzato non uno ma due piani per ucciderlo, in modo tale che sia nell’uno che nell’altro non avrebbe potuto avere scampo! Il primo consisteva nell’ucciderlo con un fucile di precisione e, in quel caso, sarei stato io a sparare. Il secondo piano consisteva nell’ucciderlo con una autobomba, e anche in quel caso, io avrei partecipato, ma con un ruolo di minore portata: avrei fatto semplicemente da copertura. Posso dire di aver visto con i miei occhi la condanna a morte del Dr. Borsellino! Ricordo benissimo il giorno in cui, a casa del Sindaco Vaccarino, c’era il mio capo assoluto Messina Denaro Francesco che mi disse di tenermi pronto per partecipare all’uccisione del Dr. Borsellino o di un suo Sostituto.
Il Dr. Borsellino non sarebbe dovuto morire! Tutti sapevano che c’era un piano ben organizzato per eliminarlo quando era Procuratore di Marsala e che questo piano doveva essere portato a termine dal mio Capo Assoluto della storica famiglia di CASTELVETRANO Messina Denaro Francesco. Di questa morte annunciata la televisione di Stato ha parlato più e più volte.
Ma fui io il primo a parlarne apertamente nei primi mesi del 1992 in Corte d’Assise d’Appello di Palermo, dove si procedeva contro Nitto Santapaola e Mariano Agate per l’omicidio del Sindaco di Castelvetrano Vito Lipari. Quel “pentito-a-metà” di Giuffrè ha confermato ciò che io dissi in Corte D’Assise di Palermo al Presidente Barreca. Ma, per quanto riguarda ciò che va oltre Cosa Nostra, il collaboratore di giustizia Giuffrè ha paura di parlare!
 
 
Ricordo quando mi trovai nella cella di isolamento al carcere di Favignana, quando, dopo una lunga introspezione ed una analisi di tutto ciò che era stata la mia vita, ho capito che la mafia mi aveva usato, educandomi a valori sbagliati, ipocriti e violenti che avevano messo in pericolo la mia stessa vita. In quei momenti mi veniva in mente il Dr. Borsellino, il giudice che avrei dovuto uccidere per eliminare uno dei maggiori ostacoli al domino mafioso. In quella cella d’isolamento c’era in me un grande travaglio interiore e, prima che io mi decidessi a chiamare il Dr. Borsellino, capii che questa forza del Male che mi aveva plasmato fin dalla Giovinezza aveva mostrato tutta la sua debolezza e vigliaccheria davanti alla sua professionalità e al suo coraggio. Questa cosa li rese, davanti ai miei occhi, non invincibili come mi avevano fatto credere, bensì vulnerabili! Il mio non è stato solo un pentimento giudiziario ma anche un pentimento interiore e morale. Metteva in ballo tutti quei valori e quegli insegnamenti mafiosi che avevano mostrato tutta la loro debolezza davanti al nobile coraggio del Dr. Borsellino. Questo pentimento interiore lo devo soprattutto a lui, in quanto mi stava sempre vicino e mi aiutava a capire le ragioni profonde del mio pentimento.
 
 
Con quella luce particolare negli occhi mi diceva: “Vincenzo, ti assicuro che la parola pentimento è una parola nobile”. E mi citava il pentimento del Re Davide dopo aver ucciso un innocente e avergli sottratto anche la moglie.
 
 
 
Quando lo incontrai, capii che c’era qualcosa che ci univa e che questa cosa non era solo il nostro legame, tanto diverso, con quella forza del Male di cui io facevo parte, ma qualcosa di ancora più oscuro e ineluttabile: l’oscura immensità della morte! Con lui condividevo lo stesso destino di morte, deciso dai capi mafiosi e da quelle Entità racchiuse in una grande e potente forza del Male.
 
 
Sapevamo entrambi che saremmo morti e questo ci ha reso ancora più vicini. Ed io Vincenzo Calcara, che credevo a questa forza del Male ed ero pronto a morire per essa, non potevo non unirmi ad un uomo con il quale avevo in comune una sola cosa: la morte! Sì, perché anche io ero stato condannato a morte, avendo avuto una relazione con la figlia di un uomo d’onore. Sapevo benissimo che la mia condanna a morte sarebbe stata eseguita dopo avermi usato per uccidere il Dr. Borsellino.
 
 
Tutte le volte che lo incontravo, rimanevo veramente colpito dal suo sorriso disarmante, da quella luce nel suo sguardo, lo sguardo di chi è fedele a se stesso e alle regole fino in fondo. Ma ero anche colpito dalla sua bontà, degna solo dei più devoti cristiani. Ripeto, il Dr. Paolo Borsellino, come magistrato, non era secondo a nessuno. La sua umiltà da vero cristiano lo faceva apparire secondo al suo amico Falcone, ma in realtà la sua professionalità ha fatto sì che la sua morte fosse anticipata!
 
Mio Stimatissimo, devi anche sapere che l’affetto particolare che il tuo amato fratello nutriva nei miei confronti è nato e si è rafforzato solo dopo aver toccato con le sue mani la mia lealtà verso di lui. Grazie a me trovò prove e riscontri di certi misteri, che per lui erano più importanti di quella sua vita che io cercavo di salvargli. Dopodiché, ha chiamato Sua Eccellenza l’Alto Commissario Finocchiaro e mi ha messo al sicuro nelle sue mani salvandomi la vita!
 
La Società Civile non deve sapere solo i rapporti d’affetto e gli abbracci tra me e il Dr. Borsellino. Deve essere al corrente della sua professionalità e di tutte le altre cose che hanno fatto paura, che continuano a fare paura e che vengono tenute chiuse negli armadi.
 
 
Il Dr. Borsellino aveva messo in pericolo interessi forti. Era quindi un ostacolo e un pericolo per quello che poteva ancora fare. Il Dr. Borsellino era in possesso di verità scomode. Di verità che facevano e fanno tuttora paura sia a Cosa Nostra che a quei poteri occulti molto pericolosi da sempre collegati a Cosa Nostra.
 
 
Tanti, anche tra coloro che si spacciavano per suoi amici, si dovrebbero vergognare di averlo lasciato solo al suo destino.
Siccome io credo nella coscienza dell’uomo e so con certezza che non si può mentire alla propria coscienza, mi rivolgo soprattutto a quelle persone della società civile che, anche se non collusi con nessuna di queste Entità malefiche, non hanno avuto il coraggio di fare un passo avanti per blindare e difendere la vita e il corpo fisico del Dr. Borsellino. A loro io voglio trasmettere tutte le sensazioni belle e le vibrazioni positive che il Dr. Borsellino mi ha trasmesso. Solo così potranno evitare lacrime di pentimento.
 
Migliaia di pentiti hanno parlato. Ma ci sono cose che non sono mai state dette. Molti di loro non ne hanno parlato, semplicemente perché non ne erano al corrente. Alcuni, invece, che conoscono quelle cose, credono che, non parlandone, avranno salva la vita.
Io invece ne voglio parlare, perché ho il mio asso nella manica. Solo io ho questo privilegio e quindi non posso arrecare troppi danni o problemi a chi indaga su queste cose. Per quanto concerne le Entità collegate a Cosa Nostra, ho parlato ampiamente con il Dr. Luca TESCAROLI presso la Procura di Roma. Ora, io temo per la sua vita, così come per la Dott.ssa Monteleone, per via delle indagini che stanno conducendo. D’altra parte, capisco anche che un attentato al Dr. Tescaroli non sarebbe conveniente per chi volesse la sua morte: sarebbe una conferma implicita della cose che dico.
 
Credo di poter dire di essere arrivato a conoscere circa l’80-90% della Verità.
 
 
Tutte le cose che racconterò sono le stesse che ho raccontato al Dottor Borsellino.
 
 
Lui prendeva appunti nella sua agenda rossa. 
 
 
Quella stessa agenda che è stata fatta sparire misteriosamente il giorno dell’attentato in Via D’Amelio.
 
 
E che non è stata più ritrovata.
 
 
 
 
L’INIZIAZIONE
 
 
 
La maggior parte delle notizie più riservate di cui parlerò le ho apprese da Michele Lucchese.
 
Michele Lucchese era non solo un imprenditore, ma anche un politico e un uomo di grande fiducia di Messina Denaro Francesco, il mio Capo Assoluto. Sia Michele Lucchese che Messina Denaro Francesco, a loro volta, sono venuti a sapere di queste notizie riservate tramite il famigerato notaio Salvatore Albano. Posso affermare con certezza che Brusca e Cancemi conoscono il notaio Albano. Questo Albano, nativo di Borgetto, un paese della provincia di Palermo, era sposato con una donna slava, con la quale ha adottato una bambina. Iscritto all’Ordine dei Cavalieri del Santo Sepolcro, così come il noto cardinale Marcinkus, era amico fraterno del famoso Luciano Liggio di Corleone, di cui curava gli interessi economici. Non solo. Era pure amico fraterno dei cugini Salvo, esattori e uomini d’onore. Talmente amico cheinviò loro un vassoio d’argento in dono per le nozze di Angela Salvo, la figlia prediletta di Nino, con il medico Gaetano Sangiorgi, oggi all’ergastolo come basista dell’agguato in cui fu ucciso il cugino del suo suocero, l’altro esattore, Ignazio. Si tratta del famoso vassoio del processo-Andreotti. Dentro al Vaticano il notaio Albano era di casa, ed era la persona giusta di collegamento tra l’Entità di Cosa Nostra e l’Entità del Vaticano.
 
 
Michele Lucchese nutriva per me grande affetto e fiducia. Tanto per dire quanto si fidasse di me, aveva fatto in modo che avessi la residenza a casa sua. Lucchese apparteneva ad una Loggia Massonica segreta e voleva assolutamente che anch’io entrassi a farne parte. Per questo chiese l’autorizzazione a Messina Denaro Francesco. Si era messo in testa di prepararmi all’iniziazione “Il Tempio” con Rito Scozzese: sarebbe stato lui il mio garante. Ricordo che un giorno, tutto contento, mi annunciò che Messina Denaro Francesco aveva acconsentito: “U zù Cicciu ha detto di sì!”.
Allora non perse tempo e iniziò subito a insegnarmi le prime regole fondamentali della Massoneria. Innanzi tutto alcuni termini specifici come Gran Maestro Venerabile, Gran Segretario, Grande Luce, 33°, 32°, 30° Grado, “in sonno”. Essere un fratello “in sonno” significa, per esempio, essere in un periodo di prova, in attesa di entrare a far parte a tutti gli effetti della Famiglia. Succede un po’ la stessa cosa anche all’interno di Cosa Nostra. Anche lì si viene, per così dire, posati, quasi come in castigo, per poi ricevere di nuovo l’affetto del Capo Assoluto.
Lucchese mi insegnò anche come si riconosce un Fratello Massone, come ci si saluta quando ci si stringe la mano o ci si bacia e come ci si riunisce nel Tempio.
 
Cito un episodio particolarmente divertente. In un’occasione, Antonino Vaccarino, l’ex sindaco di Castelvetrano e ufficialmente Massone del Grande Oriente, venne a trovare Lucchese a Milano. Ero presente anch’io. Visto il grande affetto e confidenza che c’era con lui, Lucchese mi ordinò di mettere in pratica quello che avevo imparato e salutarlo con il Rito Massone. Vaccarino scoppiò a ridere e mi disse: “Sono contento che anche tu sia diventato massone!”. Era contento ed orgoglioso di me.
 
 
Questa mia appartenenza alla Massoneria si è rivelata utilissima. Per esempio, ho potuto salvare l’occhio di mia figlia Fiammetta, che necessitava di essere curato con medicinali costosissimi. Devo ringraziare il Dr. Par… (non è ben leggibile nell’originale n.d.r.). Una volta avevo notato che questo dottore era stato salutato con Rito Massone da una persona che è venuta a trovarlo. Capii dunque che era un nostro fratello. Un giorno decisi di presentarmi da lui come un fratello “in sonno” (anche se “in sonno” si è sempre fratelli), lo salutai da Massone e lui mi diede gratis quelle medicine necessarie per mia figlia.
 
 
 
 
 
 
L’ATTENTATO A PAPA WOJTYLA
 
 
 
 
Nella primavera del 1981, mentre mi trovo a Milano, Michele Lucchese mi si avvicina e mi dice che deve assolutamente parlarmi di una cosa della massima importanza. “Enzo, questi sono gli ordini. Il 12 maggio devi prendere un treno per Roma. Stammi bene a sentire. Alla stazione Termini ci saranno due persone ad aspettarti al binario numero 3. Li conosci. Uno è Saverio Furnari, il Capo Decina della famiglia di Castelvetrano. Fa parte del “gruppo di fuoco”. L’altro è Vincenzo Santangelo. E’ un uomo d’onore anche lui. E’ il fratello di Lillo Santangelo, figlioccio del nostro capo assoluto Francesco Messina Denaro. Loro ti diranno il da farsi. Dovrai prendere in custodia due Turchi che ti saranno consegnati da un Bulgaro. Questo Bulgaro è una persona fidata e importante. Basta. Non posso anticiparti niente. Ti dico solo che nella Città Eterna sta per scoppiare una bomba che rimarrà nella Storia! Caro Enzuccio, preparati, so che non mi deluderai”.
 
 
 
Come concordato con Michele Lucchese, la sera del 12 maggio 1981 prendo il treno per Roma. Arrivato alla stazione Termini la mattina seguente, seguo alla lettera gli ordini e mi avvio al binario numero 3. Come mi era stato anticipato, Furnari e Santangelo sono lì ad aspettarmi sulla banchina. Vedo subito che non sono soli. Con loro c’è una persona che non conosco.
 
 
Furnari me lo presenta immediatamente. “Lui è Antonov, il Bulgaro. E’ in rapporti stretti con la mafia turca e con Cosa Nostra. Sarà lui a dirti cosa devi fare. Ma prima andiamo a fare colazione”. Dopo aver preso un caffè, ci avviamo tutti e quattro verso piazza San Pietro.
 
 
Appena entrati nella piazza, Furnari mi si avvicina e mi sussurra all’orecchio: “Adesso ti metti completamente a disposizione di Antonov ed esegui alla perfezione tutto ciò che ti dice!”.
 
 
Guardo il Bulgaro. Sa già cosa deve dirmi. Mi indica un punto, proprio all’inizio della piazza: “Io e te ci incontreremo là questo pomeriggio”.
 
 
 
Dopo mangiato mi reco nel punto esatto indicatomi da Antonov. Saranno state più o meno le quattro del pomeriggio. Lui è lì che mi aspetta già da un pezzo. Ricordo che la piazza era già gremita di fedeli in attesa di vedere il Santo Padre. Il Bulgaro si guarda attorno.
 
 
Quando è sicuro che nessuno lo stia ascoltando mi dice: “In questo punto preciso ti porterò due Turchi. Tu li condurrai dove ti è stato ordinato. Adesso però prima accompagnami all’interno della piazza per una cinquantina di metri. Poi tornerai qui e aspetterai che torno con i Turchi. Sappi però che non ci metterò meno di un’ora”.
 
 
Ci avviamo tra la folla all’interno della piazza.
 
 
A un certo punto Antonov si blocca: “Bene. Tu, i due Turchi, non li conosci, ma sappi che loro, in questo momento, ti hanno visto insieme a me e ti hanno riconosciuto. Hanno l’ordine di seguirti. Faranno tutto quello che gli dirai”.
 
 
Faccio cenno col capo di avere capito: “E se succede un imprevisto?”.
 
 
Antonov ci ha già pensato: “Non preoccuparti. Se, per qualsiasi motivo, non li posso accompagnare, verranno loro da te nel posto in cui ti trovi. Gli ho indicato il punto esatto. Ti diranno queste parole: “Ciao Antonov”. Ecco, tieni, prendi questo rosario. Ricordati di tenerlo sempre nella mano sinistra, ben in vista. Quando i Turchi verranno da te, tu li saluterai con la mano sinistra. E ricordati: sono armati”.
 
 
Circa un’ora dopo la piazza era stracolma di gente. Non ci si poteva quasi muovere. Faceva caldo. E quella ressa ti toglieva il fiato. Io ero lì, nel posto stabilito, ad aspettare che il Bulgaro mi portasse i due Turchi. Papa Wojtyla stava compiendo il suo solito tragitto transennato attraverso la folla. Ricordo un mare di mani e di sguardi a cercare la benedizione del Papa. Ad un certo punto, in lontananza, nel rumore generale, sento un colpo fortissimo, come uno scoppio. Forse uno sparo. Per un attimo, il silenzio. La gente confusa, disorientata, impaurita. Qualcuno comincia a gridare: “Gli hanno sparato! Gli hanno sparato!”. In un attimo si scatena il putiferio. Ricordo un casino enorme. Gente che urla, gente che corre, gente che piange. Io rimango al mio posto. Poco dopo, saranno passati una decina di minuti, venti al massimo, vedo arrivare Antonov di corsa. C’è un Turco insieme a lui.
 
 
Appena mi vede mi urla: “Vattene! Vattene immediatamente! Portati via il Turco!”.
 
 
Antonov è sudato, agitatissimo, ha la faccia sconvolta. Lo prendo con me. Insieme ci dirigiamo di corsa alla stazione Termini. L’appuntamento è sempre al binario numero 3. Furnari e Santangelo sono già lì ad aspettarmi. Tutto come previsto. Hanno già pronti i biglietti del treno per Milano. Furnari mi dice: “Enzo, rilassati. Non c’è bisogno di correre. Il treno è in ritardo di un’ora”. Partiamo tutti e quattro da Roma che è già sera tardi. La mattina del 14 arriviamo in stazione a Milano. Lì ci dividiamo. Io, quella sera, ho un appuntamento a casa di Michele Lucchese. Furnari e Santangelo invece si prendono in consegna il Turco. Li saluto, li abbraccio e mi avvio all’esterno della stazione.
 
 
 
LA MORTE DI PAPA LUCIANI
 
 
 
La casa di Michele Lucchese si trovava a Paderno Dugnano in una zona, per così dire, “sicura”, cioè controllata meticolosamente dal nostro amico, il Maresciallo dei Carabinieri, Giorgio Donato. A mezzogiorno mi incontro con lui. Appena mi vede, Lucchese mi chiede di raccontargli per filo e per segno tutto quello che ho fatto e visto nella mia “giornata romana”. Io, con pazienza infinita, gli riferisco tutti i dettagli dell’operazione, compresa l’agitazione che avevo notato sul volto di Antonov.
 
 
Michele, non mi avevi mica detto che si doveva fare un attentato al Papa!”.
 
 
Lui sorride.
 
 
Poi mi dice: “Vedi? In questo momento Furnari e Santangelo sono a pranzo insieme al Turco in quel ristorante. Tu adesso ci vai e, mentre Santangelo rimane col Turco, tu mostri a Furnari il punto esatto in cui devono fargli fare la fine de lu sceccu!”.
 
 
Che, in siciliano, significa “fare la fine dell’asino”.
 
 
Caro Enzo, devi sapere che un asino si usa finché serve. E’ nato per essere usato. Quando non serve più, lo si ammazza!
 
 
Sapevo fin troppo bene cosa volessero dire quelle parole.
 
 
Poi mi dà appuntamento a casa sua per la sera stessa.
 
 
 
Dopo aver fatto come mi aveva ordinato, la sera mi presento da lui.
 
 
Lucchese, come al solito, mi accoglie calorosamente.
 
 
Allora?
 
 
Furnari e Santangelo sono con il Turco. Lo stanno portando nel luogo che gli ho indicato”.
 
 
Bravissimo! Enzo, non ho voluto che partecipassi anche tu all’omicidio del Turco. Ho preferito che stessi qui, a farmi compagnia. Spero che capirai. Ora, però, prima, fammi fare una telefonata”.
 
 
Lucchese prende in mano la cornetta e compone un numero. Dalle sue prime parole capisco che dall’altra parte del filo c’è il Comandante dei Carabinieri, Giorgio Donato.
 
 
Ricordo queste parole: “Azione avviata!
 
 
Dopo aver terminato la telefonata, si volta verso di me con aria soddisfatta: “La zona è sotto controllo. Questo amico è troppo in gamba!
 
Poi, mentre aspettiamo che tornino Furnari e Santangelo, Lucchese inizia a parlarmi del motivo per cui era stato pianificato l’attentato al Papa.
 
Enzo, ci sono un paio di cose che devi sapere. Papa Wojtyla aveva intenzione di seguire il solco appena tracciato da Papa Luciani, e cioè rompere gli equilibri all’interno del Vaticano. Ti rivelo una cosa. Papa Luciani era intenzionato a fare una vera e propria rivoluzione all’interno del Vaticano. Siccome desiderava tanto che la Chiesa fosse più povera, aveva preparato un progetto per ridimensionare la ricchezza del Vaticano e aveva studiato un piano per aiutare le famiglie povere del mondo, innanzitutto quelle italiane. Ovviamente, tutto ciò si doveva fare per mezzo della I.O.R., la Banca del Vaticano, che sarebbe stata data in gestione a persone laiche secondo l’insegnamento di Gesù: “Dare a Cesare quel che è di Cesare”. Papa Luciani non sopportava l’idea che Cardinali e Vescovi gestissero queste enormi ricchezze e, quindi, la sua prima intenzione era quella di rimuovere proprio quei Cardinali che usavano e manipolavano il Vescovo Marcinkus e che sfruttavano non solo la sua capacità di gestire lo I.O.R., ma anche e soprattutto i suoi contatti e le sue potenti amicizie a livello europeo ed internazionale. Se Papa Luciani non fosse morto, da lì a pochi giorni sarebbero stati rimossi e sostituiti immediatamente sia Marcinkus che altri quattro Cardinali e forse anche, se non erro, il Segretario di Stato o il Segretario del Papa. Al loro posto sarebbero subentrati altrettanti Vescovi e Cardinali di massima fiducia. Costoro, in gran segreto, avevano preparato insieme a Papa Luciani un piano ben preciso. Dopo essersi inseriti ognuno al posto giusto, si sarebbero attivati subito per distribuire il 90% delle ricchezze del Vaticano in diverse parti del mondo, in modo tale da costruire case, scuole, ospedali etc… Il 10% delle rimanenti ricchezze sarebbe stato affidato e fatto gestire allo Stato Italiano per conto e in base ai bisogni della Chiesa. Insomma, voleva fare una vera e propria rivoluzione e cogliere tutti di sorpresa!
 
Purtroppo, il Povero Papa non ha potuto portare a termine il proprio piano, in quanto uno dei Cardinali di fiducia lo ha tradito ed è andato a raccontare tutto a Marcinkus e agli altri Cardinali! Costoro, appena vennero a conoscenza della cosa, si attivarono immediatamente e con la loro diabolica intelligenza riuscirono, senza lasciare nessuna traccia, ad uccidere il loro Papa con una grande quantità di gocce di calmante, grazie anche all’aiuto del suo medico personale”.
 
Rimasi completamente stupefatto dalle parole di Lucchese.
 
Michele, e chi sarebbero questi quattro cardinali?
Enzo. Io ti posso riferire quello che mi ha detto il Notaio Albano”.
E che dice il notaio?
 
Dice che erano quattro le “anime nere” che si aggiravano dentro il Vaticano ed esercitavano un forte potere sfruttando le doti manageriali del Vescovo Marcinkus. Mi ha fatto quattro nomi. Innanzitutto il Cardinale Macchi, uno dei prediletti di Papa Paolo VI, che l’aveva anche ordinato Suo Segretario. Faceva parte dei cavalieri del Santo Sepolcro, proprio come il Vescovo Marcinkus”.
 
 
Cardinal Macchi! Questo nome non mi è nuovo… Ma certo! Ha lo stesso nome di un mio compagno delle Elementari! E chi altri?
 
 
La seconda “anima nera” era il Cardinal Villot, Vallot o Vellot, scusami ma adesso non ricordo bene…
 
 
Che nome strano! Non termina nemmeno con una vocale. Deve essere straniero”.
 
 
Esatto, Enzo. Questo Cardinale, pur non essendo Italiano, ha fatto delle cose straordinarie e ha salvato la finanza del Vaticano, quella finanza che Papa Luciani voleva distruggere.
 
 
E poi c’era il Cardinale Benelli…”
 
“Benelli! Come la marca della mia prima moto! Si chiamava proprio così. Mi ricordo ancora. Me la regalò Casesic, il mio padrino di Cresima…”
 
Per ultimo mi fece il nome del Cardinale Gianvio, che mi sembra fosse anche Segretario. Tutti e tre comunque facevano parte dell’Ordine dei Cavalieri del Santo Sepolcro. Enzuccio, figghiu miu, devi capire che questi quattro Cardinali avevano in mano lo I.O.R. e le finanze del Vaticano! E avevano pure un filo diretto proprio con il Notaio Albano che, come ben sai, all’interno di Cosa Nostra è come un fiore all’occhiello”.
Senti, Michele. Una curiosità. Ma l’altro Turco, che fine ha fatto?
L’altro turco, a quanto pare, tu non l’hai neppure incontrato. Si chiama Ali Agca. L’altra notte ha pernottato in un albergo a Palermo, prima di arrivare a Roma per l’attentato. Devi sapere che tutte e due i Turchi sono stati addestrati in Sicilia da uomini di Cosa Nostra. Nel caso, dopo l’attentato, fosse riuscito a fuggire, c’era già pronto un piano per ucciderlo!”.
Siamo andati avanti a parlare ancora per un paio d’ore, fino a notte inoltrata, finché non sentiamo arrivare Furnari e Santangelo.
 
 
 
LA FINE DEL TURCO
 
 
 
 
 
 
 
Sentiamo la loro macchina che parcheggia sul selciato. Dopo qualche istante, si apre di colpo la porta. Appaiono Furnari e Santangelo.
Come è andata?” chiede Lucchese.
Tutto a posto”.
Lucchese fa una smorfia di compiacimento.
L’abbiamo lasciato steso sul ciglio di una stradina di campagna, a circa un chilometro da qui. Ora dobbiamo tornare a seppellirlo, ma abbiamo bisogno di una mano”.
Lucchese mi guarda.
Enzo, vai pure con loro. Io resto qui”.
Prendiamo gli attrezzi necessari e ci avviamo tutti e tre, io, Furnari e Santangelo, verso Calderara, una frazione di Paderno Dugnano, una zona che io conoscevo perfettamente. Era buio pesto. Arriviamo sul luogo in cui giaceva il corpo del Turco. Lo spogliamo completamente e lo trasciniamo per alcune decine di metri in aperta campagna, dove c’era un campo di granoturco. Con i badili scaviamo una fossa profonda circa due metri e buttiamo il cadavere dentro. Poi lo cospargiamo di benzina e, mi sembra, anche di acido e lo seppelliamo. A poca distanza da lì, bruciamo anche i vestiti e il passaporto.
 
Undici anni dopo, nel Maggio del 1992, dopo che il Dr. Borsellino, grazie alle mie rivelazioni, aveva fatto arrestare una quarantina di persone (compreso il Sindaco Vaccarino), esce un articolo sul Corriere della Sera, che il Dr. Borsellino mi ha fatto leggere, dove si dice che il sottoscritto avrebbe potuto scoperchiare il mistero dell’attentato al Papa.
La cosa inquietante è che, nell’Ordinanza di Custodia Cautelare di tutti gli arrestati, si parlava di tutto (dall’associazione mafiosa al traffico di stupefacenti) tranne che dell’attentato al Papa. E nemmeno si faceva menzione dei 10 miliardi riciclati dallo I.O.R. né del traffico d’armi con la Calabria, cose che avevo raccontato solamente al Dr. BORSELLINO e su cui lui indagava in gran segreto. Addirittura, il Dr. Borsellino riteneva che questi argomenti fossero così delicati e pericolosi, al punto che preferiva non comunicarli neanche al Dr. Natoli né al Dr. Lo Voi. Temeva infatti per la loro incolumità.
 
Ricordo il Dr. Borsellino piuttosto preoccupato.
Mi dice: “Oltre a me, a chi hai parlato del Papa?
Io rispondo: “A nessuno! Come Lei sa, ne ho parlato solo col Maresciallo Canale, al quale ho anche fatto cenno dei famosi 10 miliardi”.
Il Dr. Borsellino ha una smorfia di rabbia e con occhi scintillanti mi dice: “Questi sono segnali che non mi piacciono! Speriamo che non rubino il cadavere del Turco che hai seppellito. Adesso mi attivo affinché tu possa essere portato sul luogo dove si trova il cadavere”.
 
Nel giro di due mesi il Dr. Borsellino verrà ucciso.
 
Tutto ciò che ho detto al Dr. Borsellino e che adesso sto scrivendo l’ho anche detto al Dr. Priore 14 anni fa. La prima cosa che dissi al Dr. Priore e al Dr. Marini fu quella di portarmi a Calderara. Gli avrei fatto trovare il cadavere del complice di Ali Agca. Ripeto, conoscevo bene quella zona, ancor prima di seppellire il Turco con le mie mani. Era un vasto campo, completamente pianeggiante.
 
Quando arrivammo sul luogo, lo ritrovai completamente sconquassato, con montagne di terra dappertutto e profonde buche. Una persona del posto spiegò al Dr. Priore che nel mese di marzo del 1992 aveva visto alcune ruspe, per dei lavori, mettere sottosopra tutto il campo, che era lì da sempre ed era coltivato a granoturco. Si badi bene. Io ho iniziato a collaborare nel dicembre 1991. Il cadavere è rimasto lì per 10 anni. Ma pochi mesi dopo che ho iniziato a parlare, hanno fatto sparire il cadavere! Purtroppo, il Dr. Borsellino aveva avuto l’intuizione giusta: avevano sottratto una prova micidiale. Ricordo che il Dr. Priore ci rimase malissimo. Lui mi aveva sempre creduto, in quanto era riuscito a trovare altri riscontri a tutto ciò che gli avevo detto. Compreso la morte di Papa Luciani e i miliardi riciclati dalla Banca Vaticana! Lui non mi ha mai denunciato per calunnia. Anzi.
 
 
 
PROVENZANO E IL GRANDE UOMO POLITICO
 
 
 
 
 
Circa un mese dopo l’attentato al Papa, nel mese di giugno 1981, dopo aver pranzato a casa di u zu Michele Lucchese, ci dirigiamo in macchina tutti insieme all’aeroporto di Linate. Mi ricordo ancora il modello: era un’Alfa Turbo Diesel 1600. Dovevamo raggiungere l’ufficio del mio direttore della Dufrital dove io lavoravo in qualità di magazziniere, all’interno del varco doganale. Il mio compito era quello di fare entrare dalla Turchia eroina e quintali di morfina base. Mi ricordo, per esempio, che in un’occasione, quando ho consegnato a Palermo un camion carico di morfina base, pronta per essere raffinata in eroina, ho conosciuto anche Carlo Greco, uno di coloro che hanno partecipato alla strage di Via D’Amelio (sono stato io il primo a farne il nome).
 
Dopo circa mezz’ora di macchina arriviamo a Linate. Montecucco, che subiva moltissimo la personalità di Lucchese, aveva avuto l’incarico di prenotare due biglietti per Roma per me e per Lucchese. Ci imbarchiamo e, dopo essere arrivati a Fiumicino, prendiamo un taxi che ci porta direttamente nel centro di Roma, precisamente in una via molto stretta, dove ci sono tutti negozi di antiquariato. Mi sembra che fosse vicino a Piazza Navona. Se non erro questa via si chiama Via dei Coronari.
 
 
Appena scesi dal taxi, Lucchese cerca una cabina telefonica e chiama il Notaio Albano.
 
 
Sento che dice: “Siamo arrivati. Ti aspettiamo al numero 3 di questa via degli Antiquari”.
 
 
Ricordo che al Lucchese piaceva molto il numero tre.
 
 
Dopo aver appeso la cornetta mi dice: “Il notaio Albano arriverà tra una mezzora. Non ti dico insieme a chi, perché voglio farti una sorpresa. Nel frattempo andiamo a guardare un po’ di roba antica”.
 
 
 
Dopo una quarantina di minuti un taxi si ferma proprio davanti a noi. Vedo scendere il notaio Albano insieme con Messina Denaro Francesco. Dopo esserci salutati, ci dirigiamo tutti in un lussuoso hotel del centro. Ad attenderci ci sono Saverio Furnari (alcuni anni fa è stato trovato impiccato in carcere. Il Dr. Borsellino l’aveva fatto condannare grazie alle mie dichiarazioni) e Mariano Agate. Erano partiti tutti e due insieme a Messina Denaro Francesco. Oltre a loro vedo Bernardo Provenzano (detto u zu Binnu) insieme a due suoi uomini di fiducia dall’accento palermitano. Dopo i soliti convenevoli, il notaio Albano ci lascia, mentre noi rimaniamo tutti in hotel.
 
 
 
La sera, verso le nove, arrivano tre taxi che ci portano in un lussuoso ristorante. Abbiamo già una sala riservata per noi. Trascorrono pochi minuti e vedo arrivare il vescovo Marcinkus, due cardinali e altre quattro persone. Poco dopo, arriva il notaio Albano insieme a un grande uomo politico delle istituzioni.
 
 
 
I due palermitani avevano riservato un tavolo a parte per me e Furnari, a pochi metri dal grande tavolo dove cenavano tutti gli altri. Quando sta per iniziare l’antipasto, Lucchese si avvicina al nostro tavolo  e ci dice: “Le quattro persone che sono venute in compagnia di Marcinkus domani dovranno essere sequestrate. Mettetevi d’accordo e sceglietevi una persona a testa”.
 
 
Uno di questi quattro era un generale dell’esercito di un paese del Sud America. Gli altri tre erano Italiani, dei quali uno apparteneva all’alta finanza. Io mi scelsi il generale dell’esercito.
 
 
 
Finito di cenare, torniamo in taxi in hotel, sazi e soddisfatti. Io salgo in macchina con Lucchese. Mi ricordo che durante il viaggio mi sussurra all’orecchio queste parole: “Dobbiamo sequestrare quei quattro per ricattare a livello internazionale alcune potentissime persone che sono in collegamento con il presidente di uno stato del Sud America. Abbiamo bisogno di far confluire e indirizzare in quel paese ingenti capitali. Domani, alle dieci, ci riuniremo tutti in una tenuta. Vedrai. Ci sono decine e centinaia di ettari di terreno e, annessa, una bellissima villa”.
 
 
Mi fece intendere che la villa era di proprietà del grande uomo politico, che a sua volta l’aveva comprata tramite il notaio Albano. Ora non ricordo se questa tenuta sia intestata al politico o a un  suo prestanome, ma ricordo benissimo che si trova nella zona di Latina o nella Provincia di Latina. Per la cronaca, avevo anche detto al Dr. Croce che ero disposto a fare un sopralluogo, ma lui non ha voluto sentire ragioni!
 
 
 
L’indomani mattina, alle ore 6:30, ci vengono a prendere tre uomini con tre macchine diverse. Ricordo che erano ben vestiti e indossavano la cravatta. Ho saputo poi da Lucchese che erano uomini fidatissimi del grande politico, inseriti all’interno dei Servizi Segreti deviati.
 
 
Quando arriviamo nella villa della tenuta di campagna, tre uomini ci danno in mano quattro pistole 357 MAGNUM a tamburo nuove di zecca. A una ventina di metri dalla villa vedo tre macchine parcheggiate, custodite da una persona. Queste tre auto sarebbero servite per trasportare i sequestrati in una villa di campagna distante una trentina di chilometri dalla tenuta.
 
 
 
Verso le nove e mezza arrivano tutti ed entrano subito nella villa per iniziare la riunione. Solo io, Furnari e i due palermitani rimaniamo fuori. Oltre, ovviamente, alla persona vicino alle tre macchine e ai tre uomini dei Servizi Segreti che si sono appostati proprio davanti all’entrata.
 
 
Il segnale convenuto era questo. Una volta che tutti fossero usciti e si fossero salutati, bisognava aspettare che Provenzano dicesse queste parole: “Oggi è una bella giornata!“. A quel punto saremmo entrati in azione puntando la pistola ognuno al proprio uomo. Avevamo l’ordine di sbatterli dentro la macchina anche a costo di usare la forza. Nel caso in cui però Provenzano non avesse detto nulla, allora le quattro persone non si sarebbero più dovute sequestrare. Quella riunione, infatti, era stata organizzata per valutare se fosse il caso o meno di procedere al sequestro.

 
 
Alle 11:30 termina la riunione. Quando tutti si sono salutati, ecco che il Sig. Provenzano, rivolto a noi, dice: “Oggi è una bella giornata!”.
 
 
In un baleno entriamo in azione con le pistole spianate. Il mio generale è bravissimo, alza subito le mani. A un paio di metri da me c’è Furnari con il suo uomo e sento che dice: “Dai! Girati e vai lentamente verso quelle macchine!”.
 
 
Quello fa finta di voltarsi e in un attimo prende una piccola pistola calibro 6,35 che teneva nascosta da qualche parte (non si è mai capito dove) e, gridando “Bastardi!”, sta per premere il grilletto. In quell’attimo, Furnari, che è un uomo spietato e a cui certo non manca l’esperienza, gli spara. Ma qualcosa va storto. Il colpo non parte. In seguito si è accertato che la sua pistola si è inceppata. Furnari, allora, con un salto gli si butta addosso e sento che mi dice: “Enzo, sparaci!”.
 
 
In quel preciso momento il sequestrato spara il primo colpo in direzione del politico.
 
 
Sono frazioni di attimi. Lascio il buon generale nelle mani dei tre uomini dei Servizi Segreti deviati e con tre colpì in rapida successione lo uccido. In realtà, prima di morire, riesce a sparare ancora un altro colpo di pistola, per fortuna andato a vuoto.
 
 
Subito dopo prendo la pistola semiautomatica delle mani del morto e la consegno al mio capo assoluto Messina Denaro Francesco, il quale mi fa una carezza e mi dice “bravo!”.
 
 
Sono anche testimone di una scena che mi è rimasta impressa. Sento con le mie orecchie che l’uomo politico dice al Cardinale: “Ma non gli dai l’Estrema Unzione a questo povero cadavere?
 
 
Il Cardinale si fa il segno della croce e dice : “Andiamo via che si è fatto tardi”.
 
 
 
In seguito ho saputo da Lucchese che il cadavere è stato fatto scomparire da Furnari e dai due palermitani. Le tre persone sequestrate sono state liberate dopo circa un mese, in cambio della sistemazione degli ingenti capitali di denaro. Sono contento che il bravo generale si è salvato.
 
 
 
LE CINQUE ENTITA’
 
 
 
 
 
 
 
Nell’Autunno del 1991, quando il Dr. Borsellino era Procuratore a Marsala, decisi di raccontargli come era strutturata Cosa Nostra, per quanto io ero riuscito a sapere. Volevo mostrargli come Cosa Nostra non fosse altro che una di quelle che io chiamo cinque Entità che, con la loro rete segretissima di collegamenti, occupano e influenzano gran parte della vita politica, economica e istituzionale italiana. In uno dei tanti incontri con il Dr. Borsellino, gli avevo ancora una volta esternato la mia preoccupazione per la sua vita dicendogli di mettersi al sicuro, perché solo da vivo poteva essere la mia ancora di salvezza.
 
Lui mi aveva risposto con queste parole: “Vincenzo, solo se togli dal tuo cuore quel negativo sentimento di paura, puoi onorare te stesso, la scelta che hai fatto e anche la fiducia che ho riposto in te e, perché no, anche quelle preziose ore che ho tolto alla mia famiglia per dedicarle a te, per sostenerti nei momenti difficili. Ricordati quello che ti dissi l’altra volta: “E’ bello morire per ciò in cui si crede, e chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola”. Vincenzo, siamo nella stessa barca, indietro non si torna! Adesso racconta con dovizia di particolare tutto ciò che mi hai accennato sulle Entità e su quella potente Idea. Però sappi che quando ti verrò a trovare a Roma, tutto ciò che mi hai detto e mi dici sarà messo a verbale e firmato da te. Ricordati che le cose più importanti le scrivo su questa Agenda, e poi non potrai dire di non avermele dette”.
 
 
A quel punto gli dissi che mi era stato raccontato con orgoglio che queste cinque Entità sono state partorite da una potente e nobile Idea e al cuore di questa Idea sono legate indissolubilmente. Essa le nutre di nobili valori, che a loro volta si fanno largo nel cuore e nella mente degli uomini che ne sono degni. Questo è quanto mi hanno fatto credere e a cui ho sempre creduto finché non incontrai il Dr. Borsellino.
 
 
L’unica persona che io ricordi che ha fatto cenno all’esistenza di queste cinque Entità è stato Buscetta. Al di fuori di lui, nessun altro pentito ha voluto parlarne. In realtà, queste Entità possono essere pensate anch’esse come delle Idee, forti e apparentemente indistruttibili. Per fare un esempio, è chiaro che l’idea di un palazzo è più importante del palazzo stesso: il palazzo può crollare, ma la sua idea non ne rimane scalfita. Quando si parla di Cosa Nostra e delle altre Entità ad essa collegate, bisogna tenere ben presente questo fatto: quello che conta è la qualità di queste Idee.
 
 
Quella nobile grande Idea di cui parlavo può essere allora definita come un’Idea Madre che racchiude al suo interno tutte le cinque Idee rappresentate dalle cinque Entità. Quali sono queste Entità? Eccole:
 
1)      Cosa Nostra
2)      ‘Ndrangheta
3)      Pezzi deviati delle Istituzioni
4)      Pezzi deviati ella Massoneria
5)      Pezzi deviati del Vaticano (un 10% direi)
 
 
Queste cinque Entità sono intimamente legate le une alle altre, come se fossero gli organi vitali di uno stesso corpo. Hanno gli stessi interessi. Prima di tutto, la loro sopravvivenza. E per sopravvivere e restare sempre potenti si aiutano l’una con l’altra usando qualsiasi mezzo, anche il più crudele. Queste cinque Entità sono state e rappresentano tuttora una potenza economica incredibile, capace di condizionare in alcuni casi il potere politico italiano, anche quello rappresentato da persone pulite. Purtroppo si sono create delle situazioni tali che il potere politico italiano non può fare a meno di questi poteri occulti. Queste cinque Entità occulte si fondono soprattutto quando ci sono in gioco interessi finanziari ed economici condizionando così l’Italia a livello di politica e istituzioni.
 
 
C’è una regola fondamentale: ogni Entità è assolutamente autonoma. Nessuna Entità può interferire nel campo di un’altra Entità. Le regole che si attuano sono pressoché uguali a quelle di Cosa Nostra. Ad esempio. Se dentro Cosa Nostra un uomo d’onore viene “posato”, in un’altra Entità si dice “è a riposo”, oppure è “in sonno”, come ho già avuto modo di spiegare in precedenza. In ogni caso, la sostanza non cambia.
 
Ma come sono strutturate nello specifico?
Bene. Al vertice di ogni Entità c’è una Commissione, rappresentata da non più di 12 persone.
Ogni Commissione è presieduta da un Triumvirato, composto dal Capo Assoluto e da altre due persone che, in quanto a forza e potenza, non sono meno del Capo Assoluto. Il Triumvirato controlla i cosiddetti Soldati, persone riservatissime che si incontrano fra di loro secondo gli ordini impartiti dal Triumvirato stesso. E’ importante capire che, all’interno di ogni Commissione, solo il Triumvirato è a conoscenza dell’esistenza delle altre Idee. Tutti gli altri, anche all’interno della Commissione stessa, sono all’oscuro di tutto e l’unica cosa che possono fare è scambiarsi informazioni, ma senza poter cogliere la vastità degli intrecci.
 
Succede però, come è naturale, che, a un certo punto, arrivi la fine di un Triumvirato. Ecco allora che sono già pronte automaticamente le “persone-ombra”, che sostituiranno i membri del Triumvirato dopo la loro morte. Ogni componente del Triumvirato si sceglie la propria Ombra (può anche essere un Capo famiglia qualsiasi) e la prepara affinché sia pronta a prendere il suo posto. In realtà, non solo i componenti del Triumvirato, ma anche ogni singolo membro della Commissione ha la propria Ombra. E’ una tradizione che si tramanda nel tempo. Così come chi fa l’avvocato, poi crescerà un figlio avvocato.
E’ come una sorta di clonazione.
Purtroppo, è un argomento piuttosto delicato e della massima segretezza ed io non sono riuscito a capire da chi vengano “costruite” queste Ombre, pronte alla successione.
 
I cinque Triumvirati, a capo delle cinque Entità, sono fra essi collegati e formano la cosiddetta Super Commissione, quella che io chiamavo Idea Madre. Ovviamente, ogni persona della Suprema Commissione ha il diritto e il dovere di scegliersi un’Ombra. Al vertice di questa Super Commissione, composta quindi da 15 persone (tre per ogni Entità), c’è un altro Triumvirato, una sorta di Super Triumvirato, a cui tutta la Super Commissione deve sottostare per le decisioni finali. I componenti di questo Super Triumvirato sono eletti con voto segreto e comandano a vita. La funzione di questa Super Commissione è quella di garantire i diritti e l’autonomia delle cinque Entità, compresa naturalmente l’Entità di Cosa Nostra.
 
Saranno una ventina in tutto i pentiti che sanno di questa Super Commissione, ma non ne vogliono parlare. Io non posso credere che tutti i pentiti, a parte Brusca e Cancemi, non conoscano altro all’infuori di Cosa Nostra. Tra di loro c’è qualcuno che sa. Ma hanno paura di parlare perché credono che, non parlandone, salveranno la loro vita.
 
So di per certo che alcuni componenti della Suprema Commissione hanno partecipato alle scrittura della Costituzione Italiana, insieme ovviamente a tanti altri uomini puliti, che però hanno paura di opporvisi perché fiutano il pericolo.
 
 
Cosa Nostra
 
Il braccio più armato di tutte le Entità è quello di Cosa Nostra. In questo non è seconda a nessuno.
 
Finora le istituzioni hanno sempre e solo colpito L’Entità di Cosa Nostra, che però è solo il braccio armato di un’Idea può grande, l’Idea Madre.
 
Le migliaia e migliaia di uomini d’onore che compongono Cosa Nostra sono come un esercito, sono radicati sul territorio e riducono inevitabilmente la Sicilia ad una terra martoriata. Incutono paura al popolo siciliano e impongono la cultura dell’omertà. Ogni bambino che nasce in Sicilia non può fare a meno di respirare quella cultura di morte che Cosa Nostra impone con forza.
 
 
Pezzi deviati delle Istituzioni
 
 
L’Entità dei pezzi deviati delle Istituzioni è radicata in tutto il territorio italiano. E’ composta da uomini politici, servizi segreti, magistrati, giudici e sottufficiali dei carabinieri, polizia ed esercito. Le idee di Cosa Nostra e dei pezzi deviati delle Istituzioni sono da sempre collegate. Ne è un esempio l’omicidio di Salvatore Giuliano. Questa Entità ha in seno uomini di grandissima qualità, preparati, addestrati e pronti a causare danni enormi a chiunque. Questi uomini non sono secondi ai Soldati di Cosa Nostra e vengono chiamati Gladiatori. Sono uomini riservatissimi e di grandissima importanza, in quanto hanno giurato di servire fedelmente lo Stato, ma in realtà il loro giuramento è assolutamente falso. Agli occhi dei loro colleghi puliti, che per fortuna sono in maggioranza, appaiono anche loro puliti e, con inganno, dimostrano lealtà verso le Istituzioni.
Sono a tutti gli effetti uno Stato dentro lo Stato.
 
 
Pezzi deviati della Massoneria
 
 
 
 
 
La stessa cosa vale per l’Entità della Massoneria, anch’essa strettamente collegata all’Entità dei pezzi deviati delle Istituzioni. Questa Entità della Massoneria deviata, all’interno della Massoneria pulita, ha un grande potere ed enormi ricchezze e, per forza di cose, chi gestisce il potere in Italia deve venire a patti con la Massoneria. Questa Entità è stata creata attorno al 1866 all’insaputa del Re da un illustre Massone, il Conte Camillo Benso di Cavour.
 
 
Pezzi deviati del Vaticano
 
 
 
 
Anche all’interno del Vaticano c’è un’Idea. L’Entità dei pezzi deviati delle istituzioni del Vaticano è ben radicata anch’essa sul territorio Italiano. E’ composta da Vescovi, Cardinali e Nunzi Apostolici. Anche loro agli occhi di altri Vescovi e Cardinali, per fortuna in maggioranza (ma nel passato in minoranza) appaiono puliti e fedeli a Gesù Cristo e al Papa.
In realtà sono dei diavoli travestiti da santi, che sfruttano la buona fede di tante persone.
Con un metodo segreto che solo loro conoscono e grazie alla loro diabolica intelligenza, anche se in minoranza, riescono quasi sempre ad ingannare e a manipolare quei Vescovi e quei Cardinali che servono veramente con devozione ed umiltà la Chiesa.
 
 
So che a livello nazionale c’erano sguinzagliati alcuni Cardinali di prestigio per inculcare nella mente del popolo italiano il convincimento che la mafia non esistesse e che fosse solo un’invenzione dei comunisti. Il loro intento era quello di indirizzare milioni di persone a votare lo “Scudo Crociato”, la Democrazia Cristiana. Credo che nell’ex-DC coloro che facevano parte di queste Idee non superassero il 10-15%. Posso dire con certezza che circa l’80% non ne faceva parte, mentre il restante 20% era in incognito.
 
 
 
Il Vescovo Marcinkus, che ho nominato più e più volte, in quanto Americano non poteva far parte dell’Entità. Egli era semplicemente uno strumento del Cardinale Macchi e del notaio Albano, che sfruttavano le sue capacità nel saper gestire lo I.O.R. e le sue conoscenze a livello internazionale. Ovviamente sfruttavano soprattutto la sua ingenuità. Nella Banca del Vaticano sono transitati migliaia e migliaia di miliardi appartenenti alle cinque Entità Occulte, compresa quella di Cosa Nostra (leggasi la sentenza di assoluzione per il riciclaggio di quei famosi 10 miliardi). Questi soldi venivano appunto riciclati e, una volta divenuti puliti, reinvestiti. Al notaio Albano, in qualità di notaio, venivano affidati ingenti beni immobili (terreni, ville, tenute, palazzi) che venivano intestati non solo a Cardinali e Vescovi, ma anche a uomini di Cosa Nostra, a uomini della Massoneria, a uomini politici e anche a parenti e amici che facevano da prestanome.
 
 
 
Tutto ciò che io dico lo dico con la certezza che nessuno potraàdimostrare che sia falso.
 
 
Se si vuole, basta che si controllano tutti gli atti notarili o i rogiti che il Notaio Albano ha fatto in vita sua. Il Dr. Borsellino ha saputo riscontrare ciò che dico. Questi riscontri li ha scritti nella sua agenda rossa!
 
 
 
 
PAPA PAOLO VI E L’OMICIDIO CALVI
 
 
Nel passato, al vertice della Super Commissione c’era un Cardinale, che con la sua straordinaria intelligenza è riuscito ad ingannare chiunque, al punto da farsi eleggere Papa.
 
Sto parlando del Cardinal Montini, poi divenuto Papa col nome di Paolo VI.
 
Da morto, ancora oggi, riesce ad ingannare e farsi amare. Durante il suo papato è riuscito a rinforzare ancora di più le cinque Entità. Il Cardinal Macchi era intelligente e devotissimo a questo Papa e stava al vertice dell’Entità del Vaticano. Anch’egli, come già accennato, apparteneva all’Ordine dei Cavalieri del Santo Sepolcro. Anche Papa Paolo VI vi apparteneva quando era ancora cardinale.
 
Bene. Per capire quanto questi pezzi deviati del Vaticano abbiano influenzato la vita politica ed economica italiana, basti pensare che il cardinal Macchi ha decretato, insieme agli uomini del vertice di tutte le Entità, la condanna a morte del Dr. Roberto Calvi, attorno a cui vi erano dei Massoni collegati a Cosa Nostra. Lo dico perché l’ho visto con i miei occhi e l’ho sentito con le mie orecchie. Io, il giorno in cui è stata decisa la morte di Calvi, ero presente e ora racconterò come si è svolta la vicenda.
 
 
 
Quel giorno vidi di persona gli uomini al vertice di ogni Entità riunirsi nella villa di Michele Lucchese a Paderno Dugnano, dove io avevo la residenza. Ci sarebbe stata una riunione importante. Lucchese mi aveva detto: “Enzo, tu rimarrai nella stanza accanto e servirai le bevande, il caffè e ogni altra cosa che ti verrà chiesta”.
Era l’estate del 1981 ed erano presenti tutti: Bernardo Provenzano, Messina Denaro Francesco, il vero braccio destro del Triumvirato della Commissione di Cosa Nostra, il potente uomo politico, il Cardinal Macchi, il notaio Albano, Francesco Nirta di San Luca…
Come al solito, il Comandante dei Carabinieri Giorgio Donato forniva la necessaria copertura e controllava il territorio di Paderno Dugnano. Questo Maresciallo era talmente fidato che Lucchese mi disse di aver intenzione di segnalarlo a Messina Denaro Francesco con l’intento di farlo diventare fratello Massone nell’interesse di Cosa Nostra.
Il motivo della riunione era quello di riparare tutti i danni che aveva causato il Dr. Calvi con la perdita di tantissimi miliardi. Ricordo che quel giorno c’era un grande nervosismo ed erano tutti incazzati neri. Addirittura non hanno neanche pranzato. Sono rimasti in riunione dalle 11:00 di mattina fino alle ore 18:00 di sera. Ricordo di avere fatto una decina di volte il caffè e poi mi sono appartato nella stanza accanto, dove non potevo fare a meno di sentire tante cose.
 
 
Ad esempio, ho sentito chiaramente il Cardinale Macchi, riferendosi al Dr. Calvi, pronunciare queste frase: “Gli ho garantito la mia protezione facendo ricadere la colpa su Marcinkus, ma questo indegno non ha creduto! Lui è molto furbo”. Con queste parole si è decretata definitivamente la condanna a morte del Dr. Calvi.
 
 
 
Dopo che finii di raccontare al Dr. Borsellino tutto ciò che mi era stato riferito sulle cinque Entità e dopo avergli dato la mia parola che avrei firmato tutto quanto sarebbe stato messo a verbale, gli dissi anche queste parole: “Dottore mio, mi creda, ho toccato con queste mani e ho visto con questi occhi la sua condanna a morte! Ma io le devo dire ancora di più. Quando il mio Capo Assoluto Messina Denaro Francesco, unitamente al suo Riservatissimo Uomo di Fiducia, mi hanno dato l’incarico di tenermi pronto per ucciderla, hanno anche detto che di questo “Borsalino” (così la chiamano) non sarebbe dovuto rimanere niente, neanche le sue idee. Lei deve morire e basta. E non deve morire solo per il danno che lei ha causato a Cosa Nostra (per questo si era deciso di aspettare il momento giusto), ma deve morire subito, in quanto non le si deve dare la possibilità di causare un danno irreparabile al cuore di Cosa Nostra e al cuore dei nostri fratelli alleati. Messina Denaro Francesco mi disse anche che, da informazioni sicure, era venuto a conoscenza che “questo Borsalino” sta costruendo una solida base con appoggi personali e segreti insieme con il suo Sostituto Ingroia. Mi disse di essere sicuro che a lei Ingroia sta particolarmente a cuore, che ne vuole fare il suo braccio destro e che con lui attaccherà come un pazzo. Mi disse apertamente: dobbiamo distruggerlo!”.
 
 
Ricordo che, per la sicurezza del Dr. Ingroia, il Dr. Borsellino non voleva che io dicessi mai a verbale il suo nome.
 
 
 
 
U ZU MICHELE E IL SAIO
 
 
Ricordo che subito dopo aver ricevuto l’incarico di uccidere il Dr. Borsellino, Messina Denaro Francesco mi disse: “Lo sai? Lo zio Michele ha un brutto male e sta per morire. Ha mandato a dire che prima di morire avrebbe il desiderio di vederti. Fai di tutto per andarlo a trovare”.
Mi rendo subito conto che se un uomo d’onore si lascia vincere dai sentimenti, questo è segno di debolezza. Mi era stato infatti insegnato che mai il sentimento deve prevalere sulla ragione.
 
Dopo aver salutato Messina Denaro Francesco e il suo uomo di grande fiducia, mentalmente mi preparo un piano per andare subito a Milano. Voglio assolutamente abbracciare per l’ultima volta “u zu Michele”. E’ in realtà la prima volta che prevale dentro di me un grande affetto e quasi un amore verso questa persona. Mi viene subito in mente la relazione clandestina che ho avuto con sua figlia.
Lui, secondo le regole di Cosa Nostra, avrebbe avuto tutto il diritto di uccidermi. Provo addirittura un sentimento di profonda colpa per averlo fatto soffrire.
 
Ma in quel momento me ne fotto della ragione, della mia debolezza e delle regole di Cosa Nostra. Come ero solito fare quando dovevo viaggiare in treno, mi travesto da monaco, mi armo di crocifisso, rosario e Bibbia, senza dimenticare la pistola automatica con due caricatori. Poi prendo il treno e arrivo a Milano. Devo dire che quella di travestirmi da monaco era diventata un po’ una tradizione. Avevo imparato molto bene la Bibbia, soprattutto il Vangelo di Giovanni e gli Atti degli Apostoli. Durante il viaggio ero solito dare benedizioni alla gente e recitavo il rosario insieme a loro. Erano convinti di avere davanti un monaco vero. Io, dentro di me, mi facevo delle grandi risate scambiando il sacro per il profano.
 
Questa volta però non fu come in precedenza. Non recitai rosari e né diedi benedizioni. Pregai da solo per quasi tutto il viaggio. Le mie preghiere erano sincere e chiesi perdono a Dio in quanto indossavo indegnamente una veste sacra che non mi apparteneva. Feci il voto che, se Dio mi avesse fatto abbracciare “u zu Michele” ancora in vita o, nel caso dovesse morire, l’avesse fatto morire senza soffrire, non avrei mai più portato la tunica da monaco. Quando arrivo davanti alla casa di “u zu Michele”, la porta mi viene aperta da sua figlia. Erano trascorsi dieci anni dall’ultima volta che ci eravamo visti. Potete capire il mio stato d’animo in quel momento. Abbiamo pianto insieme per l’uomo che avrebbe avuto il diritto di ucciderci e non ci ha ucciso, trasgredendo una regola fondamentale di Cosa Nostra. Un uomo d’onore ha infatti il diritto e anzi il dovere di uccidere anche il proprio figlio o figlia se questi gli tocca o gli offende l’onore. Abbiamo pianto per l’uomo che ci aveva costretto a dividerci, ma che prima di morire ci ha costretto ad abbracciarci davanti a lui.
Ricordo ancora le sue parole.
Mi dispiace che il vostro amore sia impossibile. Sappiate che io vi ho perdonato!
Era veramente un uomo d’onore. L’ho abbracciato calorosamente e me lo sono stretto forte al petto. Gli ho baciato la mano e me ne sono andato con il cuore straziato dal dolore.
 
Me ne sono andato in aperta campagna e ho pianto solo per lui.
 
 
Dopo pochi giorni, è morto.
 
 
 
 
SUA ECCELLENZA IL DR. FINOCCHIARO
 
 
 
 
 
 
 
Dopo l’uccisione del Dr. Falcone, il Dr Borsellino mi venne a trovare spesso cercando di tranquillizzarmi. Mi disse che da un momento all’altro sarei andato via da Palermo. Mi avrebbe messo al sicuro in una struttura protetta a Roma, cosa che poi avvenne.
 
 
Era circa la metà del mese di Giugno 1992 quando mi vennero a trovare al carcere di Palermo “Le Torri” il Dr. Natoli e S.E. l’Alto Commissario Finocchiaro, Capo dell’allora Ufficio della Protezione di Roma (dico Sua Eccellenza in quanto il Dr. Natoli lo chiamava “Eccellenza”).
 
 
In quella occasione mi ribadì quello che il Dr. Borsellino mi aveva detto, cioè di stare tranquillo perché, se tutto andava bene, in una o due settimane sarei stato messo sotto protezione a Roma. Questo incontro lo può confermare sia il Dr. Natoli che la Direttrice del carcere che era in ottimi rapporti con il Dr. Borsellino.
 
 
 
Non passano neanche tre giorni da questo incontro, che mi viene a trovare il Dr. Borsellino insime con l’Alto Commissario S.E. Finocchiaro. Anche questo incontro lo può confermare sia S.E. Finocchiaro che la direttrice del carcere. Il dr. Borsellino mi fa subito presente che questo incontro era e doveva rimanere segreto. Addirittura non dovevano sapere niente nemmeno il Dr. Natoli e il Dr. Lo Voi. Non perché non si fidassero, anzi. Il Dr. Borsellino mi diceva che proprio di loro due si fidava ciecamente, ma in quel momento riteneva giusto tenerli all’oscuro per la loro incolumità. Meno sapevano meglio era.
 
 
 
Il Dr. Borsellino mi dice: “Come tu sai, un detenuto con condanna definitiva (la mia era di sette anni) difficilmente può essere protetto fuori da una struttura carceraria. Può essere solamente protetto in una struttura carceraria dove ci sono solo collaboratori di giustizia con pene definitive. Invece un detenuto che ancora non ha una condanna definitiva passata in giudicato, se è ritenuto un collaboratore di giustizia attendibile, può accedere alla protezione dell’Alto Commissariato da uomo libero.
 
 
Vincenzo, grazie a S.E. il Dr. Finocchiaro, che si è preso a cuore la tua situazione, e anche grazie al Ministro di Grazia e Giustizia abbiamo trovato un cavillo affinché tu possa uscire dal carcere ed essere protetto da uomini che sceglierà S.E. il Dr. Finocchiaro. Ovviamente non sarai un uomo libero, ma avrai la tua libertà all’interno di qualsiasi albergo andrai e sarai protetto da dodici poliziotti che si daranno il cambio ogni sei ore, tre ogni turno. Sappi che allo Stato tu costerai tantissimi soldi e in più lo Stato ti garantirà la tua vita. Non tradire ciò che si sta facendo per te!
 
 
Vincenzo, il Dr. Finocchiaro ha voluto intervenire in prima persona perché ha le prove della tua attendibilità. Sa il pericolo che corri e sa che ti potrebbero uccidere. La sua venuta qua per me significa che posso stare tranquillo per te, in quanto sotto la Sua protezione nessuno ti toccherà. Ma è anche un mio dovere dirti che devi rispondere a tutte le domande che il Dr. Finocchiaro ti farà in quanto ne ha tutto il diritto essendo il capo dell’Alto Commissariato Antimafia. Lui ha contribuito con i suoi canali a far trovare i riscontri alle tue dichiarazioni”.
 
 
 
La prima domanda che il Dr. Finocchiaro mi fa è questa: “Secondo lei, chi può essere stato a fornire notizie così riservate che sapeva soltanto il Dr. Borsellino? Come è possibile che un giornale serio come il Corriere della Sera si dica certo che Lei è al corrente di certi misteri, peraltro abbondantemente riscontrati, e che solo il Dr. Borsellino e pochissime persone sapevano? C’è un’altra domanda che vorrei farle e che il Dr. Borsellino sicuramente non le ha mai fatto, ma che ritengo molto importante. La domanda è questa. Qualcuno pensa, e ne sono quasi convinti, che lei e Michele Lucchese, oltre a far parte dell’Entità di Cosa Nostra, in segreto e all’insaputa di Cosa Nostra, facevate anche parte dell’Entità dei pezzi deviati delle Istituzioni nel gruppo dei Servizi Segreti deviati. Risponda prima a questa domanda e poi alle altre che le ho fatto”.
 
 
 
Prima di rispondergli guardo il Dr. Borsellino per vedere almeno la sua espressione, ma lui subito mi dice: “Continua da dove eravamo rimasti l’altra volta. Anzi, per essere più precisi, ti dico io dove eravamo rimasti”.
 
 
Prende la sua borsa di cuoio (mi sembra di color marrone) ed estrae la solita agenda rossa dove di solito si appuntava le cose più importanti che gli dicevo.
 
 
Apre l’agenda rossa, sfoglia alcune pagine (non posso fare a meno di notare che le pagine erano piene della sua scrittura) e mi dice: “Ecco cosa mi hai detto l’ultima volta. Tramite il Lucchese sono venuto a conoscenza che all’interno dei Servizi Segreti deviati e all’insaputa del Triumvirato con a Capo l’On. Miceli, si era formata una corrente di uomini che osteggiavano totalmente sia l’On. Miceli che il suo braccio destro. Questi uomini erano fedelissimi non a Miceli e neanche al suo braccio destro, ma erano fedelissimi al terzo rappresentante del Triumvirato, che voleva prendere il posto dell’On. Miceli e sostituire con uomo di fiducia il braccio desto di Miceli. Ricordo anche che il Lucchese mi disse che questo rappresentante del Triumvirato era siciliano. Questo è quanto mi hai raccontato la volta scorsa.Adesso puoi continuare”.
 
 
 
Mi giro a guardare il Dr. Finocchiaro e mi rivolgo a lui con queste parole: “Se qualcuno pensa che io e Michele Lucchese, all’insaputa di Cosa Nostra facevamo anche parte dei Servizi Segreti deviati Le rispondo subito no! Però, riguardo al fatto che eravamo in contatto con alcuni uomini dei Servizi Segreti deviati che osteggiavano l’On. Miceli e il suo braccio destro le dico sì! Tre di questi uomini erano quelli che ci hanno accompagnati alla tenuta di Latina. Messina Denaro Francesco dato le direttive a Lucchese Michele affinché questi si mettessero in contatto con alcuni uomini dei Servizi Segreti deviati e gli ha ordinato di riferire soltanto a lui tutto ciò che gli dicevano o che facevano. Tutto ciò era così segreto e delicato che neanche i migliori uomini della nostra famiglia dovevano esserne al corrente. Messina Denaro Francesco ha autorizzato Lucchese a servirsi solo di me e a farsi accompagnare da me quando lo riteneva opportuno. Questa scelta Messina Denaro Francesco l’ha fatta, così mi disse Lucchese, per prima cosa perché ero sempre vicino e in ottima sintonia con Lucchese. Secondo: perché facevo bene il mio lavoro dentro la dogana dell’aeroporto. Terzo: perché gli sono piaciuto tantissimo quando ho ucciso alla tenuta di Latina uno dei sequestrati. Quarto: perché mi ha cresciuto fin da bambino. Non si era mai dimenticato che all’età di sedici anni, per difendere suo figlio Matteo che era stato picchiato da alcuni ragazzi più grandi di lui, io sono intervenuto. Ma, siccome quelli erano in tre, mi hanno massacrato di botte e u zu Ciccio con tenerezza mi ha curato le ferite e dopo mi ha dato anche dei soldi.
 
 
Messina Denaro Francesco ha avuto l’ordine di dare l’incarico a Lucchese direttamente da Provenzano. Infatti Lucchese era nella posizione giusta, faceva parte della Loggia Massonica oltre ad avere dimostrato abilità nel tenere bene contatti delicati e segreti. Lucchese mi confidò anche che dalle parole di Messina Denaro Francesco aveva capito o intuito che forse neanche Totò Riina era al corrente della trama segreta che si stava tessendo per danneggiare e sostituire l’On. Miceli.
 
 
Provenzano si poteva permettere di tenere all’oscuro Totò Riina in quanto aveva le spalle coperte dal Triumvirato della Super Commissione. Questa, in precedenza, aveva contribuito e aiutato segretamente Provenzano a distruggere il Triumvirato dell’Entità di Cosa Nostra, rappresentato da Bontade, Badalamenti e Luciano Liggio, che a sua volta si faceva rappresentare da Provenzano e Riina. Se Totò Riina è stato messo all’oscuro, è stato perché stravedeva per l’On. Miceli”.
 
 
 
Mentre io parlavo, notavo che il Dr. Borsellino prendeva appunti nella sua agenda rossa.
 
 
 
Invece, per quanto riguarda il fatto di chi ha potuto fornire le notizie riservate al Corriere della Sera, lascio a Voi ogni giudizio e ogni deduzione”.
 
 
 
Il Dr. Finocchiaro mi guarda e mi dice: “Benissimo!Sig. Calcara, siccome ci sono tutti i presupposti e i validi motivi, Le comunico che Lei è il primo a potere uscire dal carcere con una condanna passata in giudicato. Per Lei si è approvata una specie di legge che nessuno può osteggiare. Le assicuro che Lei a giorni sarà a Roma!”.
 
 
A quel punto il Dr. Borsellino si rivolge a me dicendomi: “Adesso rilassati un po’. Poi, più tardi, verrò a trovarti insieme al Dr. Natoli e al Dr. Lo Voi e metterai a verbale tutto ciò che hai detto. Ma forse prima si organizzerà di andare nel posto dove hai seppellito il Turco”.
 
 
 
In quella circostanza vengo a conoscenza che l’On. Vizzini era a Palermo e doveva ricevere dal Dr. Borsellino dei documenti. Veniva di proposito a trovare il Dr. Borsellino (non ricordo se a casa o in Procura) anche per consegnargli alcuni documenti, compresa una relazione riguardante il mio caso e altro. Per quanto ne so, tutto ciò era importante a livello politico. Se non ricordo male, quel giorno stesso, anche il Dr. Finocchiaro si doveva incontrare con l’On. Vizzini e sono sicuro che questo si possa riscontrare.
 
 
 
Dopo la morte del Dr. Borsellino, vengo convocato da S.E. Finocchiaro nel suo ufficio a Roma. Mi dice che aveva avuto l’idea di farmi fare una intervista in onore del Dr. Borsellino e che aveva già contattato i giornalisti di Famiglia Cristiana.
 
 
Per fare una cosa veloce, mi sono permesso di scrivere in questo foglio ciò che Lei dovrebbe dire ai giornalisti e, conoscendola bene, sono sicuro che Lei lo condividerà. Certe cose, mi creda, non vale la pena che si dicano”.
 
 
Ho letto ciò che aveva scritto e su quello ho sostenuto l’intervista.
 
 
Questa intervista a Famiglia Cristiana, dove si citava la morte annunciata del Dr. Borsellino, è stata fatta nel mese di Luglio-Agosto 1992. Purtroppo l’ho letta, ma ne ho smarrito la copia.
 
 
 
Il giorno dell’intervista a Famiglia Cristiana sono stato per diverse ore con il Dr. Finocchiaro e con lui ho parlato tanto del Dr. Borsellino, ma anche dei Servizi Segreti deviati. Ricordo anche che, dopo aver concluso l’intervista, si è aperta la porta ed è entrato l’On. Vizzini. Le sue parole sono state queste: “Scusa di questa visita improvvisa, ti ho fatto chiamare ma tu non rispondevi e allora ho pensato di salire”. Ho notato che si davano del “tu”.
 
 
Il Dr Finocchiaro gli rispose: “Hai fatto bene”.
 
 
Poi rivolto a me mi disse: “Sig. Calcara, Le presento una persona alla quale il Dr. Borsellino voleva tanto bene, l’On. Vizzini”.
 
 
Io rispondo: “Mi ricordo benissimo quando il Dr. Borsellino mi disse che si doveva incontrare con Lei per darle dei documenti”.
 
 
 
Dopo pochi mesi da questo incontro il Dr. Finocchiaro è stato nominato dal Governo Capo dei Servizi Segreti Italiani.
 
 
 
 
L’INSEGNAMENTO DI PAOLO
 
 
 
 
 
 
 
Quando, il 23 maggio 1992, sentii in televisione la notizia della strage ai danni del Dr. Falcone, fu come se toccassi con mano la forza devastante di Cosa Nostra. Ricordo che la paura prese veramente il sopravvento su di me facendomi scaraventare al muro il televisore.
 
Pochi giorni dopo, il Dr. Borsellino mi viene a trovare e, dopo aver ascoltato quello che avevo da dire, si alza in piedi, si accende una sigaretta e inizia a parlarmi con queste parole: “In questo momento non è il tuo capo che ti parla, ma un giudice che servirà fedelmente lo Stato e la società civile fino all’ultimo momento. Pagherei qualunque cosa pur di poter dire in faccia a questi cosiddetti capi che la decisione che hanno preso di uccidere il mio amico Giovanni Falcone non è altro che una decisione ignobile, partorita da una mente ancora più ignobile! Non hanno nemmeno rispettato l’unica regola d’onore che gli era rimasta, quella di non uccidere le Donne. Non le femmine, le Donne! Meritano veramente disprezzo. Questi uomini, se così si possono definire, non rappresentano e non sono figli di una potente e nobile Idea, ma rappresentano e sono figli di una debole, ignobile e malata idea del male, racchiusa nell’illusione di valori ignobili, che entrano nella loro mente malata di uomini infami. Essi non conoscono né l’onore né quei grandi valori che stavano dietro al mio amico Giovanni Falcone e alla sua Donna, che ha avuto solo la colpa di seguire il suo uomo!”.
 
 
Parlava con una tale rabbia in corpo: “Ma io non gli darò la possibilità di uccidere la mia Donna, non glielo permetterò mai. Ti dico anche che loro possono uccidere il mio corpo fisico. E di questo sono ben cosciente. Ma sono ancora più cosciente che non potranno uccidere le mie idee e tutto ciò a cui credo! Questi infami si erano illusi che, uccidendo il mio amico Giovanni, avrebbero anche ucciso le sue idee e quel grande patrimonio di valori che stava dietro di Lui. Ma si sono sbagliati, perché il mio amico Giovanni tutto ciò che amava e onorava, lo amava così profondamente da legarselo nel suo animo, rendendolo dunque immortale.
 
Giuro che le parole del Dr. Borsellino erano così potenti e piene di vibrazioni, che facevano tremare il pavimento. Erano così forti che non riuscivo a guardarlo negli occhi, quegli occhi scintillanti e pieni di rabbia. Era chiaro che il dolore di questo nobile uomo era fortissimo. Questo dolore io lo vivo anche in questo momento e non riesco a contenerlo. Non è un dolore normale. E’ un dolore puro e nobile. Ma siccome io non ho niente di nobile, faccio fatica a contenere questo dolore. Sono convinto che questo nobile sentimento di dolore non appartenga a me: io non ne sono degno. Appartiene invece alle persone che lui amava profondamente e in primis alla moglie, ai figli e anche alle nipotine che non ha conosciuto e che io indegnamente ho avuto modo di incontrare: ho persino baciato la sua prima nipotina Agnese. Ma insieme a questo sentimento di dolore c’era anche un sentimento di coraggio, permeato da vibrazioni positive che Lui mi ha trasmesso e che io voglio trasmettere alle sue nipotine Lucia, Vittoria, Merope.
 
A tutte le persone che il Dr. Borsellino amava profondamente, compreso le donne e gli uomini della società civile, io dico che nessuno può uccidere la Verità! Soprattutto quando la Verità è legata al proprio animo. Che me ne faccio di questa vita che io amo, se non onoro la Verità che appartiene alla vita? Il Dr. Borsellino, con il suo esempio, mi ha insegnato che un uomo deve amare la vita dopo che ha imparato ad amare ciò che sta oltre la vita!
 
Mi sembra di sentire ancora la sue parole mentre mi spiegava che in qualunque struttura umana esiste il bene e il male. I santi e i diavoli. E che ognuno di noi deve far riemergere quella scintilla divina che ogni uomo ha in sé. E che comunque alla fine il bene trionferà sul male, perché questa è una volontà e una legge divina che nessuna forza del male potrà fermare. Siccome io credo nella coscienza dell’uomo e in quella scintilla divina e so con certezza che non si può mentire alla propria coscienza, desidero veramente che le sensazioni belle che mi dava il Dr. Borsellino in vita e che mi dà anche adesso dal cielo le possa anche provare chi si spacciava o si spaccia per suo amico, ma che invece lo ha abbandonato al suo destino, se non addirittura tradito. Sono sicuro che queste persone, prima o poi, verseranno lacrime di pentimento.
 
Io ho visto con i miei occhi l’odio che Cosa Nostra e tutte quelle Entità collegate a Cosa Nostra nutrivano nei confronti del Dr. Borsellino. Queste Entità, come ho avuto modo di spiegare, sono racchiuse in una unica, grande Idea del male. Ma io non ho visto solo l’odio. Ho visto anche la paura, la preoccupazione che questa forza del male aveva nei confronti del Dr. Borsellino. Per cui vi dico, e lo dico per cognizione diretta, che questa Idea del male non è invincibile. C’è la prova che ha avuto paura di un uomo della società civile e quindi è vulnerabile. Il punto debole di questa Idea del male è la paura che ha verso uomini pieni di coraggio e di valori.
 
Lo Stato e la società civile non possono permettere che verità ignobili e infami siano nascoste sotto la nostra nobile bandiera. Una verità ignobile non può stare sotto la bandiera accanto alla Verità nobile. Come non ci si può permettere di far passare un diavolo per un santo. Solamente una Verità nobile può essere nascosta sotto la bandiera, poiché è lei stessa la bandiera nobile, per la quale nobile sangue è stato versato. Viceversa, una verità ignobile può solo stare sotto e a fianco della bandiera ignobile di Cosa Nostra e di tutte quelle Entità collegate a Cosa Nostra. Solo chi è vigliacco e ha paura è degno di stare a fianco di una verità ignobile e una bandiera ignobile. Verità e bandiera ignobili non possono sventolare sotto il sole come se fossero nobili. Così come uomini di potere e uomini delle Istituzioni, se sono ignobili, non possono e non devono stare a fianco di uomini puliti che servono e garantiscono lo Stato e la società civile. Altrimenti è come se rubassero il sacro e lo mischiassero con il profano. E mi fermo qua.
 
Sono trascorsi quattordici anni e ancora il sangue innocente del Dr. Borsellino grida giustizia e Verità. Ma non solo. Anche il sangue innocente di altri uomini, uccisi da questa Idea del male, grida giustizia e Verità.
 
Il Dr. Borsellino era solito dirmi: “Vincenzo, quando vado via, se ti senti nervoso o agitato, fatti una preghiera. Vedrai che ti sentirai meglio”.
Io allora una volta gli risposi: “Dottore, adesso mi vado a confessare dal Vescovo Marcinkus e dal suo capo, il Cardinale, quelli che hanno riciclato i miliardi di Cosa Nostra!
Il Dr. Borsellino mi riprese: “Non generalizzare. Ci sono anche tanti Vescovi e Cardinali buoni, nelle cui mani si può mettere la propria vita. Certamente non darò a nessuno la possibilità di infangare tutta la Chiesa! Un persona d’onore difende e dice sempre la verità senza paura. Vincenzo, fatti la barba. Ricordati che la dignità di una persona passa anche attraverso l’aspetto fisico. Prendi una cassetta di musica classica e rilassiamoci un po’”.
Allora io tirai fuori le mie cassette e ci rilassammo fumando una sigaretta insieme. Queste cassette di musica classica mi sono state sequestrate quando fui arrestato, ma lui si interessò a farmele riavere. Ricordo che le avevo comprate in un negozio non lontano dal Teatro dell’Opera di Roma, quando ero latitante e travestito da monaco. Quando ho detto alla signora del negozio “La pace sia con voi”, insieme a una bella benedizione, mi ha fatto lo sconto e regalato pure altre cassette!
 
 
Un’altra volta il Dr. Borsellino mi disse: “Sono sicuro che tu, piano piano, ti spoglierai e uscirai fuori da tutta quella cultura di morte che ti hanno trasmesso. Se tu vuoi, ce la puoi fare. Basta volerlo. Non sentirti un infame, gli infami sono loro. Io sono un servitore dello Stato e sono contento di fare il mio dovere fino in fondo. Quando una persona collabora con la giustizia, come tu stai facendo, sono felice, perché sicuramente si toglierà qualche mela marcia in mezzo alla società civile. Ma sappi che io non mi fiderò mai di un uomo d’onore che collabora per convenienza e nello stesso tempo gli rimane la mentalità e la cultura mafiosa.
 
 
Viceversa, se il pentimento è veramente interiore, allora sì che è apprezzata e creduta la sua collaborazione con la giustizia. Vincenzo, promettimi che non mi farai pentire del pensiero bello che ho avuto per te. Oggi sono andato da mia madre e da mia sorella. Dopo pochi minuti che ero là, ho avuto il pensiero di venirmi a fumare una sigaretta con te e farti un po’ di compagnia”.
 
Era un uomo veramente speciale!
 
Voglio ricordare un altro episodio per me particolarmente significativo. Una volta lo feci arrabbiare, perché mi scappò una frase meschina riguardo ai suoi sostituti. Quando mi sentì dire quelle parole, ricordo che cambiò immediatamente espressione di viso e mi disse: “Ma come ti permetti di parlare così? Che razza di uomo sei? Hai dimostrato di essere un meschino! Tu ti preoccupi per me solo per salvare la tua vita, solo per la tua convenienza. La paura non ti fa ragionare: vergognati! Se non fossi qui nella veste di magistrato ti darei tanti di quei schiaffoni! Ma col pensiero è come se te li avessi dati”.
Chiamò la guardia, si fece aprire e se ne andò senza neanche salutarmi. Mi sentivo un verme, ero davvero mortificato. Provavo dentro di me un profondo sentimento di colpa, perché avevo capito che con le mie stupide parole lo avevo fatto soffrire. Mi ricordai che in effetti mi aveva detto che i suoi sostituti erano come i suoi secondi figli.

Già ero entrato nella convinzione di avere perso l’affetto e la stima del Dr. Borsellino. Ma non fu così. Dopo neanche un paio d’ore si apre la porta e vedo Lui che, come al solito, dice alla guardia di lasciarlo solo con me. Ricordo e sento ancora le belle vibrazioni che ho provato nel momento in cui lo vidi.
 

Mi disse: “Mi dispiace di essere stato severo con te, ma sappi che le parole che mi hai detto avrebbero fatto arrabbiare anche un santo!”.

 
E, facendomi un sorriso, aggiunse: “E io non sono un santo. Sono un essere umano che ha sangue nelle vene”.
Come al solito, era stato comprensivo e affettuoso.
Poi, andandosene, mi salutò così: “Vincenzo, non ti preoccupare per me. Sappi che è bello morire per le cose in cui si crede”.
Gli risposi: “Dottore, queste parole le farò sicuramente mie. Ci può contare”.
 
 
Non è facile per me ripensare a tutto il tempo che ho trascorso insieme al Dr. Borsellino senza provare una profonda nostalgia. Quanto vorrei che fosse ancora in vita! Come non vorrei essere qui a parlare di Lui! Pur di averlo vivo, avrei voluto essere suo nemico ed essere da Lui umiliato e sconfitto. Pur di averlo vivo, avrei preferito non assaporare le gioe che mi hanno dato queste quattro figlie che sono venute al mondo dopo la sua morte. Purtroppo il Dr. Borsellino fisicamente non c’è più. Ma io dico che il Dr. Borsellino è vivo più che mai. Il Dr. Borsellino era più di un vaso pregiato. Il Dr. Borsellino era un uomo. Le forze del male lo hanno distrutto fisicamente, ma non hanno potuto distruggere la sua anima, le sue idee, i suoi valori, la sua nobiltà e tutto ciò di bello che c’era in Lui.
 
Devo dire che questo grande uomo ha cambiato veramente la mia vita. Dentro di me non sento più il sentimento di odio, di vendetta e neppure il desiderio di fare del male. Cerco di mettere in atto tutti quei valori che mi ha insegnato e tutte le cose belle che mi ha trasmesso in quei momenti difficili, sia per Lui che per me. Sono sicuro che, con il suo sacrificio, tante coscienze sono state toccate.
 
 
 EPILOGO
 
 
Nel 2001, subito dopo aver scontato il debito con la giustizia ed essere diventato finalmente un libero cittadino, provai il forte desiderio di andare a visitare la tomba del Dr. Borsellino.
Senza pensarci due volte, partii per Palermo presentandomi al Centro Borsellino insieme alla mia compagna e alle mie quattro bambine. Lì sentivo veramente la Sua presenza! La sua grande anima era lì. Mi sembrava di toccarla con le mani. Dissi a Padre Bucaro che non sarei andato via da Palermo se non mi avesse portato a visitare la Sua tomba. Volevo ad ogni costo onorare la grande anima del Dr. Borsellino portando l’innocenza di quattro bambini con il dono di fiori e orchidee. Non avevo mai dimenticato quella volta in cui mi disse: “Ho fatto di tutto, ma tua moglie e le tue figlie ti hanno rinnegato. Vedrai che ti farai una vita e una nuova famiglia”.
Ricordo ancora l’entusiasmo dei miei figli che litigavano tra di loro per mettere i fiori più belli a Nonno Paolo, perché così l’ho voluto presentare agli occhi dell’innocenza. Il mio cuore non aveva mai pianto di gioia come quella volta.
 
Ma la cosa che mi ha toccato moltissimo è stato il gesto nobile della signora Agnese.
Mi disse: “Tu hai avuto il desiderio di visitare la tomba di mio marito. Adesso anch’io ho un desiderio”. E mi diede l’onore di visitare il villino di Villagrazia, quello da cui partì Paolo il 19 luglio 1992 per recarsi in Via D’Amelio, il giorno della strage. Non riesco veramente a esprimere a parole le vibrazioni belle e positive che ho provato in quel luogo. Mi sento di dire con profonda umiltà e cuore aperto che tutti proverebbero queste belle sensazioni. Chiesi a Donna Agnese il luogo dove il Dr. Borsellino preferiva stare e me lo ha indicato. Anche lì provai bellissime sensazioni. Sentivo veramente la sua presenza.
 
Posso dire che i valori e le cose belle che ho visto nel Dr. Borsellino li ho visti anche in Donna Agnese e nei suoi figli. Veramente una famiglia speciale, che ha partecipato a tutto quanto ha fatto il Dr. Borsellino, condividendone le scelte e sapendo a cosa sarebbero andati incontro, senza tirarsi indietro, proprio per l’amore che nutrivano verso questa società che volevano cambiare. Dopo la morte del loro caro sono rimasti una famiglia discreta, cercando giorno per giorno di fare del bene senza troppa pubblicità. Ho potuto verificare personalmente l’azione quotidiana dei ragazzi del Centro Borsellino. Anche questo è un altro segno della scelta cristiana e umana che questa famiglia speciale fa con grande riserbo e con grande delicatezza.
 
E’ solo grazie a questa famiglia unica e speciale se sono riuscito a sopravvivere sino ad oggi insieme alla mia compagna e alle mie quattro bambine. Ma soprattutto grazie a Donna Agnese, che in questi anni mi ha aiutato a sradicare gli ultimi residui di male che c’erano ancora dentro di me.

 

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