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Martelli: dopo le stragi tirava aria da trattativa

L’ex Guardasigilli al processo Mori: “Il Ros parlava con don Vito e Borsellino lo sapeva”

Nicola Mancino sapeva dei colloqui avviati dal Ros con Vito Ciancimino e il generale dei carabinieri Francesco Delfino che aveva promesso uno speciale “regalo di Natale”: la cattura di Totò Riina. Si aggiungono tessere al mosaico che cerca di svelare la trattativa fra Cosa Nostra e pezzi di istituzioni italiane nei mesi “caldi” del 1992. Durante il processo al generale Mario Mori per favoreggiamento a Cosa Nostra in corso a Palermo, sul banco dei testimoni è salito Claudio Martelli, ministro di Grazia e Giustizia dal febbraio 1991 allo stesso mese del 1993. Ha raccontato la sua esperienza da Guardasigilli senza lesinare critiche al reparto speciale dei carabinieri che “agiva per conto proprio e non voleva integrarsi nella nuova struttura creata appositamente per contrastare la mafia: la Dia”.    

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Il supporto politico. Dopo un breve excursus sul suo mandato, Claudio Martelli beve un sorso d’acqua e conferma ai pm Antonio Ingroia e Nino Di Matteo quanto già detto alla trasmissione Annozero. Il capitano Giuseppe De Donno, a fine giugno ’92, ha incontrato Liliana Ferrara (direttore degli Affari penali) annunciandole che dopo aver agganciato Massimo, il figlio di Ciancimino, si apprestavano ad incontrare il padre, Vito. Obiettivo   : “Fermare le stragi”. Al ministero De Donno aveva chiesto un “supporto politico” per continuare nell’operazione. “Io mi adirai – racconta Martelli – per il rifiuto da parte del Ros di accettare una legge appena varata”, quella che istituiva la Dia, “e continuavano la loro iniziativa senza giustificazioni, né rispetto della gerarchia competente”. La Ferraro, così, avrebbe avvertito Paolo Borsellino dell’iniziativa intrapresa dal Ros mentre Martelli la comunicava al capo della Dia, il generale dei carabinieri Taormina. “Cercavano coperture, dei lasciapassare – specifica Martelli – come, infatti, avvenne a settembre”.


Il passaporto di Don Vito.
Il capitano De Donno sarebbe tornato una seconda volta a incontrare Liliana Ferrara   . Fra il settembre e l’ottobre del 1992. Questa volta al ministero si chiedeva di agevolare alcuni colloqui investigativi in carcere e di agire sulla procura generale di Palermo affinché non ostacolasse il rilascio del passaporto a Vito Ciancimino. “Informai Siclari, allora capo della Direzione   nazionale antimafia – spiega Martelli – facendo sentire la mia forte contrarietà a ipotesi del genere. Vito Ciancimino non era solo un sindaco colluso, era una delle menti criminali più raffinate di Cosa Nostra”. Ma l’ex ministro non avrebbe informato solo Taormina. “Ne parlai col ministro dell’Interno e con il capo della polizia – spiega – i fatti, all’epoca, si configuravano come un comportamento insubordinato del Ros, se avessi avuto sentore di una trattativa, avrei fatto l’inferno”. Insomma, questioni gravi, ma “cose d’ufficio”. Ma chi era il ministro dell’Interno, Scotti o Mancino? Dopo un primo tentennamento, Martelli dice di “propendere più per il secondo”. Perché intanto a Palazzo Chigi e in Parlamento c’erano stati   movimenti e Nicola Mancino era subentrato al ministro Scotti agli Interni. “Ero preoccupato – ricorda Martelli – era come se si fosse esagerato nell’azione di contrasto alla mafia, come se (i mafiosi, ndr) fatti ‘sbollire’ avrebbero ripreso la solita piega. C’era lo scoramento, la sensazione di uno Stato in ginocchio. Il messaggio pareva essere:   ‘troviamo una forma più blanda di contrasto, c’abbiamo vissuto per 50 anni’ ”. Mancino, oggi vicepresidente del Csm, smentisce però Martelli: “Ho sempre escluso, e coerentemente escludo anche oggi – ha replicato – che qualcuno, e perciò neppure il ministro Martelli, mi abbia mai parlato dell’ iniziativa del colonnello Mori del Ros di volere avviare contatti con Vito Ciancimino”.

 
 

Il regalo di Natale. Poi Martelli scava nella memoria e tira fuori un ricordo risalente all’estate del 1992, “quando il generale Delfino venne a trovarmi. Non ricordo il colloquio ma una cosa mi è rimasta impressa. ‘Stia tranquillo, glielo porto io Riina, le facciamo un bel regalo di Natale’ mi disse”. Un incontro che l’ex Guardasigilli definisce “pittoresco”, perché il generale Delfino, dopo un incarico al Sismi, era a capo del comando della Regione Piemonte e non impegnato, ufficialmente, in indagini di mafia.   Una coincidenza curiosa, però, visto che Delfino porterà realmente Riina in carcere. Sarà lui, infatti, a raccogliere le prime parole di Balduccio Di Maggio, l’autista del capo di Cosa Nostra, arrestato a Novara l’8 gennaio 1993. In un verbale firmato da tredici carabinieri, l’uomo d’onore di San Giuseppe Jato, in rotta coi “Corleonesi”, darà indicazioni fondamentali alla cattura di Totò “u curtu”.

Andrea Cottone (il Fatto Quotidiano, 7 aprile 2010)

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