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Mafia: via D’Amelio, palazzo sospetto sparito da indagini

13 febbraio 2010 – Roma. Nel libro ”Il patto” c’e’ una indicazione nuova sulla strage di Via D’Amelio. Una traccia che, al pari della famosa ”Agenda Rossa” del magistrato Paolo Borsellino, morto nella strage  del 19 luglio 1992 insieme agli uomini della sua scorta, e’ stata tolta dalla vicenda. Una traccia che ora il volume edito da ”Chiarelettere” ripropone all’attenzione.
Sono passate poco piu’ di dodici ore dall’eccidio di Via D’Amelio. A sparire questa volta e’  un intero palazzo, quello, sospettato fin dal primo momento dopo la strage,da cui poteva essere stato pigiato il telecomando che semino’ morte e distruzione uccidendo il magistrato che si opponeva alla trattativa in corso tra spezzoni dello Stato e una parte della mafia. Ecco come il volume di Nicola Biondo e Sigfrido Ranucci ricostruisce questa ennesima incredibile ”sparizione”. ”Due agenti della Criminalpol venuti da fuori Palermo sono in via D’Amelio. La prima cosa che cercano di capire e’ dove si siano appostati gli attentatori con il telecomando che ha fatto esplodere l’autobomba. I due escludono subito i palazzi che si affacciano su quel tratto della strada: sono sventrati, se si fossero posizionati li’, i killer si sarebbero esposti a un rischio troppo alto. Lo sguardo si posa poco piu’ in la’, oltre un muro che separa la via da un grande giardino. Gli agenti mettono a fuoco un palazzo di dodici piani appena edificato. Percorrono poco piu’ di cinquanta metri, entrano nello stabile e salgono le scale. Si imbattono nei due costruttori del palazzo, i fratelli Graziano. Si fanno portare nel loro ufficio e abbozzano una sorta di interrogatorio. Avete visto qualcosa?

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Poi chiedono loro i documenti per un controllo via radio: vogliono sapere se hanno precedenti. Nell’attesa, uno dei poliziotti sale fino alla terrazza, rendendosi subito conto che da li’ la visuale su via D’Amelio e’ perfetta. Per terra, nota un mucchio di cicche. Dalla centrale intanto comunicano che i costruttori sono schedati come mafiosi. Sono due dei sei fratelli Graziano, una progenie di imprenditori edili legati ai Madonia e ai Galatolo. Uno dei fratelli, Angelo, vicino a Salvatore Riina, e’ scomparso nel 1977 con il metodo della lupara bianca. Ce n’e’ abbastanza per portarli in centrale e proseguire gli accertamenti, ma sopraggiunge all’improvviso una squadra di poliziotti. Colleghi, e’ tutto a posto. Ce ne occupiamo noi, adesso, dicono ai due agenti della Criminalpol. Che se ne vanno perplessi, fanno ritorno in centrale e stilano comunque un rapporto dettagliato. L’indomani ricevono un ordine di servizio: devono rientrare al comando di origine. Il loro lavoro a Palermo e’ concluso. I Graziano non vengono interrogati ne’ posti sotto controllo. Dei fratelli costruttori qualche mese dopo la strage parlano pentiti del calibro di Gaspare Mutolo e Francesco Marino Mannoia. Secondo quanto dichiara il primo, Angelo Graziano e Vincenzo Galatolo sorvegliavano Bruno Contrada ( l’ex funzionario del Sisde, condannato per aver avuto rapporti con le cosche, Ndr). Poi Graziano era stato arrestato proprio da Contrada. Mutolo sostiene pure – e la sua versione ha retto fino in Cassazione – che i due imprenditori avevano messo a disposizione un appartamento per Contrada e uno per il giudice Signorino (morto suicida poco prima di essere arrestato, Ndr), pm nel maxiprocesso. La testimonianza degli agenti della Criminalpol e’ finita oggi nella nuova inchiesta della Procura di Caltanissetta sulla morte di Borsellino e della sua scorta. Per tutti questi anni i due poliziotti hanno creduto che qualcuno avesse vagliato il loro rapporto, che quella pista fosse stata battuta. Invece il rapporto e’ sparito dalla questura di Palermo. La Procura nissena ha pero’ appurato che nel palazzo, poche ore dopo che gli agenti della Criminalpol si erano allontanati, era arrivato un gruppo di carabinieri. Nella loro relazione e’ tutto a posto, tutto normale. E il palazzo della mafia su via D’Amelio sparisce. Come l’agenda rossa di Paolo Borsellino”.

ANSA

Mafia: in un libro la scioccante storia di Luigi Ilardo l’infiltrato nelle cosche ucciso in un momento cruciale


di Paolo Cucchiarelli – 13 febbraio 2010
Roma.
”Molti attentati addebitati a Cosa Nostra non sono stati commessi da noi ma dallo Stato. Voi lo sapete benissimo.”. E’ Luigi Ilardo, l’infiltrato nel vertice di Cosa Nostra, a parlare. Le sue vecchie rivelazioni sono alla base del processo in corso a Palermo a carico dell’ex capo del Sisde e del Ros, generale Mario Mori, per la mancata cattura di Provenzano nel 1995. Una vicenda che e’ al cuore della trattativa tra spezzoni dello Stato e Cosa Nostra e che chiama in causa il senatore Marcello Dell’Utri. Ora questa vicenda, relegata finora ai margini della cronaca, è ricostruita nel volume “Il Patto. Da Cianciminino a Dell’Utri. La trattativa Stato e mafia nel racconto inedito di un infiltrato”, scritto da Nicola Biondo e Sigfrido Ranucci e  pubblicato da “Chiarelettere”. Ilardo e’ un infiltrato dentro Cosa nostra negli anni delle stragi e all’inizio della Seconda repubblica. Un uomo d’onore al servizio dello Stato ma che muore alla vigilia della  suo formale riconoscimento dello status di pentito. Muore perché aveva fatto un passo falso o perché “bruciato” da qualcuno nel vortice di contrattazioni tra Stato e mafia? Oggi le rivelazioni di Ilardo – raccolte dal colonnello Michele Riccio – sono alla base di un processo in corso a Palermo che vede come principale imputato il generale Mario Mori, ex comandante del Ros. Ilardo parla di patti e di arresti di capimafia (”In Sicilia i capi o muoiono o si vendono”). Fa i nomi. Cita, per primo, Marcello Dell’Utri: ”un esponente insospettabile di alto livello appartenente all’entourage di Berlusconi”.
Sembra una storia sudamericana, ma e’ realmente accaduta in Italia. Meno di venti anni fa. E oggi, dopo le rivelazioni del figlio di Vito Ciancimino, molti parlano, confermano proprio quello che per primo disse proprio Ilardo.
Nel 1994 però nessuno lo ascoltò – a parte il colonnello Riccio, che registra tutto su preziose cassette. Ilardo e’ credibile perche’ proprio l’infiltrato portera’ gli uomini del Ros nel casolare di Provenzano. Basta ascoltare Ilardo (ci sono i nastri con la sua voce e il tutto è dettagliatamente ricostruito nel volume) per capire quale incredibile partita si è giocata in quei mesi. Tra il colonnello Riccio e Ilardo nell’estate del 1995 intercorre questo dialogo:
– Per caso l’uomo dell’entourage di Berlusconi di cui mi parlavi e’ Dell’Utri? – Colonnello, ma se lei le cose le capisce, che me le chiede a fare?”.

ANSA

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AUDIO
Presentazione del libro di Nicola Biondo e Sigfrido Ranucci (Editore: Chiaralettere)


Fonte:
ANTIMAFIADUEMILA, 13 FEBBRAIO 2010


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