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Lodi: il comandante Clementi nega l´esistenza della mafia. Giulio Cavalli è in pericolo

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L´attore Giulio Cavalli

“Leggiamo oggi su “Il cittadino” di Lodi, un’intervista al comandante provinciale dei carabinieri Fabrizio Clementi secondo cui la mafia, nel suo territorio, non esisterebbe”. Lo affermano in una nota i componenti dell’ Associazione Nazionale Familiari Vittime di Mafia per voce di Salvatore Borsellino, fratello del Giudice Paolo e membro dell’ associazione, che si dice “preoccupato per le dichiarazioni rilasciate dal tenente colonnello Fabrizio Clementi”.


“Se un alto graduato delle forze dell’ordine – ha affermato Borsellino – a fronte delle comprovate infiltrazioni nel tessuto economico di Lodi e provincia denunciate da un’ allarmante relazione della DIA di Milano, fa una simile affermazione, significa che le cosche, fortemente presenti nel territorio lodigiano, hanno la strada libera per continuare a fortificare le proprie attività illecite poiché da oggi sanno che non esiste alcuna forma di controllo e di attenzione verso il fenomeno da parte delle forze dell’ordine”. “Ma c’è anche un altro aspetto che ci desta non poca preoccupazione. La sicurezza di Giulio Cavalli, attore famoso per le sue ridicolizzazioni delle cosche mafiose, mittente di numerosi atti intimidatori proprio a Tavazzano, in provincia di Lodi, è affidata al Comandante Clementi. Come può – si chiede Borsellino – una persona che nega l’esistenza stessa delle mafie nel suo territorio difendere Giulio Cavalli dalle “attenzioni” dei clan?” “Se fosse vero, come dice Clementi, che Lodi è un territorio “immune” dalle infiltrazioni mafiose vorrebbe dire che Giulio Cavalli è un folle e che quelle scritte intimidatorie comparse a Lodi magari le ha ideate e fatte da solo. Così, in un pomeriggio di noia, per passare il tempo”. “Le dichiarazioni del Comandante Clementi sono quanto di più deleterio possa essere per la lotta alla mafia ed è inaccettabile che Giulio Cavalli e chi, come lui, denuncia giornalmente le pesanti e comprovate infiltrazioni mafiose nel territorio lodigiano ed in quello lombardo, passino per gli invasati di turno. Non solo. Il Comandante preposto alla tutela di Cavalli, con le sue dichiarazioni, ha messo in atto un pericolosissimo meccanismo poiché negando l’esistenza della mafia ha di fatto dato il via libera a chi vorrebbe intraprendere azioni poco benevole nei confronti dell’attore e regista lodigiano, comunicando loro che le forze dell’ordine non hanno alcuna forma di attenzione nei confronti delle mafie e di conseguenza nessuna preoccupazione per la sicurezza dell’attore”. “Le mafie – ha chiosato Borsellino – a Lodi esistono ed operano in modo capillare e pressoché indisturbate e noi non permetteremo che l’attenzione nei confronti di Giulio e di chi combatte, con diversi strumenti, le mafie insediatesi a Lodi, si abbassi. A breve Giulio porterà il suo spettacolo a Lodi e provincia. Chiediamo che la sua sicurezza sia affidata a persone competenti, informate sui fatti e consapevoli del rischio che corre”.

Fonte:
Associazione Nazionale Familiari Vittime di Mafia

 
Lodi è immune dalla mafia”.
 
Titola così Il Cittadino – giornale di Lodi – citando le dichiarazioni del Tenente Colonnello Fabrizio Clementi, comandante provinciale dei carabinieri di Lodi dall’estate del 2007, che ha affermato: “in riva all’Adda, oggi, il fenomeno delle grandi organizzazioni malavitose quali mafia, ‘ndrangheta e camorra non ha attecchito”. “La realtà sociale lodigiana, peraltro, è moralmente sana, forte, difficile da penetrare per una cultura criminale – continua il colonello – La quota più ampia di reati è commessa da stranieri, comunitari ed extracomunitari. Lo spaccio, per esempio, indubbiamente c’è, ma viene fatto ancora nei campi, come altrove non avviene più, ed è spesso in mano a micro organizzazioni autonome, che una volta colpite non riescono a ricostruirsi”. Sembra strano che un ufficiale dell’arma dimentichi che lo spaccio di droga sul territorio italiano è direttamente o indirettamente gestito dai clan italiani. La Lombardia, ad esempio, è in mano alla ‘ndrangheta che ha letteralmente assediato Milano e si è estesa alle province limitrofe.
 
Queste dichiarazioni, a tratti irreali, giungono a sole 24 ora dall’allarme lanciato da un giudice della DDA di Milano: “La criminalità organizzata è presente anche nel Lodigiano, senza dubbi: non c’è area della Lombardia che si salvi”. Parole giunte dopo la lettura del rapporto 2009 della DDA. “Si sono evolute anche le modalità di indagine: troppe volte fatti indicativi di azioni della grande criminalità organizzata sono andati a giudizio come danneggiamenti o altri reati minori. Abbiamo capito che invece molto spesso sono espressione di organizzazioni che al Sud spargono sangue, al Nord invece investono e non vogliono farsi notare se non quando è indispensabile dare un segnale”.
 
Anche il procuratore capo di Lodi Giovanni Pescarzoli e la presidente del tribunale Adriana Garrammone non hanno perso occasione per sottolineare la presenza di criminalità organizzata nel lodigiano.
 
Gli esempi sono molteplici e vanno dall’operazione della Guardia di Finanza, partita in sordina nel 1998 e ultimata nel 2007 che provava il legame tra sudamericani, albanesi e calabresi dai quali dipendeva il rifornimento di cocaina di Milano e di parte della Sicilia; fino all’arresto di un latitante a Marudo del mandamento “Noce” di Palermo. In tale prospettiva, si accertava inoltre la volontà di “Cosa Nostra” di interferire sul libero mercato intervenendo ed imponendo i prezzi di vendita al dettaglio di beni di consumo primario quali la carne.
 
Ma la penetrazione mafiosa nel lodigiano risale già agli anni 70 – come emerge da questa indagine – e ha visto l’alternarsi della presenza della Mafia e della ‘Ndrangheta sul territorio. Anche se oggi: “la ‘ndrangheta è l’organizzazione che spara di più e al momento appare la più forte – proseguono dalla Dda – ma in Lombardia si alza il tiro solo quando lo ritiene indispensabile, quando l’argomento denaro non è stato convincente. Per questo stiamo ‘filtrando’ tanti fatti, anche all’apparenza poco significativi, come segnale di certe presenze. L’obiettivo primario è il riciclaggio. Nel movimento terra, nella logistica, nei trasporti, nei depositi, magari per conto di grosse società. I criminali possono essere soci occulti, finanziatori”.
 
Anche il magistrato denuncia questo clima di omertà: “l’omertà non ha confini, ce n’è tantissima anche al Nord. Non posso parlare di indagini nel Lodigiano. Ma ci stiamo molto attenti”.
 
L’omertà che scende quando le mafie non sono relegate nei loro confini “naturali” e così si nega, ad esempio, che nel 1992 fratelli Antonio e Marcello Reitano chiedevano all’imprenditore Daniele Polenghi, nel lodigiano, 200 milioni di racket.
 
L’omertà che scende sul Ponte dell’Alta Velocità, sul quale è in corso un’inchiesta della DDA perché il cemento utilizzato proveniva dai clan ed è di scarsa qualità.
 
L’omertà che scende sull’arresto di Domenico Brusaferri, in carcere per associazione mafiosa e latitante a Lodi.
 
L’omertà è quella che vuol negare che Cosa Nostra tramite i Rinzivillo – famiglia gelese attiva nel mercato delle carni nonchè fiancheggiatori attivi della latitanza di Zio Binnu Provenzano – strappano, nel 2005, un appalto da 4 milioni di euro presso la centrale termoelettrica di Tavazzano con Villavesco vicino a Lodi. Un affare così grosso gestito da un prestanome giovane con la passione delle belle macchine. Un affare così grosso da gestire tramite un ufficio apposito a Tavazzano all’inizio di via Verdi. Bernascone si muove al nord con una scioltezza e tranquillità che sarebbe inimmaginabile giù in Sicilia (anche se al telefono in un momento di saudade gelese dice che “Busto è come Gela, il bordello che c’è qui tra poco viene fuori”). Bernascone va anche al cantiere di Tavazzano come mediatore sindacale per calmare gli operai manifestanti. Si presenta pettinato per rispondere alle interviste dei quotidiani locali: il trionfo della mafia al nord.
 
L’omertà che scende appena si parla di mafia al nord. E su chi scrive cala la paura, la paura di vedere il “lavoro” di tanti spazzato via da una dichiarazione. Una dichiarazione che è “grave” poiché proviene da un graduato che non è solo un Colonnello ma anche il responsabile della tutela antimafia dell’attore Giulio Cavalli, più volte minacciato di morte.

Putroppo la mafia esiste, prenderne coscienza è il primo passo per combatterla.

(Fonte: AGORAVOX.IT)

«Le cosche della ‘ndrangheta attive anche nel Lodigiano»

di Carlo Catena (21 marzo 2009)


«La criminalità organizzata è presente anche nel Lodigiano, senza dubbi: non c’è area della Lombardia che si salvi». Non solo gruppi poco radicati di stranieri, quindi. Parole pesanti quelle di un pm della Direzione distrettuale antimafia di Milano, che però non può comparire. Non per paura dei delinquenti, ma dei loro avvocati: «Il sostituto procuratore che parla potrebbe rischiare la ricusazione». Il magistrato è tra i pochi che hanno accesso all’ultimo rapporto della Direzione nazionale antimafia, 900 pagine inviate a tutte le Dda con l’invito alla massima riservatezza. Fino al 2008 era un rapporto pubblico, ora i tempi sono cambiati. «Si sono evolute anche le modalità di indagine: troppe volte fatti indicativi di azioni della grande criminalità organizzata sono andati a giudizio come danneggiamenti o altri reati minori. Abbiamo capito che invece molto spesso sono espressione di organizzazioni che al Sud spargono sangue, al Nord invece investono e non vogliono farsi notare se non quando è indispensabile dare un segnale».

Sia il procuratore capo di Lodi Giovanni Pescarzoli sia la presidente del tribunale Adriana Garrammone al loro insediamento avevano denunciato la presenza di criminalità organizzata nel Lodigiano. Entrambi provenienti da Milano avevano avuto a che fare con inchieste che rischiavano di “sconfinare” lungo il corso dell’Adda e del Lambro.

L’operazione del Gico della guardia di finanza, partita in sordina nel 1998 e ultimata nel 2007 aveva provato che a San Donato Milanese c’erano sudamericani, albanesi e calabresi dai quali dipendeva il rifornimento di cocaina di Milano e di parte della Sicilia. E ancora a San Donato nel dicembre scorso i carabinieri hanno chiuso un’altra operazione antidroga con 37 arresti: anche qui è emerso un filo diretto Colombia-via Di Vittorio. Un quartiere dove, tutti concordano, il peggio che sia successo in questi anni è un’auto a fuoco o una baby gang di rapinatori.

Più a sud troviamo invece poco. L’assassino dell’imprenditore calabrese Domenico Alampi nel 1991, tuttora irrisolto nonostante le dichiarazioni di un pentito (che non hanno trovato conferma) nel 2002, l’apertura di un’agenzia immobiliare in franchising a Sant’Angelo il cui titolare morì per un’iniezione di cocaina purissima in vena, con foto dell’inaugurazione trovate dalla Dda durante una perquisizione in un’inchiesta sulla ‘ndrangheta, e poi tanti incendi dolosi. Da quelli a tre agenzie immobiliari di Melegnano, al capannone di un’attività di recupero auto a fuoco nel 2006 a Peschiera Borromeo (seguirono gli arresti di tre persone, tra cui un imprenditore concorrente), ancora un’attività analoga incendiata a Dresano nel dicembre scorso, una concessionaria d’auto a Vigliano di Mediglia a inizio ottobre, un bar bruciato a fine settembre a Villanova.

«Fatti da approfondire, senza dubbio – commenta il magistrato . La ‘ndrangheta è l’organizzazione che spara di più e al momento appare la più forte – proseguono dalla Dda – ma in Lombardia si alza il tiro solo quando lo ritiene indispensabile, quando l’argomento denaro non è stato convincente. Per questo stiamo “filtrando” tanti fatti, anche all’apparenza poco significativi, come segnale di certe presenze. L’obiettivo primario è il riciclaggio. Nel movimento terra, nella logistica, nei trasporti, nei depositi, magari per conto di grosse società. I criminali possono essere soci occulti, finanziatori». C’è chi arriva e rileva attività con milioni in contanti e il fatto che spesso le licenze passino di mano con grosse quote in nero non agevola le indagini.
«L’omertà non ha confini, ce n’è tantissima anche al Nord. Non posso parlare di indagini nel Lodigiano – conclude il magistrato -. Ma ci stiamo molto attenti». E in tempi di crisi è più facile reinvestire gli utili esentasse del narcotraffico dove c’è chi ha bisogno di contante.
(Fonte: il Cittadino.it)

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