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Lettera di Pasquale Borsellino

Pasquale Borselino e Benny Calasanzio, fratello e nipote di Paolo e Giuseppe Borsellino, piccoli imprenditori di Lucca Sicula uccisi della criminalità mafiosa nel 1992, lo stesso anno delle stragi di Capaci e di Via D’Amelio, mi hanno dato l’autorizzazione a pubblicare questa lettera di Pasquale a suo nipote Benny.

Benny è un ragazzo di 22 anni, giornalista per ora agli inizi della sua professione ma con grandi potenzialità che potranno meglio esplicarsi se un giorno in Italia tornerà ad esserci una stampa libera, suo zio Pasquale è uo psicologo e vive e lavora da tempo al nord, lontano dalla sua terra, così come Benny e come, purtroppo, anche io.
Benny ormai da tempo gira con me per tutta l’Italia e insieme cerchiamo di comunicare agli altri la nostra voglia di Giustizia e  la nostra rabbia per la Giustizia negata.
Con lui ho stretto un rapporto di sincera amicizia che riesce a superare le barriere che ci potrebbero interporre la differnza di età. Suo zio ha vissuto fino ad ieri un tormento interiore, che sicuramente continuerà a vivere  ma che ora, come leggerete nella sua lettera, è riuscito a sublimare in una voglia di essere vicino ed aiutare tutti quelli che hanno vissuto e vivono le sue stesse sofferenze. Dice nella sua lettera di esserci riuscito grazie a Benny e, ne sono felice, anche a me.
Non aggiungo altre parole, sarebbero inutili, vi chiedo solo di leggere e meditare questa lettera.

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Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo
di gente in gente, me vedrai seduto
su la tua pietra, o fratel mio, gemendo
il fior de’ tuoi gentil anni caduto.

La Madre or sol suo dì tardo traendo
parla di me col tuo cenere muto,
ma io deluse a voi le palme tendo
e sol da lunge i miei tetti saluto.

Sento gli avversi numi, e le secrete
cure che al viver tuo furon tempesta,
e prego anch’io nel tuo porto quiete.

Questo di tanta speme oggi mi resta!
Straniere genti, almen le ossa rendete
allora al petto della madre mesta
.

U.Foscolo

Caro Benny,

mi trovo ancora una volta a scriverti una delle lettere più difficili della mia vita. Da qualche anno infatti mi esorti a prendere parte attiva a delle iniziative pubbliche riguardanti l’impegno contro la mafia. Questo tipo di attività non sono mai riuscito a farla neanche all’interno della mia famiglia, come sai bene tuo cugino Paolo che oramai ha otto anni non conosce nulla di come sono morti il nonno e lo zio.

Tu ti chiederai quali sono le ragioni che portano una persona come me a chiudersi dentro un mutismo ed una sofferenza senza fine. Credo comunque che non sia solo successo a me, in questi anni tanti familiari di vittime della mafia si sono chiusi in un dolore immane e senza tempi di elaborazione.

Perché lo abbiamo fatto? Perché ci siamo tirati indietro rispetto alla lotta? E soprattutto questo ha onorato i nostro parenti morti? In questa mia riflessione non potrò certo capire e trovare le ragioni di tutti e quindi partirò enunciando le mie.

Dopo il primo omicidio di mio fratello il dolore e il senso di rabbia sono stati terrificanti, così come quando venne ucciso mio padre, ma più passavano i giorni e più si faceva strada un senso di smarrimento e di incompletezza che mi annientava, per la prima volta in vita mia sentivo la sensazione di sentirmi solo….si solo in universo ostile e che non poteva comprendermi come se una parte di me fosse morta con loro, forse la parte migliore. Si caro nipote questi dannati si sono portati via sia le vite di mio fratello e di mio padre ma si sono portati via parte della mia vita quale sarebbe stata se loro fossero vivi.

Infatti quando nel corso della vita ti accadono dei fatti traumatici questi inevitabilmente lasciano dei segni. Gli stessi segni che spesso per chi ha avuto una vita e delle esperienze travagliate si riscontrano nel corpo. Ma quando un grandissimo lutto ti ha colpito nell’animo al punto tale che insieme alle persone care senti che una parte di te è morta per sempre; di tutto questo cosa si vede? Come fai a far comprendere che ti saresti augurato di perdere una mano un braccio, una gamba e che a confronto avresti sofferto di meno.

Da quando due grandi tragedie hanno colpito la mia famiglia non passa giorno o notte che inevitabilmente non penso a quello che è successo. Penso di vivere la mia esistenza negli intervalli liberi da ricordi e rimpianti e tutto questo porta alla triste considerazione che la mia vita è cambiata per sempre e soprattutto un parte di me è morta per sempre con mio padre e mio fratello.

Il legame con loro era sempre stato forte e importante e mi avevano sempre incoraggiato nelle mie scelte e nei miei percorsi, a 29 anni mi sono ritrovato solo con un gran senso di smarrimento e io ultimo genito mi dovevo imporre di aiutare anche gli altri superstiti della mia famiglia.

Rimanere orfani è una delle condizioni esistenziali più brutte da vivere, tale condizione, infatti, ti fa sprofondare in un senso di vuoto dove ti mancano i punti di riferimento e le coordinate per la tua esistenza. Se poi nella vita ti manca un padre come il mio allora ti senti svuotato di tutto. Queste riflessioni ogni tanto mi fanno pensare ai miei due nipoti Giuseppe e Calogero (figli di Paolo) che si sono trovati già da piccoli a vivere questo tipo di esperienza che inevitabilmente gli condizionerà tutta la vita.

L’unico termine che rende per descrivere chi resta vivo dopo un’esperienza come la mia è “sopravissuto” si, infatti, mi sento a distanza di 16 anni un sopravvissuto che tutti i giorni cerca di trovare un senso alla vita e alla cose che fa.

Di una depressione maligna e nascosta e un’angoscia di morte di questo penso di soffrire da quando mio padre e mio fratello sono stati uccisi. Si aggiunga a questo tutta una serie di sensi di colpa con i quali ho imparato a convivere. A volte penso che non dovevo lasciare da solo mio padre e che dovevo restare accanto a lui, purtroppo in quel periodo bisogna anche continuare a vivere ed avevo bisogno di tornare per qualche giorno nel posto in cui vivevo e lavoravo cioè Padova. Se fossi rimasto accanto a mio padre sarebbe cambiato qualcosa o avrebbero ammazzato anche me: il solo pensiero mi mette ancora oggi paura, sì paura che persone assolutamente prive di umanità si arroghino il diritto che è solo di Dio: di decidere della vita e della morte delle persone.

Mio padre non meritava di morire perché era un uomo giusto leale e generoso la sua vita era sempre stata piena di fatica sofferenza e grande sfortuna, sì la sfortuna di un ragazzo che si crede uomo e a 18 anni fa una a ”fuitina” con la donna che ama. Scelta che ha determinato una vita sempre in salita e piena di difficoltà dove nessuno gli ha mai regalato niente.

Un uomo giusto che è sempre stato rispettato e ben voluto da un paese che purtroppo per ignoranza e paura gli ha voltato le spalle.

Torniamo alla mia depressione, la definivo nascosta e maligna, si maligna perché non penso che esistano farmaci al mondo in grado di curarla o terapeuti in grado di ascoltarla, la verità è  che si tratta di un problema che morirà con me e con il quale negli anni ho imparato a convivere.

Il secondo aspetto che mi spaventa e mi preoccupa di più è il sentire fortissime delle angosce di morte che purtroppo non sono riferite alla mia persona ma alle persone che più amo. Nel mio animo esiste questo grande tormento che possa accadere qualcosa di brutto a tutte le persone vicine, l’angoscia che mi scatena é molto grande e forte che ha volte mi fa mancare il respiro e vivo un fortissimo senso di paura.

 

Queste modalità esistenziale penso abbiano colpito gran parte delle vittime della mafia e allora perché non ascoltare il nostro dolore, perché non condividerlo si… sono stufo di parlare di loschi personaggi che non voglio nemmeno nominare, perché finalmente non parlare di noi parenti vittime della mafia e non solo da arrabbiati di una rabbia che gli altri fanno fatica a comprendere. Non voglio più essere arrabbiato non voglio più piangere “lacrime di aria lacrime invisibili che solamente gli angeli san portar via…”. Una poesia anche per te Lisa penso che gli angeli siano coloro che hanno vissuto sulla loro pelle lo stesso colore e lo stesso sapore della sofferenza che ho vissuto io.

Secondo l’ottica di un’ apertura ad un nuovo impegno offro la mia disponibilità ad “ascoltare incontrare” tutte quelle persone che familiari vittime della mafia che vogliano confrontarsi sui percorsi di dolore provati e vissuti. Tutto questo ci potrà aiutare insieme a superare il trauma inteso come monento non integrabile esuperabile dalle risorse di un solo singolo soggetto.

Creare un altro nodo di una rete dove sentirci meno soli e forse meno arrabbiati per il vuoto delle nostre perdite anche questo è un nostro dovere, “tornate a vivere “ e non sentirsi morti con le persone che abbiamo perso e soprattutto trovare parole buone e fermamente sommesse per continuare a ribadire il valore fondamentale ed assoluto della memoria.

Un grazie a Salvatore Borsellino che con la sua forza e la sua energia porta avanti il miracolo che ancora oggi in Italia si parli di certi temi. Grazie soprattutto per l’esempio che più di mille parole mi è servito per la mia vita.

Un bacio

P.S. Spero dinon vivere ancora la dimensione dell’esiliato

 

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