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Lettera da Roberto

Gentile Dott. Borsellino,

innanzitutto mi presento visto che finora non l’ho fatto: mi chiamo Roberto – nickname sul suo sito harlock – ho 35 anni, sono laureato in fisica ma lavoro come consulente informatico – precario – a Milano, pur essendo salentino.
Non ho mai avuto direttamente a che fare con la mafia nè con la giustizia in generale. Sono però convinto che la mafia affondi le sue radici nel malaffare quotidiano, quello che confonde il diritto con il favore e il cittadino con il mendicante, e che alberga anche in una parte non trascurabile del cosiddetto “buonsenso comune”, espresso da detti popolari come “ungi l’assu ca la rota camina” (ungi l’asse che la ruota cammina). A questa mafia spicciola, fatta di raccomandazioni e di una ridicola corsa a chi è più furbo (o più fesso, dipende dai punti di vista), finora non mi sono piegato: non so se più per merito o più per fortuna, so solo che è una delle poche cose di cui vado orgoglioso.
Quando ci furono le stragi di Capaci e di via D’Amelio avevo 18 anni, ed ero contento. Contento perché per me, figlio di contadini abituati a faticare duramente (con buona pace di Bossi e dei suoi amici) e ad accettare l’arroganza del potere come si trattasse della grandine – una calamità grave ma contro cui non si può fare nulla: c’è e basta – gli avvenimenti di quegli anni (il maxiprocesso di Palermo da un lato e Mani pulite dall’altro) erano la prova che le cose stavano cambiando, che una stagione nuova era davvero possibile. Mi dicevo che la caduta del muro di Berlino aveva fatto saltare le coperture che avevano garantito, cristallizzandolo, la sopravvivenza di un sistema ormai completamente marcio e che l’onda lunga di quel benefico terremoto ci stava inevitabilmente travolgendo.
Poi il 23 maggio 1992, intorno alle ore 18:00, l’incantesimo si è improvvisamente spezzato. Il 19 luglio è andato definitivamente in frantumi.
Il gattopardo era ancora lì, rinato come un’eterna fenice.
Aveva il volto tirato a lucido dei nuovi partiti politici che da lì a poco sarebbero nati dal nulla e l’anima cattiva di vecchie pratiche clientelari e nuove collusioni mafiose; l’aria bonaria e rassicurante di certi giornalisti da salotto impegnatissimi a discutere del risotto di D’Alema o del cuoco Michele e  la voce stridula di finti intellettuali e mercenari veri che quotidianamente cannoneggiavano la nostra coscienza civile dal tubo catodico.
In questi 16 anni quell’incantesimo si è trasformato in illusione e l’illusione via via in un incubo: anestetizzati e confusi da urla sempre più alte in cui si perde il senso stesso della discussione e in cui tutti sembrano uguali, terrorizzati ad arte dai tg circa la nostra sicurezza (conosco milanesi che temono di venire in Puglia per la malavita organizzata e pugliesi che temono di venire a Milano per la delinquenza spicciola!), rattrappiti su noi stessi dalla nuova religione dell’individualismo, stiamo perdendo non solo il senso delle istituzioni (d’altra parte come rispettarle se chi le rappresenta ne è indegno e ci sputa sopra per primo?) ma il senso stesso dei valori racchiusi nella nostra Carta Costituzionale, ultimo baluardo alla deriva definitiva di questo paese.
In questo incubo il suo sito rappresenta per me, oggi, una sorta di boccata d’ossigeno: per l’informazione libera che diffonde e che genera indignazione e rabbia; per lo sforzo di mantenere viva la memoria di chi è stato massacrato non in nome dello Stato ma dallo stato; per il semplice coraggio di parlare, anzi, di gridare. Ma anche per la volontà di fare, che contraddistingue tutti coloro che lo frequentano, o quanto meno per il loro rivendicare in modo inequivocabile che “io sto da questa parte”, e che è ancora capace di far rinascere in me l’illusione che, sì, il cambiamento è possibile. Deve esserlo.
Per questo le chiedo cortesemente di inviare anche a me gli adesivi che pubblicizzano il suo sito. Perché forse è solo un’illusione, ma davvero non posso fare a meno di crederci.
Con affetto e riconoscenza,
Roberto

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