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‘Le verità nascoste’ dell’omicidio Caccia

28 febbraio 2022 – Si parla di ‘Mafia a 30 anni dalle stragi’, oggi nell’aula magna del Politecnico, ma il titolo del convengo – ‘Le verità nascoste e quelle rivelate’ – sono una buona etichetta anche per l’omicidio di Bruno Caccia, il procuratore di Torino ucciso dalla ‘ndrangheta la sera del 26 giugno 1983.

Mario Vaudano, ex giudice istruttore in quegli anni, perché quello di Caccia è un omicidio dalla memoria offuscata?

‘Per motivi legato al modo in cui avvenne: a Torino c’è sempre stato un senso di colpa dei colleghi. E così se ne è parlato poco anche nel resto d’Italia’.

Il palazzo di giustizia è intitolato a lui.

‘E’ per tranquillizzare le coscienze. La verità è che, in quegli anni, ci fu una congiunzione particolare, tra Caccia procuratore e Mario Carassi a capo dell’ufficio istruzione: sarebbe stato un binomio dirompente’.

Ovvero?

‘Non avessero ucciso Caccia, forse le vicende scoppiate con Mani Pulite sarebbero arrivate molto prima’.

Caccia disse al figlio Guido: ‘Verrà fuori qualcosa di davvero grosso’: a cosa si poteva riferire?’

‘All’intreccio tra magistrati, casinò e servizi’.

Nel libro ‘I soldi della P2’, lei parla di ‘una lobby di magistrati schierata contro di lui’: perché?

‘Beh, quattro o cinque della Procura, ma pure qualcuno fuori, ce n’erano. Anche a Ivrea, dove ci fu una successione di persone non troppo perbene. Curioso che quella zona e il Canavese siano stati la culla dei primi nuclei di ‘ndrangheta’.

Contro magistrati, per il delitto, non ci sono mai state imputazioni: allude a responsabilità morali?

‘Che l’abbiano isolato, non tutti certo, direi che è pacifico: quella del pericolo dall’interno, era una sensazione percepita dallo stesso Caccia. E, onestamente, penso che in questo senso ci siano responsabilità morali, e anche qualcosina in più, anche se le prove non si sono trovate: in un certo senso, lo dice anche la sentenza sull’omicidio’.

A chi si riferisce?

‘Non voglio fare polemiche sulle correnti, ma per lunghissimo tempo, a Torino e in Piemonte, i vertici erano di Magistratura indipendente’.

E’ una generalizzazione.

‘Certo che c’erano, e ci sono, persone oneste e capaci: ma Domenico Pone, magistrato di Cassazione e segretario di Mi, e Carlo Martino, l’allora procuratore generale, erano iscritti alla P2′.

Fa anche un parallelo con l’omicidio Kennedy: non è un po’ temerario?

‘Va da sè, ogni vicenda è diversa, come lo sono queste due, ma anche il delitto Caccia fu una cospirazione’.

C’entra anche la P2?

‘Nessuno me lo toglie dalla testa: a Torino c’era un nucleo stabile della Loggia, e non era così in tutte le città’.

Nonostante le inchieste della Dda, c’è la sensazione che le infiltrazioni mafiose siano fuori dal dibattito politico, come ripete il Pg Saluzzo: cosa ne pensa?

‘Che non c’è la consapevolezza adeguata e che si vuole dare l’impressione di un situazione sotto controllo: invece la mafia si è inserita a fondo nel tessuto economico e politico’.

C’è ancora tempo per una verità processuale?

All’80 per cento temo dovremo concentrarci sulla ricostruzione storica, almeno se vogliamo uscire da un clima che avvelena la coscienza: sul delitto Caccia c’è qualcosa di cupo, di non detto’.

A 76 anni, dopo inchieste e battaglie, che cosa racconta ai giovani?

‘Di avere il coraggio ragionevole di cercare la verità, anche scomoda: la legalità non è un optional, ma una cosa che aiuta a vivere meglio’.

Massimiliano Nerozzi (Il Corriere della Sera)

 

 

 

 

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