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Le conclusioni dell’avvocato Fabio Repici al processo per l’omicidio di Bruno Caccia

di Fabio Repici – 25 maggio e 6 giugno 2017


Pubblichiamo la trascrizione delle conclusioni difensive esposte dall’Avv. Fabio Repici nel processo in corso presso la Corte di Assise di Milano in cui
Rocco Schirripa è imputato del reato di concorso in omicidio di Bruno Caccia, procuratore capo di Torino e primo magistrato ad essere assassinato dalle mafie al nord d’Italia. L’omicidio fu commesso il 26 giugno 1983 a Torino. Domenico Belfiore, affiliato alla ‘ndrangheta, è stato condannato in via definitiva nel 1992 quale mandante dell’omicidio mentre i due killer che materialmente commisero il delitto non sono stati ancora identificati con certezza.
L’Avv. Repici è il difensore di Parte Civile nell’interesse dei tre figli (Guido, Paola e Cristina Caccia) e di due nipoti (Martina Fracastoro e Lorenzo Fracastoro) del magistrato torinese.

Durante le udienze del 25 maggio e del 6 giugno 2017 l’Avv. Repici ha esposto non solo gli elementi che, in base alla sua ricostruzione, dimostrano oltre ogni ragionevole dubbio la partecipazione dell’imputato Rocco Schirripa alla fase esecutiva dell’omicidio del Dottor Caccia. Ma ha anche sottolineato i vuoti investigativi che, secondo i familiari del Procuratore Capo di Torino, hanno caratterizzato le indagini e il dibattimento del processo milanese. Chiunque voglia farsi un’idea delle conclusioni dei familiari del Dottor Caccia e del loro difensore, troverà estremamente utili le trascrizioni dei verbali delle due udienze che di seguito riportiamo.
La sentenza del processo a carico di Rocco Schirripa è attesa per lunedì 17 luglio.

Marco Bertelli

 

Carla e Bruno Caccia

Bruno Caccia in famiglia

(Le immagini, riprodotte per gentile concessione della famiglia, non sono riproducibili)

 

CORTE D’ASSISE DI MILANO, SEZIONE I

DOTT. MANNUCCI PACINI ILIO, Presidente

DOTT.SSA SIMI DE BURGIS ILARIA, Giudice a latere

DOTT. TATANGELO MARCELLO, Pubblico Ministero

SIG.RA FABI FLAVIA, Cancelliere


MONTORFANO SIG. GIORGIO – Fonico Ausiliario tecnico (UDIENZA DEL 25 MAGGIO 2017)
SIMEONE SIG.RA MARIA TERESA – Stenotipista Ausiliario tecnico (UDIENZA DEL 6 GIUGNO 2017)
 

PROCEDIMENTO PENALE N. R.G. C.A. 1/17 – R.G.N.R. 41592/16 A CARICO DI: SCHIRRIPA ROCCO

 
 

UDIENZA DEL 25 MAGGIO 2017
 

AVV. REPICI – Interviene l’Avvocato Repici Difensore di Parte Civile nell’interesse di Guido Caccia, Paola Caccia, Cristina Caccia, Martina Fracastoro e Lorenzo Fracastoro. Si tratta dei tre figli del Dottor Bruno Caccia e di due dei nipoti del Dottor Bruno Caccia, figli di Paola Caccia. Con l’intervento di alcune Parti Civili diciamo nella fase della discussione ha fatto ingresso il ruolo, la figura della vittima del delitto per cui ci troviamo qui. Figura che finora era rimasta un po’ ai margini delle valutazioni e ancor prima dell’istruttoria. La circostanza, Presidente, ha un rilievo tecnico – giuridico, come Lei sa e come la Giudice a Latere sa, ordinariamente, e io cerco sempre nell’esposizione alla fine dei processi di essere il più ordinario possibile, alle volte perfino banale nel mio tignoso appiglio razionalista nell’esame delle vicende processuali. Banalmente la discussione, così come ritualmente il Presidente ha avviato il dibattimento con la lettura del capo d’imputazione, banalmente la discussione da lì deve ripartire e cioè dal capo d’imputazione. Capo d’imputazione che testimonia la centralità. In ogni processo per omicidio naturalmente non può non essere centrale la vittima dell’omicidio. Presidente, se noi cominciamo ad analizzare il capo d’imputazione ci accorgiamo di alcune e una in modo particolare questioni.

E’ imputato il signor Schirripa, in concorso con il pregiudicato per l’omicidio di Bruno Caccia, Domenico Belfiore, in concorso con altre persone che ancora non sono state portate al giudizio di una Corte, di aver partecipato all’esecuzione del Dottor Bruno Caccia, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino con le modalità che sono note non tanto per l’istruttoria fatta in questo processo, quanto per le risultanze del processo celebrato a carico di Belfiore e le sentenze che sono in atti. L’imputazione, confermata dal fatto che oggi il Pubblico Ministero ha fatto richiesta di condanna alla pena dell’ergastolo, è ovviamente circostanziata dall’aggravante della premeditazione.

Presidente e Signora Giudicea Latere, vedrete che già in questa imputazione c’è un minus rispetto all’imputazione elevata a Domenico Belfiore. È un minus che, non so se parlo (inc.), ma toglie dal centro della scena processuale la vittima, Bruno Caccia, perché al signor Schirripa non è imputato di aver concorso all’uccisione del Procuratore della Repubblica di Torino con l’aggravante di averlo fatto a causa delle funzioni svolte dal Dottor Bruno Caccia e/o in relazione all’esercizio di quelle funzioni. All’imputato Schirripa l’odierna Procura di Milano non ha contestato l’aggravante di cui all’articolo 61, numero 10, del Codice Penale. È una precisazione che faccio per i Giudici Popolari. Il Legislatore ritiene più grave un delitto quando vede come vittima di quel delitto un Pubblico Ufficiale che venga colpito da quel delitto non per ragioni private, ma per ragioni legate all’Ufficio Pubblico da quella vittima ricoperto. Per questo, Presidente, ho puntualizzato la questione perché naturalmente in termini di pena o in termini di responsabilità nulla più o meno cambia dalla omessa contestazione di quella circostanza aggravante. Io ritengo che sia una lacuna, insieme ad altre che vedremo, che manifesta in partenza, quasi concessa come questo, più che un processo per l’uccisione di quella vittima, di quel Magistrato, Bruno Caccia, dovesse essere una partita processuale con un perimetro angusto, limitato alla verifica, la più stretta possibile nelle sue dimensioni, della responsabilità dell’imputato. È ovvio ed è normale che in ogni processo l’imputato sia centrale. È ovvio ed è normale perché l’esito del giudizio comporterà, se riconosciuto colpevole, una pena in questo caso ben significativa. È ovvio ed è normale perché è la Costituzione che impone l’assoluta inviolabilità del diritto di Difesa. E però al netto delle vagonate di retorica che spesso ammorbano certe vicende, è certo che nei processi per omicidio, nei processi per omicidio che hanno visto vittima uomini dello Stato, uomini o donne dello Stato, alla centralità dell’imputato, in questo caso alla centralità dell’imputato Rocco Schirripa, debba necessariamente accompagnarsi la centralità non per il suo ruolo inane di vittima, non in quanto cadavere, ma deve essere accompagnato dalla centralità del ruolo di Magistrato, di Procuratore della Repubblica di Torino, Dottor Bruno Caccia, ucciso proprio per quello. Presidente, è un’anticipazione rispetto a cose che spiegherò più in dettaglio, ma la vedete prima ancora che ve la dica io, la coerenza insuperabile dei mancati accertamenti sull’attività svolta dal Magistrato, Dottor Bruno Caccia, con la mancanza clamorosa direi dell’aggravante dell’articolo 61, numero 10. Per riconoscere un imputato responsabile non solo del delitto della fattispecie base del delitto, ma anche della circostanza aggravante, lo dico a beneficio dei Giudici Popolari, naturalmente deve essere data piena prova non solo della sussistenza della responsabilità per la fattispecie base, per il delitto in sé, ma deve essere data piena prova anche della sussistenza della responsabilità della circostanza aggravante e cioè che Bruno Caccia sia stato ucciso in relazione a ciò che faceva da Magistrato, Procuratore della Repubblica di Torino. Con l’omissione di quella circostanza aggravante è stata una sorta di Epifania, Presidente, di qual era la sfumatura che si voleva dare al processo e mi viene da dire di qual era la struttura ontologica che fin dal primo atto che fa partire il processo, l’esercizio dell’azione penale, si voleva dare al processo. Io questa premessa, anche abbastanza sorprendente forse, l’ho voluta fare per spiegare che non mi sembra ragionevole la costruzione di una vicenda processuale nella quale non solo la discussione, ma l’istruttoria dibattimentale non abbia visto la centralità di Bruno Caccia.

Presidente, io ormai faccio l’Avvocato da troppi anni e comincio a sentirlo il peso di questi anni e fin da quando ho cominciato a fare l’Avvocato, anzi prima ancora di cominciare a fare l’Avvocato da praticante, e in caso da praticante abilitato all’esercizio, all’epoca Pretura, ho dedicato gran parte della mia attività professionale alla difesa, mediata dalle persone dei familiari, alla difesa delle vittime e un po’ di esperienza l’ho acquisita. Non mi sono mai dedicato a scrivere trattati criminologici o a fare conferenze in tema, certo è, Presidente, che il tema della doppia vittimizzazione lo conosco bene e non per averlo studiato nei trattati, ma per averlo visto nei processi. Cos’è la doppia vittimizzazione?
C’è un omicidio e c’è una vittima ed è la prima vittimizzazione. Un uomo viene ucciso con il carico di conseguenze che questo ha per la vita cessata di quell’uomo e per chi fino a quel momento ha accompagnato la vita di quell’uomo e non lo potrà fare mai più. In corso di requisitoria si è detto del fatto che bisogna in qualche modo adeguarsi alle condizioni date. Viviamo in Italia e ci sono fattori, fenomeni che subiscono il dato dell’italianità, lo si è fatto in riferimento alle Poste e anche ad altro. Io non so se questa sia una caratteristica del nostro paese, mi viene da pensare di sì, però non lo posso dire con piena cognizione di causa. Certo è che in questo paese alla prima vittimizzazione nei casi in cui la vittima abbia determinate caratteristiche ne segue puntualmente una seconda. Badate bene, sapete, non solo i Giudici Togati, ma tutti, che naturalmente ogni omicidio è una storia a sé. L’Avvocato dello Stato ha citato cifre, statistiche sulla dilagante frequenza di omicidi nei primi anni Ottanta, quindi all’epoca dell’omicidio del Procuratore Caccia. Ha citato esempi territoriali del meridione d’Italia. In realtà, Presidente, gli atti del processo, basta prendere i 23 faldoni del processo Belfiore, oltre ad alcune prove orali acquisite nell’istruttoria dell’odierno dibattimento ci fanno ben dire che non è che a Torino siano stati commessi tanti meno omicidi, per dire, rispetto ad una città del sud qual è la mia, Messina, anzi. Eppure a Messina non è che c’era qualcuno che ad inizio anni Ottanta si permettesse di dire “la mafia non esiste”. A Torino gli omicidi erano ben di più, non erano quelli di Palermo e non erano quelli di Napoli e non erano quelli di Reggio Calabria. Forse Catania era ancora superiore a livello di delitti di mafia, non so quante altre città, non so se qualcun’altra città. Però naturalmente non tutti gli omicidi sono uguali e gli atti del processo Belfiore ci dimostrano che la maggior parte di quegli omicidi erano delitti interni alle organizzazioni mafiose, guerre di mafia. In quei casi il fenomeno della doppia vittimizzazione non esiste e non c’è ragione che esista. Il fenomeno della doppia vittimizzazione quando puntualmente interviene? Quando la personalità della vittima non è quella del delinquente mafioso ucciso in una guerra di mafia, ma di soggetto che per suo ruolo ufficiale, ma non basterebbe, – Presidente, non basterebbe, me lo dice non solo la mia esperienza, è un dato di massima d’esperienza giudiziaria rilevabile da chiunque – oltre ad avere un ruolo formale ha anche alcune caratteristiche sostanziali che devono in qualche modo essere oggetto di una attacco postumo, post mortem, per gli effetti che da quel delitto devono derivare, perché quegli effetti vengano tutti raggiunti, non solo l’abbattimento di un uomo.

Presidente, nella mia esperienza ci sono state due tipologie di doppia vittimizzazione: la prima che è quella che tutti possiamo ben ricordare, pensate all’omicidio di Peppino Impastato. Viene ucciso, viene trovato nel modo in cui viene trovato il 9 maggio 1978 e qual è la prima reazione fatta non dal cittadino al bar, ma dall’ufficiale dei Carabinieri? “Era un terrorista, voleva fare un attentato”, più o meno in stile 17 marzo 1972 a Segrate, Feltrinelli. Più o meno quella è la tipologia. E’ stato inesperto, è rimasto vittima di se stesso, dell’atto terroristico che stava compiendo. Ci sono stati altri casi di vittimizzazione con il fango, di altro tipo, il giornalista Pippo Fava. Poteva un giornalista essere ucciso dalla mafia per interessi della mafia e di altri, come poi decenni dopo statuito con sentenze definitive? No, ucciso Pippo Fava, a matrice del delitto doveva essere o debiti di gioco, o giochi sporchi, possibili ricatti esercitati dal giornalista, oppure naturalmente in Sicilia di che altro si può morire se non per ragioni passionali? Parlo del giornalista Pippo Fava, ma la fotocopia l’omicidio del giornalista Beppe Alfano avvenuto nella mia provincia, a Barcellona Pozzo di Gotto l’8 gennaio 1993. E questo è il fenomeno più noto di seconda vittimizzazione. Ce n’è uno, Presidente, che… perché fateci caso, in questo momento non mi vengono in mente episodi di doppia vittimizzazione che poi, per fortuna, il tempo galantuomo non ha messo fuori dal campo della coscienza diffusa della società. Peppino Impastato oggi non c’è nessuno, solo un pazzo o una personalità filo criminale, che possa dire che è rimasto vittima dell’attentato che stava compiendo. Idem, non c’è più nessuno che possa dire che il giornalista Pippo Fava sia stato ucciso per ragioni diverse dall’avere contrastato interessi di alta mafia e di contiguità di alta mafia a Catania e in Sicilia nei primi anni Ottanta in epoca coeva all’omicidio Caccia. C’è invece il secondo tipo di doppia vittimizzazione, Presidente, che è quello che ha purtroppo effetti più duraturi e che difficilmente si riesce ad eliminare. E la seconda tipologia di doppia vittimizzazione, Presidente, è quella che possiamo chiamare nel modo più fotografico con un’espressione latina damnatio memoriae. Viene ucciso un uomo, il suo ruolo, ciò che è stato, deve essere sottratto dal patrimonio diffuso della società, salvo marginali in questo caso, in altri neanche quello, marginali fenomeni di ricordo asettico. Ci arriveremo, Presidente, solo en passant, ma questi fenomeni provocano nel patrimonio etico di una società danni incalcolabili e cerco di spiegare, Presidente, cosa voglio dire parlando della mia personale esperienza quando ho studiato gli atti del processo Belfiore. Perché, Presidente, io quando ho studiato gli atti del processo Belfiore per la prima volta ero un uomo di 42 anni, Avvocato da molto tempo, con una certa esperienza e con una certa inclinazione quasi paranoica a cercare di conoscere tutti i fatti criminali che hanno colpito la nostra nazione. Bene, Presidente, io con quelle caratteristiche sconoscevo l’esistenza di un uomo che si era chiamato Giovanni Selis, che era stato Pretore ad Aosta e che a dicembre dell’82 ad Aosta, nella civilissima Aosta, non nel cuore nero della Sicilia, era stato vittima di un’autobomba. Anche lì, 61 numero 10, per l’esercizio delle sue funzioni, a causa di quello.
 

Ora, vi è stato detto, a Torino il Palazzo di Giustizia è intitolato al nome di Bruno Caccia ed è vero. Presidente, circa quattro anni prima dell’omicidio Caccia si verificò un gravissimo, analogamente gravissimo delitto in questa città. Vado a memoria, era la sera dell’11 luglio del 1979 e venne ucciso un Avvocato, l’Avvocato Giorgio Ambrosoli. Sapete tutti cosa è stato, ci fu una sentenza di condanna di Michele Sindona come mandante dell’omicidio Ambrosoli, sentenza che non poté passare in giudicato perché arrivò prima la morte del condannato in I Grado. Presidente, sa perché io cito questo fatto? Perché spesso nei miei pensieri, nelle valutazioni su cosa è stata la vicenda del delitto Caccia l’ho utilizzato come termine di paragone. Quando viene ucciso l’Avvocato Giorgio Ambrosoli, nominato commissario liquidatore dell’impero sindoniano e ucciso per cosa omise di nascondere e cosa tirò fuori dalla vicenda Sindona, è noto che al suo funerale lo Stato fu latitante. Poi si capì col senno di poi quando tantissimi anni dopo ci fu un signore che disse “Ambrosoli se l’era cercata”, certo è che viene ucciso in quel modo Giorgio Ambrosoli e, Presidente, credo che l’unico soggetto istituzionale che si trova al funerale di Giorgio Ambrosoli sia un soggetto non più istituzionale, l’ex governatore della Banca d’Italia Paolo Baffi che in quel momento era già stato con iniziativa giudiziaria, che Lei ben conosce, di quella Magistratura romana era già stato di fatto messo fuori. Però, Presidente, non solo sull’omicidio Ambrosoli ci fu un processo, non solo su ciò che aveva portato all’omicidio Ambrosoli importanti indagini di questo distretto, inchieste all’epoca di questo distretto avevano portato risultati clamorosi che hanno cambiato la storia d’Italia, ma nella coscienza diffusa, non oggi, ma già decenni fa, pensate l’attenzione che la cinematografia, la letteratura e il giornalismo avevano assegnato giustamente alla figura di Giorgio Ambrosoli.

Facciamo, Presidente, la comparazione, omicidio del Dottor Bruno Caccia, funerale del Dottor Bruno Caccia, lo Stato è massicciamente presente, dal capo dello Stato dell’epoca e questo non sorprende visto chi era il capo dello Stato, Sandro Pertini, il Ministro dell’Interno, le più alte autorità, la classe politica tutta, l’industria, a partire dal principe degli industriali di quella città. Quindi uno, Presidente, penserebbe “be’, se lo Stato fin da subito dal funerale di Bruno Caccia ha questa presenza chissà cosa sarà avvenuto dopo”. No, no, il paradosso è che il dopo non c’è stato. E il dopo che non c’è stato, Presidente, è esattamente quel fenomeno di seconda vittimizzazione che è stata assegnata alla figura di Bruno Caccia. Presidente, solo per questo, per il doveroso rispetto processuale che andrebbe assegnato alla vittima io ho fatto certe richieste istruttorie, non certo per mie balzane fissazioni. Noi sappiamo che Bruno Caccia quando è stato ucciso era Procuratore della Repubblica di Torino. Vi ha ricordato incidentalmente l’Avvocato dello Stato quando Bruno Caccia era entrato in Magistratura come Magistrato inquirente, requirente. Ciò che il processo conosce di cosa sia stato il Magistrato Bruno Caccia quanto a prove documentali è zero, quanto a prove di altro tipo, Presidente, il paradosso è che sono state raccolte quelle informazioni, quei dati probatori per bocca di mafiosi. Il Procuratore della Repubblica integerrimo è stato raccontato alla giustizia dai mafiosi, questo è. Quel Magistrato che dopo il servizio alla Procura di Torino va a dirigere la Procura di Aosta, che poi torna a Torino in Procura Generale e che, come vi è stato ricordato e come questo, sì, risulta en passant processualmente, dopo l’avocazione della inchiesta, la prima inchiesta che va a processo sulle Brigate Rosse, è il Magistrato che porta a processo i capi delle Brigate Rosse. Per la prima volta nella storia d’Italia a Torino si celebra un processo all’organizzazione terroristica Brigate Rosse. Questo lo si deve a Bruno Caccia. Ed è proprio il processo di cui vi parlavano gli Avvocati degli Enti territoriali per celebrare il quale ci fu difficoltà a trovare Giudici Popolari e a causa del quale fu ucciso il Presidente dell’Ordine degli Avvocati.
 

Presidente, dall’analisi degli atti processuali che ho fatto io alla Corte non risulta neanche quando Bruno Caccia divenne ciò che era secondo il capo d’imputazione, cioè Procuratore della Repubblica di Torino. Nel febbraio del 1980 diventa Procuratore della Repubblica di Torino. Ora, Presidente, in realtà già qualche Parte Civile e anche il Pubblico Ministero qualche dato metaprocessuale l’ha citato e me lo si perdonerà un comportamento molto molto limitato, eccezionale, di questo tipo. Ci si dovrebbe interrogare sui motivi per i quali quale Magistrato in quell’epoca che non era, ve l’ha detto anche il Pubblico Ministero, il paradiso per l’Italia, non era l’epoca in cui lo Stato nelle sue istituzioni apicali presentava la faccia migliore, non ci si è potuti interrogare qui su come mai un uomo come Bruno Caccia, un Magistrato come Bruno Caccia divenga in quel momento, nominato dal Consiglio Superiore della Magistratura, Procuratore della Repubblica di Torino. Presidente, se noi togliamo un Procuratore mi viene da dire Distrettuale, diciamo, con gli occhi della storia è un errore. Assimilabile alla figura di Bruno Caccia in quel tempo in Italia mi viene in mente solo Gaetano Costa, di lì a sei ucciso a Palermo. Per il resto omettiamo l’analisi. Io però un dato metaprocessuale ve lo voglio dire e per citarvi questo vi devo dire di un’esperienza fortunata che ho avuto in questa vicenda, che non è stata naturalmente solo, seppure già questo era una cosa enorme per me ed è la cosa che mi fa sentire inadeguato oggi a parlarvi, non è stato solo avere in qualche modo avuto un rapporto con Bruno Caccia per il tramite dei suoi figli, non è l’enorme regalo che ho avuto nel conoscere i figli di Bruno Caccia e di poter servire il loro mandato difensivo in questa sede, che già sono cose davvero incommensurabili, ma ho avuto un’altra fortuna che era molto meno prevedibile. Presidente, in questo processo a carico di Rocco Schirripa purtroppo la Corte non ne ha potuto avere contezza in questo dibattimento. La Corte del primo dibattimento a carico di Rocco Schirripa, conclusosi con la sentenza emessa il 30 novembre dell’anno 2016, quella contezza la Corte l’aveva avuta. Qual è stata l’ulteriore enorme fortuna di chi vi parla? Di aver potuto conoscere e addirittura avere avuto l’onore di avere come proprio Consulente Tecnico in questa vicenda giudiziaria uno dei Magistrati che dopo Bruno Caccia ha illuminato la storia giudiziaria torinese, che si chiama Mario Vaudano, che io conobbi quando ancora le indagini non erano di fatto state avviate dalla Procura di Milano e dal quale ho avuto, oltre ad insegnamenti morali di enorme valore, tanto aiuto in ciò che poteva essere fatto in questa vicenda.
 

Presidente, una puntualizzazione: ucciso Bruno Caccia rimangono a piangere la sua morte la signora Carla Ferrari, i tre figli e gli altri congiunti. E la famiglia Caccia fin da subito, e lo dico espressamente, ha potuto contare sulla vicinanza umana e l’affetto di gran parte della Magistratura torinese per lunghi, lunghi e lunghi anni, non solo nell’immediatezza. Gran parte della Magistratura torinese, la più parte della Magistratura torinese. Voi però ancora e i familiari di Bruno Caccia di ciò sono sempre rimasti grati. Aggiungo una cosa, Presidente, che processualmente risulta, in particolar modo la moglie di Bruno Caccia, la vedova Caccia, per anni ebbe un rovello, per anni che si sono conclusi solo con la sua morte, ebbe un rovello nel cercare di sapere tutto sui motivi e sui responsabili dell’uccisione di suo marito. Tutto! E io personalmente ho visto appunti di quella donna che testimoniano quella viscerale necessità, vissuta probabilmente anche come debito nei confronti del proprio marito, di cercare di raggiungere tutta la verità, tutta. E c’è prova documentale di quello che vi dico. Non ha avuto la fortuna di raggiungere tutto ciò che voleva sapere prima di morire. Questa inclinazione, come ovvio, è stata anche dei figli di Bruno Caccia. Sia la moglie, sia i figli di Bruno Caccia, vi risulta, furono Parti Civili nel processo a carico di Domenico Belfiore. Muore la signora Ferrari Caccia e a gennaio del 2013 accade una evenienza che è la scaturigine, non sembri banale, di questo processo. Voi oggi non sareste qui se a gennaio del 2013 i tre figli di Bruno Caccia – Guido, Paola e Cristina Caccia – non avessero compiuto un atto che non ha nulla di giuridico, ma solo di… non vorrei che lo si interpretasse come una deminutio, ma in realtà è chiaro il senso, un atto politico rivolgendo un appello alla propria città, alla città di Torino nel 2013, cioè a gennaio del 2013, nell’anno nel quale sarebbe ricaduto il trentesimo anniversario dell’uccisione di Bruno Caccia. Rivolgono un appello pubblico alla città dicendo “Aiutateci, è troppo lacunoso ciò che è stato accertato, vogliamo sapere tutto”. E’ in epoca successiva che io ricevo un mandato da parte dei figli di Bruno Caccia ed è in momento ancora successivo che il Dottor Mauro Vaudano offre la sua disponibilità – Presidente, straordinaria proprio nel senso di extra ordinem, eccezionale, in questo caso, sì, unica – di fare da Consulente Tecnico. Era Magistrato in quiescenza, cioè in pensione, Magistrato torinese, con una vita che peraltro l’aveva portato più in Francia che in Italia, ma egli, sì, come Bruno Caccia, uomo tutto d’un pezzo, decide di fornire il supporto che può perché quel desiderio di verità che fa proprio, – e Presidente, questo già ci dice una cosa – che non era la visione balzana di un Avvocato che di Torino non conosceva nulla, quella delle gravi lacune nell’accertamento della verità, ma era la visione anche di un Magistrato che aveva operato a Torino. Presidente, mi faccia ricordare un dato che risulta processualmente: quando viene ucciso Bruno Caccia nella sua scrivania viene trovata una nota a firma del Dottor Mauro Vaudano in relazione a circostanze che riguardavano l’inchiesta sui petroli, ma che riguardavano anche patologie del mondo giudiziario. Questo per dire come l’apporto che poteva fornire Mauro Vaudano non era solo l’apporto di un Magistrato esperto, ma di un Magistrato che lì aveva operato nel modo in cui aveva operato e che da Giudice Istruttore dell’inchiesta sui petroli, quell’inchiesta che portò all’incriminazione e alla condanna definitiva del Comandante Generale della Guardia di Finanza, che avrebbe portato all’incriminazione pure di Giulio Andreotti se la Commissione inquirente dell’epoca, nota per questa sua consuetudine, non avesse denegato l’autorizzazione a procedere, avrebbe portato anche ad altro.

Perché vi ho citato l’apporto del Dottor Vaudano? Perché, Presidente, è stato lui che mi ha illuminato sui motivi per cui a febbraio del 1980 Bruno Caccia si siede sulla sedia di Procuratore della Repubblica di Torino. Perché vi è stato già ricordato, nell’83 l’emergenza terroristica era sul finire. 1979, l’anno del concorso per la nomina del Procuratore capo di Torino, siamo nel pieno dell’emergenza. Presidente, seppure ruoli apicali di uffici giudiziari sono sempre ambiti, oggi forse ancora più di prima, in quella città nella quale c’era stata perfino difficoltà a sostituire una Corte d’Assise per un processo che si era fatto solo perché l’istruttoria l’aveva svolta Bruno Caccia, che aveva portato all’uccisione del Presidente dell’Ordine degli Avvocati, che in contemporanea aveva visto degli altri gravissimi delitti, è stato citato l’omicidio del vice direttore della Stampa, Casalegno, Presidente, nessuno si voleva sedere in quel ruolo e per assenza di competitori reali capitano certi tornanti della storia in cui arriva eccezionalmente l’uomo giusto, è giusto in questi casi in tutti i sensi, il giusto, che diventa Procuratore della Repubblica di Torino.
 

PRESIDENTE – Una pausa di cinque minuti.
 

AVV. REPICI – Sì, facciamola subito.
 

SOSPENSIONE
 

PRESIDENTE – Prego, Avvocato.
 

AVV. REPICI – Grazie, Presidente. Presidente e Giudici, naturalmente per fortuna non è che Bruno Caccia era a quel tempo l’unico magistrato integerrimo e di spessore di cui il Paese poteva godere, ce n’erano anche altri, non tutti sono arrivati a morte naturale, purtroppo, e Presidente lei sa che un mese e tre giorni dopo l’omicidio del Procuratore Caccia a 1.500 chilometri di distanza a Palermo un’altra autobomba provocava l’uccisione insieme ad altre tre presente del capo dell’ufficio istruzione del Tribunale di Palermo: Rocco Chinnici, 29 luglio 1983, cioè la stessa estate. Presidente, mi piace ricordare l’analogia, il paradosso è che il dottor Chinnici non fu il primo magistrato d’Italia vittima d’autobomba, perché il primo era stato nella lontanissima Aosta, sette mesi prima. Ma, dicevo, c’erano anche altri grandi magistrati e qualcuno anche in questa sede.

Presidente, io so come il Procuratore Caccia sia stato uno dei primi dirigenti d’uffici requirenti che si attrezzò per un’applicazione la più estesa possibile della Legge Rognoni – La Torre. Lo dico per i giudici popolari: il delitto di mafia, l’articolo 416 bis, era appena entrato in vigore, possiamo dire, all’epoca dell’omicidio Caccia, entrò in vigore nel settembre del 1982, perché la legge fu approvata in stretta consequenzialità con l’uccisione del Generale Prefetto Dalla Chiesa il 3 settembre 1982 a Palermo. E quella Legge, come è noto ai giudici togati, come forse non è del tutto noto ai giudici popolari, oltre che colpire i partecipi nei vari ruoli delle organizzazioni mafiose, era il disegno ideato dall’Onorevole Pio La Torre che anche per quella legge probabilmente morì, per la prima volta in modo strutturato pensò di colpire i patrimoni mafiosa ed il Procuratore Caccia fu uno dei primi dirigenti degli uffici di Procura ad applicarsi a questo tema.
 

Presidente, ancora prima che la Legge Rognoni – La Torre venisse approvata dal nostro Parlamento naturalmente era già in discussione e l’emergenza periodicamente, anche oggi, ma al tempo ogni anno c’era l’emergenza mafia, c’era stata nel 1979 perché, oltre che Ambrosoli, era stato ucciso Boris Giuliano ed era stato ucciso Cesare Terranova, l’emergenza mafia, poi nell’80 vengono uccisi il Presidente della Regione Sicilia, il Procuratore della Repubblica di Palermo, il Capitano dei Carabinieri, altra emergenza mafia, si arriva all’82 e viene ucciso il 30 aprile del 1982 un parlamentare che era il capo del Partito Comunista in Sicilia, Pio La Torre e di nuovo emergenza mafia che poi viene conclamata con l’ucciso di Carlo Alberto Dalla Chiesa, della moglie e di un Carabiniere, Domenico Russo.

L’emergenza mafia era oggetto anche delle attenzioni da studiosi degli operatori processuali e i due che meglio di tutti in quel momento analizzarono il tema furono due giudici istruttori: uno era palermitano e uno, per fortuna non devo usare il verbo al passato, è milanese.
In un seminario di studi che si tenne a Castel Gandolfo tra il 4 e 6 giugno del 1982 i magistrati Giovanni Falcone e Giuliano Turone, era il milanese a cui mi riferivo naturalmente, tennero una relazione, il titolo è: “Tecniche d’indagine in materia di mafia”. Presidente, non la cito per vezzo, ma non solo perché è un dato che ha un ruolo nella storia del nostro Paese, anche per certe interpretazioni un po’ fuorvianti che di quel testo furono date, ma perché al terzo capitolo di quella relazione si legge, il titolo è: “L’importanza fondamentale dell’indagine patrimoniale. I tre livelli dei reati di mafia”. Falcone e Turone analizzano il funzionamento delle organizzazioni mafiose, spiegano che solo delle bestie, degli analfabeti possono pensare alla analisi del fenomeno secondo il tipo d’autore, infatti il secondo capitolo era proprio quello, spiegano il funzionamento delle organizzazioni e nel superamento della tentazione del modello improntato al tipo d’autore, suo superamento e centralità dell’indagine sui singoli reati, fine, quindi abbandoniamo le teorie vagamente naziste del tipo d’autore, i tre livelli dei reati di mafia e spiegano in dettaglio come possono essere classificati i delitti compiuti dalle organizzazioni mafiose e fanno una classificazione in tre categorie. Chiameremo reati del primo livello quei reati rientranti appunto per loro natura in attività criminali mafiose direttamente produttive di movimenti di denaro. Si tratta di quei reati che hanno un immediato risvolto finanziario e che sono quindi più facilmente e direttamente aggredibili attraverso l’indagine patrimoniale. A tali reati fanno da corollario una serie di reati minori e complementari quali favoreggiamenti, ricettazioni, falsità in atti e via discorrendo. Fanno parte di questo primo livello di reati le varie attività illecite e tradizionali delle organizzazioni mafiose: estorsioni organizzate accompagnate dai relativi atti di violenza e di intimidazione, contrabbando di tabacchi, pietre preziose e simili, sofisticazione di vini. Non sembri un fuor d’opera, Presidente, Liggio – Pullarà a Milano ed il dottor Turone era stato il giudice istruttore del primo processo milanese a carico di Luciano Liggio, sequestro Torielli – Montelera, poi finito lasciamo perdere come. Il grande traffico di stupefacenti e il sequestro di persona a scopo di estorsione meritano una particolare attenzione e questa è la prima tipologia dei delitti di mafia.

Esaurito quest’excursus sui principali reati che abbiamo definito del primo livello, si può operare un’ulteriore distinzione tra delitti che si ricollegano comunque alla logica mafiosa del profitto e alle relative lotte fra cosche per il controllo dei campi di attività, li chiameremo reati del secondo livello e qual è l’esempio? Si pensi ai tanti omicidi per regolamenti di conti fra cosche mafiose, le guerre di mafia. Vi è stata citata prima la prima guerra di mafia… la seconda guerra di mafia dei Corleonesi in Sicilia e la guerra di mafia, la prima, in Calabria. Questi sono i delitti del secondo livello.

Poi ci sono i delitti del terzo livello, leggo le parole di Giovanni Falcone e di Giuliano Turone: “Delitti che mirano a salvaguardare il perpetuarsi del sistema mafioso in genere, li chiameremo reati del terzo livello, si pensi ad esempio all’omicidio di un uomo politico o di altro rappresentante delle pubbliche istituzioni, considerati pericolosi per l’assetto di potere mafioso”. È o non è la descrizione tra gli altri dell’omicidio di Bruno Caccia? Presidente, la teoria, quando non è fumisteria da iperuranio, serve poi perché nella pratica si operi in modo consequenziale. L’omicidio di Bruno Caccia è un delitto mafioso del terzo livello.

Presidente, dicevo prima delle interpretazioni malandate proprio di questa relazione, per la quale fu perseguitato Giovanni Falcone perché qualche trogloditico esegeta ritenne che quel “delitti del terzo livello” intendesse dire il terzo livello della mafia, l’entità superiore, la Spectre che comandava le sorti delle organizzazioni mafiosi dal di sopra e ciò che è accaduto dopo e che di recente è stato oggetto di celebrazione proprio nei giorni passati, sappiamo Presidente cosa è stato.

L’omicidio Caccia è un delitto del terzo livello, quindi è l’omicidio  di  un  rappresentante  istituzionale che ha come finalità quella del perpetuarsi del sistema mafioso che lo decide e che lo porta a termine. Vedremo poi in che termini valutare la locuzione sistema mafioso. Certo è, e qui richiamo Presidente le parole del dottor Mario Vaudano in un bellissimo documentario che si pensi, dicevo io della damnatio memoriae, non c’erano stati film, non c’erano stati libri, né niente, solo per il trentesimo anniversario dell’omicidio fu realizzato un documentario patrocinato dall’Associazione Libera ed in quel documentario ci sono le parole del dottor Mario Vaudano che, con la chiarezza dell’uomo intelligente che parla con cognizione di causa, con quattro parole illustrò il delitto Caccia e disse: “È un omicidio che non venne fatto per il passato, non è una banale vendetta, ma è un omicidio che è stato fatto per il futuro”. Mario Vaudano da giudice istruttore aveva collaborato sia col giudice istruttore di Palermo Giovanni Falcone e sia col giudice istruttore di Milano Giuliano Turone, la assonanza delle sue parole, con ciò che vi ho letto di quella relazione, mi pare evidente e quindi per, l’interesse di un sistema che vuole perpetuarsi e caso mai ampliarsi, questo il senso delle parole di Mario Vaudano, Bruno Caccia andava eliminato.

Vediamo se questa analisi teorica poi trova una qualche rispondenza, perché naturalmente Presidente non mi manca di sapere che le ricostruzione teoriche in un processo valgono e ha senso riferirle se poi hanno un aggancio a dati processuali.

Vi dicevo che non saremmo stati qua se non ci fosse stata quella lettera aperta dei figli di Bruno Caccia del gennaio 2013. Il 10 luglio del 2013 presentai con i figli del procuratore Caccia una denuncia all’Autorità Giudiziaria competente, Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano per delle emergenze nuove che erano sopravvenute alla sentenza passata in giudicato a carico di Domenico Belfiore e che, del tutto sorprendentemente per me che non avevo conosciuto quel processo, ho spiegato che gli atti di quel processo li conobbi a partire dall’estate del 2012, si congiungevano, Presidente, con dati probatori del processo Belfiore. C’era stata un’intercettazione, procedimento di altra Autorità Giudiziaria di Reggio Calabria nella quale un magistrato, che oggi è Giudice del Tribunale di Milano, sostenne che a casa di un pregiudicato operante a Milano negli anni Ottanta era stato trovato il testo della rivendicazione falsa delle Brigate Rosse del Delitto Caccia. Presentammo denuncia e, Presidente, la denuncia fu, il termine tecnico dovrebbe essere “cestinata” nel senso che non fu iscritta una notizia di reato, modello 45, l’omicidio del Procuratore Caccia atti non costituenti reato e cestinata, a novembre del 2013.
 

A luglio del 2014 il sottoscritto e i figli di Bruno Caccia presentano un’ulteriore denuncia per l’omicidio in danno del dottor Bruno Caccia nei confronti di due persone generalizzate già nella denuncia. I nomi li avete conosciuti en passant in questo processo e uno dei due l’avete anche visto: i denunciati furono Demetrio Latella e uno dei dichiaranti comparsi in aula per avvalersi della facoltà di non rispondere, e ci torneremo sul punto, su questa strana fenomenologia, Presidente, che solo in questo processo ho visto, di soggetti che in fase d’indagine al Pubblico Ministero si presentano e rispondono e poi al dibattimento davanti ai Giudici invece si avvalgono, è un canone abbastanza straordinario, solo in un altro processo l’ho visto ed evito la citazione. L’altro soggetto era, denunciato, Rosario Pio Cattafi, il soggetto a casa del quale, secondo il magistrato intercettato, era stato rinvenuto un documento fondamentale in quella ipotesi. Poi vedremo, Presidente, le rivendicazioni, le rivendicazioni furono telefoniche, quindi non ci poteva essere la copia di un volantino che qualunque cittadino in qualche modo poteva aver avuto, avere il testo di una rivendicazione telefonica, Presidente, è un dato che accosta un soggetto ad un delitto, quando si sa che quella rivendicazione telefonica è falsa e depistante.

Denuncia del 24 luglio 2014 e qui regredimmo, Presidente, perché non ci fu neanche iscrizione al modello 45, per mesi, fino a quando col dottor Vaudano chiedemmo di essere ricevuti dal Procuratore della Repubblica pro tempore e non venimmo ricevuti, però ex post verificammo che fu fatta l’iscrizione a modello 45 di quella denuncia, che però era stata depositata molti mesi prima. Atti non costituenti notizia di reato, l’omicidio del Procuratore della Repubblica. Fosse stata una denuncia calunniosa mi verrebbe da dire che era fatta salva la responsabilità del denunciante, perché c’era l’assenza del rilievo penale nella denuncia.
 

La situazione rimane così fino al 17 giugno dell’anno 2015, momento nel quale il sottoscritto Difensore ed il dottor Mario Vaudano depositarono una memoria integrativa della denuncia con l’allegazione di ulteriori elementi, che però questa volta non depositammo solo alla Procura della Repubblica, per fortuna, perché altrimenti non sareste qui, questa volta la depositammo anche all’ufficio che deve sorvegliare il corretto operato della Procura della Repubblica e cioè la Procura Generale e venimmo ricevuti dal Procuratore Generale pro tempore, era l’Avvocato Generale in realtà, perché purtroppo sappiamo quali fossero le condizioni in quel momento, Presidente, del compianto dottor Minale e venimmo ricevuti dalla dottoressa Laura Bertolè Viale, Avvocato Generale presso questa Corte d’Appello e segnalammo che non sapevamo come, c’erano dei cittadini che erano dei cittadini e già solo per questo meritavano rispetto nelle proposizioni che facevano all’Autorità Giudiziaria, erano i figli di Bruno Caccia, magistrato ucciso a causa delle sue funzioni che denunciavano persone per l’uccisione del dottor Caccia, riferivano fatti relativi all’uccisione del dottor Caccia e l’ufficio requirente rimaneva inerte.

Presidente, il dato ha un rilievo in relazione a ciò che dirò poi commentando la deposizione dell’Ispettore Cristiano, non sto parlando di cose che col processo non c’entrano, si vedrà come queste cose c’entrano appieno e la prova ve la darà anche una citazione che farò letterale di un’affermazione del Pubblico Ministero durante la sua requisitoria. Venimmo ricevuti, venimmo reiteratamente interpellati giorno dopo giorno con la richiesta di produrre documentazione, perché, Presidente, non so se l’affermazione è sgrammaticata, ma venimmo presi per pazzi perché ci si chiese a brutto muso “ma che dite che avete denunciato l’omicidio del Procuratore Caccia e non è stato avviato un procedimento a notizia di reato? C’è dubbio che il procuratore Caccia sia stato ucciso? C’è il morto, c’è l’omicidio? Come si fa a dire: ‘Atti non costituenti notizia di reato’”?

Presidente, voi sapete che il procedimento presupposto a questo vide le iscrizioni sul modello 21 dei nomi di Demetrio Latello e Rosario Pio Cattafi il 2 luglio del 2015 e ciò, Presidente, con un’iscrizione motivata che non è proprio il canone classico, lo sapete meglio di me, c’era da giustificare, siamo al 2 luglio, la prima denuncia era del 10 luglio 2013, quasi due anni, e fu motivata con gli ulteriori elementi che avevamo rassegnato con la memoria del 17 giugno 2015. Nella motivazione manca un pezzo di mondo che accadde perché, in realtà, quella iscrizione Presidente fu fatta solo dopo l’intimazione che il Procuratore Generale facente funzioni rivolse al Procuratore della Repubblica. Qui è successa una cosa stravagante perché, Presidente, io che sono un sostanzialista che conosce bene il rilievo anche dei dati formali, penso che gli atti in generale hanno una loro classificazione, si va per categorie ed il sottoscritto ha richiesto ex post, il processo a carico dell’imputato Schirripa era già in corso, ha chiesto copia di quegli atti alla Procura Generale odierna e ha ricevuto una risposta per cui le interlocuzioni fra la Procura Generale ed il Procuratore della Repubblica che riguardavano la denuncia dei figli del Procuratore Caccia per l’omicidio Caccia, non riguardavano affari amministrativi, si trattava di atti interni degli uffici ed io ho cercato di trovare nel Codice di Procedura Penale e perfino nelle altre leggi ordinarie una qualche vaga possibilità di corretta classificazione di questi atti interni, ne ho dovuto dedurre che erano atti coperti da segreto, secondo le ordinarie categorie che conosciamo sia processual penalistiche, sia amministrativiste e, io che già per natura diffido dei segreti, capii, ma ho contezza che ci fu quell’intimazione e che senza quell’intimazione non ci sarebbe stata l’iscrizione a modello 21, seppure nella motivazione dell’iscrizione il dato fu omesso, mettiamola in questi termini, non m’interessa sulla genuinità della motivazione, il fatto è questo. E Presidente, mi si conceda almeno questo, se faccio delle affermazioni è perché ho ragione di poterle fare, perché sono esattamente ciò che è accaduto e so che non sono smentibili, anzi sono documentalmente confermabili.
 

E quindi il 2 luglio del 2015 viene avviato il procedimento che oggi vi ha portato qui.
 

Ho già detto che cosa avevamo rappresentato all’ufficio del Pubblico Ministero. Presidente, voi avete i 23 atti, i 23 faldoni, chiamiamoli così, informatici del processo Belfiore, non avete solo le sentenze che hanno definito il processo a carico di Domenico Belfiore, avete anche tutti gli atti di quella istruttoria sia l’istruttoria sommaria, sia l’istruttoria formale, sia l’istruttoria dibattimentale e sapete che nel primo faldone ci sono numerosi elementi che parlano dell’omicidio Caccia in relazione ad un’indagine della Procura di Torino del tempo che aveva a oggetto il riciclaggio di denaro sporco proveniente dai sequestri di persona al Casinò di Saint Vincent. Poi, Presidente, vedremo se come si era cercato di far apparire questo era un mondo con il quale il gruppo Belfiore o perfino l’odierno imputato non ci potevano entrare nulla, lo vedremo. Risulta agli atti.
 

Presidente, io ho fatto delle richieste istruttorie che sono state ritenute irrilevanti rispetto all’imputazione e cioè, l’ho già accennato prima, ma nei giorni precedenti il 26 giugno del 1983, nelle settimane precedenti il 26 giugno del 1983, nei mesi precedenti il 26 giugno del 1983, quali attività di Procuratore della Repubblica di Torino compì il dottor Bruno Caccia, quali? In questo caso mi rivolgo ai giudici popolari che le questioni tecnico giuridiche naturalmente non le conoscono appieno, ma i fatti, i dati dell’istruttoria, le testimonianze le hanno vissute. Vi chiedo: c’è qualcuno che sa in questo processo quali fossero le preoccupazioni maggiori del Procuratore della Repubblica di Torino nelle ore, nei giorni, nelle settimane precedenti alla sua uccisione? Qual è la risposta? No, non lo sa nessuno, neanche io processualmente conosco dei dati extraprocessuali che, secondo me, ragionevolmente non sono diventati processuali, ma neanche io, in base ai dati processuali, vi posso dire “Guardate che Bruno Caccia quando è stato ucciso era particolarmente preoccupato di questo, di questa inchiesta, di questo fascicolo, di questi pericoli, di questo criminale, di questo gruppo criminale, di questo coacervo di interessi criminali”.
 

Presidente, si ricorda quando dicevo la damnatio memoriae? A questo alludevo. In questo processo è stato fatto scomparire Bruno Caccia. Presidente, non si dica che è una cosa che può spiacere moralmente, ma le regole dei processi sono queste, perché non è così, non è così e ce lo dicono le massime di esperienza giudiziaria. Presidente, come io le dicevo, spesso mi è capitato e mi capita di difendere familiari di vittime, l’ultimo processo che ho discusso in Corte d’Assise è stata la strage di via D’Amelio nella quale ho patrocinato il ruolo del fratello di Paolo Borsellino, Parte Civile in quel processo. Presidente, anche lì, non è che è solo a queste latitudini, anche a quelle latitudini certe volte i processi sono complicati nella loro trattazione, poi capita però, Presidente, e questo davvero glielo dico con il massimo della fiducia, poi capita che anche i processi più complicati, quando incontrano dei giudici sereni e liberi, trovano la soluzione giusta, come è accaduto a me di recente.
 

E allora, vi dicevo, guardate che non è come direbbe il canone di questo processo, perché Presidente io prima ho citato un altro magistrato ucciso dalla criminalità organizzata, più o meno in contemporanea con Bruno Caccia, Rocco Chinnici, vi ho detto chi era, benissimo, ora vi dico, dopo avere studiato gli atti anche di quel processo, sapete chi sono stati due dei primissimi testimoni ad essere sentiti dall’autorità Giudiziaria di Caltanisetta sulla strage di via Pipitone Federico, nella quale morì Rocco Chinnici? Si chiamavano purtroppo, si chiamavano, devo usare il verbo all’imperfetto, Giovanni Falcone e Giovanni Borsellino e sapete perché? Perché Rocco Chinnici era il capo dell’ufficio istruzione di Palermo e Giovanni Falcone e Paolo Borsellino erano giudici dell’ufficio istruzione di Palermo, cioè erano i magistrati dell’ufficio diretto da Rocco Chinnici e furono i primi ad essere sentiti come testimoni, perché Presidente, come si faceva a sapere che di lì a poco rispetto alla data del delitto il consigliere istruttore Rocco Chinnici avrebbe arrestato, con mandato di cattura, i famigerati cugini Salvo, se il provvedimento non c’era perché non era ancora stato emesso? Come lo si sarebbe potuto accertare processualmente se non fossero stati sentiti Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e i due capi degli organi investigativi che stavano disponendo, stavano svolgendo su delega del dottor Chinnici le indagini e cioè l’altrettanto compianto dottor Cassarà e l’allora Capitano Maggiore Angelo Pellegrini? Ma solo così poi, anche nel dibattimento si poté accertare cosa stava facendo Rocco Chinnici prima di essere ucciso e, Presidente, lo sa meglio di me, nelle sentenze passate in giudicato a carico degli esecutori materiali e dei mandanti interni a Cosa Nostra di quel delitto, lo si scrive a chiare lettere dell’interesse dei cugini Salvo ad uccidere quel magistrato.
 

Guardate, le analogie servono per comprendere, solo per questo, non è che hanno un rilievo probatorio. Vi chiedo, mi rivolgo ai giudici popolari, noi sappiamo, c’è qualcuno che può dire se al momento in cui è stato ucciso Bruno Caccia, Bruno Caccia aveva in animo di emettere un qualche provvedimento particolarmente rilevante? Il provvedimento, essendo stato ucciso quel magistrato, non c’è stato e come avremmo potuto sapere se un qualche provvedimento stava per arrivare? Solo in un modo, Presidente, e ad questo ci serviva non per sagacia tecnico giuridica, ma per banale buonsenso. Chi lo avrebbe dovuto dire se non i magistrati dell’ufficio del dottor Bruno Caccia? Perché non è che Giovanni Falcone e Paolo Borsellino furono sentiti ioci causa perché non avevano niente da fare e allora andarono a testimoniare, no, né, Presidente, ma questo lo davamo per scontato, Giovanni Falcone o Paolo Borsellino si sentirono mai vulnerati dal fatto di dovere testimoniare, lo ritennero il loro obbligo non solo giuridico, ma persino morale nei confronti di Rocco Chinnici. Presidente, non è che questo è accaduto solo per la strage Chinnici, è accaduto in tutti i processi nei quali sono state vittime magistrati. In tutti i processi, Presidente, e non solo per i delitti di mafia, io non conosco gli atti dei processi per gli omicidi Alessandrini e Galli, ma Presidente do per scontato che i colleghi di Alessandrini e Galli furono sentiti come testimoni. Aggiungo, mi viene da dire, pur cose…
 

PRESIDENTE – Nel momento in cui…
 

AVV. REPICI – Sì, è proprio l’ultima cosa che stavo dicendo.
 

PRESIDENTE – Sì sì, in cui ha un tema…
 

AVV. REPICI – È proprio questo. Vi ho detto che io sono stato, sono Difensore di Parte Civile nel processo sulla strage di Via D’Amelio, quando fu compiuta la strage io ero uno studente di giurisprudenza, non Palermitano, di Messina. Presidente, c’è un documento video che più o meno tutti conosciamo ed è l’ultimo discorso pubblico di Paolo Borsellino, la sera del 25 giugno 1992 alla biblioteca comunale di Palermo a Casa Professa, per voi è un documento video, io ero là, andato appositamente ad ascoltare e, Presidente, sapete come me che cosa disse quella sera, tra le tante cose gravissime che disse, cosa disse Paolo Borsellino? Disse: “Ci sono cose che io qui non voglio e non posso dire, le riferirò ai magistrati, ai colleghi della Procura di Caltanisetta quando sarò chiamato come testimone, come persona informata sui fatti”. Era un pazzo Paolo Borsellino? Secondo il canone per cui i magistrati, amici, colleghi non devono deporre, si dovrebbe dire che era un pazzo.
 

Presidente, una delle cose più gravi accadute in quei 57 giorni che separano Capaci da Via D’Amelio, una delle cose più gravi, delle omissioni più gravi è che Paolo Borsellino non fu mai sentito come testimone dalla Procura di Caltanisetta, morì con quel desiderio il 19 luglio del 1992.
 

Questo, e qui Presidente, se la Corte me lo consente, mi interromperei per proseguire il 6, questo per dire il nocumento al pieno accertamento della verità ha la necessità che tutti avvertiamo di eliminare ogni lacuna nella verità dalla mancata audizione di alcuni testimoni, cioè dei magistrati che più di altri, nei giorni, nelle settimane e nei mesi precedenti all’omicidio di Bruno Caccia, si erano relazionati con Bruno Caccia e da lui avevano potuto raccogliere confidenze, timori, preoccupazioni, convinzioni, notizie su ciò che doveva essere fatto e che l’omicidio di Bruno Caccia impedì che venisse fatto.

PRESIDENTE – Grazie, Avvocato. Ci vediamo alle 9:30, con la puntualità di oggi, il 6 giugno, senza limitare. Se abbiamo un congruo tempo da dedicare anche all’inizio della Difesa dell’imputato, lo utilizzeremo. Soltanto per preavvertire che potrebbe esserci quest’ipotesi. Grazie.

 

 

UDIENZA DEL 06 GIUGNO 2017

 

PRESIDENTE – Prego, Avvocato Repici.
 

AVV. REPICI – Presidente, volevo intanto segnalare la presenza come persone fisiche delle Parti Civili Paola Caccia, Martina Fracastoro e Lorenzo Fracastoro. Signor Presidente, Signora Giudice a Latere e Signori Giudici Popolari, nella premessa del mio intervento la settimana scorsa ho cercato di spiegarvi che tipo di delitto sia stato l’omicidio Caccia e cioè un delitto del terzo livello. Ho cercato di spiegarvi, nei limiti di ciò che consentono le risultanze del fascicolo, il ruolo del Dottor Bruno Caccia allorché venne ucciso e ho cercato di spiegarvi com’è che si è arrivati a questo processo e per quale motivo Voi siete stati chiamati a giudicare l’odierno imputato Rocco Schirripa e cioè per iniziativa dei figli del Procuratore Bruno Caccia.
 

Voglio aggiungere, perché doverose, alcune considerazioni, le ultime, sulla figura della vittima e purtroppo anche qui, nei limiti di ciò che è possibile, purtroppo ci sono dei riferimenti che dovrò fare di tipo metaprocessuale, perché sembra un paradosso che a doverlo dire sia il Difensore dei congiunti del Dottor Caccia, ma fin dal processo Belfiore e oggi nel processo a carico di Rocco Schirripa su Bruno Caccia si è andato per affermazioni elogiative, un po’ aridamente elogiative, ma dal carattere apodittico. Ucciso perché integerrimo, ucciso perché inavvicinabile, ucciso perché onesto, che è, mi viene da dire, un’ovvietà. Però, c’è un però grande quanto una casa in un processo per omicidio, la vittima era un uomo in carne e ossa, non era un Magistrato chiuso neanche in una torre d’avorio e, Presidente, in questo richiamo quel principio di damnatio memoriae che ho richiamato l’altra volta. Al paese non è stato consentito di comprendere la cifra umana della vittima di questo processo e sicuramente non è stato consentito che emergesse nel presente processo, così come nel processo Belfiore, la cifra umana del Dottor Bruno Caccia. E’ passato un messaggio sotterraneamente anche in questo processo, Presidente, che è stato esplicitato all’esterno con un’affermazione che davvero a me sembra un pensiero malato, perché ho sentito in questi anni, per tutti questi anni un’affermazione che suona così: “il Dottor Bruno Caccia era un uomo così giusto da sembrare inumano”. Se osserviamo con attenzione un’affermazione del genere, signor Presidente, vorrebbe dire che la giustezza equivale ad inumanità. Non era così, e per fortuna i cittadini italiani fuori da questo processo un po’ di recente l’hanno anche potuto comprendere.
 

Era giusto perché umano il Dottor Bruno Caccia, era un uomo che era capace di vivere la vita non solo al riparo della propria toga, ma anche senza di quella. Per questo quelle parole, Presidente, sono pericolose, perché tolgono la carica umana ad un soggetto e forse sono coerenti con quel fenomeno di sottrazione della vittima anche alla vicenda processuale.

Io ho avuto la fortuna di patrocinare i figli e due dei nipoti del Dottor Bruno Caccia e so bene quindi quanto sia stata preziosa la carica di umanità del Dottor Bruno Caccia. Ci tenevo a rappresentarlo, perché quel pensiero malato che è stato messo in circolo non merita di rimanere senza un ostacolo che lo argini.
 

Dicevo anche alla precedente udienza che solo di rimando il fascicolo della Corte consente di capire che cosa stesse facendo Bruno Caccia prima del suo assassinio. Solo di rimando per citazioni fuggevoli, soprattutto dal processo Belfiore, si hanno alcune notizie di cosa fosse neanche l’attività formalmente riconducibile a Bruno Caccia, ma l’attività dell’ufficio della Procura della Repubblica di Torino guidata da Bruno Caccia e noi sappiamo che erano sicuramente in quel momento in corso di trattazione da parte di quell’ufficio del Pubblico Ministero procedimenti relativi a reati di criminalità organizzata, sappiamo per certo che erano pendenti in quel momento degli altri rilevantissimi procedimenti e di sicuro si stava occupando di alcuni affari giudiziari particolarmente importanti. Uno era il processo nei confronti di amministratori comunali, processo che arrivò a lambire esponenti di livello nazionale della politica. E’ sicuro che si stava occupando di quella mega-istruttoria che passò alle cronache come inchiesta sui petroli con l’incriminazione del comandante generale della Guardia di Finanza, il piduista Raffaele Giudice. E’ sicuro, forse questo è il dato che documentalmente risulta di più, che si stava occupando di una inchiesta relativa all’ipotesi di riciclaggio di denari mafiosi al casinò di Saint Vincent. Questo risulta documentalmente, Presidente, non dai documenti di quel procedimento che inutilmente il sottoscritto ha versato nel fascicolo del Pubblico Ministero e ha tentato di farne derivare acquisizione dibattimentale, ma è certo che il 18 maggio del 1983, quindi un mese e otto giorni prima dell’assassinio del Procuratore Bruno Caccia, la Procura di Torino guidata da Bruno Caccia aveva messo sottosopra il casinò di Saint Vincent perquisendo e poi sequestrando tutti i conti correnti di tutti gli amministratori, di tutti gli operatori di quel casinò, del casinò stesso e delle società che gestivano quel casinò.
 

Presidente, dagli atti che sono contenuti nel primo faldone del processo Belfiore di questo c’è traccia evidente. Aggiungo, fu la prima traccia ufficialmente conosciuta dalla Polizia Giudiziaria e dall’Autorità Giudiziaria relativa all’omicidio Caccia, perché sapete che furono acquisite informazioni, poi formalizzate a verbale innanzi al Pubblico Ministero, che indicavano non solo la causale del delitto, la possibile causale del delitto, peraltro collegandola ad un fatto storicamente accaduto appena prima dell’omicidio Caccia. Il 18 maggio erano state quelle perquisizioni che avevano creato – risulta, è inutile citare i verbali – il panico negli amministratori di quel casinò. Ci sono i verbali che dicono che il dominus del casinò di Saint Vincent Bruno Masi ebbe il terrore di essere incriminato per l’omicidio di Bruno Caccia e per il tentato omicidio di Giovanni Selis, cioè quel Pretore che sei mesi prima era saltato in aria con la sua macchina. In quel momento per fortuna non morì, morì trovato impiccato il 10 aprile del 1987 senza che l’Autorità Giudiziaria di Milano che procedeva sull’omicidio di Bruno Caccia avesse la dignità di sentirlo come Testimone.
 

Questo dato risulta e questo dato è collegato ad un altro dato rilevantissimo, perché il paradosso, Signor Presidente e Signori Giudici, è che per tutto il primo processo arrivato alla sentenza di condanna definitiva nei confronti di Domenico Belfiore nella sentenza Voi non trovate l’ipotesi di un solo nominativo come esecutore materiale del delitto. Belfiore fu condannato come mandante e nella sentenza c’è il vuoto sugli esecutori, in concorso Belfiore con esecutori rimasti ignoti. Eppure quella prima acquisizione, quelle prime acquisizioni che poi erano state formalizzate avevano portato all’indicazione di uno dei killer, cioè di uno dei due soggetti che avevano sparato al Dottor Bruno Caccia. E’ un signore che Voi avete visto perché è comparso in quest’aula, è comparso vergognosamente libero essendo un ergastolano, il signor Demetrio Latella. E’ sicuro che la Procura della Repubblica di Torino si occupava delle cose che vi ho detto, insieme ad innumerevoli altre. Nulla si è fatto in questo dibattimento, nulla ancor più gravemente si è fatto nel processo a carico di Belfiore, che era imputato come mandante, per sapere rispetto agli affari giudiziari di cui io vi ho parlato se ce n’era qualcuno che aveva destato le preoccupazioni di Bruno Caccia.
 

Presidente, io avevo indicato una lista testimoniale e il primo Testimone che era stato indicato in questo processo, – io naturalmente non ho preso parte al processo Belfiore né direttamente, né indirettamente – il primo Testimone, cioè il figlio di Bruno Caccia, vi avrebbe potuto riferire dell’ultima conversazione avuta col padre proprio il giorno del delitto allorché il padre riferì a Guido Caccia, del tutto eccezionalmente rispetto all’abitudine di non parlare mai di affari di lavoro a casa, che nei giorni immediatamente successivi sarebbe esplosa una vicenda enorme e se ne sarebbero viste delle belle.

Una cosa è certa, signor Presidente, noi qui abbiamo una prova monca per mancata acquisizione, in questo caso non per mancata proposizione, però è certo che nei giorni successivi all’omicidio di Bruno Caccia nulla di enorme e neanche di particolarmente rilevante accadde. Dovremmo pensare che quell’affermazione dell’inumano Bruno Caccia secondo taluno fu fatta al figlio ioci causa, una celia, uno scherzo. Su tutto questo c’è quasi il vuoto, l’unico strumento che ci può aiutare a muoverci al riguardo è l’uso delle nostre forze intellettuali.
 

Di certo, Signor Presidente e Signori Giudici, nel processo a carico di Rocco Schirripa è centrale la modalità di esecuzione del delitto. Presidente, anche su questo si sono fatte troppo poche riflessioni. Noi sappiamo che, risulta dalla perizia medico legale e balistica, Bruno Caccia morì all’incirca alle 23:30 del 26 giugno 1983. Morì per i colpi di arma da fuoco di cui fu bersaglio e sappiamo che quei colpi di arma da fuoco furono esplosi da due persone, da due uomini. Questo lo possiamo dire abbinando la deposizione del Teste Fogal, sentito anche in questo dibattimento, con la deposizione di altri testimoni oculari, in particolar modo il teste Rossotti sentito nella prima istruttoria. Sappiamo che c’era la Fiat 128 apparentemente rubata ad Angelo Cartillone. Dico, Presidente, apparentemente perché risultanze metaprocessuali poi sosterrebbero altro. Certo è che il proprietario dell’auto aveva una strana storia, perché qualche anno prima dell’omicidio di Bruno Caccia, Bruno Caccia era stato vittima di un furto e tra gli altri oggetti che gli erano stati derubati c’era un antico calamaio e questo antico calamaio prima del delitto, due anni prima del delitto, venne trovato in possesso di Angelo Cartillone, cioè giusto giusto il proprietario della Fiat 128 con la quale fu commesso il suo assassinio e della quale auto un mese prima del delitto era stato denunciato il furto. Un furto un po’ strano, Presidente, perché sappiamo che l’auto, risulta dagli atti del processo Belfiore, era stata lasciata sulla strada con le chiavi inserite nel cruscotto pronta per essere presa. Cosa che quindi non è che faccia del tutto ritenere irragionevole qualche ipotesi avanzata fuori dal processo.
 

La perizia medico legale e balistica è al faldone 14 e ci dice che causa della morte del Consigliere Bruno Caccia furono ferite cranio-cerebrali da arma da fuoco. “La morte avvenne alle ore 23:30 circa del 26 giugno 1983. La vittima fu ferita da un primo colpo in sede glutea mentre si trovava all’impiedi e cadde a terra. Qui fu raggiunta da altri quattro colpi al capo, uno dei quali attendibilmente di rimbalzo. Furono esplosi colpi da due diverse armi da fuoco e precisamente una pistola semiautomatica calibro 7.65 Parabellum e un revolver calibro 38 special o 357 magnum”. Noi sappiamo che ad esplodere i primi colpi fu il conducente della Fiat 128, che quindi colpì al tronco Bruno Caccia e ne causò la caduta sul marciapiede, e che i quattro colpi al capo – avete l’autopsia, Presidente – furono esplosi dal passeggero che scese dall’auto, si portò sul marciapiede dove era caduto Bruno Caccia e lo colpì ripetutamente al capo, per poi risalire.
 

Sappiamo però di un’altra anomalia. Due fanno un omicidio, qual è il riflesso pavloviano? Si fugge più veloci della luce, tanto più, Presidente, nel caso di un delitto eccellente. Perché il primo riflesso qual è? Una sparatoria sotto la casa del Procuratore della Repubblica di Torino, arriva immediatamente il pandemonio delle forze dell’ordine. Eppure il guidatore, Presidente, che non solo è guidatore, ma è uno sparatore particolarmente esperto perché, seduto alla guida, tirando fuori dall’auto la mano riesce a colpire Bruno Caccia mentre è alla guida in una strada in salita. Fugge, ma si ferma. Ve l’ha raccontato il Testimone Fogal. Presidente, in tutti i processi per omicidi compiuti in strada di questo tipo è una scena mai vista, mai. L’auto si pianta, il guidatore pianta l’auto e che fa? Punta a forma di pistola la mano contro Fogal a distanza di tre – quattro metri. “Bang bang” urla, poi riprende la marcia e fugge.
 

Noi sappiamo, lo dico in anticipo rispetto a ciò che si dirà dopo, che l’auto Fiat 128 verde utilizzata per l’omicidio fu ritrovata vicino Corso Casale a breve distanza dal luogo del delitto, in via Verrua per l’esattezza. Presidente, è una modalità anomala di un delitto. Lo sparatore conducente dell’auto si è voluto far vedere, perché questo dicono i suoi comportamenti, e si è voluto far vedere implica due possibilità: o l’assoluta scelleratezza di quella persona, oppure l’assoluta certezza di impunità. La terza io non la trovo.
 

Presidente, io pensavo che quell’episodio fosse unico, invece ce n’è un altro unico che merita di essere citato. Vi indico in quale faldone dei fascicoli del processo Belfiore lo trovate: il faldone è il numero 19. Alla pagina 545, e lo dico ai Giudici Popolari, c’è una cartellina, una copertina di un fascicolo che trova scritto “Copia integrale fascicolo numero 773/84D a carico di Latella Demetrio e Morale Giorgio”. Che cosa era successo? Era successo che ad aprile del 1983 quel signore che Voi avete visto qui vergognosamente a piede libero, Demetrio Latella, si era reso latitante dopo aver sequestrato un soggetto slavo, peraltro coinvolto in fatti di droga, e il 26 giugno dell’83 era latitante. Si arriva a marzo del 1984, Voi avete questi atti, e succede questa scena a Milano, nella civilissima Milano: un signore ad un certo punto mentre cammina su un marciapiede tira fuori una pistola e la punta ai passanti quasi facendo “bang bang”, ma non spara per fortuna. Sta dieci minuti sul marciapiede a fare “bang bang”, però stavolta con la pistola in pugno, in via Generale Govone. Non arriva nessuno, attende che arrivi la Polizia, lui è latitante, la Polizia non arriva, e allora ben pensa il latitante di urlare ad un signore che, terrorizzato, lo guarda dalla finestra di un palazzo vicino, “chiami la Polizia”. Cioè, è il latitante che chiede di chiamare la Polizia. Faldone 19. La Polizia non arriva e allora che fa il latitante? Gli è venuta un’arsura improvvisa ed entra in un bar che si trova lì nei pressi. Nel frattempo c’è il panico in quella strada. Naturalmente su quel marciapiede non passa nessuno, tutti scappano ovviamente. Lui, latitante, entra nel bar e che fa? Come in una scena da film western poggia la pistola sul bancone e che fa? Ordina una Coca Cola. Giuro che c’è scritto questo negli atti, al faldone 19. Beve la Coca Cola nel terrore degli altri avventori, la Polizia ancora non arriva e il povero latitante è costretto a ordinare una seconda Coca Cola, sempre con la pistola sul bancone. Questa seconda Coca Cola non riesce a finirla perché finalmente, Deo gratias, arriva la Polizia e lo arresta. Era Demetrio Latella, quello lì, il quale quindi si consegna, è evidente. Si consegna il 9 marzo del 1984 e se Voi, Presidente, guardate gli atti del primo faldone in quel momento l’Autorità Giudiziaria ha già avuto notizia ufficiale che c’è l’indicazione di un soggetto come killer di Bruno Caccia e questo soggetto è Demetrio Latella, sempre lui, il quale si consegna, sceglie lui il giorno in cui consegnarsi e, coincidenza stratosferica del destino, chi è il Pubblico Ministero di turno quel giorno alla Procura di Milano? Chi può essere il Pubblico Ministero di turno alla Procura di Milano se non il Pubblico Ministero dell’omicidio Caccia, Dottor Francesco Di Maggio? E’ lui e si prende cura di Demetrio Latella. Anticipo la curiosità dei Giudici Popolari, non viene mandato al carcere di Torino dove c’è un signore in carcere con un registratore, viene mandato a Brescia per motivi di salute, eppure c’era un centro clinico in cui taluni abusivamente stavano al carcere de Le Nuove. Il primo abusivo era proprio Francesco Miano. Latella può bene andare al centro clinico ed essere curato dal Dottor Remo Urani. No.

Questa cosa, Presidente, la dico non perché possa sembrare un fuor d’opera, perché noi vedremo che non è un fuor d’opera neanche nel processo Schirripa, perché Latella non è un altro mondo rispetto a Domenico Belfiore e a Rocco Schirripa. Presidente, io devo dare atto al Pubblico Ministero che nella requisitoria, un po’ discostandosi dall’atteggiamento avuto fino al momento prima e un po’ avvicinandosi rispetto alle prospettazioni di questo Difensore di Parte Civile, ha fatto un puntuale recupero di tutte le fonti possibili. Presidente, quanto al mutato atteggiamento lo dico senza svelare niente perché il Presidente e la Giudice a Latere hanno tanta di quella esperienza che, leggere l’ordinanza di custodia cautelare e ascoltare la requisitoria, non hanno bisogno di nessuno, men che meno non solo della Difesa dell’imputato ma anche del Difensore di Parte Civile, della segnalazione che qualche cosa è mutato nell’impostazione d’accusa. Però devo dare atto della puntualità nella ricostruzione di molti fatti da parte del Pubblico Ministero e rispetto alla ricostruzione di molti punti di fatto, Signor Presidente, io farò rinvio a quanto ha già detto il Pubblico Ministero per evitare ripetizioni e puntualizzerò alcune cose solo laddove ci siano aspetti che secondo me non siano stati adeguatamente trattati o valutati.
 

Certo è, Presidente, che una premessa va fatta. Voi avete la sentenza con cui è stato condannato definitivamente Belfiore, avete gli atti di quel processo e Voi sapete che ufficialmente – e, Presidente, questa è la prima volta che capita, anche questa un’altra prima volta – ufficialmente lo Stato delegò le indagini sull’omicidio del Procuratore della Repubblica di Torino ad un mafioso a nome Francesco Miano. Non l’avevo mai vista una cosa del genere, ma questo è successo. Ora, faccio una premessa prima di fare le puntualizzazioni distoniche rispetto alla requisitoria. Oggi a decenni di distanza si sta celebrando il processo a carico di Schirripa, tre decenni fa si celebrò il processo a carico di Domenico Belfiore. Presidente, sulla valenza di quella sentenza richiamata nel capo d’imputazione è stato superlativo il Pubblico Ministero su quale sia il valore che va attribuito e quale sia il modo in cui va utilizzata quella sentenza. Non ho nulla da aggiungere. Mi limito solo ad una osservazione, Presidente, che è evidentissima alla lettura sia della sentenza di I Grado, sia di quella del giudizio di rinvio, che è la lacunosità della visione della realtà e dell’accertamento della verità.
 

Un albero può essere un albero, oppure può essere un’infinitesima parte di un bosco. Non c’è dubbio, Presidente, alla fine utilizzando il Rasoio di Ockham e scremando di tante finte fonti probatorie a carico di Domenico Belfiore, non c’è dubbio che Domenico Belfiore è corresponsabile dell’omicidio di Bruno Caccia. Non c’è dubbio! Una valutazione serena degli atti impone come unica conclusione questa. Ma la sensazione che rimane, Presidente, a leggere quei 23 faldoni è che si è voluto prendere un albero omettendo tutto il bosco. E, Presidente, tre decenni dopo con l’imputato Rocco Schirripa si è fatta la stessa operazione. Vi spiegherò perché secondo me, condividendo la conclusione del Pubblico Ministero, il signor Rocco Schirripa al di là di ogni ragionevole dubbio è corresponsabile dell’omicidio di Bruno Caccia. Ma anche in questo caso, e ve ne darò dimostrazione, si è bloccato ogni accertamento all’albero Schirripa per non prendere l’intero bosco, o almeno per non tentare di prenderlo. E allora, Presidente, non c’è dubbio che la condanna di Belfiore sia giusta, direi sacrosanta, e dirò poi per quali elementi di prova e che cosa poi conferma la giustezza di quella sentenza. Però devo segnalare che ci sono almeno quattro fattori completamente travisati da quella sentenza: il primo è la collaborazione di Miano con il SISDE e con il Dottor Urani, completamente travisato alla luce delle prove che pure erano utilizzabili; secondo fattore completamente travisato, e il travisamento ha colpito anche questo dibattimento nell’impostazione della requisitoria del Pubblico Ministero, è la asserita e assolutamente infondata separatezza fra due gang criminali che dogmaticamente si è scelto di separare nel processo non potendolo fare in natura.

L’impostazione della sentenza Belfiore che dice “A Torino operavano due gruppi criminali separati, il gruppo dei catanesi e il gruppo dei calabresi”, Presidente, è una riduzione bignamistica che, oltre ad essere completamente infondata in fatto, in diritto è peggio che irricevibile. Anticipo qua alcuni dati per comodità espositiva e sul punto devo ringraziare il Pubblico Ministero nella puntualità con cui ha anche in limine litis portato degli elementi di prova. Lo si dice anche nell’imputazione che l’omicidio di Bruno Caccia è reato di mafia, di criminalità organizzata, e proprio su questo principio sono passate le intercettazioni, correttamente.
 

Presidente, noi sappiamo che al momento in cui venne ucciso Bruno Caccia l’articolo 416 bis del Codice Penale era entrato in vigore da nove mesi circa. Certo è che anche prima che il Legislatore riconoscesse il delitto di mafia, 416 bis, le mafie esistevano già. Ora, Presidente, un connotato strutturale della fattispecie di associazione a delinquere di tipo mafioso è quello della territorialità. Non può esistere una mafia virtuale, la mafia per esistere deve controllare un territorio perché, Presidente, l’omertà e le condizioni di assoggettamento che da quella derivano possono esistere solo su un territorio. E allora a Torino esisteva al momento dell’uccisione di Bruno Caccia il fenomeno mafioso? Vi ha risposto correttamente il Pubblico Ministero: sì, e da molti anni. Erano mafiosi Domenico Belfiore, Mario Ursini, Placido Barresi, Rocco Schirripa e altri? Sì. Erano mafiosi Francesco Miano, Roberto Miano, Vincenzo Tornatore, Antonino Saia? Sì. Ma erano due mafie? Operavano a Torino indubitabilmente entrambe, quindi il territorio nel quale imporre le condizioni di assoggettamento era lo stesso. Ma facevano reati diversi? Be’, Presidente, il gruppo Belfiore e il gruppo dei catanesi erano molto ma molto più in osmosi che Riina e Provenzano, eppure mai nessuno si sarebbe sognato in Italia di dire che Provenzano e Riina facessero parte di due organizzazioni criminali separate. Avrebbero chiamato la Neuro.
 

Presidente,  noi  sappiamo,  ve  l’ha  spiegato  in  dettaglio, io non ripeto, vi faccio il rimando, omicidio Gozzi, 1981, ancora mancano due anni all’omicidio Caccia, è un omicidio che ha come causale la lontana Calabria e l’antica uccisione del mafioso da parte di Giorgio Gozzi e Ursini e con lui Belfiore chiedono ai catanesi la partecipazione all’uccisione di Giorgio Gozzi che per anni dal 1976, data il primo tentato omicidio, hanno tentato di uccidere. Commettono l’omicidio insieme. Sequestro Alessio, novembre 1981. Chi lo fa? Lo fanno insieme calabresi… e, Presidente, questa riduzione minimalistica del gruppo calabrese a Belfiore è anche un fuor d’opera rispetto alla realtà. Alla fine di questo dibattimento si è quasi teorizzato che Belfiore e Ursini erano quasi due gruppi separati, due squadre si è detto. Presidente, no, i calabresi erano molti di più e basta guardare gli atti del sequestro Alessio per vedere come uno dei condannati in I Grado, Voi avete la sentenza, per lui il processo fu stralciato, fu un tale Giuseppe Calabrò, “il dottorino”. Non è che io ho il pallino di Giuseppe Calabrò perché leggo i giornali oggi nel 2017 e leggo di indagini che non riescono mai a riportarlo in carcere e quindi anch’egli è uno di quei miracolati a piede libero, ma Giuseppe Calabrò, come risulta agli atti del fascicolo del Pubblico Ministero che non mi è stato consentito di far transitare alla conoscenza della Corte, nel 1975 aveva commesso un sequestro di persona gravissimo – una ragazza di 17 anni, Cristina Mazzotti, morta in corso di sequestro – insieme a chi? A Demetrio Latella e ad altri calabresi. Presidente, Demetrio Latella è venuto libero perché, dopo avere ottenuto a febbraio del 2007 la semilibertà, nel 2011 ha ottenuto pure la liberazione condizionale e nello stesso 2011 mentre otteneva la liberazione condizionale otteneva anche per opera di questa Procura e di questo Pubblico Ministero l’impunità per il sequestro Mazzotti, perché fu preso in modo insuperabile. Nell’auto con la quale era stata sequestrata la povera ragazza c’era un’impronta digitale. I cold case, tutti noi vediamo NCIS ormai, nel 2006 rivalutano quella impronta e si scopre che quella impronta apparteneva a Demetrio Latella. Demetrio Latella grazie ad un, anche lì abbastanza unico, riconoscimento delle attenuanti generiche in fase di indagini preliminari fuori dal processo ha ottenuto la prescrizione per un reato punibile con l’ergastolo. Presidente, non c’è bisogno che vi dica qui, vi anticipi qui come il signor Schirripa e Placido Barresi dicevano cosa in diritto sbagliata sul fatto che dopo 30 anni il reato punibile con l’ergastolo, come ci hanno spiegato le Sezioni Unite, possa andare in estinzione per prescrizione.
 

E quindi il sequestro Alessio. Il sequestro Alessio che vede partecipare i catanesi, Roberto Miano come mandante, Saia e Tornatore come esecutori insieme a Belfiore, a Barresi, a Calabrò. Di questi vengono poi condannati definitivamente solo i rei confessi, vengono condannati in I Grado i calabresi, in Appello vengono tutti assolti. E’ corretta la ricostruzione del Pubblico Ministero in fatto, non li si potrà più condannare, ma non c’è dubbio alla luce già delle prove dell’epoca, tanto più alla luce della sopravvenuta fonte Vincenzo Pavia, non c’è dubbio che tutti coloro erano responsabili del sequestro Alessio e quindi, Presidente, siamo ad un secondo episodio molto ravvicinato: omicidio Gattuso.

L’omicidio di Paolo Gattuso è un fatto importante, commesso esecutivamente dai catanesi. Avete sentito in questo dibattimento come l’omicidio Gattuso interessava anche ai calabresi. E chi era Gattuso? Vi risulta in atti, Presidente, era un criminale non di bassa lega che fra le altre attività si dedicava a fare il cambista a Saint Vincent e a Sanremo, al casinò di Saint Vincent e al casinò di Sanremo. Rapina al portavalori a Chiasso. Catanesi e calabresi insieme. Estate del 1982, giugno – luglio 1982, omicidio di Agostino Mirolla. Da chi viene commesso? Catanesi e calabresi insieme.

Presidente, qual è l’altro fattore necessario imposto dalla Legge Rognoni – La Torre? I soldi. Le associazioni mafiose investono i profitti dei propri delitti e noi abbiamo prova di alcuni siti di investimento e uno di questi l’abbiamo appreso qui. La gioielleria Corsi era insieme, risulta processualmente, dei calabresi e dei catanesi. La gioielleria Corsi di Gonella, Belfiore e Barresi era pure dei catanesi. Voi avete le fonti di prova, i catanesi stessi che dicono “investimmo noi lì i soldi”. E allora sono due gruppi e riciclano insieme. Presidente, ma c’è l’ultimo episodio che è di poco prima dell’omicidio Caccia: la sottrazione, il falso per soppressione dei fascicoli della Corte di Cassazione. L’ha raccontato Pavia, ve lo ricorderete. Attraverso strani canali – ci sono i nomi negli atti del processo Belfiore, Aldo Forneris e Anna Presutto e altri, c’è la sentenza del Giudice Istruttore di Roma nel fascicolo – riuscivano i mafiosi ad arrivare in Cassazione, prendere il fascicolo che interessava loro, portarselo a casa e poi solitamente nella cucina o nel bagno di casa Presutto bruciarlo nel lavandino. Questo risulta in atti. Presidente, fino a quando succede questo? Ci sono le date commissi delicti in quella sentenza, ma ci sono i fatti perché noi sappiamo che vengono sottratti due fascicoli di Roberto Miano e di Francesco Miano nel mese di libertà di Francesco Miano che scade il 22 febbraio 1983 e che era cominciato il 21 gennaio del 1983. E subito dopo quale fascicolo scompare per intervento di Domenico Belfiore? Il fascicolo di Vincenzo Pavia. Siamo già oltre il febbraio del 1983, perché il fascicolo di Pavia scompare dopo quello di Francesco Miano. Quello di Francesco Miano scompare nel mese di libertà.

Chi gestiva il canale di sottrazione dei fascicoli in Cassazione? Il canale era Roberto Miano. Però Roberto Miano funziona per sé, funziona per suo fratello, cioè per i suoi associati, e poiché funziona per i suoi associati, Presidente, funziona anche per Vincenzo Pavia su interessamento di Domenico Belfiore. Quindi pure le attività finalizzate ad ottenere l’impunità vedono insieme calabresi e catanesi.
 

Aggiungo, ma di quante riunioni vi ha parlato il Pubblico Ministero relative proprio all’oggetto di questo processo, all’omicidio Caccia, che hanno visto partecipare uomini del cosiddetto clan Belfiore e uomini del cosiddetto clan dei catanesi? Il delitto più importante, non c’è dubbio. Presidente, ma se fossero stati due gruppi separati per quale motivo Domenico Belfiore doveva riunirsi con i catanesi? Per quale motivo? Aveva necessità? Ce l’ha detto Roberto Miano, ce l’ha detto Salvatore Parisi, confermando sostanzialmente l’unicità in diritto di quel gruppo mafioso. “Certo è che senza il nostro consenso – espressamente così ha detto Roberto Miano – l’omicidio Caccia non si poteva fare”. E d’altronde alle riunioni li avevano chiamati. Era una scelta da condividere tanto che, questa è l’ultima dichiarazione di Salvatore Parisi, i catanesi incidono pure sui tempi del delitto. Così ha detto Parisi, il famoso bloccaggio, vi ricorderete.
 

E allora, Presidente, tutti i delitti dei quali vi ho parlato si succedono in meno di due anni fino al 26 giugno del 1983. Ma come si fa in fatto prima ancora che in diritto a dire che esistevano due gruppi che operavano nella stessa città, commettevano i reati insieme e riciclavano i soldi insieme e ideavano insieme, progettavano insieme il delitto del terzo livello? Quindi altro fattore completamente travisato nella sentenza Belfiore. Non esistevano due gruppi, operavano tutti insieme e hanno operato insieme anche per il delitto Caccia. Il Pubblico Ministero vi ha detto… e questo non lo posso condividere perché l’applicazione corretta del Diritto mi impedisce di condividerla. Sì, Signora Giudice a Latere, esiste il concorso morale e se un signore come Roberto Miano dice “guardate che senza il nostro sta bene Bruno Caccia non poteva essere ucciso” questo è ben più, Presidente, della soglia del concorso morale. Il Pubblico Ministero vi ha detto “a me non interessa, a noi non interessa”. No no, non funziona così, non può funzionare così. Per questo io vi anticipo già la richiesta di trasmissione di atti alla Procura perché proceda per tutti i corresponsabili, perché l’intero bosco bisogna prendere, non solo un albero, non solo Schirripa che è colpevole e del quale vi chiederò la condanna, ma si deve evitare quel cattivo esercizio – cattivo è una parola forse eccessivamente bonaria – cattivo esercizio della giurisdizione che cerca di mettere pietre tombali su fatti eclatanti con la condanna tre decenni fa di Domenico Belfiore e oggi di Rocco Schirripa. Perché l’intero bosco va preso, non il singolo albero solitario.
 

Presidente, c’è un altro travisamento clamoroso in quella sentenza. Vi ho già detto che nel processo Belfiore nessuno ha avuto la curiosità di sapere che cosa faceva Bruno Caccia prima di essere ucciso. E’ la prima volta nella storia giudiziaria, ma così è. Se Voi leggeste gli atti sulla strage di Capaci, sulla strage di via D’Amelio, sulla strage di via Pipitone Federico in cui morì Chinnici, sull’omicidio Livatino; per cambiare tema ma forse non tanto, sull’omicidio Occorsio; per cambiare tema sicuramente, sugli omicidi Alessandrini e Galli, non esiste nessuno dei processi celebrati nella storia giudiziaria italiana per l’uccisione di un Magistrato, non esiste uno questo è l’unico, nel quale non ci si è interessati di sapere cosa faceva prima di essere ucciso quel Magistrato, che venne ucciso perché Magistrato. Il paradosso qual è? Che quel processo e perfino questo ha avuto curiosità di sapere di che cosa si occupava non Bruno Caccia, ma Sebastiano Sorbello e Marcello Maddalena che per fortuna sono vivi. E ciò lo si è fatto su una palese mistificazione, anche quella in danno della memoria della vittima. Si è voluto dire, e così si legge nella sentenza Belfiore, che non era Bruno Caccia l’uomo da eliminare. No, erano tre. Non si sa perché poi due, e per fortuna non ci fu alcun conato. Si dice in sentenza “Bruno Caccia andava ucciso così come il Dottor Sebastiano Sorbello e il Dottor Marcello Maddalena”. E’ una falsità. E, Presidente, che sia una falsità l’ha detto questo dibattimento, perché a chi è che interessava l’uccisione del Dottor Sorbello? Le fonti di prova vi hanno detto che era Francesco Miano, senza trascurare il fatto che a nessuno interessava uccidere per fortuna Marcello Maddalena, il quale è stato sgradito destinatario di una lettera anonima. Neanche lui, il suo ufficio. Questo è stato.

Presidente, mettere sullo stesso piano una vicenda enorme, gigantesca, con due di ben minor rilievo è stata la più grave pecca delle mistificazioni del processo Belfiore, perché bisognava fare scomparire Bruno Caccia e i motivi che avevano condotto a morire Bruno Caccia. E allora il paradosso è stato che l’istruttoria la si è fatta non su ciò che aveva fatto Bruno Caccia, ma su ciò che avevano fatto Sebastiano Sorbello e Marcello Maddalena. Però il processo era per l’omicidio di Bruno Caccia, ma per corroborare le prove, questa era la tesi, poiché era quello il plot, allora bisognava dimostrare un legame fra le attenzioni criminali nei confronti di Sorbello e Maddalena e le attività di Sorbello e Maddalena. Il paradosso è che tutto questo, Presidente, lo si è fatto senza neanche sapere. L’ha sconosciuto il processo Belfiore e lo sconosce il processo Schirripa, lo diamo per scontato. Però, Presidente, andare per enunciazioni apodittiche sa bene quant’è sgrammaticato processualmente. Noi non sappiamo se nel fascicolo a carico di Placido Barresi per la pistola, il favoreggiamento e la duplice ipotesi di omicidio Gattuso e Zucco, noi non sappiamo se in qualcuno di quegli atti ci sia la firma di Bruno Caccia e non sappiamo neanche, perché neanche il Dottor Maddalena è stato sentito, non sappiamo se le iniziative di quel Pubblico Ministero erano state preventivamente concordate con Bruno Caccia. Lo immaginiamo. Ma quando una cosa, Presidente, è provabile perché bisogna sfuggire alla prova? Perché il dogma, quel dogma deve prevalere.
 

Presidente, ultima cosa, mistificazione gravissima e di questo ha avuto prova diretta questa Corte. In quella sentenza c’è scritto che a Torino c’erano dei Magistrati, ve lo dico io, delinquenti. Vero. E poi nella visione manichea del mondo c’erano dall’altra parte non solo Bruno Caccia, ucciso perché integerrimo e incorruttibile, ma tutta una filiera di Magistrati a prescindere eroici. Presidente, è un argomento, capisco, rischioso, però io ritengo che i processi siano i luoghi per eccellenza per coltivare l’arte della parresia, cioè dell’obbligo di dire il vero in pubblico. Presidente, Voi sapete, ci vado subito, negli atti del processo Belfiore Voi sapete che uno dei Magistrati con legami documentati da fonti di prova con Gianfranco Gonella, cioè il sodale di Barresi e Belfiore, era il Dottor Francesco Marzachì, all’epoca Procuratore aggiunto a Torino, il vice di Bruno Caccia. Erano due i vice, Marzachì e Toninelli. Toninelli è da quella sentenza correttamente incasellato nei Magistrati cattivi.

Leggo quel che ha detto Vincenzo Pavia e che ha detto Vincenzo Pavia parlando delle proprie dichiarazioni sull’omicidio Caccia, quel Vincenzo Pavia la cui valutazione di attendibilità espressavi dal Pubblico Ministero io condivido e sottoscrivo. “Il fatto è che quando ho fatto le dichiarazioni e tutto ero a Pagliano, collaboravo. C’era la Dottoressa Loreto e il Capitano… come si chiamava? Comunque c’era un Carabiniere lì che verbalizzava e io dicevo quello che… Poi è venuto anche il Dottor Maddalena ad interrogarmi assieme al Dottor Marzachì proprio riguardo a… senza chiedermi se mi ricordo bene di fatti, diciamo reati comuni e quelle cose lì, ma proprio a chiedermi espressamente sull’omicidio Caccia. Lì mi sono bloccato perché? Perché di fronte a quel periodo là il Dottor Marzachì era una persona molto chiacchierata perché era uno che si poteva dire che era avvicinabile, però me lo trovo lì davanti con Maddalena. Cosa vado a dire? Ho alzato le manine e mi sono bloccato”. Questo è il pentito che il Pubblico Ministero correttamente vi dice essere fonte di prova centrale nei confronti dell’odierno imputato. Non è che si può stuprare l’articolo 3 della Costituzione e se Pavia parla di Rocco Schirripa va bene e va bene perché ha detto cose vere, mentre se parla di altri non va bene, perché se no quella scritta la cancelliamo. “Ho alzato le manine e mi sono bloccato. Ho visto il Dottor Marzachì e il Dottor Maddalena, non è che posso andare a dire a uno in faccia ‘guarda che di te…’. Quello che ho già detto lì dice tutto”. Bene, nella sentenza Belfiore il Dottor Francesco Marzachì, all’epoca Procuratore aggiunto, è il principe dei buoni ed è lui che in primis gestisce l’acquisizione primigenia delle fonti di prova sull’omicidio Caccia che prima di essere sentiti dalla Procura di Milano passano tutti da lui. Ed è lui che gestisce – anche in modo, mi permetto di dire, non pienamente coerente con le altre valutazioni processuali – che gestisce il procedimento a carico del Dottor Remo Urani i cui atti Voi avete.
 

E così arrivo all’ultimo dei fattori mistificati in quella sentenza, ma mistificati nel senso che la sentenza ha omesso di considerare le risultanze del processo. Presidente, in questo processo e in quello a carico di Belfiore è capitato un sacco di volte che le fonti di prova abbiano raccontato storie almeno parzialmente diverse. Sui dettagli è normale, due persone che hanno vissuto la stessa esperienza non è che la raccontano dopo dieci anni nello stesso modo, ognuno è più sensibile ad un aspetto rispetto che ad un altro. Il punto è che alle volte le storie sono proprio incompatibili e, Presidente, la versione ufficiale recepita nella sentenza Belfiore vuole che fra il 21 gennaio e il 22 febbraio 1983 Francesco Miano è libero e viene contattato da un funzionario dei servizi segreti che gli chiede informazioni sui legami fra criminalità organizzata e terrorismo. Poi Miano entra in carcere. Presidente, in quale carcere? Noi abbiamo la Cassazione, faldone 3 alle pagine 38 e 39 per l’esattezza, la sentenza dice così: dopo l’arresto del 22 febbraio 1983 Miano si trova detenuto prima a Saluzzo, poi a Fossano, poi ancora a San Gimignano fino a quando viene trasferito a Torino il 7 luglio 1983. Sappiamo che il 15 luglio 1983 Miano, che è stato portato la settimana prima a Torino, riceve in carcere la visita di un funzionario del SISDE, Pietro Ferretti, che gli chiede di collaborare sull’omicidio Caccia. E’ l’occasione in cui lo Stato otto giorni dopo l’omicidio del Procuratore della Repubblica di Torino delega le indagini al boss Francesco Miano.
 

Presidente, quando il Dottor Urani, come ha riferito, – seppure l’ha riferito in quattro versioni diverse: nel processo a carico di Belfiore, nel maxiprocesso a Torino e nel procedimento a suo carico – quando Remo Urani percepì che Francesco Miano da incallito boss era sul punto di cedere e poteva collaborare e allora lui lo riferisce a Ferretti? Quando? Perché ciò sarebbe avvenuto prima dell’omicidio Caccia nella versione di Remo Urani. Noi poi abbiamo un’altra versione sulla collaborazione con il SISDE e ce la dà il fratello di Francesco Miano, che la collaborazione risale al 1982. Noi poi abbiamo delle altre fonti di prova, c’è l’intero fascicolo a carico del Dottor Remo Urani. L’attendibile, per la condanna di Belfiore, Antonino Saia ha accusato il Dottor Remo Urani di avere fatto reati con Francesco Miano. Ha detto: “In una occasione accompagnai Roberto Miano nello studio del Dottor Urani – lo studio privato, non in carcere – e nell’occasione Urani diede a Roberto Miano un messaggio del fratello, che bisognava eliminare Puglisi, uno dei nostri affiliati”. Quindi questo è il Dottor Urani nelle parole di Antonino Saia. Ma ci sono anche le altre fonti. Miano viene scarcerato il 21 gennaio dell’83, a conferma che i suoi rapporti familistici con Urani risalgono a prima, e festeggia. E naturalmente, essendo un boss, chi invita? I suoi affiliati, le mogli e le famiglie e in più anche il Dottor Remo Urani. E dove, Presidente? Quel che è più sconcertante. Nel ristorante di Gonella, Barresi e Belfiore, Il Muletto, i due gruppi separati. E poi c’è che Urani va in discoteca. E chi vi trova? Si può andare in discoteca a Torino e non incontrarsi con Roberto Miano? Non si può. Presidente, su questo la sentenza Belfiore fa scempio, così come fa scempio il trattamento che ha avuto la vicenda Urani a Torino, perché non si può essere rigorosissimi con taluni e – garantisti è un fuor d’opera, non c’entra lì, non so come dire – impunitari con il Dottor Urani, il quale poi naturalmente fa carriera fino a diventare un grosso manager della sanità pubblica, perché le competenze ce le aveva con Francesco Miano.
 

Allora, Presidente, anche questo è stato frutto di mistificazione nella sentenza Belfiore. Noi sul punto possiamo dire solo poche cose, cioè che Francesco Miano risulta, ma risulta per confessioni di Francesco Miano, che mentre faceva da scrivano di Remo Urani continuava a ordinare delitti dal carcere, continuava a farli dopo nel mese di libertà, rientra in carcere e continua a ordinare delitti tramite il fratello e gli altri sodali. E’ questo il campo nel quale nasce l’operazione Miano. Operazione Miano, Presidente, che nasce, non c’è dubbio, per volontà istituzionale. Non è che io avessi bisogno di questo libro per leggere le parole di Marcello Maddalena che in questo libro dice: “Sono stato io l’ideatore della trama Miano – SISDE”. Questo è il paradosso, Presidente, che in corso di dibattimento e fuori dal dibattimento le fonti che dovevano essere sentite come testimoni qui e che non sono state sentite, nei libri dicono cose che smentiscono la sentenza Belfiore e le possono dire impunemente perché gli si è concesso di non dirle qui sotto giuramento, perché la versione fuori da quest’aula è che il Maresciallo Incandela di Cuneo dice a Maddalena: “Secondo me Santo Belfiore, fratello di Domenico, può fornire notizie sull’omicidio Caccia”. Maddalena, ben più esperto del Maresciallo Incandela, dice: “No, quella è una scartina, sicuramente Ciccio Miano può essere ben più d’aiuto” e viene attivato Ciccio Miano. D’altronde, Presidente, l’acquisizione documentale non fu fatta, ma è certo che, salvo l’uso di scolorina da protocollo farfalla, per entrare in carcere a Torino il 15 luglio 1983 Pietro Ferretti dovette essere autorizzato. Così ha dichiarato lui deponendo, però non si sa chi l’ha autorizzato. E l’acquisizione non fu fatta. Certo è che questo fu il canone scelto, canone scelto che però, Presidente, viene attivato nel modo più ficcante con il registratore consegnato a Miano dal SISDE attraverso Remo Urani solo da ottobre del 1983. Quando, Presidente? E qui poi faremo un parallelo con l’indagine Schirripa. Che cosa succede ad ottobre dell’83? Arrivano a quell’ufficiale Maggiore Bertella di Alessandria le informazioni sull’omicidio Caccia e pure su Latella. In contemporanea si attiva il canale parallelo da rendere incompatibile, pur se in realtà si andava ad illuminare il bosco da un’altra parte, ma era sempre lo stesso il bosco. Questo canone l’abbiamo visto anche in questo procedimento. Posso chiedere una pausa di cinque minuti?

PRESIDENTE – Sì.

SOSPENSIONE

PRESIDENTE – Prego, Avvocato.

AVV. REPICI – Grazie, Presidente. Dicevo, utilizzato il Rasoio di Ockham per eliminare queste escrescenze patologiche in quel tessuto processuale, ci sono altri elementi. Il primo vi è già stato segnalato, cioè la sentenza della Corte d’Assise di Torino. Ce l’avete, è il maxiprocesso passato alla storia come il processo ai catanesi, ma in realtà, proprio perché non c’era separatezza, in quel processo c’erano imputati anche Domenico Belfiore…
 

Chiedo scusa, Presidente, prima ho fatto un lapsus, forse freudiano, quando ho parlato del fratello Santo naturalmente non era il fratello di Belfiore, era Santo Miano, fratello di Francesco Miano, che poteva essere attivato e non fu attivato per volontà del Dottor Maddalena che preferì Ciccio Miano. Quindi, dicevo, il maxiprocesso passato alla storia come il processo ai catanesi in realtà è il processo alla mafia operante a Torino e la mafia operante a Torino era calabrese e catanese insieme. Cosicché negli stessi capi d’imputazione omicidio Gozzi trovate imputati Antonino Saia, Mario Ursini, Carmelo Giuffrida, Placido Barresi, Domenico Belfiore, Vincenzo Pavia e Roberto Miano. Trovate imputato Demetrio Latella, sempre quello, era imputato lì. Imputato per una cooperazione all’omicidio Bulla, 20 giugno 1981, aveva beneficiato di un exitus ingiustamente favorevole per l’omicidio di Santa Tomasello, per il quale Voi avete le risultanze del processo Belfiore. Era sicuramente colpevole e fu assolto. Noi sappiamo dagli atti di quel processo che alcune fonti sostennero che Demetrio Latella aveva potuto godere di compiacenze giudiziarie. Certo è che risulta che Demetrio Latella era fortissimamente legato a Girolamo Gullace e attraverso Girolamo Gullace, calabrese ma componente nella asserita diversificazione del clan Miano, ma in realtà sappiamo essere il soggetto, vi citerò la fonte, che era il trait d’union fra Belfiore e Miano. E’ legatissimo, prima che cadesse in bassa fortuna, anche a Paolo Gattuso.
 

Demetrio Latella in questo processo è imputato e poi finì condannato all’ergastolo. Uno non lo direbbe vedendolo qui, in realtà fu condannato a Torino all’ergastolo solo in I Grado perché in Appello ci fu una sentenza liberi tutti o liberi molti, ma a Milano Demetrio Latella ricevette la giusta condanna all’ergastolo nel processo Epaminonda. Era killer, così come da appunto Mariani era killer prediletto di Luigi Miano, omonimo operante a Milano, fu imputato nel maxiprocesso in relazione all’omicidio Bulla, in relazione al quale mise a disposizione la macchina. Omicidio compiuto da Antonino Saia, Francesco Miano e Roberto Miano, Roberto Miano che era quello che guidò la motocicletta che lo portò a destinazione in occasione dell’omicidio di Santa Tomasello. Avete anche l’imputazione di… e questo è veramente eclatante perché quello che vi dicevo io era già scritto nelle imputazioni torinesi, vi segnalo il capo 189 a) che vede imputati di associazione a delinquere naturalmente fino al 1982 e da epoca imprecisata i seguenti soggetti: Giuseppe Calabrò, Mario Ursini, Domenico Belfiore, Renato Angeli, Tommaso De Pace, Placido Barresi e Vincenzo Pavia. Ci fermiamo qui? No, perché ci sono anche Vincenzo Tornatore, Antonino Saia e Roberto Miano, imputati, incriminati dalla Procura di Torino per la medesima associazione a delinquere. Poi ci sono le imputazioni in relazione al sequestro Alessio, che qui le imputazioni videro imputati solo i catanesi perché per gli uomini di Belfiore e Ursini ci fu imputazione in separato processo e per Giuseppe Calabrò in processo ancora separato.
 

Ora, Presidente, basta valutare quelle imputazioni per avere conferma di quello che vi dicevo. Ma oltre a questo ci sono alcune risultanze che sono sicuramente insuperabili, le risultanze sono provenienti da fonti sicuramente autonome, quelle che vogliono essersi succedute riunioni per l’ideazione dell’omicidio Caccia. Presidente, noi sappiamo che l’ideazione risale a più di un anno prima rispetto all’omicidio. Lo sappiamo sia perché ci viene data questa notizia in modo diretto, ma la cogliamo anche da alcuni elementi oggettivi. Alle prime riunioni di cui noi abbiamo conoscenza partecipano Placido Barresi, Mario Ursini e Roberto Miano. Sappiamo che Placido Barresi viene arrestato il 29 ottobre 1982 per essere scarcerato dopo l’omicidio Caccia, sappiamo che Mario Ursini viene arrestato nello stesso autunno del 1982 ed è in carcere al momento dell’omicidio Caccia, sappiamo che Roberto Miano insieme a Francesco Miano viene arrestato il 22 febbraio 1983. Le fonti sono quasi debordanti sul punto e alle fonti del processo Belfiore si aggiunge Vincenzo Pavia, che Voi avete sentito in questo dibattimento, il quale anche indica l’ideazione dell’omicidio del Procuratore della Repubblica di Torino in epoca sicuramente antecedente all’arresto di Placido Barresi.
 

Ora, Presidente, c’è una cosa che è stata priva di analisi nella sentenza Belfiore ed è un dato di realtà, cioè delle aggregazioni criminali discutono l’uccisione del Procuratore della Repubblica di Torino, ma lo fanno per oltre un anno prima che quell’omicidio venga commesso. Ora, la razionalità serve per dare un senso all’analisi delle cose, ciò vuol dire in primis che la causale primigenia, il motivo primigenio dell’uccisione di Caccia risale ad almeno un anno prima. Questa situazione si mantiene sotto traccia, è un dato di realtà che si mantiene sotto traccia fino al 26 giugno 1983.
 

Presidente, solo per amore dei dogmi si può dire cosa nell’imminenza del 26 giugno 1983 fece scoccare la scintilla che rese necessitato in quel momento, dopo oltre un anno di fuoco sotto la cenere, rese necessitato in quel momento l’omicidio di Bruno Caccia. Presidente, mi perdoni, ma veramente è quasi irricevibile l’ipotesi tentata ma non convalidata poi… anche in anche in quel processo si partì in una direzione e si finì da altra parte, perché la causale iniziale di quel processo voleva che l’omicidio di Bruno Caccia era stato voluto alla fine, determinato dalla perdurante carcerazione, ingiusta nella prospettiva degli assassini, di Placido Barresi. Questa era l’impostazione dell’accusa. Poi si è arrivati ad una ricostruzione di una causale che tanto eterea e impalpabile è che nessuno è riuscita a coglierla, perché si sostiene, si sosterrebbe che Bruno Caccia il vero motivo per cui venne ucciso non è solo il fatto di essere integerrimo, ci mancherebbe, – anche perché questo avrebbe voluto dire che tutti gli altri Magistrati di Torino non erano integerrimi? – ma andava eliminato perché nei disegni di chi aveva concepito quel delitto il suo posto sarebbe stato preso da Magistrato amico. Più o meno questo è il tentativo un po’ abborracciato che si propone.
 

Partiamo dalla prima questione, Placido Barresi. Presidente, i criminali hanno tanto difetti, i mafiosi hanno tanti difetti, ma uno non ce l’hanno, quello di essere irrazionali. Sono dei lucidi utilitaristi, fanno dei crimini per raggiungere dei risultati.
 

Ora, vi parlo di un fatto che non c’entra con questo processo e che però è noto a tutta Italia ed è un fatto notorio. Presidente, ha presente la strage di via D’Amelio il 19 luglio del 1992? Coloro che sostengono che è stato un disegno esclusivo, intraneo a Cosa Nostra pretendono che i capi di Cosa Nostra fossero dei mentecatti, perché l’8 giugno del 1982 era stato approvato un Decreto Legge con rigorosissime misure in materia di criminalità organizzata e sappiamo che erano una rivoluzione, sappiamo pure che se non ci fosse stata la strage di via D’Amelio quel Decreto Legge non sarebbe mai stato convertito. Quindi paradossalmente Cosa Nostra volle il proprio nocumento in quella ipotesi in cui solo Cosa Nostra era la portatrice dell’interesse della strage di via D’Amelio. Presidente, andiamo a Torino il 26 giugno del 1983, qual è la situazione? C’è un signore, un criminale, Placido Barresi, che viene arrestato prima per favoreggiamento della latitanza di Mario Ursini e poi attraverso il rinvenimento di quella pistola nel famoso accessorio dell’immobile viene incriminato per due omicidi, per uno dei quali, solo per uno dei quali, e il paradosso è, davvero è un paradosso, l’omicidio di Paolo Gattuso. Si sostiene da parte della Procura della Repubblica e del Pubblico Ministero, che sappiamo essere stato il Dottor Marcello Maddalena, Placido Barresi con quella pistola aveva compiuto l’omicidio Gattuso. Questa era la tesi. Sappiamo che la tesi era sbagliata, era contraria al vero, nel senso che quella pistola con l’omicidio Gattuso non c’entrava niente e che sbagliato era chi teorizzava che quella pistola aveva sparato a Gattuso. Ma, Presidente, ci mettiamo dal lato di Placido Barresi e di chi opera nell’interesse di Placido Barresi nel momento in cui si aspetta la famosa super perizia che sarà depositata dopo qualche settimana, ma che è già in itinere? Allora, poiché l’omicidio Gattuso loro lo sapevano chi l’aveva commesso, sapevano pure con certezza che quella pistola non aveva compiuto l’omicidio Gattuso, quindi del tutto straordinariamente Domenico Belfiore e Placido Barresi sapevano che non esisteva la prova per tenere in carcere Placido Barresi per quell’omicidio. Presidente, in una situazione di questa guisa qual è la soluzione per fare uscire Placido Barresi? Uccidiamo il Procuratore della Repubblica? Presidente, a me sembra un pensiero malato, cioè da mentecatti, perché l’unica reazione possibile qual è ucciso il Procuratore della Repubblica di Torino? “Basta, marcite tutti in carcere”. Ovvio. Oppure no? Allora, Presidente, la logica, proprio quella basica, non occorrono chissà che sforzi intellettuali, ci permette di dire che è una farneticazione ricondurre l’omicidio Caccia alla pistola di Barresi e alla perdurante carcerazione di Barresi? Posto peraltro, Presidente, che abbiamo tante fonti di prova che ci dicono “tanto loro lo sapevano che Barresi doveva uscire” e teniamo conto sempre di quel dato: l’omicidio Caccia era stato ideato ben prima della carcerazione di Barresi e addirittura nei tempi di commissione la fonte Parisi ci dice che fu contrattata, che ci fu un’incidenza da parte dei catanesi. Allora sgombriamo il campo, Rasoio di Ockham, la pistola di Barresi è uno specchietto per le allodole.

Rimane e aggiungo a questo, Presidente, perché il paradosso è che noi abbiamo Barresi assolto con sentenza definitiva, quindi nell’ipotesi di quella sentenza definitiva l’omicidio del Procuratore della Repubblica di Torino fu voluto dal grande boss Domenico Belfiore per vendicarsi del Magistrato sbagliato. Così, Presidente, perdonatemi, con l’ennesimo calpestamento della memoria di Bruno Caccia, perché la sua morte sarebbe da addebitare alle quasi intimistiche elucubrazioni di Domenico Belfiore nell’interesse di Placido Barresi. L’omicidio del Procuratore della Repubblica di Torino perché uno non era stato scarcerato, quindi vendetta privata.
 

Alla fine invece si arriva alla seconda ipotesi: è stato eliminato Caccia perché al suo posto sarebbe arrivato un Procuratore amico, di fatto questa è la teoria. Allora, Presidente, la tesi merita un po’ di impegno intellettuale perché chi avrebbe deciso la nomina del successore di Caccia? Domenico Belfiore? E’ evidente, Presidente, che questa ipotesi vorrebbe che l’omicidio Caccia è un omicidio di sistema se addirittura ci sarà un complice o più complici che determineranno gli equilibri non nella cupola di Cosa Nostra, ma a palazzo dei Marescialli, al Consiglio Superiore della Magistratura per la designazione del nuovo Procuratore della Repubblica e anche la complicità del futuro predestinato.
 

Presidente, in una orchestrazione che è inutile… forse, ma neanche il comune cittadino, ma certo è che noi che indossiamo la toga non possiamo minimamente immaginare di ridurla ad un perimetro particolarmente ristretto. Però, Presidente, è pure vera una cosa, che forse questo è un faro che non dico che illumini tutto il bosco, ma forse qualche albero in più del singolo Belfiore sì.
 

Presidente, la teoria dell’attuale Procuratore Generale di Torino, io l’ho letta a mezzo ANSA il 26 giugno dell’anno 2016, è che sono corresponsabili dell’omicidio Caccia anche dei Magistrati, furono. Presidente, qui c’è forse la più vergognosa delle lacune perché io due mesi fa sono rimasto esterrefatto, meno di due mesi fa probabilmente, perché io non sono torinese e non possiedo notizie della vita giudiziaria e degli ambienti giudiziari torinesi. Ho provato a ricevere notizie, mi sa che sono stato vittima, per dirla come si usa in questi tempi, di fake news, perché io meno di due mesi fa ho appreso che il Dottor Luigi Moschella era vivo e che è morto meno di due mesi fa, cioè 25 anni dopo il passaggio in giudicato della condanna del suo presunto organizzatore del delitto, perché in quella teoria, in quella rappresentazione Moschella è intraneo alla vicenda dell’omicidio Caccia. E d’altronde, Presidente, ci sono anche fonti di prova che dicono questo, non solo esercizi logici. Vincenzo Pavia l’abbiamo sentito e sappiamo come effettivamente Luigi Moschella, Magistrato della Repubblica, al tempo Procuratore della Repubblica a Ivrea, frequentava il castello di Gonella, cioè frequentava la famiglia Belfiore che abitava al fianco e l’hanno riferito dei testi proprio sul punto, del tutto disinteressati, come perfino Domenico Belfiore e Maria Belfiore. Però, Presidente, questo significherebbe che l’omicidio Caccia è un’altra storia, cioè è la storia che dalla sua modesta prospettiva ha cercato di spiegare Vincenzo Pavia quando gli è stato chiesto quale fosse il motivo dell’omicidio Caccia e lui ha detto: “Io non lo so e nessuno lo può sapere, è una cosa alta”.
 

D’altronde, Presidente, questa è l’unica logica ad un’ipotesi di omicidio che rimane sotto traccia per più di un anno fino ad essere eseguita la sera del 26 giugno del 1983. Presidente, significa che c’è ben altro oltre a Belfiore. Belfiore fa riunioni con la manovalanza. Il massimo vertice della mafiosità catanese con cui si relaziona è Roberto Miano e però in contemporanea ha quelle frequentazioni attraverso Gianfranco Gonella. Aggiungo, Presidente, che la sentenza commette un’altra grossolana svista. Pasquale Cananzi, che era un altro dei canali per i favori giudiziari, era uomo dei Miano, non certo di Domenico Belfiore, a riprova che non esistevano due mondi separati che camminavano ognuno per i fatti suoi, il mondo era uno e al più Gonella, per fare citazioni di più recente cronaca giudiziaria, era il mondo di mezzo. Ma c’era sicuramente qualcos’altro e se noi prendiamo gli elementi provati del fatto forse qualche cosa la scorgiamo, perché vi ho detto: è provato che Domenico Belfiore si sia adoperato per studiare l’omicidio Caccia, ha fatto delle riunioni, ha raccolto informazioni, ha chiesto disponibilità, ha ottenuto consenso, ha fatto perfino – dice Vincenzo Pavia – dei sopralluoghi, seppure, Presidente, questi sopralluoghi, almeno uno, risalgono ad oltre otto mesi prima del delitto. Per spiegare come la situazione rimanga immutata, sempre sotto traccia. Non si sa quale sarà la scintilla, e questo è. Quindi noi abbiamo la prova che Belfiore studiava per uccidere Caccia, studiava per partecipare all’uccisione di Caccia.

 

Presidente, noi abbiamo anche l’elemento postumo che ci consente di chiudere il cerchio sulla posizione di Belfiore perché, oltre a sapere che si adoperava per studiare l’uccisione di Bruno Caccia, da Francesco Miano sappiamo che in colloqui avuti con lui si assume la responsabilità del delitto.
 

Presidente, è inutile, è sbagliato essere ipocriti, io confesso che ho letto tutte le trascrizioni delle registrazioni inutilizzabili fatte da Belfiore in carcere. Vi mentirei se vi dicessi “no, non le ho lette”, perché mi direste “Avvocato, sta dicendo il falso”. Chiunque le ha lette. Presidente, non c’è dubbio, io non ho ragione di dubitare sulla trascrizione, sulla genuinità, mettiamole fuori dal novero delle ipotesi possibili quelle teorie, la frase detta da Francesco Miano “Per l’omicidio Caccia dovete ringraziare solo me” anche nei libri lo si legge. In quelle registrazioni non è che io sia riuscito a trovarla, è però vero che in quelle registrazioni si leggono delle espressioni di Domenico Belfiore che parlano dell’omicidio Caccia come di una cosa alla quale ha partecipato. Questo è indubitabile, ma questo è anche inutilizzabile. Noi abbiamo la prova dichiarativa di Francesco Miano, che è in qualche modo confermativa di quel dato.
 

Presidente, però c’è una cosa sulla quale la sentenza Belfiore non ha riflettuto e che è una cosa che poi ci illuminerà anche sulla posizione di Schirripa. Presidente, Belfiore non ha fatto a nessuno i nomi degli esecutori. Cioè, nella ricostruzione di quella sentenza Belfiore, il dominus, lo stratega, il decisore, l’onnipotente criminale che ha deciso la morte del Procuratore della Repubblica da solo, così si dice in quella sentenza, però parlando con Miano in carcere si assume la responsabilità, ma… e, Presidente, l’ha detto anche Miano, “Io in continuazione pressavo per avere informazioni” e lì Belfiore mostrò meno acume di quanto gliene si sarebbe dato nel leggere delle altre cose, perché era palese che Miano era eccessivo nelle domande su Caccia. Però, nonostante le insistenti e continue domande di Miano, Belfiore non fa i nomi dei killer, dei due che a bordo della Fiat 128 avevano sparato a Bruno Caccia. Presidente, due sono le cose: o li sa e li tace, oppure ha avuto un ruolo gregario e non ha neanche certezza di chi è stato. Ma prendiamo l’ipotesi più semplice, li sa e li tace, però mettiamoci nei panni di Domenico Belfiore. Cioè, c’è una risposta logica, accettabile nel comportamento di Belfiore che parlando con Miano si assume la responsabilità del delitto e contestualmente protegge, lui che è il mandante, si scopre, e protegge la figura che ordinariamente è di più basso rilievo dei killer? Presidente, li abbiamo fatti tutti i processi per mafia, certe volte non vengono detti i mandanti perché sono nomi off limits, ma gli esecutori materiali non c’è ragione di proteggerli, non ce n’è. La logica non trova residenza in questa ricostruzione perché, Presidente, se l’ipotesi è, ed è obiettivamente un po’ abborracciata, il 26 giugno 1983 Belfiore, decisosi finalmente dopo oltre un anno a fare uccidere Bruno Caccia, trova il personale a sua disposizione, la manovalanza a sua disposizione, la prima che trova, col rischio che l’omicidio del terzo livello fallisca, perché anche questo, le massime di esperienza le dobbiamo utilizzare, si vuole che l’omicidio del Procuratore della Repubblica venga esecutivamente commesso come sparatori dai primi due killer che passano? Anche questo sarebbe un unicum, sarebbe un unicum rispetto agli omicidi delle guerre di mafia, rispetto all’omicidio del Procuratore della Repubblica è un unicum devastante, ma la tesi è quella: trova il personale di cui dispone in quel momento, Pavia si è allontanato, Barresi è in carcere, tutti quelli che possiamo troviamo, andiamo, controlliamo il territorio, perché su questo non posso che dare ragione al Pubblico Ministero che ha esperienza. E’ ovvio che l’omicidio non è stato compiuto dai due che sedevano sulla Fiat 128 e basta, questo è ovvio. E per quale motivo bisognava essere così sciagurati? Ma se così era scellerata la logica criminale di Belfiore in quel momento, ma per quale motivo non doveva dire a Miano “sono stati Tommaso De Pace e Rocco Schirripa a sparare a Bruno Caccia?” Per quale motivo? “E’ stato Vincenzo Pavia. E’ stato mio fratello. Sono stato io”. Per quale motivo rivendicare il mandato e nascondere i ben meno importanti killer?

 

Presidente, lo vedremo poi, perché alla fine Belfiore ha confessato, l’area di indicibile che c’è sull’omicidio Caccia. Certo è che è il suo comportamento che ci dice che c’è qualche cosa di indicibile e infatti lui per terrore, per convenienza, per possibilità di ricatto non l’ha detto. Presidente, non l’ha detto a nessuno, neanche a suo cognato Vincenzo Pavia, che era suo cognato e che ha continuato a frequentare anche dopo l’omicidio Caccia. Né noi possiamo trovare una ragione per la quale Vincenzo Pavia possa avere appreso notizie sui nomi dei partecipanti all’esecuzione dell’omicidio Caccia e l’abbia voluta tacere. Non c’è, non la si trova una ragione. Allora, Presidente, noi abbiamo due dati di fatto che sono una stella polare: l’omicidio Caccia è una cosa che sta sotto traccia perché quell’uomo è l’uomo sbagliato per gli interessi criminali e ad un certo momento viene accesa la miccia; la seconda cosa è che nessuno ha saputo dire i nomi dei partecipi all’esecuzione e soprattutto Belfiore li ha taciuti mentre confessava.
 

Presidente, non si può prendere un pezzo e l’altro no, non si può dire “è credibile Francesco Miano” e lo è, perché d’altronde quello le riunioni le aveva fatte fino a quel momento. E’ credibile Francesco Miano quando dice che Belfiore rivendicò la sua responsabilità morale, in senso giuridico naturalmente, per l’omicidio Caccia e invece non è credibile per il fatto che Belfiore, per dirla alla Camilleri, era mutangolo rispetto ai nomi dei killer. Quindi noi sappiamo che l’area di indicibile di questo delitto, il paradosso, riguarda gli esecutori. Presidente, noi questo lo dobbiamo collegare ad un altro fatto che sappiamo essere storicamente accaduto e ineliminabile dallo scenario: quel guidatore pazzo o consapevolmente impunito che anziché scappare senza farsi vedere si ferma davanti al primo testimone oculare e gli fa quella scena “bang bang”.
 

Presidente, aggiungo un’altra cosa che ha caratterizzato Belfiore. Ha presente la Corte quanto si è tentato di sostenere l’ipotesi falsa che le teorie del Difensore di Parte Civile quasi quasi erano incompatibili con la responsabilità di Belfiore e di Schirripa, i casinò che c’entrano, il riciclaggio che c’entra? Presidente, Voi avete il processo Belfiore, quegli atti erano nel fascicolo Belfiore, che uso ne ha fatto Belfiore? Nessuno. La teoria di incompatibilità? E allora Belfiore si doveva sedere da imputato e dire “signori, ma voi state facendo il processo a me quando la causale non mi appartiene, il killer è anni luce distante da me, chi l’ha mai visto Demetrio Latella? E gli interessi sono estranei a me”. L’ha fatto? No. Presidente, c’è un’ultima memoria scritta a firma di Domenico Belfiore appena prima della sentenza che firma lui e dice più cose di quelle che dicono i Difensori, ma giusto quel tema non lo tratta perché anche quel tema appartiene all’area dell’indicibile.
 

Presidente, ci sono delle altre cose. Nonostante si sia tentato di far dire alla sentenza cose che la sentenza non poteva sostenere, cioè che si erano fatte tutte le verifiche possibili su tutto ciò che riguardava i casinò, Latella, le altre ipotesi per nulla incompatibili con Belfiore, la sentenza questo non lo poteva dire. Non lo poteva dire perché avrebbe detto un falso, perché c’è qualcuno che ha ricevuto una comunicazione giudiziaria diverso da Domenico Belfiore, Placido Barresi, Mario Ursini e Gianfranco Gonella? No. Latella è stato iscritto solo il 2 luglio 2015 sul Registro degli Indagati della Procura di Milano, solo dopo l’intimazione del Procuratore Generale di Milano, ma all’epoca si sosteneva che era uno di quelli che avevano sparato e non ricevette neanche la comunicazione giudiziaria. Si fece arrestare. Presidente, Voi avete in atti per che cos’era latitante, quali erano le pendenze a suo carico: sequestro con morte del sequestrato di David Beisac(?) 1978; sequestro Egro 1983, lasciamo perdere il sequestro Mazzotti per il quale ingiustamente ha ottenuto l’impunità. Lui sceglie di andarsene in carcere come se sapeva che quella era la scelta migliore per lui, come se potesse prevedere che ad un certo punto avrebbe ingiustamente ottenuto dei benefici, posto che della carcerazione se la doveva fare per forza. Però giusto lui non viene portato a Le Nuove a Torino nonostante era l’unico il cui nome era indicato come killer nel fascicolo.

 

Presidente, le ho detto che vedremo che il canone, come nelle commedie di Plauto, il canone sempre quello è, cambiano i nomi. Presidente, il processo Schirripa ha lo stesso canone. Certo è che si è consegnato e non è stato registrato. Presidente, quel fascicolo più lo guardo, i 23 faldoni del processo Belfiore, e più rimango sgomento dalle inerzie della Magistratura milanese, perché vi devo rimandare ad uno degli ultimi faldoni, faldone 19, pagina 705. Troverete un atto composto di due pagine, è un’annotazione senza firma, non sappiamo chi l’ha fatta. E’ dattiloscritta, però non sappiamo chi l’ha fatta. Io so cosa c’è a monte, ma lo so per mia scienza privata. Quello che c’è in quelle due pagine che concludono il faldone 19 è un’annotazione su dichiarazioni del genero di Bruno Caccia, il quale spiega a non si sa chi, o meglio, io lo so, ad un Magistrato torinese, a quel Magistrato torinese. L’atto è una nota anonima e dice “Guardate che negli ultimi tempi di vita di mio suocero sono stato riavvicinato da una mia vecchia conoscenza catanese – perché in adolescenza era stato a Catania – e un uomo che lavora all’IBM, e che si dice legato a Benedetto Santapaola, mi aveva cominciato a fare domande su mio suocero. Io avevo pensato che fosse un gradasso, uno che dava aria ai denti piuttosto che parlare”, e gli aveva rivolto domande anche sulle abitudini di vita di Bruno Caccia. C’è anche il nome di questo che è diventato il più alto dirigente dell’IBM al nord Italia. C’è il nome, non è stato fatto nessun accertamento. E, Presidente, ma perché appena spunta Catania deve scomparire tutto come per un sortilegio? Perché l’appunto Mariani sappiamo cos’è: 1 novembre 1983, le notizie raccolte da quell’ufficiale della Guardia di Finanza. 19 punti, il diciannovesimo è l’omicidio Caccia. Ma guardate il punto 5, si parla di riciclaggio di soldi della mafia all’IBM. Ora, doveva venire il più mediocre degli Avvocati d’Italia a 30 anni di distanza dal delitto a saper leggere l’italiano alle volte zoppicante di certe annotazioni? Oppure, Presidente, c’è stata una scientifica azione selettiva perché doveva lasciarsi solo un albero. Mi si dica qual è stato l’accertamento fatto, non sono state neanche raccolte a verbale le dichiarazioni del genero di Bruno Caccia, così come quelle del figlio. Non c’è un verbale. Io so per scienza privata che quelle cose le aveva riferite a un Magistrato, compaiono in una nota anonima scritta da qualche Maresciallo di Caserma. Presidente, questa è la giurisdizione milanese?

Presidente, ogni volta che leggo quei 23 faldoni ne scopro una nuova, e lo dico per i Giudici Popolari ancora di più che per i Giudici Togati, l’avevo scritto nella denuncia alla Procura della Repubblica di Milano, “Guardate che quegli affari sono così ingenti e coinvolgono così tanto assetti criminali importantissimi che si può arrivare all’uccisione di Magistrati perché ciò era già accaduto”. Presidente, un altro dei buchi neri della giurisdizione milanese. Ma il tentato omicidio Selis, archiviato, se l’è fatta da solo l’autobomba? Sei mesi prima dell’omicidio Caccia il Pretore che indagava sul casinò di Saint Vincent. Scusate, ma questa ve la devo leggere. Sappiamo che l’11 novembre del 1983 c’è il blitz di San Martino, lo sappiamo tutti, vengono fatti ad opera soprattutto della Procura di Milano e anche in parte della Procura di Torino gli arresti per le scalate mafiose ai casinò e vengono arrestate tante persone. Vengono anche sequestrati dei documenti. Voi avete il verbale di Giovanni Selis, 15 gennaio 1983 al Pubblico Ministero di Milano. Spiega qual è la causale secondo lui del delitto, spiega che dopo l’attentato del 13 dicembre 1982 cercano di ucciderlo a casa, scrive i nomi dei soggetti che l’hanno minacciato, tutti coinvolti negli affari mafiosi del casinò di Saint Vincent. “Ricordo molto bene che l’Avvocato Valentini, dopo aver preso visione dei miei provvedimenti di rigetto, venne a protestare così vivacemente nel mio ufficio, talché io testualmente e con voce adirata gli dissi ‘ma questa vuole essere una minaccia?’” Avvocato Giuseppe Valentini, ricordatevelo. Come si conclude quel verbale, Presidente? “Dopo l’attentato ai miei danni mi telefonò il collega Marcello Maddalena, Sostituto Procuratore di Torino, chiedendomi un colloquio riservato in quanto aveva appreso dai giornali che fra le varie indagini mi occupavo anche dei prestasoldi operanti presso la casa da gioco. In esito a questo colloquio da me avuto nel suo ufficio di Torino, mi sembra il giorno 23 dicembre, sono legato al segreto istruttorio. Posso però affermare che potrebbe sussistere un collegamento tra le mie indagini e quelle del collega Maddalena aventi ad oggetto riciclaggio di denaro proveniente da sequestri di persona”. L’uomo che verbalizza non è un pazzo e verbalizza in vita di Bruno Caccia. Secondo il dogma che impregna quella sentenza logica vuole che Bruno Caccia come minimo sia stato consapevole che il 23 dicembre Selis veniva riservatamente sentito da Marcello Maddalena alla sua Procura e non occorre per me andare a citare Selis che, poiché non fu sentito dai Magistrati sull’omicidio Caccia, lo disse ai giornali.
 

Vi ricordate l’Avvocato Valentini? Bene, viene arrestato l’11 novembre del 1983 da Milano però. Viene arrestato anche Bruno Masi, che era il capo del casinò di Saint Vincent. Viene sequestrata anche una corrispondenza, la trovate al faldone 1. Alla pagina 567 c’è una lettera mandata dall’Avvocato Valentini a Bruno Masi. L’Avvocato Valentini curava gli interessi di una delle cambiste usuraie del casinò di Saint Vincent che recuperava i propri crediti con il braccio armato della mafia. Si chiamava Gisella Nardi. L’Avvocato Valentini interviene presso Masi, che la vuole allontanare dal casinò, per farla rimanere. Erano due i cambisti mafiosi: Gisella Nardi ed Armando M., cointeressati in quel momento anche alla occupazione del casinò di Sanremo. E che cosa scrive l’Avvocato Valentini il 13 ottobre del 1983 a Bruno Masi? “Colgo l’occasione per comunicarle unicamente per sua informativa che ieri ho ricevuto inaspettatamente la visita del signor Saro Cattafi, il quale si è preoccupato a notiziarmi di avere avuto da lei l’impegno preciso ed inderogabile di autorizzare suoi amici ad essere ammessi all’interno delle sale da gioco del casinò de la Vallée con la esclusiva funzione di prestare denaro a giocatori e ciò in cambio di un non precisato favore da lei richiesto e dal signor Cattafi esaudito”. Non precisato favore. “Tale informativa mi ha sorpreso e perché non sono interessato in tale attività e perché non ho motivo di essere aggiornato di quanto ella ritenga di fare nella gestione della casa da gioco e nel particolare settore dei finanziamenti privati estranei all’ufficio fidi”. Bruno Masi gli risponde “Quanto al Cottafi – sbaglia appositamente il nome e vi spiego perché appositamente – non credo di averlo mai conosciuto”, sennonché viene arrestato, leggetevi il verbale dell’1 marzo 1984, lo aveva ben conosciuto. Aveva ben conosciuto Cattafi e tanti altri. E in quel verbale che cosa dice Bruno Masi? Che aveva il terrore di essere perseguito dalla Procura di Milano per il tentato omicidio Selis e per l’omicidio Caccia. E qui che cosa scrive l’Avvocato Valentini? “E ciò in cambio di un non precisato favore da lei richiesto e dal signor Cattafi esaudito”. Voi come lo interpretate? Secondo me quel “non precisato favore” può alludere ragionevolmente solo a due cose: o il tentato omicidio Selis o l’omicidio Caccia, non si scappa. Infatti di che cosa era preoccupato in quel momento Masi? Di essere coinvolto in questo.
 

Presidente, si dice: cos’è cambiato con l’omicidio Caccia? Il blitz di San Martino sarebbe stato altro perché, a meno che qualcuno non voglia mentire, se non fosse stato ucciso Bruno Caccia voglio vedere come Francesco Di Maggio diventava il dominus di quella operazione. Sarebbe stato sbattuto fuori dall’ufficio di Bruno Caccia, come altri. E quali sono stati gli effetti, Presidente? Che taluni, io per questo avevo fatto quelle richieste di produzione, nei processi per i casinò anziché essere imputati, arrestati, furono testimoni, ad esempio Rosario Pio Cattafi, ad esempio Franco Mariani, cioè l’autore di quell’appunto famoso. E’ l’area dell’indicibile che quindi non andava in nessun modo verificata ed è l’area che si comincia a coagulare esattamente quando Demetrio Latella sceglie di andare deliberatamente in carcere ed è l’area che comincia a coagularsi quando parte l’operazione Miano con il registratore del SISDE.
 

Rimane fermo che Domenico Belfiore si è adoperato per studiare l’uccisione di Caccia e post delictum l’ha rivendicata alla sua responsabilità. Presidente, interpretiamo per bene quel “Dovete ringraziare solo me”, perché se era una cosa pacifica non c’era ragione di dirlo. Cioè, se l’omicidio di Bruno Caccia era stato voluto solo da Domenico Belfiore ma che bisogno c’era di dire a Francesco Miano, che non era proprio una pulsella virginea, era un criminale persino peggiore di Belfiore, “Dovete ringraziare solo me?” Perché, Presidente, c’è l’area dell’indicibile che può essere interpretata in due modi, ma più probabilmente in questo caso i due modi convergono: uno, “non si può dire altro”; due, “me lo prendo tutto io il merito parlando con Miano. Divento io il portatore unico di quelle conoscenze che sono troppo pericolose e soprattutto danno possibilità di ricatto”. Presidente, c’è stato pure un testimone, due anzi, Luigi Incarbone e Canu, i quali dicono… Luigi Incarbone che dice “Ero in cella con uno dei dirigenti del casinò di Saint Vincent e mi ha detto che sono stati loro a volere l’omicidio”, non dice chi è stato perché non lo sa. Presidente, è stato sentito nel processo Belfiore? No, non è stato citato come testimone nemmeno dalla Difesa, perché è l’area dell’indicibile. Il paradosso, Presidente, è che se noi andiamo ad individuare quali sono le lacune dell’Accusa del processo Belfiore e le lacune della Difesa del processo Belfiore coincidono. Perché è ciò che Voi dovete scrivere in sentenza.
 

Presidente, in quel processo naturalmente se ne fa tanto battage propagandistico, però a Moschella una comunicazione giudiziaria non è mai arrivata. Si sono fatte perfino le dichiarazioni all’ANSA da Procuratore Generale, magari tra poco le sentiremo pure in sedi istituzionali, ma davanti all’Autorità Giudiziaria mai. Aggiungo, Presidente, per dovere di onestà intellettuale, che tra le cose che il Rasoio di Ockham impone di cancellare non mi si dica che Francesco Vanaria sia una fonte utilizzabile a carico di Domenico Belfiore, perché io ne ho fatti tanti processi e Francesco Vanaria se Voi fate una ricerca compare nell’omicidio Dalla Chiesa, si propone come Testimone inventando balle; compare nell’omicidio Fava, si propone come Testimone inventando balle; compare nell’omicidio di Beppe Alfano, si propone come Testimone inventando balle. Presidente, poiché ci sono state e ci sono giurisdizioni ad altre latitudini che in materia di criminalità organizzata sono state superiori, la posso utilizzare come fatto notorio giudiziario la sentenza della Corte d’Assise di Palermo del 16 dicembre 1987, il maxiprocesso? Leggetevi cosa dice di Vanaria e di come sia stato veramente pazzesco che due anni dopo la Corte d’Assise di Milano ancora lo coltivasse come fonte a carico. Presidente, rimane l’imperiosa lacuna che non riguarda il casinò di Saint Vincent, perché anche qui era la lettura atomistica che impediva di guardare il tutto, ma in realtà dalle risultanze che Voi avete si capisce che lo scenario ingloba tutte le mafie e tutti i casinò del nord Italia e della Costa Azzurra. Purtroppo non mi è stato consentito di fare entrare dei dati in questo processo, ma si sarebbe avuta la prova che soggetti vicini a Domenico Belfiore, a Demetrio Latella, a Cattafi avevano occupato tutti i casinò, tutti, alcuni direttamente. Il mafioso corso Jean-Dominique Fratoni si era appropriato ufficialmente con i soldi della P2 del casinò Ruhl di Nizza. Gli operatori che riciclavano i soldi dei sequestri di persona, amici del gruppo Belfiore, del gruppo Miano, del gruppo Santapaola, del gruppo di Luigi Miano, uno riciclava anche i soldi del sequestro Mazzotti, Francesco Russello, e li riciclava ai casinò di Sanremo, operando con Calabrò e Condoluci, e anche della Costa Azzurra, solo che grazie a quella dolosa inerzia tutto questo è rimasto fuori da ogni accertamento processuale non solo dell’omicidio Caccia, ma perfino del famoso processo Costioli Sergio più altri che alla fine tanto fu fatto bene che portò perfino all’assoluzione di Benedetto Santapaola. Dopodiché si arrivò a mettere un tappo perché la condanna del solo Belfiore, albero solitario in luogo del bosco, consentiva nelle previsioni di qualcuno di mettere a tacere tutto su ciò che era stato l’omicidio Caccia e anche in questo c’è stata una coerenza costante. Presidente, sempre quel Magistrato si permise di sollecitare i familiari di Bruno Caccia a non costituirsi Parte Civile contro Domenico Belfiore, ma per quale motivo una cosa del genere? Il principe dei buoni, per quale motivo se non perché il vaso di Pandora doveva rimanere chiuso ermeticamente? E quindi i familiari di Bruno Caccia non dovevano neanche fare domande scomode che facessero balenare qualche cosa che non poteva essere detto.
 

Presidente, per 30 anni, anzi per 20 anni dopo la condanna di Domenico Belfiore nulla fu detto, eppure si pente il cognato di Belfiore che oggi, anno 2017, viene utilizzato correttamente dal Pubblico Ministero di questo processo come perno dell’accusa a carico di Schirripa e incidentalmente di Belfiore, ma quel signore le sue dichiarazioni le aveva fatte 20 anni fa e sappiamo con quale difficoltà perché ce l’ha detto lui. L’attendibile Pavia ha spiegato che… Voi avete in atti tutti i verbali di Pavia e avete anche il verbale di interrogatorio surreale, vado a memoria, 24 luglio 1996 davanti alla Dottoressa Loreto, la quale gli chiede il conto a Pavia, posto che il primo verbale dice “Non voglio parlare dell’omicidio Caccia perché se parlo dell’omicidio Caccia sono cose pericolose, devo parlare anche di Magistrati e ufficiali dei Carabinieri”. Questo dice, verbale del 5 dicembre 1995, in Svizzera. Ad un certo punto finalmente in un verbale ormai da collaboratore di giustizia ufficiale, ve l’ha spiegato il Pubblico Ministero che già a giugno aveva rotto ogni indugio e il 24 luglio un Pubblico Ministero fa il suo lavoro e gli chiede “Ma, signor Pavia, lei che cosa intendeva con questa affermazione?” Presidente, non penso che ci volesse il grande investigatore. E qual è la risposta? L’indicibile. “Ho già spiegato tutto al Dottor Maddalena”. Cioè, non si risponde. Lì la Dottoressa Loreto sbagliando, il Pubblico Ministero, credo che sia la Dottoressa Loreto, anzi sono pressoché sicuro, sbagliando, perché “Va be’, l’hai detto al Dottor Maddalena e ora me lo ripeti. Che volevi dire?” Così avrebbe fatto il Pubblico Ministero di questo processo. No, si chiude lì. Noi sappiamo da Pavia qual è l’occasione delle spiegazioni e noi abbiamo pure il verbale, perché il diavolo fa le pentole ma i coperchi… e in tutti i verbali di Pavia, tutti, ce n’è uno solo in cui compare Francesco Marzachì, uno. Anche qui vado a memoria, 28 giugno 1996. Uno solo e c’è il Dottor Maddalena. Nel verbale non c’è scritto Bruno Caccia, non c’è. Noi sappiamo quello che ci ha detto Vincenzo Pavia e cioè “Ho visto Marzachì, ho alzato le mani e mi sono ammutolito”. E allora certo che non sconvolge che essendo questi i fatti, i presupposti, si è finiti con l’archiviazione. Perché, Presidente, quali erano le pulsioni? E badate che nella rappresentazione di Vincenzo Pavia Voi Giudici Togati e noi operatori processuali lo sappiamo che non ha detto un fuor d’opera, perché se avesse detto “si presentò il Dottor Caselli con Francesco Marzachì” era inverosimile, lo sappiamo, lo sa il Pubblico Ministero più di tutti. No, dice i nomi giusti, il Procuratore della Repubblica e il Procuratore della Repubblica aggiunto, quelli. Finisce con l’archiviazione.
 

Presidente, Voi sapete come si è arrivati a quella archiviazione, era l’omicidio del Procuratore della Repubblica di Torino. Quante volte sulla cronaca giudiziaria vi capita di leggere: aperta indagine perfino sull’omicidio di Salvatore Giuliano e lo scambio del cadavere? Sull’omicidio del Procuratore Caccia, damnatio memoriae, non se ne deve parlare e va archiviato, e così finisce. Nessuno è scontento, nessuno. I familiari non sanno nulla e il silenzio perdura. Perdura fino a quando, già questo ve l’ho detto la volta scorsa, a gennaio del 1983 i figli di Caccia urlano pubblicamente e fanno un appello alla loro città “Per favore aiutateci a scoprire tutta la verità, perché quella non è tutta, sull’omicidio del Procuratore della Repubblica di Torino” e da lì ne è nato il procedimento a carico dell’odierno imputato. Io interromperei qui per riprendere e poi concludere.

PRESIDENTE – Quanto pensa di…?

AVV. REPICI – Due ore e mezza – tre ore e poi sicuramente completo.

PRESIDENTE – Ci vediamo alle 14:00.

SOSPENSIONE

PRESIDENTE – Prego, Avvocato.
 

AVV. REPICI – Grazie, Presidente. Dicevamo che con l’appello alla città del gennaio 2013, e non 1983 come erroneamente avevo detto prima della pausa, nascono gli eventi che portano all’odierno processo. Voi avete le risultanze di come si sono sviluppati i fatti dell’odierno processo in base ai Decreti autorizzativi delle intercettazioni e in base alla deposizione dell’Ispettore Massimo Cristiano della Squadra Mobile di Torino, acquisita così come confermata, sentito dal Pubblico Ministero nella fase delle indagini di questo procedimento. Sapete quindi che la notizia di reato sul Modello 21 della Procura di Milano venne iscritta con le modalità che vi ho già illustrato il 2 luglio del 2015, a quasi due anni dalla prima volta in cui avevamo denunciato nominativamente Rosario Pio Cattafi e Demetrio Latella. A quel punto, Presidente, si giurisdizionalizza finalmente la vicenda dell’omicidio Caccia nel terzo millennio.
 

Noi sappiamo, per come riferito dall’Ispettore Cristiano, che anche in questo caso l’andamento è stato un po’ anomalo rispetto alla prassi e all’ordinario corso delle cose per come lo conosciamo. Questo a Voi non risulta, ma risulta agli atti del fascicolo del Pubblico Ministero che dopo l’iscrizione della notizia di reato viene fatto un solo atto di indagine che consegue alla denuncia sporta alla Procura di Milano ed è l’audizione di un Testimone, Giudice di questo Tribunale, il Dottor Canali, sentito davanti al Pubblico Ministero dal sottoscritto Difensore in indagini difensive ai sensi dell’articolo 391 bis, comma 10, del Codice di rito. A parte questo nelle indagini non c’è un solo atto, uno, che riguardi la posizione di Cattafi e Latella che erano gli unici due indagati.
 

Voi sapete, perché l’ha riferito l’Ispettore Cristiano, che le indagini si avviano in modo informale ed è anche questo, Presidente, un unicum, la prima volta che mi capita di vedere. Anziché, come ordinariamente accade, una Procura della Repubblica conferisce una delega di indagini a un reparto di investigazioni, come capita dappertutto, in tutta Italia, e per qualunque fatto di reato, in questo caso dopo annose lentezze, ed è il caso di dire annose, si procede in via informale. Sappiamo che c’è una riunione della Polizia Giudiziaria con il Pubblico Ministero, con il Pubblico Ministero che gli va dato atto di aver curato il fascicolo dall’inizio fino ad oggi, a differenza di chi invece spende la propria presenza solo in conferenze stampa, lasciando poi la responsabilità ad altri.

 

Sappiamo che c’è un accordo informale con la Polizia Giudiziaria non di questa città, ma della città di Torino, la Squadra Mobile. Sappiamo anche, questo è un dato che risulta, che nel frattempo l’11 giugno del 2015 il signor Domenico Belfiore dopo quasi 32 anni di ininterrotta carcerazione viene posto in detenzione domiciliare per ragioni di salute. Ciò però accade l’11 giugno del 2015 e noi sappiamo che l’iscrizione della notizia di reato è il 2 luglio, quindi c’è una ventina di giorni che non accende alcuna miccia nelle valutazioni della Procura della Repubblica. Dopodiché c’è un mese di inerzia formale e di riunioni informali e si arriva a sabato, vado a memoria, 31 luglio 2015. La Polizia Giudiziaria ha la fortuna di trovare il Pubblico Ministero titolare del fascicolo di turno feriale, siamo al 31 luglio, e solo in quella data deposita nelle mani del Pubblico Ministero una informativa nel procedimento che vede indagati Cattafi e Latella, con la quale informativa si chiede l’emissione di Decreti autorizzativi di intercettazioni. Sappiamo dall’Ispettore Cristiano che l’iniziativa è concordata col Pubblico Ministero informalmente, infatti l’informativa non riferisce sul documento di esito di deleghe, anche questo un unicum. Si presenta qui formalmente la Squadra Mobile di Torino e ha la fortuna di trovare in turno feriale il Pubblico Ministero.
 

Presidente,  mi  permetto  di  osservare  un  altro  unicum  di questo processo: per la prima volta in un processo per un delitto così grave il capo dell’ufficio investigativo non viene sentito, mai successo. Non lo si fa neanche nei processi per mera imputazione di associazione mafiosa. Il dirigente dell’ufficio viene esaminato. C’è un’area informale della quale noi non sapremo mai nulla e che avremmo potuto sapere solo dal dirigente. Appartiene anche questo all’indicibile? Certo è che appartiene al non detto e all’imperscrutabile. Certo è, Presidente, che Voi avete le richieste dei Decreti autorizzativi delle intercettazioni che hanno una data. Il calendario è l’unica cosa inemendabile, per richiamare un filosofo torinese, nei processi. E quella richiesta… Domenico Belfiore è stato scarcerato l’11 giugno, l’iscrizione a notizia di reato è 2 luglio, quindi almeno dal 2 luglio si potevano attivare intercettazioni e invece si arriva ad agosto e viene inoltrata al G.I.P. feriale la richiesta di Decreti autorizzativi. Presidente, queste cose sono risultanze documentali che a noi che siamo operatori processuali dicono tanto. E’ inutile aggiungere qualcosa, perché è già detto. Vengono autorizzate le intercettazioni e le intercettazioni chi riguardano? Belfiore e i suoi familiari, Domenico, Placido Barresi e i suoi familiari, l’imputato e i suoi familiari. Gli indagati sono Rosario Pio Cattafi e Demetrio Latella. Rosario Pio Cattafi in quel momento è detenuto, i suoi familiari no. Demetrio Latella è bellamente libero, anche da queste parti, come libero da queste parti è il suo sodale storico, “il dottorino” Calabrò. Vengono attivate in periodo feriale le intercettazioni e vengono attivati anche dei servizi di controllo.
 

Presidente, qualche anomalia nell’azione investigativa c’è stata. Noi sappiamo, perché l’ha riferito Massimo Cristiano, i Giudici Popolari non l’hanno sentito, ve lo spiegherò, in una delle prime informative della Squadra Mobile a metà agosto 2015 la Squadra Mobile di Torino scrive nero su bianco “Il signor Schirripa è stato a casa di Domenico Belfiore che era in detenzione domiciliare e che non era autorizzato a poter ricevere estranei pregiudicati” e Schirripa era pregiudicato e non è parente di Belfiore. Viene corredata questa notizia da due fotografie che rappresentano due soggetti, uno dei quali palesemente somigliante al signor Schirripa. Fino alla testimonianza dell’Ispettore Cristiano tutti coloro che avevano letto le carte senza sapere il retroscena davano per scontato che il signor Schirripa nei primi giorni di agosto era stato a casa Belfiore. L’informazione rivolta al Pubblico Ministero al tempo e naturalmente alle Parti quando furono depositati gli atti non era mai stata modificata. A dibattimento, noi ce lo ricordiamo pure dal vivo, le carte lo dicono, a dibattimento l’Ispettore Cristiano su mia domanda, perché era un fatto rilevantissimo, non autorizzato vai da Belfiore, peraltro era un fatto che rendeva passibile di revoca del beneficio Belfiore e sulle mancate revoche di benefici vedremo, l’Ispettore Cristiano mi rispose “No no, Avvocato, avevamo sbagliato, non era Schirripa”. Io gli ho chiesto esterrefatto “Ma come avete capito che non era Schirripa?” “No no no, abbiamo guardato meglio, non era lui”. “Avete accertato chi era?” “No”. “L’avete corretto questo dato falso scritto nell’informativa?” “No”. Fino all’emissione della misura cautelare e fino all’inizio del dibattimento e fino alla deposizione dell’Ispettore Cristiano la realtà delle carte era sostenuta da un falso. E queste sono le indagini di agosto 2015. Sono intercettati i telefoni, quei telefoni. Nel frattempo accade una cosa. Avete presente quello che vi dicevo l’altra volta? Purtroppo nella storia di questo paese sbandato la verità e la giustizia certe volte anziché essere obbligo delle istituzioni, assicurarla ai cittadini, se la devono cercare privatamente i familiari delle vittime. Così dice la storia, ormai è massima di esperienza.
 

Una dei figli di Bruno Caccia tanta voglia ha di ottenere la verità, perché sa che solo un albero del bosco è stato illuminato dalla fotografia, si adopera, verifica che la cosa può essere fatta e si reca da uno degli assassini di suo padre sperando che, visto che è stato scarcerato perché sta per morire, e a dire la verità per sua fortuna non è morto, prima di morire dica tutto quello che sa. Ciascuno si metta nei panni di quella donna. Vi rendete conto il carico di peso morale, che è la ricerca della verità per assicurare dignità alla memoria di suo padre, cosa la porta a fare? Il fatto avviene. Naturalmente il fatto è conosciuto dagli investigatori, perché Belfiore viene contattato telefonicamente una volta verificato presso la Magistratura di Sorveglianza che l’incontro era possibile. E l’incontro si svolge. L’Ispettore Cristiano ha testimoniato che l’incontro viene fatto oggetto di osservazione. Arriva la figlia con un altro signore, l’Ispettore prende lucciole per lanterne e dice che è un altro figlio, e vanno a parlare con Domenico Belfiore che in quel momento è intercettato e che in quel momento è nel frattempo intercettato non più solo telefonicamente, ma anche con intercettazione ambientale a mezzo del virus inoculato nel tablet di cui era in possesso. Quindi la Polizia Giudiziaria e il Pubblico Ministero potevano ascoltare ogni volta che volevano le conversazioni che avvenivano presso casa Belfiore. E’ stato detto che quella conversazione, quel colloquio non è stato intercettato, ma è stata data una giustificazione erronea, sbagliata, contraria al vero, perché si è detto “Il Pubblico Ministero ci disse che era attività d’indagine difensiva e quindi non poteva essere intercettata”. Ora, l’attività d’indagine difensiva, lo dico per i Giudici Popolari, è prescritta dalla legge nelle modalità con cui può essere eseguita e nessuna delle persone entrate a casa Belfiore aveva titolo per fare indagini difensive, come era per forza nella consapevolezza del Pubblico Ministero e della Polizia Giudiziaria. Agli atti non risulta intercettazione di quella conversazione, seppure poi, forse con disdoro di qualcuno, parte del contenuto di quella conversazione Domenico Belfiore in un colloquio intercettato sul balcone con Placido Barresi lo riferisce a suo cognato e in quella occasione chi ascolta apprende che anche il Difensore dei figli di Caccia sta verificando la possibilità di raccogliere formalmente le dichiarazioni di Domenico Belfiore. Non lo faceva nessuno, l’avevamo chiesto pure che venisse espletato un incidente probatorio, Presidente. Il Pubblico Ministero non aveva avanzato la richiesta, secondo noi esistevano i presupposti di legge, nell’inerzia degli altri cerchiamo di attivarci per come la legge consente. E Voi sapete dalle intercettazioni che Placido Barresi, il cognato di Belfiore, sollecita Domenico Belfiore a non rendere dichiarazioni all’Avvocato dei figli di Caccia.
 

Il Pubblico Ministero vi ha riletto parte di quelle intercettazioni, “Se il presupposto è che tu sei responsabile allora partono col piede sbagliato, quindi tu non gli devi dire niente”. Quello è un presupposto di diritto ineludibile, c’è una sentenza passata in giudicato che dice che Belfiore è stato condannato.
 

Qual è il punto, signor Presidente? Alla fine i nodi vengono al pettine e c’è sempre un momento in cui le cose si possono dire nel dovere di parresia, perché in questo procedimento avviene un fatto unico. Molto spesso ci sono nei processi lettere anonime, spesso. Spesso i delinquenti scrivono lettere anonime per depistare, come le telefonate false a nome delle Brigate Rosse. Vi ricordate? Ce ne sono state otto fin dall’immediatezza del delitto. Il testo di una sarebbe stato sequestrato a casa di Rosario Pio Cattafi, secondo quel Testimone che non è stato tacciato di falsità dalla Procura della Repubblica che se lo tiene come Giudice del proprio Tribunale. Dobbiamo dare per scontato che quella non è un’affermazione falsa. Esistono le lettere anonime nei processi.
 

Presidente, chi è appassionato di Sciascia sa che uno dei più bei libri parte proprio dalla lettera anonima, dalla ricezione della lettera anonima. Unicuique suum. In questo procedimento avviene il contrario, non sono i ladri che scrivono le lettere anonime alle guardie, sono le guardie che scrivono le lettere anonime ai ladri e accade quindi che – e l’Ispettore Cristiano indica anche non la data, e questa è una cosa grave e grossolana, ma indica il periodo – la Polizia, Squadra Mobile di Torino, concordando con la Procura della Repubblica di Milano invia quel famoso testo anonimo a varie persone: Domenico Belfiore, Giuseppe Belfiore, Placido Barresi e Rocco Schirripa. Il foglio è la stampa, un articolo de La Stampa, giornale torinese, del 5 marzo 1987 che dava notizia della esecuzione dell’ordine di cattura firmato dal Pubblico Ministero Di Maggio nei confronti, tra gli altri, di Domenico Belfiore ed è accompagnata da questo messaggio che, pur fatto da Pubblici Ufficiali, è una minaccia. La struttura ontologica è quella del 612, “Omicidio Caccia, se parlo andate tutti alle Vallette. Esecutori Domenico Belfiore, Rocco ‘barca’ Schirripa. Mandanti Placido Barresi, Giuseppe Belfiore, Sasà Belfiore”. Ora, dicevo che i nodi vengono al pettine. Presidente, quella lettera anonima viene mandata su accordo fra Polizia Giudiziaria e Procura della Repubblica quando essi sanno che il Difensore dei figli di Caccia tra un po’ andrà a casa di Domenico Belfiore. E Domenico Belfiore riceve questo documento. Essi sapevano che ci sarebbe stato questo incontro, Presidente. E’ dal giorno di quella conferenza stampa che aspettavo il momento giusto per dirlo, perché è accaduta una cosa davvero inenarrabile per i tempi della scelta, perché io devo essere grato all’intelligenza criminale di Domenico Belfiore che, anziché pensare che quella iniziativa fosse opera di qualcun altro in contemporanea con la mia visita a casa Belfiore, pensò bene che era stata la Polizia a mandare quella lettera anonima. Ora, quando io lessi quelle intercettazioni pensai che se uno avesse fatto questa riflessione all’epoca, che ne so, delle telefonate anonime, le Brigate Rosse o di altri documenti anonimi, avrebbero fatto un trattamento sanitario obbligatorio uno che avesse pensato “è la Polizia che manda le lettere anonime ai mafiosi”. Per fortuna era la verità e per fortuna, per mia fortuna, Domenico Belfiore interpretò bene ciò che stava accadendo.
 

Ora, Presidente, io avevo parlato di un canone, a distanza di tre decenni si è ripetuto il canone. Canone Belfiore, delega di indagini al mafioso Francesco Miano, registratore per cristallizzare le prove. Poi in realtà cristallizzazione sostituita dalle dichiarazioni di Francesco Miano. Procedimento che ha portato all’attuale processo, c’è un nuovo Francesco Miano e vedremo chi è. Il registratore, lo stimolatore che serve per far cristallizzare prove è la lettera anonima.
 

Ora, l’ho già detto prima, Presidente, non c’è dubbio che ci sono le prove che attestano la responsabilità, la corresponsabilità del signor Schirripa per l’omicidio Caccia. Però in sentenza Voi a una domanda dovete rispondere. In quel momento ci sono delle persone intercettate e una no, Demetrio Latella non è intercettato per scelta del Pubblico Ministero. Demetrio Latella non riceve lettere anonime. L’Ispettore Cristiano sulle mie domande spiega che il contenuto della lettera anonima è stato concordato col Pubblico Ministero, essi sapevano che Latella era indagato e gli ho chiesto “Come mai non vi è venuto in mente di mettere anche il nome Latella per vedere l’effetto che fa?” “No, abbiamo parlato col Pubblico Ministero e abbiamo ritenuto che non era opportuno”. Presidente, ma non se ne potevano fare due? Cosa impediva di mandare la lettera anonima e scrivere “Esecutore Demetrio Latella?” Cosa? Cosa impediva di intercettare uno dei due indagati per l’omicidio? Di nuovo la stessa scelta di tre decenni fa: bisogna prendere solo un albero, non tutto il bosco. Di nuovo.
 

Presidente, Schirripa c’è cascato e vedremo come e perché. Ma col sistema con cui è cascato Schirripa meritatamente, l’ha detto il Pubblico Ministero che ci sono almeno cinque – sei responsabili dell’esecuzione materiale del delitto, bene, almeno quattro – cinque sarebbero cascati con lo stesso sistema, ma si è scelto l’albero Schirripa.
 

Ci sono le intercettazioni con il virus, l’unico che non poteva essere intercettato con il virus era Schirripa. Per intercettare con il virus Schirripa ci voleva un aiuto, – volontario o involontario, ma vedremo – ci voleva un aiuto, cioè qualcuno che, munito di un apparecchio intercettato col virus inoculato, parlasse con lui, perché altrimenti lui mai sarebbe stato intercettato posto che lui mai è andato a casa Belfiore.
 

Presidente, il Pubblico Ministero vi ha fatto un’analisi puntualissima per la gran parte delle intercettazioni. Prima valutazione, se a chiunque di Voi arrivasse una lettera anonima in cui vi si accusasse dell’omicidio Caccia o degli omicidi del mostro di Firenze o di qualsiasi altro grave delitto e foste intercettati la vostra reazione sarebbe “questo è pazzo”, ovviamente. Intercettati con i vostri amici, direste “ma questi sono pazzi, guarda che c’è gente folle, – senza sapere che era la Polizia – c’è gente folle in giro che mi manda queste lettere anonime”. Ora, in tutte le conversazioni intercettate di Domenico Belfiore, di Placido Barresi e per la piccolissima porzione che riguarda Schirripa non c’è una sola reazione di questo tipo da parte del signor Schirripa.
 

Presidente, aggiungo una cosa, di esecutori ne vengono indicati solo due e addirittura uno coperto dal giudicato. Il presunto mandante Domenico Belfiore viene sostituito nel ruolo di mandante da Placido Barresi, Giuseppe Belfiore e Salvatore Belfiore, tutto in famiglia. Il grande mandato del delitto di terzo livello l’avrebbero deciso Placido Barresi, Giuseppe Belfiore e Sasà Belfiore. Ma viene indicato, e la scelta di due soli nomi come esecutori materiali è evocativa, basta leggere l’ordinanza di custodia cautelare per dire quanto fosse evocativa nelle idee di chi scriveva quelle lettere anonime, perché nell’ordinanza di custodia cautelare, lo sappiamo, addirittura si arriva ad alludere alla possibilità che uno dei due killer, dei due che hanno sparato, chi è? Il mandante Domenico Belfiore. C’è scritto così nell’ordinanza che Voi avete in atti. Dal produttore al consumatore, però tutti in un ciclo che ritorna al punto di partenza.
 

Presidente, Voi avete anche la data della prima richiesta in cui il cognato di Domenico Belfiore, Placido Barresi, decide di farsi autorizzare per andare a trovare il cognato. Voi sapete che Domenico Belfiore è stato scarcerato perché si dice “è in fin di vita” e viene scarcerato l’11 giugno. Non è che gli voglia proprio bene Placido Barresi che al moribondo decide di far visita dopo oltre due mesi e mezzo. Certo, c’è una curiosa, mi rendo conto che è solo suggestione, ma mi rendo conto che non c’è nulla che la smentisca la suggestione, quando una dei figli di Bruno Caccia sta per andare a far visita, e gli investigatori lo sanno e se faccio questa affermazione so di poterla fare, contestualmente Placido Barresi fa istanza al Magistrato di Sorveglianza. Naturalmente nel canone che vi avevo descritto sapete già che il Francesco Miano degli anni Duemila si chiama Placido Barresi senza il cui apporto non ci sarebbe stata manco la richiesta di misura cautelare. Non il processo, neanche la richiesta di misura cautelare, forse nemmeno l’iscrizione del signor Schirripa, come è ovvio a tutti. Cominciano a parlare commentando le lettere anonime, che è più corretto dire la lettera anonima perché a tutti e quattro è stata mandata in modo uguale. I Giudici Popolari non l’hanno sentita la deposizione dell’Ispettore Cristiano, voglio segnalarvi una cosa alla quale non crederanno se non la leggeranno e li invito a leggerla, perché io ho chiesto all’Ispettore Cristiano “Ispettore, mi sa dire in che giorno spediste, cioè compiste l’atto da fuori classe delle investigazioni che vi hanno permesso di incarcerare Schirripa?” Risposta “Non lo so”. “Come non lo sa? Ma non l’ha mandata lei, non le ha spedite lei le lettere anonime?” “Sì, però non ho fatto neanche una relazione di servizio” in cui il Pubblico Ufficiale attestasse “Il giorno x sono andato alla Posta di e ho spedito queste lettere anonime”, tanto che in questo dibattimento il Pubblico Ministero ha avuto difficoltà a poter dire a Giuseppe Belfiore, che negava di averla ricevuta, poi c’è l’ammissione nell’intercettazione di Domenico Belfiore, ma non c’era un documento vero fino a querela di falso. Presidente, noi siamo operatori del Diritto, ma dove l’ha mai vista una cosa del genere che non si fa una relazione di servizio su una iniziativa del genere, così borderline? E non si sa neanche il giorno in cui è stata mandata per l’omicidio del Procuratore della Repubblica di Torino, non per il furto delle mele al mercato di San Donato. Eppure, e allora Presidente poi ci si spiega perché i capi degli uffici investigativi non devono deporre, deve essere sacrificato l’Ispettore che viene e fa quella figura barbina, perché veramente è un’indecenza questo aspetto dell’investigazione. Però è sicuro che l’hanno ricevuta, almeno Schirripa l’ha ricevuta, Domenico Belfiore l’ha ricevuta, Placido Barresi nelle intercettazioni si capisce e non si capisce, però qua è venuto a dire che l’ha ricevuta, a supportare nuovamente, e si deduce che Giuseppe Belfiore l’abbia ricevuta. Ne scaturiscono conversazioni e ha ragione il Pubblico Ministero, non c’è dubbio che l’unico soggetto sul quale intervengono conversazioni preoccupate dei cinque nominativi indicati nella lettera anonima, l’unico è Rocco Schirripa. E non solo lui si preoccupa unicamente di quel nome, ma sappiamo dalla deposizione di Placido Barresi, sappiamo dalle intercettazioni che Placido Barresi e Domenico Belfiore si preoccupano solo di quel nome, indubitabilmente. Si può perfino, Presidente, con tutta la malizia del caso sospettare sulla genuinità delle parole di Placido Barresi, ma su quelle di Domenico Belfiore di sicuro no e non c’è dubbio che loro manifestano paura solo sul nome di Rocco Schirripa. Manifestano preoccupazione solo su quel nome. Eppure considerate che Domenico Belfiore trova i nomi di due fratelli in quella lettera, non gliene frega niente di Giuseppe e di Sasà.
 

Nel processo Belfiore il nome Schirripa era quasi sconosciuto. Lo trovate solo nel faldone 2 dove ci sono le schede personali relative ad alcuni pregiudicati. Non a caso tra gli altri anche, perché poi ci sono davvero riflessi pavloviani nella azioni, c’è la scheda biografica di Demetrio Latella, così come c’è la scheda biografica di Giuseppe Calabrò, “il dottorino”, e il nome di Schirripa compare alla pagina 14 del faldone 2 nella scheda biografica di Placido Barresi, compare alla pagina 25 nella scheda biografica di Mario Ursini. Per Barresi compare per una tentata rapina del 30 dicembre 1980 e nella scheda biografica di Mario Ursini alla pagina 25 compare per una rapina ai danni della ditta Faciscori(?) insieme a Domenico Belfiore, Placido Barresi, Girolamo Gullace insieme a Mario Ursini, Rocco Schirripa e Giorgio De Masi. Il nome di Rocco Schirripa compare ancora alla pagina 28 nella scheda biografica di Domenico Belfiore a proposito della tentata rapina del furgone Mondialpol che Domenico Belfiore secondo quella scheda biografica avrebbe commesso con Mario Ursini, Placido Barresi, Rocco Schirripa, Giuseppe Origlia, Giorgio De Masi e Domenico Bernuccio. Non esiste da nessun’altra parte dei 23 faldoni il nome Rocco Schirripa. Questo è tutto ciò che nel processo Belfiore era uscito su Schirripa.
 

Noi però sappiamo che nel 1996 il cognato di Belfiore aveva collaborato con la giustizia e aveva indicato fra i responsabili del delitto Caccia anche Rocco Schirripa, uno dei quattro nomi che erano stati fatti. Ora, chi era Schirripa processualmente oltre a comparire negli interrogatori di Pavia? Noi sappiamo che era persona strettamente legata a Domenico Belfiore fin da almeno un anno prima dell’omicidio Caccia, perché è un anno prima rispetto all’omicidio Caccia che Domenico Belfiore fa da padrino al Battesimo della primogenita di Rocco Schirripa. Ha ragione il Pubblico Ministero a dare quel giudizio sulle parole di Domenico Belfiore, ma non esiste. Presidente, massime di esperienza ci dicono che il comparaggio attraverso il matrimonio o attraverso il Battesimo è il rinsaldamento del legame criminale negli ambienti di mafia e non è un caso che sia Domenico Belfiore a battezzare la figlia di Schirripa. Pure Domenico Belfiore aveva figlie piccole al tempo in cui si conosceva già con Rocco Schirripa, ma lì il capo, l’ufficiale, il generale rispetto a Schirripa era Belfiore. Non poteva essere Schirripa a battezzare la figlia di Belfiore, per quella al più ci sarebbe stato qualche graduato o qualche toga. Per lui ci voleva Belfiore. Ma noi sappiamo anche dalle dichiarazioni alla fine arrivate di un pentito che cominciò a collaborare con la giustizia nel 1982 e che non fu sentito nel processo Belfiore, magari avrebbe fatto il nome di Schirripa, cioè Armando Fragomeni, che parla della intraneità di Schirripa nell’aggregato criminale che vede protagonista Mario Ursini.
 

Schirripa è anche il soggetto che in anni più recenti è stato condannato con sentenza passata in giudicato per appartenenza ‘ndranghetistica, Schirripa però Voi avete… sono stati acquisiti come atti irripetibili per la sopravvenuta morte del soggetto in questione, avete anche le dichiarazioni rese in fase di indagine da Rocco Piscioneri e, Presidente, gli alberi da bosco non crescono mai solitari. Che cosa dice Rocco Piscioneri il 30 dicembre del 2015? Voi l’avete conosciuto in questo processo Schirripa, così come me, e questa io non pensavo che l’avrei trovata nel processo a carico di Schirripa. “Ho conosciuto lo Schirripa a Torino negli anni ‘77 – ‘78 in quanto entrambi frequentavamo le bische clandestine che si trovavano nella zona di Corso San Maurizio”, e già ci avviciniamo alle carte. “Ai tempi vivevo di espedienti”, poi farà carriera e diventerà uno dei più grossi narcotrafficanti mondiali. Non Schirripa, sto parlando di Rocco Piscioneri. “Con Schirripa posso dire di essere sempre stato amico. Con lui ai tempi – quindi ‘77 – ‘78 o giù di lì – frequentavamo anche i casinò più importanti, come quello di Saint Vincent”. Dove uno poteva immaginare di trovare Rocco Piscioneri e Rocco Schirripa? A Saint Vincent. E’ il sortilegio di Saint Vincent, perché era un affare solo catanese Sain Vincent notoriamente. Questo lo dice l’amico di Schirripa, non è il Poliziotto o il Carabiniere. Ancora, noi sappiamo da Pavia che Schirripa diventa uomo particolarmente legato a Domenico Belfiore. E del resto, Presidente, anche testimonianze del tutto non ostili all’imputato ci dicono che l’imputato Rocco Schirripa con il fratello, o almeno uno dei fratelli, e l’ha dichiarato pure la sorella di Domenico Belfiore, si è impegnato nella realizzazione della famosa mansarda, regalo di matrimonio per Placido Barresi. Quindi Schirripa è in quel gruppo. Non occorrevano le sopravvenienze con le dichiarazioni di Domenico Agresta. Sappiamo cosa dice Pavia su Schirripa e l’omicidio Caccia. Non ripeto quello che vi ha riferito il Pubblico Ministero se non per correggere un dato erroneo, le presunte minacce ricevute da Remo Urani al carcere da parte di Rocco Catalano risalgono non al maggio dell’84, ma al maggio dell’86. Voi avete i registri nel processo Belfiore, perché quello che faceva Caccia non si doveva sapere, abbiamo dovuto sapere pure quello che faceva Remo Urani e ci sono i registri dei colloqui del carcere di Torino che dimostrano come il 26 maggio Remo Urani ha un colloquio con Luigi De Marco e il 31 maggio ha un colloquio con Rocco Catalano.
 

Presidente, sa perché ho detto presunte? Perché risulta dagli atti che quei colloqui sono stati fatti nella sala colloqui dei Magistrati. I Giudici Popolari sicuramente non conoscono le strutture carcerarie, noi operatori processuali sì e sappiamo che c’è un sito del carcere nel quale si trovano le sale dei colloqui dei detenuti con gli Avvocati e le sale adibite agli impegni dei Magistrati con i detenuti quando devono essere fatti gli interrogatori in carcere, quando devono essere sentiti. Quindi ci sono più sale Magistrati adibite ai colloqui o agli interrogatori, agli atti investigativi, agli atti istruttori dei Magistrati.
 

Ora, Presidente, c’è un problema grande quanto una casa che le rappresento, perché noi abbiamo i registri dei colloqui, non di Urani, di tutte le sale Magistrati. E’ certo, – purtroppo il nome Bornia richiede una certa fatica perché oltre ad essere un Pubblico Ministero è anche la vittima di un omicidio, quindi compare più volte, ma ci arriveremo – alla pagina 447 del faldone 2 ci trovate il registro dei colloqui del carcere de Le Nuove. Con Remo Urani hanno fatto colloqui De Marco e Rocco Catalano il 26 maggio 1986 dalle 10:20 alle 11:30; Luigi De Marco il 31 maggio 1986 dalle 10:15 alle 11:30; Rocco Catalano il 7 giugno 1986. Quindi sono tre i colloqui che interessano la questione. Ora, qual è il problema? Il problema è che se in una stanza, in una sala colloqui c’era Urani con De Marco e con Catalano oltre ad esserci il personale di Polizia Penitenziaria, nelle altre sale c’erano Magistrati che sentivano detenuti. Il 26 maggio ci sono in quel giorno colloqui di Dottoressa Garneri, Dottor Signorelli, Dottor Giamprotta e Dottor Perduca. Ma Voi immaginate che il Dottor Remo Urani riceva delle minacce con una porta a vetri, perché è descritta in un verbale di Urani, sul retro della quale c’è un Maresciallo della Polizia Penitenziaria indicato nominativamente, riceve delle minacce, esce da lì e naturalmente non va nella stanza accanto a parlare con il Giudice Istruttore o con il Magistrato della Procura della Repubblica di Torino? No, ha bisogno di andare da lui, dal Dottor Marzachì. Non subito però, il verbale è di due giorni dopo.
 

Presidente, contemporaneamente il Dottor Urani era stato raggiunto da gravissimi indizi di reato che fossero stati a carico di Oseglia, il suo predecessore, l’avrebbero fatto finire in carcere. Quindi quando nel 1986 lui si presenta come vittima di queste iniziative, e Voi avete la sentenza di non doversi procedere e la requisitoria di non doversi procedere, si giustifica il suo proscioglimento perché è minacciato, perché tutto era coerentemente mirato ad un’unica selezione, ad un’unica porzione del mondo reale che in quella occasione doveva fungere per fare il processo a carico di Belfiore.
 

E allora, dicevo, Pavia cosa dice? Dice di aver parlato dell’omicidio Caccia con Rocco Schirripa e dice, non potendo indicare naturalmente una data, e ci credo, dice in quale torno di tempo ciò è accaduto e indica due fatti: uno, la sua decisione di rendersi irreperibile a fronte di un paventato provvedimento restrittivo che di lì a poco arriverà; e alla notizia che c’erano state le registrazioni di Miano in carcere col registratore del SISDE. E ci soccorrono non le denunce di Urani, ma le altre risultanze che ci sono nel fascicolo, perché noi sappiamo che ad un certo punto Miano Francesco viene spostato a Pinerolo perché cominciano a circolare i sospetti che lui stesse registrando e lo dice Salvatore Parisi. Voi avete ripetuti verbali di Salvatore Parisi che progetta addirittura l’assassinio a Pinerolo, di fare un assalto a Pinerolo di Francesco Miano e pure del Dottor Urani. Quindi è certo che almeno a giugno del 1984 circola la notizia che addirittura Parisi, in un verbale indica una fonte, che era stato detenuto insieme a Miano al centro clinico di Torino e addirittura retrodata al 1983 già il sospetto delle registrazioni. Già c’è la notizia. Ed è quello il torno di tempo, giugno – ottobre 1984 nel quale Pavia può avere avuto quella discussione con Schirripa.

 

Presidente, quella discussione fra Pavia e Schirripa è una cosa che lega Schirripa all’omicidio di Bruno Caccia, ma non attribuendogli uno specifico ruolo perché la preoccupazione di Schirripa qual è? Che nelle registrazioni fatte da Francesco Miano sia uscito il suo nome a proposito dell’omicidio Caccia. Non è che dice “il mio nome come sparatore, come guidatore. Il mio nome a proposito dell’omicidio Caccia”.
 

Presidente, il Pubblico Ministero l’ha colto il dato, dicevo, se si legge l’ordinanza di custodia cautelare si è arrivati ad una conclusione diversa: Rocco Schirripa ha partecipato alla fase esecutiva dell’omicidio Caccia, ma la dichiarazione di Vincenzo Pavia non lo indicava con un ruolo specifico e le intercettazioni che sono fortemente indizianti a carico di Rocco Schirripa. Presidente, proprio secondo quel canone dell’indicibilità vi ricordate cosa vi ho detto stamattina? Che Belfiore confessa con Miano la sua responsabilità a titolo di concorrente morale nell’omicidio Caccia, ma non parla di killer? Si ripete il canone, Placido Barresi e Domenico Belfiore non parlano dei killer, parlano però del nome di Rocco Schirripa e a lui legano le preoccupazioni per il fatto che il nome di Schirripa compare nella lettera anonima ricevuta.
 

Presidente, l’analisi delle singole intercettazioni fatta dal Pubblico Ministero è corretta pressoché integralmente, tranne la sbavatura sulla datazione delle presunte minacce a Urani e tranne una interpretazione di un dato che viene ripetuto nelle conversazioni fra Schirripa e Barresi, immancabile, e fra Belfiore e Barresi, immancabile, cioè quella relativa all’auto. Sul punto Placido Barresi ha cercato di giustificare che cosa vogliano dire prima Placido Barresi e Schirripa, poi Placido Barresi e Belfiore con la sensibilità “se a qualcuno è stato detto dove avete messo la macchina, dove avete lasciato la macchina”. Dicevo prima, stamattina, e sono stato corretto sull’accento, che è noto a tutti i cittadini di Torino che il 28 giugno del 1983 lessero i giornali e a tutti coloro che hanno visto le carte del processo che la Fiat 128 fu trovata a circa un chilometro – un chilometro e mezzo di distanza in via Verrua e con ovvietà è stato chiesto a Placido Barresi che senso potesse avere parlare come dato pericoloso nelle intercettazioni, quasi una confessione stragiudiziale, di un dato che in realtà non è inedito. E’ come se si fossero preoccupati che l’omicidio Caccia fosse stato commesso in via Sommacampagna. Cioè, si fossero preoccupati che in qualche conversazione con la possibile fonte della Polizia Rocco Schirripa si fosse fatto sfuggire che l’omicidio l’avevano commesso in via Sommacampagna. Ma lo sappiamo tutti. Il punto qual è? C’è il dato di realtà insormontabile. E’ vero che ci sono quelle frasi e noi a quelle frasi una giustificazione la dobbiamo trovare.
 

Presidente, in nessuna delle due occasioni viene detto “la Fiat 128” e lo sappiamo tutti che l’omicidio fu commesso avvalendosi di una Fiat 128. Sarebbe stato naturale per chi aveva commesso l’omicidio con la Fiat 128 dire di poter temere che Rocco Schirripa avesse potuto dire a qualcuno che l’avesse confidato alla Polizia che fine aveva fatto la Fiat 128. In realtà il dato non avrebbe avuto alcun peso perché noi sappiamo che fine aveva fatto la Fiat 128, ma sarebbe stato normale chiamarla Fiat 128. No, parlano di una macchina. Presidente, ne parlano in modo preoccupato, come non sarebbe giustificato nel parlare di quella macchina. Naturalmente lo possono confessare solo il signor Schirripa, il signor Barresi e il signor Belfiore di quale macchina parlassero a proposito dell’omicidio Caccia. Ma parlano di una macchina dell’omicidio Caccia e ne parlano a proposito delle preoccupazioni che hanno sul nome di Rocco Schirripa del quale, Presidente, nessuno dei due mai dice “era il guidatore della Fiat 128, è uno dei due che ha sparato”. Ma ve l’ha spiegato egregiamente il Pubblico Ministero, quella macchina è stata lasciata in via Verrua, qualcuno li ha presi i due occupanti e non certo se li è caricati sulle spalle, li ha presi con un’altra macchina. Noi non sappiamo quale altra macchina fosse e che fine abbia fatto, sappiamo per forza, perché ce lo dicono regole di esperienza, che il luogo del delitto era controllato, perché non è ammissibile che l’omicidio del Procuratore della Repubblica di Torino sia stato fatto da due soggetti senza alcuna garanzia di copertura sul territorio.

 

Il nome Schirripa preoccupa Barresi e Belfiore e li preoccupa che abbia potuto confidare a qualcuno dove avessero lasciato la macchina. Non sappiamo quale, sicuramente una macchina legata all’omicidio Caccia perché ne parlano a proposito dell’anonimo e del nome di Schirripa sull’anonimo dell’omicidio Caccia. Però, Presidente, c’è una riflessione che va fatta e qui non condivido del tutto la ricostruzione del Pubblico Ministero perché anche qui ci vedo un parallelismo davvero sorprendente con il canone del processo Belfiore.
 

Presidente, parlano Domenico Belfiore, condannato con sentenza definitiva, e Placido Barresi, assolto con sentenza definitiva. E’ una balla quella detta da Placido Barresi che lui si potesse preoccupare che qualcuno soffiasse sul fuoco sul suo nome in relazione all’omicidio Caccia e avesse informato la Polizia. Ma, scusatemi, il Pubblico Ministero in questo processo, e come lui do per scontato pure i Magistrati di Sorveglianza che hanno concesso i benefici a Placido Barresi, il Pubblico Ministero ve l’ha detto “Io sono convinto della responsabilità di Placido Barresi per il delitto, sono convinto che sappia tutto”, però è stato assolto con sentenza definitiva. Ma non è l’unico. E se domani si pentisse Domenico Belfiore e dicesse “sì, Placido Barresi dal carcere mi mandò il messaggio che non ce la faceva più, era arrabbiato con il Pubblico Ministero che lo teneva in carcere ingiustamente, disse che era Caccia e lo voleva ucciso”, immaginiamo questa ipotesi fantascientifica, Presidente, che cosa cambierebbe per i benefici, per la semilibertà di Placido Barresi? Presidente, Placido Barresi noi l’abbiamo sentito qui a piede libero avendo commesso un numero di violazioni dei precetti spropositato, però nessuno, nessuno, nessuno è intervenuto a fargliele pagare quelle violazioni, perché non è che abbia molto senso dire “guardi che lei se non dice la verità rischia l’ergastolo”, perché in realtà già quello l’ergastolo ce l’ha e poiché le violazioni le ha fatte è già un’indecenza che sia oggi a piede libero, non all’esito della vostra sentenza, perché il signor Barresi non aveva possibilità di parlare per un’ora col signor Schirripa nella piazza e, Presidente, poi alla fine l’ha confessato Barresi. “Certo, abbiamo parlato là perché così non venivamo intercettati”. E’ o no una violazione? Che senso ha la sua giustificazione “Tanto io sono autorizzato a lavorare all’esercizio pubblico, quindi tutti gli avventori possono venire”. Sì, gli avventori vanno nell’esercizio pubblico, non nella piazza in mezzo agli alberi per non essere intercettati. Dove è credibile? Quindi la preoccupazione di Placido Barresi non può essere la semilibertà.
 

Per carità, ribadisco, si può anche maliziare su Placido Barresi perché, ripeto per i Giudici Popolari, il signor Schirripa è stato intercettato solo a causa di Placido Barresi, il quale incontra il signor Schirripa il 5 di novembre del 2015, Barresi dice “Io non gli ho voluto parlare perché c’era Rocco Piscioneri”. Sì, in effetti Rocco Piscioneri, noto Maresciallo dell’Arma, si sarebbe scandalizzato a sentire parlare di omicidi. E Placido Barresi non poteva anche fargli un segnale al signor Schirripa per fargli capire che voleva parlare a tu per tu? No, lo rimanda indietro. Noi però sappiamo che quel 5 novembre l’apparecchio cellulare di Placido Barresi non era stato attivato perché venisse utilizzato per le intercettazioni in Piazza Montebello, se non vado errato, e lo rinvia alla settimana dopo e il 12, miracolo, è attivo. Il virus era già stato inoculato, lo sappiamo, un sacco di tempo prima, ma poiché si pensava che si andasse prima della… i Giudici Togati sanno bene le sopravvenienze giurisprudenziali, bisognasse indicare nel Decreto autorizzativo delle intercettazioni il luogo nel quale il virus potesse essere attivato ed era stata attivata l’intercettazione solo per casa Belfiore. Quindi l’iPhone 5 di Placido Barresi veniva attivato con il virus solo quando andava da Belfiore. Il 5 novembre Schirripa si presenta da Barresi che ha il virus, ma che non è attivato a Piazza Montebello, e pensa bene, gli fa un bel regalo, di non parlare il giorno 5 e di rinviarlo alla settimana dopo. Va bene. L’8 viene attivato il virus anche a Piazza Montebello; il 12 ci va Schirripa e viene intercettato. E allora, dicevo, uno può anche maliziare su Placido Barresi e quindi uno può dire “Va be’, Placido Barresi finge di essersi preoccupato, era un agente provocatore in quelle intercettazioni”, Presidente, la qual cosa non farebbe venire meno la genuinità né della parole di Schirripa, né delle parole di Belfiore. Il canone Miano, l’avevo detto, Francesco Miano quanto ha tempestato Domenico Belfiore? Un sacco. C’è qualcuno che dice che le parole di Domenico Belfiore riferite da Francesco Miano non siano prove valide perché venute fuori a seguito di domande pressanti? No, non lo dice nessuno perché non è un argomento spendibile e quindi l’ipotesi che Placido Barresi sia il Francesco Miano degli anni Duemila, che ha molte molte possibilità di veridicità ed è molto suggestiva, comunque sia non toglie genuinità né alle parole di Rocco Schirripa, né alle parole di Domenico Belfiore. Quindi noi possiamo anche ipotizzare che la preoccupazione di Barresi sia finta, pura recitazione, però c’è la preoccupazione oltre che del signor Schirripa di Domenico Belfiore, il quale è sicuro che non è stato un agente provocatore.
 

Presidente, c’è la domanda a cui nessuno ancora ha ipotizzato una risposta: qual è la preoccupazione di Domenico Belfiore? Cioè, Domenico Belfiore sta morendo dopo 32 anni di carcere. Cioè, Latella si è fatto zero giorni di carcere per il sequestro con omicidio Mazzotti, quello si è fatto 32 anni. Per carità, meritava di morire in carcere, ma è certo che una discreta cifra di pena l’ha scontata ed è stato scarcerato, così ha attestato la Magistratura di Sorveglianza, perché le sue condizioni di salute non sono più compatibili con il regime penitenziario. Bene. Ma che preoccupazione può avere Domenico Belfiore? Il Pubblico Ministero ha detto bene, in realtà né a Barresi, né a Belfiore importa tanto del signor Schirripa e questo lo si capisce. E allora, posto che non è la preoccupazione per un soggetto a cui è legato da affetto parentale, e peraltro la testimonianza di Renato Macrì oltre che quella di Domenico Agresta dimostrano che anche nei rapporti più stretti poi intervengono lacerazioni e sappiamo quanto Renato Macrì in questi anni sia stato terrorizzato dal signor Schirripa, e lo si è visto visibilmente in udienza quel giorno, ma quale può essere la preoccupazione di Domenico Belfiore? Quale? Presidente, è o no identico lo schema che, così come a Miano, Belfiore nulla dice sui killer perché c’è un’area di indicibilità che ragionevolmente da un lato preoccupa e dall’altro è la dote, l’arma del ricatto, ma sono ricatti pericolosi in relazione ai quali, Presidente, alle volte si finisce male non solo coloro che ricattano, ma anche le persone a loro vicine. E anche qui, anche nel processo Schirripa c’è quest’area di indicibilità che è il punto interrogativo sul terrore di Belfiore. Ma Belfiore, che c’ha i nomi di suoi fratello e dell’altro suo fratello nella lettera anonima, ma perché si preoccupa per Rocco e per la macchina? Perché di questo si preoccupa.
 

Presidente, l’unica paura possibile è la paura dell’indicibile. Presidente, questa paura è condita pure da uno strano atteggiamento di Barresi nella conversazione con il signor Schirripa, “Guarda che noi ci stiamo preoccupato per te”, e detta da Barresi è la prova della falsità. Fa pesare, manda il segnale al signor Schirripa che si deve quasi sentire il peso delle preoccupazioni di Barresi e Belfiore. Glielo fa pesare falsamente.
 

Presidente, c’è un dato che riguarda personalmente me a dimostrazione della falsità delle affermazioni in quest’aula di Barresi, perché Lei sa, è risultato che Barresi non è calabrese di Gioiosa Ionica, come il signor Schirripa o Domenico Belfiore, è messinese e quando si è rivolto a me, Presidente, è l’unico messinese che poteva sbagliare l’accento del cognome e mi ha chiamato Repìci, cosa che nessun messinese poteva fare, nessuno. L’ha fatto perché il suo canone è quello della bugia e doveva fare finta, è un parlare posticcio.
 

Presidente, d’altronde il Pubblico Ministero ha detto “Se dici falsità paghi l’ergastolo”. Sì, perché la Corte dovrà trasmettere gli atti per Placido Barresi perché ad un certo punto io gli ho fatto una domanda sui legami fra Gonella e Magistrati torinesi. Qual è stata la risposta del socio di fatto di Gianfranco Gonella? “Non ne so nulla”. Cioè, ve li ha detti perfino Maria Belfiore, ve li ha detti Vincenzo Pavia. Lui che per dichiarazione costante di tutti i collaboratori di giustizia aveva lo stesso rango criminale di Domenico Belfiore… anzi, Presidente, a proposito delle violazioni, noi abbiamo anche sentito un collaboratore di giustizia che si chiama Massimiliano Ungaro, il quale ha spiegato come già da oltre un anno ha riferito all’Autorità Giudiziaria come denaro illecito di mafia, anzi di ‘ndrangheta, dalla famiglia Crea è arrivato a Placido Barresi in relazione agli affari illegali del bagarinaggio della famosa finale di Coppa di Champions League, sventurata come quella di qualche giorno fa, in quella occasione con il Barcellona del giugno del 2015. Molte fonti vi hanno detto che Placido Barresi, tuttora ve l’ha detto Domenico Agresta, che Placido Barresi è un personaggio importante. Ha utilizzato quella formula del soggetto non ritualmente affiliato, ma accreditato, contrasto onorato, in un altro caso ha detto “ritenuto”. Quindi noi abbiamo un mafioso in servizio permanente effettivo che nell’inerzia degli organi istituzionali gode della semilibertà.

Presidente, da due anni ci sono le notizie delle violazioni e le notizie dei reati e però lui è là e si è condotto in un modo che volontariamente o involontariamente sicuramente ha portato a processo il signor Schirripa. Questo è indubitabile, perché non era vero quanto aveva scritto la Squadra Mobile che il signor Schirripa era andato a trovare Belfiore, non c’era mai andato. In una occasione ha accompagnato la figlia e lui se n’è rimasto ben lontano, sicuramente avrà mandato un messaggio a Domenico Belfiore, ma attraverso la figlia è da escludere che si sia potuto parlare di dettagli dell’omicidio Caccia, e in una altra occasione ha accompagnato la moglie, tenendosi sempre a debita distanza ed è assolutamente impensabile che abbia potuto mandare attraverso la moglie a Domenico Belfiore un messaggio sull’omicidio Caccia. Al più gli avrà mandato i saluti che nel loro codice era un segno di deferenza da parte di Rocco Schirripa nei confronti di Domenico Belfiore, ma al più questo, nulla di più, un segnale di attenzione. Non sarebbe mai stato intercettato senza Barresi.

Presidente, c’è un altro dato da analizzare. Domenico Belfiore dice nelle intercettazioni, quindi sicuramente è così, che aveva avuto idea di mandare suo fratello Giuseppe dal signor Schirripa per verificare se era arrivata anche a lui la lettera anonima e soprattutto per verificare se si fosse fatto nel corso di questi quasi all’epoca 32 anni scappare qualche parola sull’omicidio Caccia, tanto che poi una qualche fonte l’aveva inserita nella lettera anonima. Belfiore Giuseppe non viene mandato, oppure non va, non sappiamo se sia un inadempimento del fratello di Domenico Belfiore o semplicemente che Domenico Belfiore alla fine demorde. Qual è il paradosso? Il paradosso è che anche lì è decisivo Placido Barresi. E chi è che stimola, esattamente alla maniera di Francesco Miano, Domenico Belfiore all’utilità di sapere quali siano le reazioni del signor Schirripa parlando con Domenico Belfiore? Placido Barresi, è lui. Emerge proprio in modo incontrovertibile dall’analisi delle intercettazioni. Per questo, Presidente, Placido Barresi sta a Rocco Schirripa come Francesco Miano sta a Domenico Belfiore, perché questo dicono gli atti. Presidente, io le chiederei una breve pausa, dopodiché io in meno di un’ora concludo il mio intervento.

PRESIDENTE – Facciamo cinque minuti di pausa.

SOSPENSIONE

PRESIDENTE – Prego, Avvocato.
 

AVV. REPICI – Presidente e Signori Giudici, come abbiamo visto per le dichiarazioni di Vincenzo Pavia, anche le intercettazioni legittimamente utilizzabili in questo processo costituiscono autonomo e convergente grave indizio di responsabilità nei confronti dell’odierno imputato. E’ vero quello che ha detto il Pubblico Ministero, le intercettazioni nulla dicono di D’Onofrio perché il nome di D’Onofrio nella lettera anonima non c’è e questo perché il nome di D’Onofrio evidentemente al momento della spedizione delle lettere anonime era sconosciuto, quanto al suo possibile legame con l’omicidio Caccia, agli investigatori. Quindi il Pubblico Ministero dice “Nulla è uscito perché quel nome non è stato inserito”. Su Schirripa sono uscite fonti di prova indiziaria a suo carico perché è stato indicato il suo nome in quelle lettere. E’ l’ammissione della selettività, nulla è emerso dalle intercettazioni su Latella, uno dei possibili killer, perché non è stato intercettato, non ha ricevuto lettere anonime che contenessero il suo nome, perché non era l’albero giusto.
 

Presidente, c’è un altro dato che illumina un po’ il ruolo di Placido Barresi perché, così come emerge dalle intercettazioni, in una conversazione Domenico Belfiore che riferisce a Barresi della visita ricevuta dall’Avvocato dei figli del Dottor Caccia gli segnala, evidentemente è stato sensibile al dato perché l’ha registrato, l’ha colto, gli segnala “Voleva sapere, si interrogava su come mai tu avevi avuto come Difensore l’Avvocato Giuseppe Cucinotta”. Ora, qua una spiegazione la meritano i Giudici Popolari e forse è superflua per i Giudici Togati. Nel processo Belfiore c’è la prova che fra il… vi dico le date, così evitiamo… intanto avete la prova che l’Avvocato Cucinotta, amico di Rosario Pio Cattafi, si adopera per mettere a tacere le fonti dell’ufficiale della Guardia di Finanza che indicano il casinò di Saint Vincent… lo dico a beneficio del Giudice a Latere, interrogatorio di Mariani del 10 settembre 1984 alla pagina 377 del primo faldone. Vengono fatte minacce a Mariani. Era un industriale Mariani che ad un certo punto fra settembre e ottobre del 1983 viene preso da problemi suoi personali con il coinvolgimento in una indagine sulle bische clandestine avviata a Bergamo. Molti di voi ricorderanno la vicenda. Fu la vicenda che vide coinvolto e vide latitante per qualche anno un tale Flavio Briatore e vide coinvolto l’allora direttore del TG1 Emilio Fede. Vicenda giudiziaria nata a Bergamo, Giudice Istruttore Fischietti. A ottobre esplode questa vicenda e vede coinvolto Mariani. Mariani si preoccupa e reagisce col riflesso pavloviano, cerca aiuti per svicolare. In più ha una verifica della Guardia di Finanza il 10 di ottobre nella propria industria. Era un’industria grossissima, pensate Voi che era il fornitore dei motori ai mezzi nautici della Guardia di Finanza, cioè affari di Stato. Era soggetto a contatto con esponenti politici di livello nazionale e a contatto con affaristi di livello internazionale. Preso da questi problemi sacrifica il suo amico Cattafi e fornisce all’ufficiale della Finanza probabilmente, viene da pensare, per cercare aiuto sulla verifica della Finanza, gli dà le informazioni che ha appreso dal suo amico. In compenso ne riceve le minacce dell’Avvocato Giuseppe Cucinotta, il quale non era solo un Avvocato ma era un mafioso, nel senso che quel signore con sentenza definitiva passata in giudicato, seppure mai espiata, fu condannato come concorrente esterno nel processo per l’autoparco di via Salomone di quale clan mafioso? Guarda caso, Luigi Miano, esattamente quello dell’appunto Mariani. Quell’Avvocato mafioso di Luigi Miano minaccia la fonte che parla di Cattafi, suo amico, e di Luigi Miano e del riciclaggio al casinò di Saint Vincent. Anche Luigi Miano rimase estraneo al processo per i casinò.
 

Non solo questo, ma il 14 luglio del 1987, quindi qualche mese dopo l’ordine di cattura firmato dal Pubblico Ministero Di Maggio, che è del 26 febbraio ed eseguito nei primi giorni di marzo… Presidente, faccio solo un richiamo che è interessante per due motivi: uno, è la prova che nulla è stato fatto per destituire di fondamento Saint Vincent, eccetera eccetera; due, in quel provvedimento si legge una cosa curiosa, a pagina 298 del faldone 9. L’ordine di cattura comincia a pagina 274 e sembra una confessione perché, dopo aver riportato le fonti, dice “Ogni considerazione sul rilievo storico rappresentativo delle dichiarazioni sulla portata risolutiva delle conversazioni registrate, sulla congruità del movente, sul significato essenziale della risoluzione criminosa in rapporto agli interessi compromessi, sul progredire della concertazione, sulla predisposizione dei mezzi e persino sulla prudente scelta di sicari ‘venuti da fuori’ – lo scrive il Pubblico Ministero – appare a questo punto del tutto pleonastica”. E tanto è pleonastica che non viene spiegata la causale, la scelta dei killer venuti da fuori. E chi gliel’ha detto al Pubblico Ministero, che lo scrive, che c’era stata la scelta dei killer venuti da fuori? Uno dovrebbe pensare male e pensare alle intercettazioni dell’autoparco in cui quel signor Rosario Pio Cattafi dice che era amico di adolescenza di Francesco Di Maggio.
 

Certo è che questo dato risulta nell’ordine di cattura, come se il Pubblico Ministero… Presidente, sui legami con gli apparati di intelligence di Francesco Di Maggio è inutile, davvero pleonastico, spendere una parola. Oggi fosse vivo sarebbe imputato davanti alla Corte d’Assise di Palermo il Dottor Francesco Di Maggio. Evidentemente dati di scienza privata lo portano a scrivere, senza che nessuno lo recepisca in quella sede, la scelta di sicari venuti da fuori. Però dicevo che poco dopo l’esecuzione dell’ordine di cattura, che trova la notizia nel giornale La Stampa, esattamente l’articolo oggetto della lettera anonima, il 14 luglio del 1987 Placido Barresi chi nomina come suo Difensore? L’amico di Cattafi, il mafioso di Luigi Miano, Avvocato Giuseppe Cucinotta che rimane suo Difensore fino al 22 giugno del 1988. Faldone 13, pagina 157, pagina 187. Quindi noi sappiamo che Placido Barresi, cioè proprio quello che poi è il Francesco Miano degli anni Duemila, era difeso da chi aveva minacciato la fonte che parlava di Saint Vincent e di Luigi Miano ed è quel Difensore, lo stesso che sarà condannato con sentenza passata in giudicato per concorso esterno nella famiglia mafiosa dell’autoparco di via Salomone guidata da Luigi Miano. Per intenderci, Giuseppe Cucinotta era quello che raggiungeva all’estero Luigi Miano, latitante, per portargli i messaggi. Portava i messaggi fra un associato e un altro ed era il Difensore di Placido Barresi mentre faceva questo. Quel Placido Barresi.
 

Allora io nell’occasione in cui parlo con Domenico Belfiore, Presidente, non è che sono scemo, lo immagino che possano essere attive delle intercettazioni a casa di Domenico Belfiore, chiunque l’avrebbe immaginato. Lo immagino esattamente come i Poliziotti, solo che io non lo so, loro erano gli attori che ci possano essere conversazioni che possano essere captate e io chiedo a Domenico Belfiore “Ma che strano che suo cognato…”, che poi è stato assolto, nonostante sia il portatore dell’interesse dell’omicidio Caccia secondo la teoria della sentenza alla fine era il portatore sano e quindi impunito. E come mai era difeso da un Avvocato che era concorrente esterno di quel gruppo?
 

Presidente, nella ricostruzione mistificata della realtà criminale del tempo noi sappiamo anche che c’è non solo la separatezza endotorinese fra catanesi e calabresi come due mondi separati e invece sappiamo che era lo stesso mondo, ma c’è pure la separatezza extratorinese che vorrebbe che gli aggregati mafiosi milanesi a Torino non c’entrassero niente. Eppure basta prendere Salvatore Parisi. Chi è che fa arrestare Angelo Epaminonda se non Salvatore Parisi la stessa notte successiva all’arresto di Salvatore Parisi a Torino subito dopo aver commesso l’omicidio Carnazza? Perché? Perché Salvatore Parisi, che operava con Francesco, Roberto Miano, eccetera eccetera, era uomo di chi? Di Luigi Miano, sempre lì si torna poi. Quindi glielo chiedo ed evidentemente il dato coglie, urta la sensibilità e Belfiore glielo dice a Barresi, “Ah, sai, mi ha chiesto come mai tu avessi nominato l’Avvocato Cucinotta”. Silenzio di tomba da parte di Placido Barresi. Fosse stata una cosa che riguardava il signor Schirripa fiumi di parole, invece quella è l’area dell’indicibile. Quindi quelle intercettazioni nelle conversazioni intercettate, alcune delle quali coinvolgono personalmente il signor Schirripa, e, Presidente, sarà stato abituato male Barresi, oppure avrà avuto notizie erronee il signor Schirripa, ma una interpretazione ragionevole della frase, che è di Barresi, per carità, esattamente come erano di Miano le compulsazioni di Domenico Belfiore in carcere, ma quando gli dice “Ti sei fatto 30 anni tranquillo, te ne farai altri 30 anni” a proposito dell’estinzione del reato per prescrizione della quale parla anche il signor Schirripa, dice “Ma quel reato tanto è prescritto con le generiche”. Era, diciamo, la dottrina Latella. In realtà sappiamo che le Sezioni Unite dicono che il reato astrattamente punibile con l’ergastolo è imprescrittibile, l’unica ipotesi plausibile è che quella pena venga meno perché sostituita da altra ex legge con l’articolo 8 Decreto Legge 152 del ‘91, nel qual caso alla pena dell’ergastolo si sostituisce, non è una riduzione, ma fuori da quella ipotesi, e qui è ovvio che non ci siamo, non c’è dubbio che è imprescrittibile. Però ne parlano e non c’è dubbio che parlano della responsabilità per l’omicidio Caccia, perché quello è il delitto di 30 anni fa del quale hanno parlato in ogni conversazione ed è quello, quella lettera anonima nella quale c’è il suo nome come coinvolto nell’omicidio Caccia, che lo spinge a parlare con Placido Barresi scavandosi processualmente la fossa. Ma non c’è nessuna interpretazione alternativa possibile, nessuna, da tutto il compendio di intercettazioni che Voi avete da quella che vede il signor Schirripa coinvolto nell’omicidio del Dottor Bruno Caccia.
 

Ha detto correttamente e lealmente il Pubblico Ministero “coinvolto nella fase esecutiva del delitto, ma non gli si può attribuire con precisione certa il ruolo di killer”. Certo è che il signor Schirripa, esattamente come Belfiore 30 anni prima parlando con Miano in carcere che si attribuisce la responsabilità di quel delitto, è il signor Schirripa che se la attribuisce la responsabilità dell’omicidio Caccia. Certo, in uno scenario investigativo inedito delle guardie che mandano gli anonimi ai ladri, però così è, il fatto non è che rende inutilizzabili le intercettazioni, quelle ci sono, sono utilizzabili ed era lui che parlava ed erano Belfiore e Barresi che parlavano nelle altre. Ed è un dato indiziante grave se non lo si vuole ritenere prova diretta. Ma, Presidente, nell’analisi delle fonti di prova a carico il Pubblico Ministero vi ha illustrato correttamente il modo in cui dovete operare per valutare l’attendibilità dei chiamanti in reità. E’ mancata solo una parte nella ricostruzione della prova d’accusa per chiudere il cerchio sulla responsabilità del signor Schirripa e cioè che quelle fonti che, ove fedeli, ove dotate di attendibilità intrinseca, ove promananti da fonti genuine, sono utilizzabili naturalmente ai sensi del III comma dell’articolo 192, possono essere valutate unitamente ad altri elementi di prova.
 

Si potrebbe dire “Pavia è fonte testimoniale, quindi si sottrae al parametro valutativo del III comma”, certo è che però Pavia non è prova diretta, perché Pavia riferisce un fatto da cui se ne trae un’inferenza, cioè il signor Schirripa era preoccupato delle registrazioni di Miano in carcere in relazione all’omicidio Caccia, non è che Pavia dice “Rocco Schirripa mi disse di avere partecipato all’omicidio Caccia” e quindi è comunque una fonte indiziaria e ha bisogno di incrociarsi con altre fonti per poter consentire di ritenere il signor Schirripa responsabile dell’omicidio Caccia al di là di ogni ragionevole dubbio. E non c’è dubbio che le dichiarazioni di Pavia rispetto alle intercettazioni o le intercettazioni rispetto alle dichiarazioni di Pavia si intrecciano in modo grave, preciso e concordante.
 

C’è un’altra fonte, che è la famosa prova monca che è stata prospettata dal Pubblico Ministero. Presidente, anche qui, così come all’epoca ci fu una corsa a chiudere su Belfiore, qua c’è stata una corsa ingiustificata, a mio modo di vedere, a chiudere il prima possibile su Schirripa. Non è che fare il processo sei mesi dopo per un delitto commesso il 26 giugno del 1983 avrebbe cambiato le sorti della giurisdizione milanese o la dignità della giurisdizione milanese. No. I 20 anni di inerzia allora? Bisognava chiudere, c’era stata l’iscrizione, c’erano state le denunce, ci voleva un altro albero e si è fatto in fretta con l’ammissione fatta lealmente dal Pubblico Ministero di avere fornito una prova non del tutto corredata nei parametri a cui siamo abituati.

Presidente, è la prima volta che mi trovo in un processo in cui c’è un chiamante in reità rispetto alle dichiarazioni del quale è stato impedito di conoscere se c’è stata attività investigativa di riscontro. Non mi era mai successo e non penso di essere l’unico a cui non era mai successo, anche a Voi.
 

Agresta che dice? Vi è stato in requisitoria commentato. Non c’è dubbio che il ruolo di Agresta gli consentiva di ricevere quelle informazioni e non c’è dubbio che i soggetti da cui quelle informazioni sono state ricevute erano soggetti qualificati. L’unica verifica che si è potuta fare, che è una verifica necessaria ai fini dell’utilizzabilità di quella prova, di quella fonte ex articolo 195, è audire le fonti. Fuori di questo poco si è potuto fare.
 

Dalle fonti di Domenico Agresta, Barresi per una parte molto lieve, Renato Macrì in via generale, il dialogo fra Cosimo Crea e il padre di Domenico Agresta, Saverio, in modo più specifico, attribuiscono al signor Schirripa anche lì un ruolo nell’omicidio Caccia. E’ stato leale, nella sua dichiarazione Domenico Agresta ha detto “Non mi fu detto che ruolo avesse giocato nell’esecuzione dell’omicidio Caccia. Quei due – cioè, Schirripa e D’Onofrio – si sono fatti il Procuratore di Torino”.

Ora, Presidente, al di là del fatto abbastanza sorprendente che nel processo Belfiore c’è anche il papà di Domenico Agresta, perché nel maxiprocesso Francesco Miano è stato condannato come reo confesso del sequestro Bongiovanni, proprio il sequestro di cui ha parlato Domenico Agresta a proposito del padre. Il nome di Schirripa nell’enunciato di Domenico Agresta compare ripetutamente in accoppiata con Francesco D’Onofrio, di questo dobbiamo prendere atto e questo era il senso, immagino, nelle parole del Pubblico Ministero di una prova monca, perché si inserisce una prova in un tessuto probatorio che aveva avuto altra gestazione e la si inserisce nell’impossibilità di fare le verifiche che si potevano fare. E’ certo che quel D’Onofrio avrà avuto un passato da estremista, ma è certo che è un mafioso doc. E’ pregiudicato per associazione mafiosa. Noi abbiamo sentito in questo processo anche suoi vecchi compagni d’arme e io mi sono sorpreso di un dato, quel Mecca Vincenzo che abbiamo sentito rivendicare quasi orgogliosamente il suo essere un puro rapinatore e null’altro, e che non si dica a Mecca che aveva sfumature politiche nel suo essere un criminale, anche il nome di Mecca compare nel processo Belfiore e compare a proposito delle dichiarazioni di un signore che si chiama o si chiamava, non lo so, Carmelo Gozzi che aveva parlato all’Autorità Giudiziaria di Gonella in relazione all’omicidio Caccia e aveva spiegato come, essendo stato richiesto da Gonella di mettersi a disposizione per l’omicidio e non essendosi invece messo a disposizione, aveva sostanzialmente subìto un processo all’interno del carcere di Torino una volta arrivato lì, ristretto. Interrogatorio di Gozzi dell’8 febbraio 1984 ai Pubblici Ministeri Di Maggio di Milano e Marzachì di Torino, tra gli altri, alla pagina 280 del primo faldone. Ce ne sono vari di questi interrogatori nei quali compaiono a proposito di questa riunione nella quale viene processato Franco Gonella, Rocco Gasperoni, Placido Barresi, Vincenzo Mecca, Francesco Miano, Francesco Mazzaferro, Rocco Lopresti, Michele Condoluci, Giuseppe Calabrò e Monique, la famosa compagna di Gianfranco Gonella a cui fu intitolato il bar sotto gli uffici giudiziari torinesi. Questo per dire che anche dai verbali di Gozzi quella separatezza di mondi criminali non esiste ed è una circostanza questa… Voi avete nello stesso fascicolo anche, perché furono sollevate, furono eccepite asserite patologie del dichiarante, Voi avete la perizia psichiatrica che attesta che nel periodo in cui rese quelle dichiarazioni era perfettamente capace di intendere e di volere. Questo per dire che Domenico Agresta ha riferito ciò che Voi avete sentito, ha accostato attraverso il racconto raccolto il nome dell’imputato all’omicidio Caccia da fonti autorevoli. Naturalmente la smentita di quelle fonti a nulla vale, serviva sentirli per poter utilizzare Domenico Agresta e Domenico Agresta è l’ultimo rampollo di una famiglia ‘ndranghetista importante che compare proprio negli anni precedenti all’omicidio Caccia in opera, in concorso con protagonisti del processo Belfiore, ad esempio Francesco Miano.
 

Sequestro di Carlo Bongiovanni, faldone 8, pagina 184. Ma Francesco Miano è stato condannato reo confesso nel maxiprocesso, Presidente Fassone. E’ vero che è una prova parzialmente monca per le esigenze di celerità che l’Ufficio di Procura ha sentito, però è una prova che si salda in modo non incompatibile con le risultanze indiziarie che c’erano già a carico di Rocco Schirripa. Presidente, è un di più, perché le altre fonti sono già autosufficienti per emettere una sentenza che dichiari il signor Schirripa responsabile dell’omicidio Caccia oltre ogni ragionevole dubbio. Presidente, io l’ho detto lealmente, spero che di questo mi si possa dare atto, non ho affrontato il processo con piglio dogmatico di chi non vuole vedere la realtà. La realtà probatoria quella è, non va travisata e come è va affrontata. Ci sono state persone che mi hanno detto “Ah, tu nel processo per l’omicidio Caccia sei nella posizione più difficile”. Non lo condivido, questo solo nella teorizzazione per cui il Pubblico Ministero deve tenere una posizione di accusa per dogma di fede e la Difesa necessariamente deve smentire la responsabilità dell’imputato che non ha ammesso responsabilità. Però, Presidente, in realtà la posizione del Difensore di Parte Civile in questo processo è stata la posizione più facile, per due motivi: uno, rappresentava l’idea di massima dignità della giurisdizione che compare in questo processo nel patrocinare i figli e i nipoti di Bruno Caccia e di farlo, me ne rendo conto, inadeguatamente per come avrebbe meritato la memoria di Bruno Caccia. Ma da quando ho cominciato la professione ho pensato che parole come verità e giustizia non siano orpelli e che il Difensore delle persone offese del reato, se quello è il mandato che gli viene conferito e questo è il mandato che mi è stato conferito, deve cercare la verità non avendo posizioni da coprire o da raggiungere, quindi potendo essere davvero libero da pesi nell’esercizio della parresia nel processo.
 

Presidente, Signora Giudice a Latere e Signori Giudici Popolari, fu corretta la condanna di Domenico Belfiore nel primo processo celebrato sull’omicidio Caccia perché c’erano le prove che lo rendevano responsabile. Certo, si è fatta un’operazione, lo ribadisco, patologicamente selettiva di ciò che doveva trovare dignità processuale perché c’era un’area, che vi ho detto di indicibile, che doveva essere in tutti i modi coperta e lo è stato.
 

Presidente, ho fatto una elencazione di dati, potrete verificare se ho detto una sola mezza falsità. Le inerzie, le lacune, la mancanza di voglia di accertare alcune cose è documentale. Tre decenni dopo si è verificata la stessa situazione: così come 33 anni fa per nascondere il bosco, l’intero bosco si dovette sacrificare l’albero del fiore al momento in cui per intimazione ab externo si è dovuto giurisdizionalizzare il procedimento per l’omicidio Caccia, che fino a quel momento era stato relegato fuori dall’area della giurisdizione, – non sia mai che una richiesta di archiviazione vada al G.I.P. sbagliato fuori dal periodo feriale, le intercettazioni possono andare al G.I.P. feriale – di nuovo per salvare la restante parte del bosco si è sacrificato l’albero Schirripa, responsabile, ed è lui che ha fornito, tra le altre, a Voi le prove per ritenerlo responsabile.
 

Presidente, tante ore fa avevo detto che questa che poteva essere presa come la solita esagerazione del Difensore di Parte Civile aveva trovato una confessione nelle dichiarazioni del principale dei protagonisti di queste due vicende giudiziarie, cioè Domenico Belfiore, l’uomo senza la cui condanna non si sarebbe oggi arrivati al processo a carico di Rocco Schirripa, che è un subordinato di Domenico Belfiore. Be’, Presidente, alla fine la confessione involontaria è arrivata proprio da Domenico Belfiore che è stato sentito all’udienza del 13 marzo 2017. Alla pagina 202 troverete la confessione perché, Presidente, ad un certo punto viene chiesto a Domenico Belfiore “Lei e suo cognato all’epoca quando assistevate insieme alle udienze di quel processo – cioè, del processo per l’omicidio Caccia – avete mai avuto occasione di parlare dei fatti che avevano portato alla morte del Dottor Caccia?” E’ ovvio che Domenico Belfiore e Placido Barresi abbiano parlato dell’omicidio Caccia. E’ ovvio, ne hanno parlato 33 anni, 32 anni dopo sul sollecito delle lettere anonime, è ovvio che ne hanno parlato durante il processo a loro carico. Solo un mentitore spudorato potrebbe dire il contrario. A quella domanda, Presidente, che cosa dice? “No no, perché non – puntini di sospensione- per noi era tabù”. E’ lui che utilizza questa parola.
 

Presidente, in questo processo si è parlato di Brigate Rosse attraverso le false rivendicazioni. Quel giorno io ho avuto una illuminazione dalle parole di Domenico Belfiore e mi sono ricordato di un’intervista fatta ad un soggetto intellettualmente ben superiore rispetto a Domenico Belfiore, il fondatore delle Brigate Rosse Renato Curcio. Era la sera del 25 luglio del 1996 e al TG della sera alle ore 20:00 quella testata fece conoscere agli italiani un’intervista video che Renato Curcio aveva reso e che era rimasta del tutto sconosciuta. L’aveva resa ad una rivista nota a pochi, Frigidaire, che l’aveva distribuita in VHS allegata alla rivista.
 

Presidente, Renato Curcio naturalmente ha un quoziente intellettuale superiore a quello di Domenico Belfiore. Cosa disse Renato Curcio? “Piazza Fontana e l’omicidio Calabresi sono andati in un certo modo e per ventura della vita nessuno più può dire come sono realmente andati. C’è stata una sorta di complicità tra noi e i poteri che impedisce ai poteri e a noi di dire che cosa è veramente successo”. Questo è il tabù di cui ha parlato Domenico Belfiore ed è questo il motivo che ha reso granitica e graniticamente impenetrabile l’area dell’indicibile, è questo che da un lato terrorizza e dall’altro fa loro pensare di avere armi di ricatto. E quando dico loro dico Domenico Belfiore e il signor Schirripa nel loro silenzio che non li difende processualmente da nulla, perché c’è quel tabù che è proprio quell’area di accordo illecito fatta da aggregati mafiosi operanti a Torino e non solo, al nord Italia e non solo, e pubblici poteri, per ripetere le parole di Renato Curcio. Rispetto a questa realtà oscena, ma che era quella che nel 1983 e negli anni successivi ha gestito l’evoluzione delle cose, un uomo, un Magistrato come Bruno Caccia era estraneo, ontologicamente estraneo rispetto a quello scenario. Era il classico granello di sabbia in un ingranaggio che doveva necessariamente essere rimosso.
 

Presidente, non si dica: morto Caccia, tutti hanno subito recuperato. No. Ciò che è accaduto dopo, ciò che si è squadernato dopo è ciò che non sarebbe stato possibile in vita di Caccia. Voi pensate che Bruno Caccia avrebbe delegato indagini ad un mafioso? No. Presidente, proprio ciò che è stato fatto alle volte dalla giurisdizione sul suo delitto è stata la seconda uccisione di Bruno Caccia ed è vero che su quel delitto si sono creati in modo molto sapiente, ma molto capzioso, degli equilibri che hanno poi detenuto le armi della giurisdizione non solo a Torino per decenni.
 

Io, Signor Presidente, Signora Giudice a Latere e Signori Giudici Popolari, con questo ho terminato il mio intervento in sede di conclusioni quale Difensore di Guido, Paola e Cristina Caccia e di Martina e Lorenzo Fracastoro. Come per legge concludo anche per iscritto producendo la comparsa conclusionale. C’è la prova che il signor Rocco Schirripa è al di là di ogni ragionevole dubbio responsabile, corresponsabile, è uno dei responsabili dell’omicidio del Dottor Bruno Caccia. Ci sono dei soggetti che hanno ammesso la propria responsabilità per quel delitto. Tutti i collaboratori di giustizia che hanno parlato della propria adesione al progetto per l’omicidio di Bruno Caccia e la propria partecipazione alle riunioni deliberative e addirittura di approntamento dei mezzi e delle modalità per l’uccisione di Bruno Caccia sono tutti responsabili a titolo di concorso morale, perché non c’è dubbio che con il loro atteggiarsi hanno inciso positivamente sulla determinazione, tra gli altri, di Domenico Belfiore e di Rocco Schirripa di uccidere Bruno Caccia. Sono scolpite nella roccia le parole di quei collaboratori di giustizia che vi hanno detto “Pensate che si potesse commettere l’omicidio del Procuratore della Repubblica di Torino senza che noi prestassimo il consenso? Noi abbiamo prestato il consenso”. E’ stato un consenso giuridicamente rilevante a differenza di quanto vi ha detto il Pubblico Ministero che non ritengo che ciò può rimanere estraneo a questo processo. Voi avete l’obbligo di trasmettere gli atti alla Procura della Repubblica perché si proceda nei confronti degli altri responsabili già individuati per l’omicidio del Dottor Bruno Caccia al netto di ciò che la Procura della Repubblica mi auguro farà senza bisogno di sollecitazioni ulteriori, perché quel buco mostruoso di verità che c’è tutt’oggi, anche all’esito di questo dibattimento sull’omicidio di Bruno Caccia, venga colmato. Aggiungo, ai sensi dell’articolo 207 del Codice di Procedura Penale, che Voi avete l’obbligo di trasmettere il verbale dell’esame dibattimentale di Placido Barresi alla Procura della Repubblica perché proceda nei suoi confronti per falsa testimonianza. Aggiungo che ritengo che sia doveroso da parte vostra anche fare apposita segnalazione alla Magistratura di Sorveglianza di Torino che deve operare perché quella situazione di palese illegittimità trovi fine.

 

Per questi motivi insisto nella richiesta di condanna dell’Imputato Schirripa alle pene di legge e al risarcimento dei danni come da comparsa scritta.

Fabio Repici

 

 

 

 

 

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