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La Casa di Paolo

 

paolo borsellinodi Rino Giacalone – 27 giugno 2015


L’inaugurazione il prossimo 17 luglio nel quartiere della Kalsa a Palermo. L’iniziativa è partita da Salvatore Borsellino. “Niente luogo di memoria e di lapidi, ma lì i giovani del rione dove è cresciuto mio fratello incontreranno la possibilità di trovare nuova crescita”

Oramai è tutto pronto, il sasso lanciato ha propagato una serie di onde che hanno prodotto i loro effetti. La famiglia di Paolo Borsellino che mette a disposizione l’immobile appartenuto al loro genitore dove svolgeva il lavoro di farmacista. La “rete” che si è messa in moto ed ha raccolto i fondi. Quella che fu la famacia alla Kalsa di Palermo del papà di Paolo, Rita, Salvatore Borsellino adesso diventerà la casa di Paolo. “Abbiamo fatto anche qualcosa di più – ha detto Salvatore Borsellino intervenendo a Trapani alla presentazione del libro “I Collusi” firmato dal pm Nino Di Matteo e dal giornalista Salvo Palazzolo – abbiamo anche acquisito un locale attiguo per farne una sede più grande, più agevole. Non sarà un luogo di memoria e di lapidi, ma abbiamo fatto in modo che qui in questa casa chi verrà possa incontrare Paolo Borsellino”.

Parla l’ing. Salvatore Borsellino e a stento tiene a bada l’emozione, poi si riprende e aggiunge: “Io sono un ingegnere ma non uno di quelli che usa righelli, matite, goniometri, sono un ingegnere informatico e allora cercherò di insegnare ai giovani che verranno l’uso del computer, dell’informatica, cercherò di dare loro una mano per entrare nel mondo del lavoro utilizzando al meglio i computer”. L’inaugurazione è prevista per il 17 di luglio prossimo. L’appuntamento sarà al civico 57 di via Vetriera. “Sono stati raccolti tanti fondi, mi dispiace – ha ancora detto Salvatore Borsellino – che una parte di questi li ho dovuti stornare per pagare una multa per avere protestato che a Marsala l’eredità del lavoro di mio fratello sia stata presa da chi è stato toccato dal sospetto di essere stato l’autore degli anonimi in una delle stagioni più buie della storia giudiziaria palermitana, per avere detto questo ho dovuto pagare. Nei mesi a venire – ha detto rivolto all’uditorio che lo ha più volte interrotto applaudendolo – vi chiederò ancora una mano d’aiuto per far crescere il sogno diventato realtà della casa di Paolo”.
Con Salvatore Borsellino alla presentazione del libro “I Collusi” c’erano oltre agli autori anche i giornalisti Aaron Pettinari e Vito Campo che ha moderato il dibattito. A promuovere l’iniziativa sono stati i presidi di Trapani di Agende Rosse “Rita Atria” e di Libera “Gian Giacomo Ciaccio Montalto”. Una sala affollata, quella della sede dell’associazione Accademia delle Belle Arti Kandinskij. Non è mancato nemmeno l’intermezzo musicale al pianoforte suonato dalla giovane maestro di pianoforte Luppino. Ma tanti erano lì per ascoltare le parole del pm Nino Di Matteo. Una cosa ci ha colpito più di tutte, la consapevolezza, svelata dal magistrato, che quando la mafia non colpisce ecco che arriva l’aria della diffidenza. Ha voluto sorvolare sul tema dell’isolamento, su ciò che si registra attorno al cosidetto processo per la trattativa in corso a Palermo e dove Di Matteo è uno dei pm assieme a Teresi, Del Bene e Tartaglia, tutti magistrati della Dda palermitana, ma questa cosa su la diffidenza l’ha voluta parecchio rimarcare, siamo certi con la profonda consapevolezza che questa regola non si applica solo a lui, ai magistrati che stanno seguendo il processo sulla trattativa, ma anche ad altri magistrati e giudici che magari non hanno i riflettori puntati addosso, o anche ai soggetti impegnati a vario titolo nella società civile che contro la mafia non hanno scelto la strada della passerella, o anche ai giornalisti e sopratutto ai giornalisti delle periferie d’Italia. La mafia che si è sommersa sa molto bene usare quest’arma e non fa nemmeno fatica a usare questo metodo, perchè una parte della società civile davanti all’immaginaria partita di calcio in corso tra mafia ed antimafia ha deciso di non tifare per nessuno dei due, o meglio ha deciso di non tifare per l’antimafia come invece sta facendo il pubblico che di solito negli stadi siede in gradinata. Perchè a non tifare per dirla chiaramente è il pubblico che siede, comodamente, in tribuna. A Trapani questa tecnica funziona e funziona per tante ragioni, che sono state anche ricordate dal pm Nino Di Matteo. Uno fra tutti il rapporto storico e continuo tra la mafia e la massoneria, lo zoccolo duro di una mafia che è fatta da signori che frequentano i salotti buoni, qui c’è la mafia borghese e tanti magistrati ancora prima del pm Di Matteo questo lo hanno detto più volte. Ciaccio Montalto, ucciso nel 1983, Carlo Palermo che doveva essere ucciso nel 1985, Mauro Rostagno ammazzato nel 1988, sono entrati nel mirino di Cosa nostra perchè su questa mafia volevano indagare, di questa mafia volevano che si parlasse di più nei giornali. Non è cosa nuova ma non fa male ripeterla: Paolo Borsellino e Giovanni Falcone quando parlavano delle mafie di Palermo e Trapani, dicevano che se a Palermo regnava la mafia militare, a Trapani c’era quella economica. I sequestri e le confische di questi mesi dimostrano che l’affermazione di Borsellino e Falcone sulla mafia trapanese non va declinata al passato, ma deve essere raccontata usando il presente.

Questa, e lo hanno ricordato Di Matteo e Palazzolo, è la terra dove si nasconde il super latitante Matteo Messina Denaro che probabilmente non si prende ancora perchè magari un giorno si dirà che il suo mancato arresto non è altro che il capitolo odierno della infinita storia delle trattative tra Stato e mafia. O meglio magari un giorno si scoprirà che quel pezzo di Stato che nel tempo è stato individuato essere come organico di Cosa nostra ha cercato di rimettere lacci e lacciuoli ai cani, come raccontò anni addietro il pentito Nino Giuffrè che parlando della mafia trapanese degli anni passati spiegò che qui a Trapani si rifugiavano tanti latitanti della mafia, perchè qui “c’erano i cani attaccati”. Già Matteo Messina Denaro. Salvo Palazzolo ha raccontato dei familiari del boss che oggi conducono splendide attività commerciali, ha raccontato della sorella del boss, Bice, che ha scritto al quotidiano La Repubblica per rivendicare a se “una sana imprenditoria”, ha raccontato di commercianti castelvetranesi che in forma anonima hanno denunciato la supremazia commerciale della holding dei Messina Denaro. Ma parliamo pur sempre di quella Castelvetrano che ha preferito il silenzio quando ad un consigliere comunale, Pasquale Calamia, è stata bruciata per vendetta la casa, per punirlo di quel suo auspicio detto in pieno consiglio comunale di una imminente e veloce cattura del latitante, che, ecco il virus della diffidenza che emerge sempre, ha ammantato di sospetti vari la denuncia dell’imprenditrice Elena Ferraro contro quel cugino del boss che era andato a proporle di pagare l’estorsione con tanto di fattura, una società che non ha protestato quando fu fatto il sequestro della catena commerciale dell’imprenditore Grigoli, anzi furono raccolte firme di solidarietà, una società che non ha provato nemmeno a balbettare qualcosa di diverso quando l’attuale sindaco appena insediato trovò subito la maniera di dire che “Matteo Messina Denaro non è il primo dei problemi”. Ben vengano le segnalazioni anonime quando servono a individuare il malaffare, ma ci sono situazioni e vicende che senza remore dovrebbero suscitare sdegno ed essere contestate. C’è chi lo ha fatto e lo fa ma passa per “professionista dell’antimafia”.

A Trapani l’antimafia non è più un germoglio, ma è una pianta cresciuta alla quale qualcuno sta cercando in tutti i modi di fare una forte potatura, tagliando rami fioriti dicendo che sono secchi. Forse di questo non si è poi così tanto parlato a margine della presentazione del libro “I Collusi”, ma è ora di parlarne e a chiare lettere. Perchè qui a Trapani c’è una antimafia, quella cresciuta con gli insegnamenti di don Luigi Ciotti, che ogni giorno registra una vittoria ma deve affrontare il dileggio, la delegittimazione. Ci provano ogni giorno sempre con nuove forme, d’altra parte siamo a Trapani, terra di venti, e la calunnia, come cantata nella famosa opera rossiniania del Barbiere di Siviglia, da Basilio, trova spesso modo di correre velocemente. E se non c’è la mano della mafia, Cosa nostra lesta è pronta a ringraziare…e magari a prendersi pure gli applausi. L’altra sera la Trapani che non vuole sentire più la mafia come presenza costante le mani le ha battute al pm Di Matteo, a Salvatore Borsellino e poi a tutti gli altri che con loro hanno raccontato della nuova mafia, la mafia 2.0. Targata sempre Matteo Messina Denaro.

Rino Giacalone
da: alqamah.it


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