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In ricordo di Serafino Ogliastro

Salvatore Grigoli è un pentito di mafia. Autore di alcuni dei più sconvolgenti omicidi della storia moderna, quello di don Pino Puglisi e del piccolo Giuseppe Di Matteo, sciolto in una vasca di acido nitrico a tredici anni, si è convertito ed è diventato collaboratore di giustizia. Ha pagato il suo debito con lo Stato, trascorrendo solo due anni effettivi dietro le sbarre e ora vive tranquillamente a casa sua perché definito “individuo socialmente non pericoloso”, anche se ha commesso quarantasei omicidi.

La sua storia si intreccia anche con quella di Angela Ogliastro, sorella di Serafino, ex poliziotto ucciso a Palermo il 12 ottobre di diciotto anni fa con il metodo della lupara bianca. Angela ha risentito direttamente delle conseguenze della scomparsa del fratello: un tumore al cervello è la conseguenza di anni di attese e sofferenze. Poi un uomo, Salvatore Grigoli, viene accecato dalla luce emanata da Padre Pino Puglisi nel momento in cui egli stesso premeva il grilletto per togliergli la vita, e decide di cambiare vita, svelando a polizia e magistrati tutti i suoi delitti, tra cui quello di Serafino, un uomo di trentuno anni, padre di due figli, torturato e poi ucciso perché ritenuto a conoscenza dell’identità dell’assassino del boss mafioso Quartararo.

Di seguito la testimonianza di Angela Ogliastro, della sua disperazione e del rimpianto di non aver potuto trascorrere con suo fratello una vita serena e gioiosa.

«Mio fratello lo abbiamo cercato ovunque, speravamo in un colpo di testa. Ci rivolgemmo persino a “Chi l’ha visto?” e, la sera della trasmissione, gli assassini di Serafino seguirono la televisione sganasciandosi dalle risate. Grigoli lo racconta nei suoi verbali. Certo, è stato lui a rivelarci la fine di mio fratello, che quel giorno verso la 13 si recò nell’autosalone dove c’erano Grigoli, Spattuzza e gli altri. Lo strangolarono in sei e alla fine lo caricarono su una 127 andandolo a seppellire non sa dove. Lo so che non si può vivere eternamente nell’odio, e so anche che i collaboratori di giustizia sono necessari per combattere la mafia e che, per assurdo, devo dire grazie a Grigoli che ci ha svelato il mistero della fine di mio fratello e soprattutto che quella morte fu un errore. Ma io chiedo a quest’uomo che oggi si gode la sua famiglia e i suoi figli e che addirittura viene indicato come testimone della santità di Padre Puglisi: “Perché non ci ridai il corpo di Serafino? Perché non consenti a mia madre e mio padre di andare a piangere sulla tomba che attende i resti di un innocente?”».

«A noi non ha scritto neppure un rigo per chiederci quel perdono che forse gli concederemmo pure.» aggiunge a proposito del pentimento e della conversione dell’assassino di suo fratello. «Ma essersi arrogato il diritto di togliere la vita, di interrompere a 31 anni il cammino di un uomo padre di due figli, di averci negato il piacere di gioire assieme a lui a Natale, nei compleanni e negli altri momenti di intimità familiare, deve avere un prezzo. Lui, addirittura, sogna un futuro per sé e i propri figli. E i figli di mio fratello? E i miei genitori devastati da questa tragedia? Qualcuno ci deve aiutare, non possiamo essere lasciali soli a guardare, come spettatori impotenti, gli avvenimenti che si succedono contro la nostra volontà. Ci siamo costituiti parte civile contro Grigoli e gli altri assassini di mio fratello, compresi i Graviano, famiglia mafiosa di Brancaccio. Ma vi siete chiesti perché siamo gli unici ad aver avuto questo coraggio?…».

Serena Verrecchia

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