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Il boss giovane, rampante, spietato

Figlio di un ergastolano, Nicchi era latitante da tre anni, da quando riuscì a sfuggire all’operazione «Gotha»

Giovane, rampante, spietato. Gianni Nicchi, 28 anni, è salito al vertice di Cosa nostra di Palermo dopo il vuoto di potere lasciato dai «re delle estorsioni», Salvatore e Sandro Lo Piccolo (catturati nel novembre 2007, a Giardinello, nelle campagne di Palermo). Nato a Torino il 16 febbraio 1981, figlio di un ergastolano, Nicchi era latitante da tre anni, da quando riuscì a sfuggire all’operazione denominata «Gotha», che portò in cella i principali capi di Cosa nostra di Palermo.
 

IL RUOLO IN COSA NOSTRA – Il ruolo di Nicchi come uno dei nuovi capi delle cosche di Palermo centro viene svelato dalle intercettazioni ambientali del 2004 nel gabbiotto dell’Uditore dove si riunivano i boss legati a Nino Rotolo: è Nicchi che dà l’ok per la nomina di Nicola Ingarao a reggente della famiglia di Porta Nuova. Ed è Nicchi che suggerisce ai capi di acconsentire al ritorno dagli Usa dei boss Bontate e Inzerillo, «scappati» negli Usa durante la guerra di mafia degli anni Novanta. Nicchi sale alla ribalta delle cronache giudiziarie quando vengono scovate a casa di un «picciotto» palermitano le fotografie di una viaggio a New York insieme ad altri rampolli di Cosa nostra. Con gli Usa, e la cosca di Villabate, Nicchi ha un legame fortissimo: è fotografato dall’Fbi insieme a Frank Calì, il trentenne finito in carcere nel 2008 a Brooklyn insieme ad altri 80 affiliati alle cosche italo-americane a New York e sospettato in Italia di aver riciclato i soldi di Bernardo Provenzano. Nicchi ha altri legami importanti: dalle indagini della Dda di Palermo è emerso che tramite un suo uomo di fiducia dava consigli su questioni riguardanti i familiari di Vittorio Mangano, il boss noto come lo stalliere di Arcore.
 

 

«QUELLI CON LO SCUDETTO» – L’ultimo pentito a dare notizie sulle abitudini di Nicchi pare sia stato Marco Coga, un barista esperto di estorsioni al suo servizio: ha raccontato del tentativo di Nicchi junior di «aggiustare» una perizia medica in favore del padre, Luigi, ergastolano, e di contatti con medici dell’ospedale Civico di Palermo che sarebbero stati «amici» e disponibili a fare perizie di favore nei confronti dello zio, l’anziano Gerlando Alberti detto ”u paccarè”. «Nell’ambiente di quartiere il figlio di un ergastolano, si presuppone che gli si debba portare rispetto…» ha raccontato Coga. Che ha svelato le indicazioni ricevute per incassare le estorsioni dopo la cattura dei Lo Piccolo. E ha raccontato che per Nicchi e i mafiosi dell’ultima generazione, in omaggio alla loro notoria passione per il calcio, si usa dire: «Quelli con lo scudetto».
 

«SPARA SEMPRE DUE-TRE COLPI» – Nei dossier del pool antimafia di Palermo, su Nicchi c’è anche una sua conversazione con Rotolo: è arrivata una soffiata, e l’anziano capomafia teme che Nicchi sia finito nel mirino dei Lo Piccolo che lo vogliono uccidere. Così Rotolo dà a Nicchi – che non è mai stato accusato di omicidi – consigli su come difendersi in caso di agguato: «Spara sempre due-tre colpi. Non ti avvicinare assai, non c’è bisogno di fare troppo scruscio. Spara due-tre colpi. Uno per buttarlo a terra. Quando cade a terra in testa e basta. Vedi che in testa poi ti puoi sbrizziari (macchiare, ndr)…». Nicchi, «u picciutteddu» (il ragazzino, ndr) nel gennaio del 2008 è stato condannato a 18 anni per mafia ed estorsioni nel processo “Addio pizzo”.

 

Umberto Lucentini (il Corriere della Sera, 6 dicembre 2009)

 

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