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I fantasmi del ’93

Stragi, l’archiviazione di Berlusconi e Dell’Utri. Ma per il gip “plausibile” l’intesa con i piani dei boss.

“Plausibilità”: la grande ossessione giudiziaria di Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri ruota tutta intorno a questa parola. A metterla nero su bianco, ormai undici anni fa, era stato Giuseppe Soresina, il giudice che a Firenze ha archiviato la prima indagine sui presunti complici senza volto di Cosa Nostra nelle stragi dell’estate 1993. Allora, nascosti dietro i nomi “Autore Uno” e “Autore Due”, Berlusconi e Dell’Utri si erano ritrovati per ventiquattro mesi iscritti sul registro segreto degli indagati della procura toscana. Poi, per scadenza termini, tutto era stato chiuso. E il gip Soresina aveva spiegato che “l’ipotesi di indagine (il coinvolgimento del premier e dell’ideatore di Forza Italia nelle attività terroristiche e eversive dei boss palermitani Giuseppe e Filippo Graviano ndr)” aveva “mantenuto e semmai incrementato la sua plausibilità”. Ma che, in quei due anni di lavoro, non era stata trovata “la conferma alle chiamate de relato (cioè per sentito dire ndr)” di Giovanni Ciaramitaro e Pietro Romeo, due componenti dei commando mafioso in azione nel nord italia, pentiti dopo il loro arresto.

Certo, aggiungeva il magistrato, “gli elementi raccolti” dalla procura non erano pochi. Il giudice si era convinto – al pari dell’attuale procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, cofirmatario della richiesta di archiviazione – che Berlusconi e Dell’Utri avessero “intrattenuto rapporti non meramente episodici con i soggetti criminali cui è riferibile il programma stragista realizzato” Pensava che “tali rapporti” fossero “compatibili con il fine perseguito dal progetto” della mafia: cioè la ricerca di una nuova forza politica che si facesse carico delle istanze di Cosa Nostra, a partire da quelle sulle carceri e sulla giustizia. Ma tutti quegli indizi non erano “idonei a sostenere l’accusa in giudizio”. Per cui “solo l’emergere di nuovi elementi” avrebbe a quel punto potuto portare alla riapertura dell’inchiesta per “attribuire concretezza all’ipotesi” formulata.

Ecco, se si vuole capire che cosa c’è dietro alle continue polemiche   sulla riforma della giustizia e delle intercettazioni, dietro alle accuse “ ai pm comunisti” e ai magistrati “geneticamente diversi dal resto della razza umana” bisogna cominciare da qui. Dalle due pagine del decreto di archiviazione firmate dal giudice fiorentino il 16 novembre del 1998. Berlusconi, infatti, pensava proprio a quel documento quando in settembre, a freddo, aveva urlato: “È follia pura. So che ci sono fermenti in Procura, a Palermo, a Milano. Si ricominciano a guardare i fatti del ’93, del ’92, del ’94… Mi fa male che queste persone pagate dal pubblico facciano queste cose cospirando contro di noi che lavoriamo per il bene del Paese”.

Una denuncia precisa, nata dai boatos che in quei giorni raccontavano come il nuovo pentito Gaspare Spatuzza, sottoposto a continui interrogatori da parte dei pm di Firenze, Milano e Palermo, parlasse dei presunti legami tra lui, Dell’Utri e i Graviano.

Oggi sappiamo che Spatuzza, non accusa il premier e il senatore azzurro di essere i mandanti occulti delle stragi. Dice invece che Giuseppe Graviano, già nel gennaio del ‘94, sosteneva di aver raggiunto una sorta di accordo politico con Berlusconi e raggiante ripeteva: “Ci siamo messi il Paese nelle mani”. Ma questo non basta per tranquillizzare il Cavaliere. Il capo del Governo teme che possano ora emergere gli esatti risvolti politici di quell’epoca di sangue. E non lo consola il fatto che a Palermo non si lavori su di lui, ma solo per scoprire tutti gli aspetti della presunta trattativa Stato-mafia di quei mesi. O che a Firenze e Milano si indaghi solo per individuare con esattezza i complici (non ancora processati) dell’attentato di via Palestro, in cui morirono tre vigili del fuoco, un vigile urbano e un immigrato extracomunitario.

A far paura non è insomma più solo la prospettiva che dopo Spatuzza si possano registrare altre defezioni tra le fila degli esecutori materiali delle stragi, magari a partire dal pentimento dei Graviano. Spaventano pure gli sforzi per ricostruire con precisione tutti gli spostamenti nel nord italia dei boss di Brancaccio. Chi hanno incontrato i due imprenditori stragisti (i Graviano a Palermo erano degli importanti costruttori) nel 1993? Perchè per oltre due mesi hanno trascorso la loro latitanza a Milano? Davvero si può dimostrare, documenti alla mano, che Berlusconi e Dell’Utri li hanno visti nei mesi in cui mettevano a ferro e fuoco l’Italia? Cosa Nostra, del resto, in quel periodo faceva la guerra, per fare la pace. Piazzava le bombe per condizionare la politica. Voleva a tutti i costi trovare qualcuno con cui stringere un nuovo patto. Per questo, in molti, fuori dal circuito dei clan sapevano con esattezza cosa stava accadendo. Lo sapeva, per esempio, l’allora senatore democristiano Vincenzo Inzerillo. Con lui, secondo i magistrati fiorentini, i Graviano ragionavano spesso degli attentati. Ma Inzerillo, attualmente ancora sotto processo a Palermo per fatti di mafia, non denunciò mai nulla. E a Firenze la sua posizione è stato archiviata, non per mancanza di riscontri, ma perché alla fine gli investigatori si sono convinti che Inzerillo avesse tentato di spingere i Graviano a desistere dal loro programma stragista. Inzerillo, insomma, non ha responsabilità penali, ma solo morali. Sapeva tutto, ma non disse niente.

E forse non era il solo.


Peter Gomez (il Fatto Quotidiano, 3 novembre 2009)

 

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