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Come in un incubo

Capita, a volte, di vivere, nel sogno, un incubo, di trovarsi in una situazione angosciosa in cui tu sai già cosa succederà , c’è una tragedia che incombe su di te e tu sai già quale sarà la sua terribile conclusione, ma percepisci anche, nel sogno, che basterà svegliarti perchè quell’incubo si dissolva.

Capita oggi, e non è la prima volta in questi ultimi anni, di vivere una situazione che hai  già vissuto, di vedere, sentire, delle cose che hai già visto e sentito e tutti sembrano non ricordare, o per un processo di rimozione davvero non ricordano, ma non è soltanto un incubo  e questa volta tu sai di non poterti svegliare, perche questa è la realtà, perche quello che sta accadendo potrebbe portare alla conclusione che tu, al contrario di tanti altri, ricordi perfettamente, come in una tragedia già vista  e tante volte replicata.

Oggi Paolo Borsellino e Giovanni Falcone vengono additati come degli eroi e, dopo averli uccisi, si cerca ancora di seppellirli a forza di commemorazioni, di lapidi e targhe stradali, quasi, per qualcuno, a volersi rassicurare che siano veramente morti, ma ieri, quando nelle loro indagini erano sul punto di arrivare al punto focale dei rapporti tra la mafia e la politica, si cercava in tutti i modi di ostacolarli, di costringerli a trasferirsi in altra sede, da Palermo a Marsala o a Roma, per riuscire a trovare gli spazi per potere continuare il loro lavoro.

Ma a Palermo no, a Palermo non vogliono neppure le lapidi e le targhe stradali, a Palermo bisogna cambiare nome all’aereoporto, come ha chiesto il presidente dell’Assemblea Siciliana Miccichè, dargli un nome qualsiasi purchè non quello.

Altrimenti i turisti, con quei nomi inopportunamnete richiamati alla memoria, percorrono l’autostrada da Punta Raisi a Palermo e, passando da Capaci, vedono i due monoliti posti ai lati della carreggiata a ricordo della strage e ricordano che hanno dovuto far saltare in aria una autostrada perchè Giovanni Falcone non desse più fastidio ai mafiosi e ai poltici collusi, perchè non “rovinasse l’economia della Sicilia” con le sue indagini.

Altrimenti i turisti passano Via D’Amelio, che è ormai diventato una delle tappe obbligate nei tour turistici della città e nei tour elettorali dei politici in cerca di commemorazioni cui presenziare, e ricordano, guardando l’ulivo piantato nel cratere scavato dalla bomba, che, per ridurre al silenzio Paolo Borsellino, è stato  necessario far saltare in aria un intero quartiere.

Un intero quartiere  perchè Paolo non desse più fastidio, perchè non si spingesse troppo in alto con le sue indagini e perchè lo spettacolo della strage fosse ben visibile dal Castello Utveggio dove funzionari dei servizi segreti erano in attesa per assicurarsi che il problema fosse finalmente risolto e per poter dare in anteprima la notozia ai loro interlocutori in attesa, a Roma, nei palazzi del potere.

Un intero quartiere perchè ci fosse abbastanza caos da permettere ad un solerte ufficiale di potersi impadonire di una agenda rossa che  Paolo portava sempre  con se e dove annotava tutti i suoi incontri, le sue riflessioni ed i risultati delle sue indagini.

Una agenda rossa nella quale doveva essere annotato quell’incontro, nei giorni immediatamente precedenti la strage, nello studio di un ministro affetto da amnesie ricorrenti, nel quale gli deve essere stato prospettato quello scellerato accordo di non belligeranza tra lo Stato  e la mafia al quale Paolo deve essere stato sdegnosamente opposto e per il quale è stato necessario eliminarlo, ed eliminarlo in tempi rapidi.

Una agenda rossa per la quale oggi, al tribunale di Caltanissetta, è pendente un procedimento per furto che rischia di cadere in prescrizione, come se si trattase del furto di un calendario qualsiasi e non di una agenda che oggi, rinchiusa in qualche cassaforte, serve da base per chissà quale ricatti incrociati tra mafiosi e politici di ieri e di oggi.

Sulla sua ultima pagina potrebbe essere annotato il contenuto di quella strana telefonata di Pietro Giammanco, ricevuta da Paolo alle sette del mattino del 19 Luglio, e per la quale la moglie Agnese lo sentì urlare al telefono.

Una strana telefonata fatta proprio alla mattina del 19 Luglio per comunicargli di avergli concesso la delega per le indagini su alcuni procedimenti in corso al tribunale di Palermo, tra i quali quelli relativi al pentito Gaspare Mutolo che stava rivelando i particolari delle collusioni tra magistratura, mafia e politica, proprio nel giorno in cui anche Paolo era venuto a sapere, e non dal suo capo Pietro Giammanco che pure ne doveva essre informato, che era “arrivato in città il carico di tritolo” per il suo assassinio.

Oggi tutti credono, e l’agiografia ufficiale li conferma in questo errore, che Paolo Borsellino e Giovanni Falcone fossere apprezzati in vita cosi come esaltati dopo morti, ma la realtà è ben diversa.

Giovanni Falcone fu addirittura accusato di essersi preparato da solo l’attentato, non riuscito, nella villa che aveva in affitto all’Addaura

Paolo Borsellino fu accusato sul Corriere della Sera da Leonardo Sciascia, mal consigliato come confessò poi dopo il chiarimento con Paolo, di essere un professionista dell’antimafia, cioè uno che grazie all’antimafia cercava di fare carriera.

A Giovanni Falcone fu impedito, con la regia di un Giuda, così lo bollò mio fratello, che ancora opera all’interno CSM, ed il cui nome ho letto in questi giorni proprio a proposito del riinvio della decisione sul trasferimento di De Magistris, di succedere ad Antonino Caponnetto nella carica di Procuratore Capo all’ufficio istruzione del Tribunale di Palermo.

Il CSM con “motivazioni risibili”, come disse Paolo ad un congresso il 25 Giugno 1992, gli preferì il consigliere Antonino Meli e da quel momento cominciò lo smantellamento del pool antimafia.

Al contrario di Caponnetto, la cui parola d’ordine per i magistrati dell’ufficio era “uno per tutti, tutti per uno”, nel senso che ciascuno doveva passare le notizi agli altri e viceversa, in maniera che nessuno fosse isolato, la parola d’ordine per Meli fu “tutto a tutti”, nel senso che ciascun magistrato dell’ufficio dovesse interessardi di tutto.

Paradossalmente a Falcone vennero assegnate indagini anche per reati di poco conto: furti, rapine ed altro. Così veniva annullata la competenza e l’esperienza di Falcone sul fronte antimafia.

Fu Paolo , con due pesanti interviste a L’Unità e alla Repubblica, nel Luglio del 1988 denunciò questo stato di cose.

Questo tanto per smentire il sottosegratario Scotti, che mandato ad Anno Zero da Mastella a difendere l’indifendibile, si è esercitato nella ormai consueta arte di far parlare i morti, affermando che “Paolo Borsellino era un giudice che amava lavorare in silenzio”.

Cero, amava lavorare in silenzio, sempre che lo lasciassero lavorare, ma questo non avveniva spesso e in quel caso fu letteralmente costretto a denunciare questo gravissimo stato di code davanti all’opinione pubblica perchè, sono le sue parole, “se il pool deve essere eliminato l’opinione pubblica lo deve sapere, lo deve conoscere, il pool antimafia deve morire davanti a tutti, non deve morire in silenzio”

Per queste interviste Paolo fu costretto a giustificarsi davanti al CSM e io ricordo ancora la sua tensione prima dell’audizione, e la sua crisi per essere chiamato a giustificarsi per non avere fatto altro che il proprio dovere di magistrato, tanto che nel Gennaio dell’89, a Bassano del Grappa, disse ad un comune amico “Ma lei si rende conto che l’anno scorso ho rischiato di perdere il mio posto di lavoro ?”

In quell’occasione, come sta avvendendo adesso per Luigi De Magistris, l’opinione pubblica fece il miracolo perchè , sono sempre parole di Paolo, “si mobilitò e costrinse il CSM a rimangiarsi in parte la sua precedente decisione dei primi, di Agosto: il 15 Settembre, se pur zoppicante,il pool antimafia fu rimesso in piedi”.

Così come De Magistris è stato messo in difficoltà dal suo capo, il Procuratore Lombardi, il quale ha passato notizie agli indagati che facevano parte di un “comitato d’affari” piuttosto eterogeneo, nel cui ambito operava tra gli altri il suo figliastro, così anche Paolo, dopo Capaci, fu ostacolato in tutti i modi dal suo capo, il procuratore Giammanco, per evitare che affrontasse i particolari più scabrosi delle vicende palermitane.

Per questo motivo, così come de Magistris potrebbe aver dovuto prendere di provvedimenti senza avvertire il suo superiore, per il rischio di delazioni, così  Paolo fu costretto a contattare il colonnello Mori affidandogli un incarico riservato con l’invito a riferire solo a lui.

Per Capaci Paolo aveva dato notevole importanza al famoso rapporto del ROS dei carabinieri su mafia, appalti, politica e massoneria che coinvolse anche personaggi e grandi imprese di livello nazionale e nel quale figuravano anche i nomi di  Martelli e Andreotti.

Giammanco gli diede l’incarico più volte richiesto solo la mattina del 19 Luglio, quando il tritolo era già pronto.

Dopo poco tempo, a strage avvenuta, i carabinieri misero in atto un’operazione antimafia nella quale fu coinvolto un parente stretto di Giammanco, che nel 1992, invece di essere chiamato a chiarire certi oscuri particolari, fu allontanato da Palermo grazie alla rivolta dei suoi sostituti, ma tramite la promozione ad un incarico più alto nel quale ha potuto tranquillamente raggiungere l’età della pensione.

Eppure il più stetto collaboratore Di Palo, il maresciallo (oggi tenente) Carmelo Canale ha rivelato che Paolo gli aveva addirittura manifestato l’intenzione di far arrestare Giammanco perchè chiarisse gli elementi di cui era a conoscenza riguardo all’omicidio Lima.

Queste e tante altre analogie, come una storia che si ripete, ci sono tra le vicende del 1992 e quelle di oggi, aggravate dal fatto che in questi ultimi anni, dai governi di ogni colore, è stato portato a compimento un lento ma costante processo di deleggittimazione della magistratura che porta nella direzione dell’asservimento della magistratura stessa al potere politico, violando uno dei cardini della nostra Costituzione.

Processo che è tanto più grave per l’attuale governo di centrosinistra nei termini in cui, al momento di attirare i voti della società civile, procalmava a gran voce la difesa di questi valori e la difesa della Magistratura.

Debbo perciò , in definitiva, essere grato al ministro Mastella per la sua iniziativa di richiesta di allonatanamento per incompatibilità ambientale del giudice De Magistris dalla Procura di Catanzaro

Debbo ringraziarlo pubblicamente perchè mi ero ormai convinto che in seguito alle campagne di delegittimazione e di aggressioni di ogni tipo nei confronti della Magistratura, la gente si fosse ormai assuefatta all’arroganza ed alla impuntà dei politici ed avesse accettato come normale ed ineluttabile questo stato di cose.

Ora invece la reazione provocata da questa iniziativa nell’opinione pubblica, nella gente comune, reazione che sta provocando in tutta Italia raccolte di firme e mobilitazioni spontanee, soprattutto di giovani, a sostegno del magistrato,  perché possa contìinuare il proprio lavoro senza intimidazioni ed interferenze esterne, mi ha fatto rinascere la speranza che le cose possano ancora cambiare.

Ho sottoscritto insieme a Sonia Alfano, figlia del giornalista Beppe Alfano, ucciso dalla mafia, una lettera al Capo dello Stato, dove chiediamo che tuteli, come è suo compito, l’indipendenza della Magistratura raccomandando al CSM, di cui è il Presidente, di rigettare la richiesta del ministro, anche perchè macchiata dall’ipotesi di interesse privato in atti d’ufficio dato che è voce comune che lo stesso ministro potrebbe arrivare ad essere almeno sfiorato dalle indagini in corso.

Gli chiediamo invece, nella stessa lettera, di occuparsi di altri, e ben più gravi, problemi della Giustizia, come il caso della Procura di Caltanissetta, dove sono concentrate le indagini sui fatti più gravi della nostra storia recente, quali l’indagine sui mandanti esterni nella strage di Via D’Amelio e l’indagine sulla sparizione dell’agenda rossa, Procura che viene, dal 12 Luglio 2006, lasciata senza guida ed affidata ad un reggente.

Voglio però sperare che il signor ministro prenda spontaneamente atto della situazione di incompatibilità ambientale che si è creata tra la sua persona e la maggioranza degli italiani onesti e voglia attuare il suo proposito di dimettersi, proposito più volte minacciato, ma finora al solo scopo di ricatto nei confronti della maggioranza di governo.

Nel suo tentativo di una impossibile difesa il sottosegreaterio Scotti ha affermato che non è la prima volta  che il ministro della Giustizia propone il trasferimento di magistrati, e che questo e’ avvenuto, in questa legislatura, per almeno altri sei o sette casi.

Può essere vero, ma in questo caso è la prima volta che un ministro della Giustizia tenta di fare trasferire un Magistrato proprio mentre sono in corso indagini che potrebbero arrivare, se non peggio, almeno a sfiorarlo.

Anche il suo predecessore, l’ex ministro Castelli, anche lui chiamato in quel posto grazie alla sua profonda incompetenza in materia, aveva mandato ispezioni  e  tentato di fare trasferire dei magistrati mentre erano in corso indagini sul Presidente del Consiglio che gli aveva asseganto quell’incarico, ma almeno, in quel caso, il  ministro non era direttamente coinvolto ed operava soltanto per “conto terzi”. 

Il signor Mastella, anche se non richiesto, ama spesso ripetere di essere una persona onesta, non deve quindi temere che le indagini in corso da parte del Giudice De Magistris possano coinvolgere la sua persona, potrebbero al massimo coinvolgere i suoi amici o le persone con le quali ha intrattenuto o intrattiene qualche tipo di rapporto, magari non sempre limpido.

Dovrebbe anzi essere grato al giudice De Magistris che, con le sue indagini, potrà dimostrare l’onestà del signor ministro fornendogli una patente di onestà certificata che avrebbe, in quanto tale, più valore delle sue affermazioni che, agli occhi dell’opinione pubblica, potrebbero sembrare di parte e quindi non obiettive, se non addirittura sospette.

Il ministro Mastella sostiene di essere stato sottoposto ad un linciaggio mediatico, in realtà con la  sua reazione scomposta alle contestazioni che gli sono state rivolte, la reazione del “mouse in the corner”, non ha fatto altro che farsi male da solo e non ha dimostrato altro che la propria inadeguatezza a ricoprire il ruolo al quale è stato incautamente chiamato dal Presidente del Consiglio in carica

Cosa si può dire infatti di chi ha definito Sonia Alfano e Rosanna Scopelliti, due giovani coraggiose figlie di vittime della mafia e della ‘ndrangheta” che hanno portato la loro testimonianza ad Anno Zero, “due giovani qualsiasi portate li non so per quale scopo”.

Basterebbe questa sua ignoranza della nostra tragica storia recente a giustificare la corale richiesta di dimissioni dal suo incarico che gli viene rivolta.

Nei miei confronti, non potendo fingere di non conoscere il  nome di Paolo Borsellino, ha usato un “avvertimento” trasversale ricordandomi che “dopo anni di inadempeienze ho fatto concedere io la pensione alla famiglia Borsellino”, lasciando intendere che invece di attaccarlo dovrei usargli  riconoscenza.

Gli ho replicato, anche se la mia replica non ha trovato spazio su nessuno dei giornali che aveva pubblicato, con evidenza, il suddetto “avvertimento”, che, in primo luogo, non essendo io ne figlio ne coniuge di paolo, ma bensì fratello, non può spettarmi alcuna pensione vitalizia e che questa viene in ogni caso “riconosciuta” dallo Stato e non “concessa” dalla benevolenza del ministro.

In secondo luogo gli ho fatto sapere che mi sono, in passato, rifiutato di presentare la domanda di erogazione, da parte anche in questo caso dello Stato e non del ministro, della “provisionale” prevista dalla legge che può essere richiesta dai familiari delle vittime di mafia che si costiutuiscano perte civile nel relativo processo.

Ritengo infatti che compito precipuo dello Stato dovrebbe essere, prima che l’erogazione di un anticipo su un impossibile “risarcimento”, il rendere giustizia alla vittime della mafia.

Non vorrei però insistere troppo sulla persona del ministro con il rischio di additarlo come comodo capro espiatorio dei tanti mali della politica italiana, come ha affermato Beppe Grillo con una ironia che il signor Mastella non è stato in grado di capire e che tutta la stampa nazionale ha fatto finta di non capire pubblicando titoli a tutta pagina sulla pretesa pace tra il politico e il comico, e qui lascio al vostro giudizio decidere chi sia il politico e chi sia il comico, e pubblicando poi solo qualche trafiletto poco visibile quando Beppe Grillo ha chiarito le vere intenzioni della trappola in cui lo aveva fatto cadere.

Il fatto è, signor Mastella, che una persona come Beppe Grillo, che ieri ha fatto di mestiere il comico, oggi è uno dei pochi che tenta di fare politica in modo serio, ma quelli che sono stati designati dai partiti italiani per fare i politici e che la gente, in mancanza di altre scelte, ha dovuto votare, si affannano oggi in tutti i modi di fare la parte dei comici, in quel cabaret di bassa lega che è diventata la poltica in Italia.

Ma lo scenario, purtroppo, non è quello di un cabaret, è quello di una tragedia, di un paese allo sbando dove gli equilibri di governo si reggono su ricatti incrociati e dove l’opposizione non aspetta altro che il suicidio del governo per potere subentrare nell’esercizio del potere, ricominciare ad emanare leggi “ad personam” e “contra personam” e continuare, come peraltro ha fatto anche questo goversno, nell’attuazione del patto scellerato tra lo Stato e la mafia per la spartizione del potere, degli appalti e financo del territorio nazionale in Italia, patto per il quale è stato necessario eliminare Paolo Borsellino.

E io purtroppo vedo tante, troppe analogie, tra le vicende di ieri e quelle di oggi.

Oggi Paolo Borsellino e Giovanni Falcone sono considerati degli eroi, quando in realtà erano delle persone che cercavano solo di fare il proprio lavoro e il loro dovere, ieri la realtà era quella che, come in un incubo, vediamo ripetersi oggi.

Anche De Magistris è stato messo in difficoltà dal suo capo, anche De Magistris è stato isolato, anche De Magistris si sta cercando di trasferire per renderlo innocuo, ma si ricordi, signor ministro, che, per esperienza del passato, l’isolamento di un magistrato o di un investigatore, è stato sempre il primo passo per additarlo alla vendetta della camorra e della mafia e chi da inizio e determina questo stato di cose non ha minori responsabilità, almeno morali, di chi ne decide l’eliminazione  o preme il pulsante di un timer.

Si ricordi però che la gente non sopporterebbe che la storia si ripeta, quella stessa gente che nella cattedrale di Palermo cacciò a schiaffi e calci quei politici che pretendevano di sedersi in prima fila davanti alle bare dei ragazzi di Paolo, vi caccerebbe allo stesso modo da un Parlamento nel quale sedete fianco a fianco di personaggi inquisiti, senatori a vita prescritti e non assolti come tentano di far credere, individui già condannati nei primi gradi di giudizio, e questa volta non riuscirete a riciclarvi sotto altre sigle e nuovi partiti, a mantenre il potere e ad occupare indegnamente le istituzioni come avete fatto dopo il disfacimento della prima Repubblica.

Salvatore Borsellino

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