25/05/2024 – La Corte europea dei diritti dell’uomo dà ancora ragione a Bruno Contrada, intercettato nell’ambito delle indagini sull’omicidio del poliziotto Nino Agostino. E questa volta la Cedu arriva a servire un assist al governo di Giorgia Meloni che vuole dare una stretta alle intercettazioni telefoniche. Una decisione che per l’avvocato Fabio Repici, legale di parte civile, può rappresentare un vero e proprio abuso da parte dei giudici di Strasburgo, mentre invece il guardasigilli Carlo Nordio annuncia di essere al lavoro per una riforma “molto più importante su tutto quello che riguarda le intercettazioni e i sequestri dei cellulari”. Ma andiamo con ordine.
Il caso Agostino – A dare notizia della sentenza della Cedu è stato, il 23 maggio scorso, l’avvocato Stefano Giordano, legale di Contrada. La questione sottoposta ai giudici Ue riguardava alcune conversazioni telefoniche dell’ex dirigente del Sisde, i servizi segreti civili, intercettate nel 2018 nell’ambito delle indagini sull’omicidio del poliziotto Nino Agostino e della moglie Ida Castelluccio. La coppia venne assassinata nel 1989, ma la svolta delle indagini si ebbe soltanto nel 2015 con l’avocazione delle indagini da parte della procura generale di Palermo. Oggi per quel duplice delitto è stato condannato all’ergastolo in Appello il boss Nino Madonia, mentre il processo di primo grado a Gaetano Scotto è alle battute finali. Secondo le motivazioni dei giudice Alfredo Montalto, Agostino fu ucciso perché scopri i“rapporti che Cosa nostra, e nel caso specifico la cosca dei Madonia, intratteneva con esponenti importanti delle forze dell’ordine collegati ai servizi di sicurezza dello Stato“.
La sentenza Cedu – È per arrivare a questi esiti giudiziari che la procura generale di Palermo aveva intercettato alcuni ex agenti di Polizia, che erano a conoscenza di retroscena risalenti all’epoca dell’omicidio Agostino. Tra questi c’era anche Contrada, che ha fatto ricorso alla Cedu. E i giudici di Strasburgo gli hanno dato ragione, condannando l’Italia a un risarcimento morale di novemila euro. Secondo la corte il nostro Paese ha violato il diritto al rispetto della vita privata dell’ex superpoliziotto quando ha proceduto nel 2018 all’intercettazione e alla trascrizione delle sue conversazioni telefoniche, visto che non era indagato. I magistrati arrivano a scrivere che “la legge italiana non contiene adeguate ed effettive garanzie per proteggere dal rischio di abuso le persone destinatarie di queste misure. Persone che, non essendo sospettate di essere coinvolte in un reato o accusate di un reato, rimangono estranee al procedimento”. Secondo la Cedu queste persone non hanno la possibilità di rivolgersi a un’autorità giudiziaria al fine di ottenere un effettivo riesame della legalità e della necessità della misura. Di conseguenza non possono ottenere un’adeguata riparazione se i loro diritti sono stati violati. Alla luce di queste “carenze”, per la Cedu l’Italia ha violato quindi l’articolo 8 della Convenzione, secondo cui “ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza”. La stessa Corte ha invece dichiarato irricevibile il ricorso di Contrada per la perquisizione che subì nell’ambito dello stessa indagine: prima di rivolgersi a Strasburgo l’ex dirigente dei servizi segreti non ha fatto ricorso alla giustizia del suo Paese, cioè i tribunali italiani, contro questa presunta violazione.
L’assist a Nordio – Esulta ovviamente il suo legale, l’avvocato Giordano, mettendo ovviamente l’accento sulla condanna dell’Italia: “Siamo molto soddisfatti – dice- perché – al di là del caso concreto – la Corte ha individuato all’unanimità un vizio molto grave della legislazione italiana in materia di intercettazioni. Adesso aspettiamo la definitività della sentenza”. Poi il legale ha cercato di provocare una reazione del governo sul tema: “La palla passa dunque alla politica, affinché riformi in senso liberale l’intera materia delle intercettazioni”. Il guardasigilli Nordio ha subito colto la palla al balzo. ”La Cedu – spiega il ministro della Giustizia – dice in modo nettissimo che noi abbiamo violato i diritti umani in tema di intercettazioni. Nel ddl cosiddetto Nordio abbiamo proposto il minimo sindacale, cioé la tutela del terzo, che è un pò meno di quello che dice la sentenza della Cedu”. L’inquilino di via Arenula, dunque, sfrutta la sentenza su Contrada per difendere la sua riforma, che finora prevedeva di non citare i nomi delle persone non indagate pronunciati nelle registrazioni. Nordio, però, ricorda che il governo è al lavoro su un nuovo intervento, ancora più restrittivo: “Stiamo lavorando per una riforma molto più importante su tutto quello che riguarda le intercettazioni e i sequestri dei cellulari”.
Repici: “L’abuso lo fa Strasburgo” – Critica la sentenza di Strasburgo, invece, l’avvocato Repici, che assiste i familiari di Agostino nel processo per il duplice omicidio. “La decisione della Cedu è stata presa senza che la famiglia della vittima abbia avuto possibilità d’intervenire, questo dovrebbe fare riflettere sui rischi di abuso della giurisdizione di Strasburgo. C’erano infatti ragioni evidenti che rendevano necessarie le intercettazioni disposte dall’autorità giudiziaria”, dice il legale. “Contrada – prosegue l’avvocato – non è l’unica persona non indagata intercettata in quell’indagine, come peraltro capita spessissimo nelle inchieste. Devo ricordare ai giudici di Strasburgo che gli investigatori scoprirono come negli anni ’70 gli agenti della Mobile di Palermo andassero a sparare in un poligono di proprietà di un esponente mafioso, frequentato da estremisti di destra come Pierluigi Concutelli, il killer del giudice Vittorio Occorsio. Una scoperta fatta solo grazie all’ascolto di conversazioni di altri ex poliziotti, che come Contrada non erano indagati”. Il riferimento di Repici è al poligono di tiro di Bellolampo, nel capoluogo siciliano, crocevia di uomini delle Forze dell’Ordine, esponenti degli apparati e terroristi neri. Tra le intercettazioni citate dall’avvocato anche una conversazione del 19 gennaio del 2018 in cui un altro poliziotto, Francesco Belcamino, sosteneva che Agostino era stato arruolato tramite Contrada su raccomandazione dell’agente Guido Paolilli. “Una balla”, l’ha definita Contrada, audito a processo. Paolilli era stato a sua volta intercettato il 21 febbraio del 2008, mentre raccontava al figlio il contenuto dell’armadio del poliziotto assassinato: “C’era una freca di cose che proprio io ho pigliato e poi ne ho stracciato“. Parole poi smentite da Paolilli, che nel 2021 è stato condannato in sede civile a risarcire la famiglia Agostino per il “danno da verità negata”. “Anche queste intercettazioni rappresentano un abuso? O il vero abuso qui è mettere dei paletti alla ricerca della verità?”, si chiede dunque l’avvocato Repici.
La prima sentenza Cedu su Contrada – Non è la prima volta che Strasburgo dà ragione a Contrada, condannato in via definitiva nel 2007 per concorso esterno a Cosa nostra. Già nel 2014 la Cedu condannò l’Italia per la ripetuta mancata concessione dei domiciliari all’ex agente segreto, ormai anziano e malato. Poi l’anno successivo condannò lo Stato italiano a un risarcimento di diecimila euro per danni morali perché, secondo la Corte, Contrada non doveva essere né processato né condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, dato che all’epoca dei fatti contestati (che vanno dal 1979 al 1988) il reato “non era sufficientemente chiaro“. Lo sarebbe diventato solo nel 1994 con la sentenza Demitry, che tipizzava per la prima volta quella inedita fattispecie nata dall’unione dell’articolo 110 (concorso) e 416 bis (associazione mafiosa) del codice penale. A “inventarsi” quel reato al tempo del pool antimafia di Palermo era stato Giovanni Falcone: occorreva un modo, infatti, per perseguire i colletti bianchi che contribuiscono continuativamente alla crescita dell’associazione mafiosa senza mai farne parte a livello organico. Un reato che però a Strasburgo non è mai piaciuto.
Giuseppe Pipitone (ilfattoquotidiano.it)
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