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Borsellino Quater: archiviata l’accusa di oltraggio a PM in udienza nei confronti dell’Avv. Fabio Repici

Il 2 ottobre 2019 Amedeo Bertone, Procuratore della Repubblica di Caltanissetta, ed il figlio Vittorio Bertone hanno denunciato l’Avvocato Fabio Repici per i reati di “oltraggio a Pubblico Ministero in udienza” e “diffamazione”, contestando dichiarazioni rilasciate dall’Avv. Repici, rispettivamente, durante l’udienza del 13 gennaio 2017 nel processo ‘Borsellino Quater’ e durante due eventi pubblici occorsi il 9 e il 19 luglio 2019 a Palermo.

Il 14 aprile 2020 il Dott. Stefano Montoneri, Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catania, si è pronunciato sull’accusa di “oltraggio a PM in udienza”, l’unica di competenza dell’Autorità Giudiziaria di Catania, ed ha disposto l’archiviazione del procedimento a carico dell’Avv. Repici.

Riteniamo estremamente utile riportare di seguito alcuni estratti dell’Ordinanza di archiviazione del GIP di Catania, sia per quanto riguarda la piena liceità delle dichiarazioni rilasciate in udienza dall’Avv. Repici, che, soprattutto, per quanto concerne il depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio.

Redazione 19luglio1992.com

 

“Le parole pronunziate nel corso della propria discussione dall’avv. Repici non sono né ingiuriose né oltraggiose. Non erano in alcun modo dirette alla persona fisica del magistrato. Costituiscono manifestazione dell’esercizio del diritto di difesa. Afferivano in modo diretto e immediato all’oggetto del processo ed erano funzionali alle argomentazioni poste a sostegno della tesi prospettata dal difensore e delle richieste finali. Le critiche espresse dal difensore verso le scelte investigative riguardavano l’oggetto del processo e in particolar modo le indagini sulla strage di via D’Amelio e la gestione dello pseudo pentito Vincenzo Scarantino (in realtà torturato da uomini dello Stato)”. (…)

“In breve si può dire che il processo Borsellino Quater riguardava (alcuni de)i responsabili della strage di via D’Amelio e i responsabili del depistaggio delle indagini. In questa sede, rilevano i thema probandum afferenti alla posizione degli imputati Scarantino (in particolare) e Andriotta. Le imputazioni (sopra appena richiamate in sintesi) non esplicitano in pieno la rilevanza delle accuse e le implicazioni a esse sottese. Non si può qui neanche accennare alla complessa e (ancora per molti versi) oscura vicenda che ha portato alla morte del magistrato Paolo Borsellino, 57 giorni dopo la strage di Capaci nel contesto legato alla c.d. trattativa. Quello che è indiscutibile è che delle persone totalmente estranee ai fatti (per quel che qui rileva: Scarantino e Andriotta) si sono accusate e hanno accusato falsamente, concorrendo variamente con tali condotte a far condannare (all’ergastolo) persone innocenti. Come sia stato possibile arrivare a questo è oggetto di indagini e di processi. È evidente che alla parte civile rappresentata dal fratello del magistrato ucciso (e a qualunque cittadino) interessa sapere perché questi soggetti si siano accusati e abbiano accusato falsamente e chi nelle istituzioni a vario titolo ha consentito che le indagini sulla strage di via D’Amelio venissero così profondamente deviate”. (…)

“Il processo “Borsellino quater” si innesta in uno travagliato iter processuale ancora lontano dalla definitiva conclusione e riguarda una delle pagine più buie della storia del nostro Paese. Di ciò ne risente non solo la dialettica tra le parti, ma anche il suo oggetto. È un fatto accertato processualmente che Scarantino Vincenzo quando era nelle mani delle istituzioni sia stato torturato per dire le cose che ha detto. D’altro canto, la Corte ha evidenziato che molte delle cose che Scarantino ha detto “contengono alcuni elementi di verità, che, secondo una ragionevole valutazione logica, devono necessariamente essere stati suggeriti da altri soggetti, i quali, a loro volta, li avevano appresi da ulteriori fonti rimaste occulte” (pag. 1689 e poi anche pag. 1772). In altri termini, Scarantino ha detto cose vere sulle stragi che non poteva conoscere e che necessariamente gli sono state riferite da altri. I motivi, i soggetti, le circostanze di questo sono ignoti e oscuri. (…) Se si estrapolano le parole dell’avvocato Repici dal contesto di riferimento, si elimina l’oggetto cui esse si riferiscono. L’avv. Repici ha criticato aspramente la procura: della Repubblica perché (anche) l’operato della Procura della Repubblica ha fatto oggetto e faceva parte dell’accertamento processuale”. (…)

“A titolo di esempio basti menzionare quanto osservato dalla Corte di Assise circa l’iniziativa definita in sentenza come “decisamente irrituale” (ma, in realtà, da qualificarsi, più correttamente, in lingua italiana, come “illecita” in quanto contraria a norme di legge) del procuratore di Caltanissetta Tinebra che, «già nella serata del 20 luglio 1992, (…) chiese [a Contrada] di collaborare alle indagini sulle stragi, sebbene egli non rivestisse la qualità di ufficiale di polizia giudiziaria, e nonostante la normativa vigente precludesse al personale dei servizi di informazione e sicurezza di intrattenere rapporti diretti con la magistratura».
L’avv. Repici, nel corso della propria discussione, si è occupato (anche) di queste indagini e di queste scelte in maniera approfondita, critica e accorata, mai travalicando i limiti di continenza propri della funzione forense, sebbene comprensibilmente coinvolto sul piano umano e mosso da una tensione morale di sdegno verso certe scelte, comportamenti o persone.
È un fatto che la Corte, accogliendo la richiesta avanzata dall’avv. Repici nel corso della propria discussione, con una decisione più unica che rara tenuto conto di quanto appena evidenziato, ha disposto «la trasmissione al Pubblico ministero dei verbali delle udienze dibattimentali per le eventuali determinazioni di sua competenza». In altri termini, la Corte ha ritenuto che, nelle deposizioni di tutti i testi sentiti (ivi compresi magistrati, ministeri, onorevoli, collaboranti), nessuno escluso, fossero ravvisabili elementi configuranti reati e/o meritevoli di ulteriori approfondimenti investigativi”. (…)

“È indiscutibile che gli sconvolgenti accadimenti del 1992 (e poi del 1993) aprono scenari inquietanti di collusioni, connivenze e interessenze di entità soggettive diverse da quelle propriamente malavitose. Risulta così legittimo e doveroso porsi – rispetto all’analisi dei fatti – nella maniera più critica e analitica”. (…)

“Affermare che vi è stato un deficit di attenzione nel vaglio dell’esame delle fonti non costituisce affermazione lesiva dell’onore dell’organo inquirente. Con l’espressione si evidenziano – dal punto di vista della difesa – gli aspetti critici di uno dei più importanti momenti processuali: l’assunzione della testimonianza. Dal verbale dell’udienza del 13/01/2017 si evince come l’avv. Repici più volte sollevi critiche nei confronti della pubblica accusa sia per le conclusioni cui giunge sia per il modo di gestione delle indagini. Tuttavia, tali critiche sono intrinsecamente prive di contenuto offensivo in quanto si traducono nell’estrinsecazione della facoltà intellettiva dell’esaminare e del giudicare. Le parole dell’indagato non sono mai trasmodate nell’insulto o nell’offesa personale: non vi è mai in tutta la discussione un riferimento diretto, personale o fuori contesto. Nelle numerose pagine che raccolgono le parole pronunziate dall’avv. Repici non vi è un solo riferimento che possa essere letto come riferentesi agli odierni opponenti. I rilievi del difensore hanno avuto sempre come oggetto le indagini, le scelte investigative, le modalità di conduzione delle investigazioni”. (…)

“(…) La terza frase è stata pronunziata dal difensore subito dopo aver accennato al depistaggio relativo all’omicidio Agostino-Castelluccio, prima di sottolineare il fatto – obiettivamente allarmante – che al padre del poliziotto ucciso nell’agosto 1990 venne mostrato un album fotografico che conteneva la foto di Vincenzo Scarantino e questo ben prima della sua finta (perché estorta) confessione. In questo caso, il difensore sottintende che vi è una evidenza probatoria (la testimonianza del padre di Agostino) che l’individuazione di Scarantino come soggetto cui estorcere la confessione su via D’Amelio non fu casuale, ma rientrava in un disegno risalente”. (…)

“La rilevanza della tesi sostenuta dall’avv. Repici, tuttavia, nella prospettazione difensiva, non risiede tanto nell’insussistenza della calunnia, quanto piuttosto nel suo presupposto. Che Scarantino non abbia partecipato alla strage di via D’Amelio, abbia fatto false dichiarazioni e sia stato costretto a farle, infatti, possono ritenersi circostanze processualmente acquisite. Ciò che rimane, invece, in maniera inquietante, oscuro è il perché uomini appartenenti alle istituzioni abbiano consapevolmente e scientemente indotto una persona estranea a quei fatti ad accusare altre persone innocenti e ad autoaccusarsi. È questo il problema angosciante dei motivi e dei mandanti del depistaggio, che – a sua volta – coinvolge altri aspetti rimasti oscuri della strage di via D’Amelio. Quando si affronta il depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio, le parole pesano come macigni”.

“(…) va fatto solo cenno alla distinzione semantica che corre tra dire che la strage di via D’Amelio è una ‘strage di Stato’ e dire che la strage di via D’Amelio è una strage commessa da ‘uomini deviati delle istituzioni’. In realtà, non vi è alcuna differenza. Gli Stati, secondo gli studi della migliore antropologia sociale, non esistono come entità autonome, rappresentando piuttosto finzioni sociali. Le istituzioni non possono che operare attraverso gli uomini. Le espressioni usate dal difensore erano tese a sottolineare, da un lato, le proprie conclusioni speculative sul più alto livello delle responsabilità coinvolte, dall’altro, l’esigenza che le indagini non si fermassero agli esecutori materiali delle torture a Scarantino e delle falsificazioni/alterazioni dei suoi verbali, ma coinvolgessero i mandanti o gli ideatori”.

“Il procedimento va archiviato perché il reato deve dirsi insussistente e/o inconfigurabile in punto di offensività e/o oltraggiosità delle parole proferite dal difensore. Il reato, tuttavia, è anche insussistente perché manca il presupposto del “magistrato in udienza” necessario per la configurabilità della fattispecie. Al riguardo vanno fatte le seguenti osservazioni. È un dato di fatto che, all’udienza del 13/01/2017, allorché parlò l’avv. Repici, non erano presenti magistrati dell’ufficio della Procura della Repubblica né l’odierno opponente. Il difensore di Salvatore Borsellino ha parlato e si è rivolto al collegio giudicante in assenza di pubblici ministeri. (…) In altri termini, ammesso e non concesso che fossero state pronunziante parole offensive all’indirizzo della Procura o di un pubblico ministero, l’assenza del magistrato rende inconfigurabile il reato”.

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