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Appello per Umberto Mormile e Armida Miserere: ricordiamo i loro nomi fra le vittime innocenti di mafia

I sottoscritti, firmando il presente appello, chiedono che Umberto Mormile e Armida Miserere siano ricordati nelle celebrazioni del 21 marzo, Giornata della memoria e dell’impegno, assieme alle altre vittime innocenti delle mafie.

Umberto Mormile nasce il 15 settembre 1953.
Nel 1976, alla soglia della laurea, abbandona gli studi di giurisprudenza per fare il poliziotto penitenziario nel carcere di Civitavecchia. Due anni dopo diventa educatore carcerario, uno dei primi dalla riforma penitenziaria. Nel 1984 è a Parma e conosce Armida Miserere, assegnata al carcere. Si lega sentimentalmente a lei. Tra il 1986 e il 1987 un’inchiesta coinvolge il direttore del carcere, accusato di corruzione. La vicenda non riguarda Mormile, a cui non viene rivolto alcun addebito, ma verrà usata strumentalmente per depistare le indagini sulla sua morte. Nel 1987, l’amministrazione penitenziaria gli propone di trasferirsi nel nuovo carcere di Milano-Opera. L’11 aprile 1990, a Carpiano, mentre si sta recando al lavoro, Umberto Mormile è ucciso da Antonio Schettini e Antonino Cuzzola.
La verità sul suo omicidio ha compiuto un lungo percorso. Gli spari, furono solo l’inizio. Umberto Mormile stava per essere ucciso una seconda volta e dopo l’omicidio, sulla sua figura, furono riversate accuse e fango. Ora siamo oramai alla svolta definitiva. Nuove rivelazioni hanno confermato e consolidato la versione che, nel 2004, grazie alle rivelazioni proprio di Cuzzola, aveva già dato una chiara interpretazione agli iniziali depistaggi.
Antonio Schettini, terribile killer in Lombardia a partire dagli anni ’80, nel 1995 sostenne che era stato proprio lui l’esecutore materiale del delitto. Successivamente aggiunse che aveva operato su ordine del boss calabrese Antonio Papalia, che si era voluto vendicare di Mormile un tempo amico e agevolatore nel carcere di Parma del fratello Domenico, poi resosi inadempiente, nonostante il denaro ricevuto, a soddisfare le esigenze del capo della famiglia. Dalle rivelazioni di Schettini nacque un processo a carico di Antonio Papalia, Franco Coco Trovato, Antonino Cuzzola, Antonio Musitano e Diego Rechichi. Schettini scelse il giudizio abbreviato e riportò per l’omicidio Mormile una condanna a 14 anni di reclusione. Nel successivo dibattimento a carico dei presunti complici, si rifiutò di rispondere, cosicché la Corte d’Assise di Milano il 23 gennaio 2004 assolse tutti gli imputati.
Un anno prima della sentenza, dopo avere fatto ogni sforzo per ottenere la verità sull’omicidio del suo compagno, Armida Miserere, all’età di 46 anni, si uccide a Sulmona.
Subito dopo la sentenza, lo stesso Antonino Cuzzola, iniziò a collaborare con la giustizia e confessò che era stato lui il conducente della moto dalla quale Schettini aveva esploso i suoi colpi di pistola. Cuzzola aggiunse però che il movente del delitto gli era stato confidato da Antonio Papalia: Umberto Mormile andava eliminato perché aveva divulgato la notizia che il boss Domenico Papalia nel carcere di Parma aveva svolto colloqui con esponenti dei servizi segreti, che entravano nel Penitenziario con documenti falsi. Cuzzola disse pure che Antonio Papalia si era adoperato perché quel crimine venisse rivendicato, proprio a Bologna, dalla Falange Armata. Sigla che tornò ad essere usata da chi rivendicò la Strage del Pilastro del 4 gennaio 1991, durante la quale morirono 3 carabinieri, della quale si dichiararono colpevoli i killer della Uno bianca. La sigla fu utilizzata, successivamente, per rivendicare gli assassini e le stragi di mafia del 1992 e del 1993.
Quest’anno, proprio nel giorno in cui la Corte d’Assise di Palermo ha affermato che la trattativa fra uomini delle istituzioni e uomini di Cosa nostra, agli inizi degli anni novanta, era una minaccia rivolta allo Stato italiano, il 22 aprile 2018, Vittorio Foschini, collaboratore di giustizia, ha dichiarato che Umberto Mormile “non è morto perché era un corrotto” e che, viceversa, a condannarlo a morte fu una frase che pronunciò dopo aver respinto in malo modo l’offerta del clan. Mormile avrebbe affrontato il boss Domenico Papalia e gli disse “Io non sono dei servizi”.

Foschini, elemento di spicco della ‘ndrangheta milanese e fra i primi collaboratori di giustizia, braccio destro di Franco Coco Trovato, alle dirette dipendenze di Antonio e Domenico Papalia, parla durante le udienze del processo ‘Ndrangheta stragista, nel quale l’accusa, rappresentata dal procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo, ha portato sul banco degli imputati il boss di Brancaccio Giuseppe Graviano e Rocco Santo Filippone, considerato all’epoca capo mandamento della ‘Ndrangheta reggina, per gli attentati ai carabinieri eseguiti in provincia di Reggio Calabria fra la fine del ‘93 e l’inizio del ’94, in uno dei quali morirono gli appuntati Fava e Garofalo.
Foschini dice che l’educatore di Opera “…aveva capito che Papalia non era cambiato, aveva ancora a che fare con noi, per questo aveva fatto una serie di relazioni negative al tribunale di sorveglianza, che per questo aveva bloccato i permessi“. Un problema per il boss, che secondo quanto raccontato dal pentito, nonostante la detenzione, rimaneva il vertice assoluto del clan ed elemento del gotha della ‘Ndrangheta. «In famiglia si diceva che i servizi non potevano fare niente, allora – racconta Foschini – si è pensato all’omicidio». Una decisione sofferta all’interno del clan. Il rischio era che immediatamente lo si addebitasse a Domenico Papalia, destinatario di fin troppe relazioni negative per non diventare sospetto. “Per questo – spiega il pentito – prima lo abbiamo avvicinato. Gli abbiamo offerto trenta milioni, ma lui ha rifiutato. Quell’omicidio – racconta – è stato firmato come Falange Armata “perché così Papalia mi aveva detto di fare“.
Dopo le dichiarazioni rese da Foschini i fratelli di Umberto vogliono finalmente avere giustizia e vogliono che la verità emerga anche in sede giudiziaria individuando anche gli altri mandanti dell’omicidio. A inizio agosto 2018 hanno fatto richiesta di riaprire le indagini al Procuratore aggiunto Alessandra Dolci a capo della Dda milanese.
Il presente documento verrà consegnato ai fratelli di Umberto, Stefano e Nunzia, alla figlia Daniela e a Don Luigi Ciotti, Presidente di Libera.

Flora Agostino, Nunzia Agostino, Vincenzo Agostino, Salvatore Borsellino, Paola Caccia, Angela Gentile Gioacchino Manca, Augusta Giacoma Schiera, Lorenzo Sanua, Antonella Beccaria, Maria Canino; Francesca Cimino; Ludovica Cimino; Gianni Cirillo, Simona D’Avino, Dario Di Nucci, Federica Fabbretti, David Gentili, Cesare Giuzzi, Benedetta Gaudino; Cinzia Gennarelli, Gerardo Gennarelli, Iris Isello, Matilde Maresca; Davide Milosa, Federica Monaci; Ezio Monaci; Angela Munizza; Lucio Pacilli; Luigi Pagano, Giuseppina Parisi; Elisa Passatempi; Moira Francesca Rametta Ilaria Ramoni, Giulia Sarti; Giovanni Spinosa; Mario Spinosa; la Redazione di ANTIMAFIADuemila, Giorgio Bongiovanni, Lorenzo Baldo, Aaron Pettinari; il Movimento Agende Rosse, Angelo Garavaglia Fragetta e Marco Bertelli.

Bibliografia:
Miserere Vita e morte di Armida Miserere, servitrice dello Stato, di Cristina Zagaria, Dario Flaccovio
L’Italia della Uno bianca, di Giovanni Spinosa, Chiarelettere.
Uno bianca, trame nere, di Antonella Beccaria, Stampa Alternativa.
Processo allo stato, di Giorgio Mottola e Maurizio Torrealta, BUR Rizzoli.
Il filo dei giorni. 1991-1995: la resa dei conti, di Maurizio Torrealta, Imprimatur.
La repubblica delle stragi. 1978/1994. Il patto di sangue tra Stato, mafia, P2 ed eversione nera, a cura di Salvatore Borsellino, PaperFIRST.

Filmografia:
Come il vento, 2013. Regia di Marco Simon Puccioni, con Valeria Golino, Filippo Timi, Francesco Scianna, Chiara Caselli, Marcello Mazzarella.
Documenti processuali più significativi:
Ordinanza del Gip di Reggio Calabria nei confronti di Giuseppe Graviano e Rocco Santo Filippone del 14 luglio 2017.

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