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Ninni Cassarà e Roberto Antiochia. Un’amicizia sino all’estremo sacrificio

Tenterò di far comprendere che tra Ninni e Roberto non c’è stato solo e soltanto un rapporto tra il funzionario e l’agente, ma qualcosa di più che andava oltre l’attività investigativa. Quando Roberto è arrivato nella nostra sezione, diretta da Cassarà, subito è stato accolto con simpatia e se vogliamo con tenerezza: era giovanissimo. Un ragazzo alto, snello, un vero simpaticone che si è subito inserito nel gruppo. Egli è arrivato all’indomani dell’omicidio del generale Dalla Chiesa, insieme a tanti altri colleghi, tra funzionari ed agenti. Alcuni di loro, dopo essere stati riservatamente scrutinati, sono stati costretti a lasciare la Mobile, mentre Antiochia, così come Beppe Montana, è rimasto. D’altronde non poteva essere diversamente: solo il personale che dava garanzia e dimostrava capacità investigative poteva far parte di quella che all’unisono era considerata l’università delle investigazioni d’Italia, ovvero la Squadra Mobile di Palermo.

Sono passati 27 anni ed ancora oggi ho ricordi nitidi di Roberto e Ninni, entrambi assassinati il 6 agosto del 1985. E, quando nel maggio del ’85 mi sono congedato per l’ultima volta da Cassarà, la mia premonizione si è poi avverata. Nel salutarci, dopo un caloroso e forte abbraccio (io lasciavo Palermo) ho detto a Ninni che da quelle finestre del condominio di fronte al suo, i killers potevano sparare in tranquillità. “Ninnì non mi piace questo posto” ho soggiunto. E sempre, in quel mese di maggio del ’85 commentando il cambio di dirigenza della Mobile, ho detto a Ninnì: “Questa Squadra mobile entro sei mesi sarà distrutta”. Non mi sono sbagliato, purtroppo! A luglio c’è stata la morte di Salvatore Marino, avvenuta proprio negli uffici della Mobile.

Sovente, passo metà del mio tempo a ricordare tutti i miei migliori amici che mi hanno lasciato e l’altra metà per comprendere i motivi della loro scomparsa. Non riesco a darmi risposte: non riesco a darmi pace. Prima di tutto perché mi è stato letteralmente impedito di raggiungere Palermo, dopo l’assassinio di Beppe Montana. Secondo, una domanda echeggia nella mia mente. Perché lo Stato ha permesso gli omicidi di poliziotti, carabinieri, magistrati, innocenti bambini, donne indifese e semplici onesti imprenditori, per finire poi con le stragi del 92/93? Nel periodo della Mobile di Cassarà respiravamo il “nuovo” modo d’investigare: metodo innovativo che ribaltava la visione del fenomeno mafia. Per decenni lo strapotere di Cosa nostra veniva collocato e circoscritto nei confini siciliani. Mentre la lungimiranza di Ninni Cassarà, in raccordo con Giovanni Falcone, faceva sì che le proiezione della mafia sicula, oltrepassava lo Stretto, sino a solcare l’Oceano per raggiungere gli States. In quel periodo, Chinnici e Falcone potevano contare su un team d’investigatori di tutto rispetto: Cassarà, Montana della V°sezione investigativa antimafia e Francesco Accordino della sezione “Omicidi”. Due Sezioni che collaboravano gomito a gomito. Una meravigliosa stagione era iniziata nel contrasto a Cosa nostra. Finalmente, lo squarcio sulle nebulose attività pregresse contro la mafia, era avvenuto: un’aria nuova impregnava soavemente i nostri uffici e tutti eravamo consapevoli che la guerra contro Cosa nostra potevamo vincerla: era a portata di mano. Sognatori, illusi e niente più. Ma, in noi c’era un senso di disciplina a quelle che erano i dettami della Costituzione: innanzi tutto il dovere e la fedeltà. Purtroppo, ahimè, anche nelle nostre file i traditori tramavano contro di noi intessendo rapporti, certamente remunerativi, col nemico Cosa nostra. E, lo Stato non solo è rimasto sordo alle richieste mie e di Cassarà, per ottenere più mezzi e strumenti per contrastare Cosa nostra, ma, come le indagini hanno poi dimostrato, qualche importante uomo politico incontrava segretamente la mafia. Solo condoglianze, solo corone di fiori e qualche parole di circostanza seguivano i feretri di poliziotti, carabinieri e magistrati sino all’ultima dimora. Pupiate, nel vero stile italico. Ma noi andavamo avanti. E, la dimostrazione dell’alto senso dell’amicizia sta nel gesto di Roberto Antiochia che sino all’estremo sacrificio è stato accanto al suo “Capo” Ninni Cassarà. Io avrei dovuto e voluto essere con loro in via Croce Rossa a Palermo: luogo del loro martirio, ma mi è stato impedito.

Ninni e Roberto vi ricordo con affetto e non perdo mai occasione di raccontarvi ai ragazzi delle scuole medie e superiori: devono conoscere qual è stata la vostra amicizia. Devono sapere che avete pagato un alto prezzo per essere stati onesti, per essere stati davvero uomini che credevano nell’onore. Altro che gli appartenenti a Cosa nostra, che pomposamente si facevano e si fanno chiamare “uomini d’onore”, oppure coloro che per soldi si dono venduti ai mafiosi. La differenza tra voi e loro, sta in quel meraviglioso vostro sorriso che ogni giorno illuminava la nostra V° Sezione.


Pippo Giordano


Ninni Cassarà e Roberto Antiochia

 

“Eravamo un manipolo di persone che andava avanti unito. Rifarei tutto, anche adesso.
Immagino cosa sarebbe questa città con gli uomini che sono stati ammazzati dalla mafia’.
Francesco Accordino era il capo della sezione omicidi della Mobile di Palermo
(Fonte: larepubblica.it, 14 maggio 2012)

 
‘E, lo Stato non solo è rimasto sordo alle richieste mie e di Cassarà, per ottenere più mezzi e strumenti per contrastare Cosa nostra, ma, come le indagini hanno poi dimostrato, qualche importante uomo politico incontrava segretamente la mafia’. Così scrive Pippo Giordano. A tale proposito vorrei ricordare un fatto.  Il 15 agosto 1985, nove giorni dopo l’omicidio di Cassarà ed Antiochia, l’allora Ministro degli Esteri Giulio Andreotti incontrò a Mazara del Vallo Andrea Mangiaracina, all’epoca sorvegliato speciale di PS e luogotenente di Salvatore Riina. L’incontro avvenne in una saletta dell’hotel Hopps e nessun altro vi prese parte. ‘Parlammo di problemi legati alla pesca’ fu la ricostruzione dell’onorevole Andreotti. L’incontro fu ricordato dal sovraintendente di Polizia Francesco Stramandino che fu inviato sul posto per tutelare la sicurezza del ministro. Stramandino a tal proposito, durante il processo per concorso esterno in associazione mafiosa a carico di Andreotti, dichiarò: «Ricordo che rimasi un po’ sorpreso di ciò (dell’incontro Andreotti – Mangiaracina, ndr), poiché pensai che l’on. Andreotti trattava cortesemente una persona del tipo di Manciaracina, e magari poi a noi della polizia neanche ci guardava».

Marco Bertelli

 

Palermo, 1969. Giulio Andreotti e Nino Salvo (all’estrema sinistra dell’inquadratura, leggermente tagliato). Questa fotografia famosa certifica un incontro tra il senatore e i Salvo, sempre negato da Andreotti. L’incontro avvenne all’Hotel Zagarella in Santa Flavia, vicino a Palermo
(foto di Letizia Battaglia).

 

 

 
 

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