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La giustizia del Pdl:salvare il Cavaliere e gli amici

  di Marco Travaglio
 

Se Berlusconi dovesse tornare al governo per la terza volta, non occorre Nostradamus per prevedere che farà nel settore giustizia: quello che ha fatto la prima e la seconda, cioè quel che farebbe qualunque imputato colpevole se si trovasse al suo posto.

Il punto di partenza è sempre lo stesso: il Cavaliere è imputato al Tribunale di Milano per falso in bilancio, frode fiscale e appropriazione indebita (diritti Mediaset) e per corruzione giudiziaria (presunta tangente per tappare la bocca al testimone David Mills); la Procura di Napoli ha chiesto il suo rinvio a giudizio, insieme all’ex direttore di Raifiction Agostino Saccà, per corruzione (la famosa telefonata delle «ragazze» da sistemare nelle fiction Rai in cambio di appoggi a un’attività imprenditoriale privata del fedele dirigente); la Procura di Roma indaga sulla presunta «istigazione alla corruzione» da parte del leader del Pdl nei confronti di alcuni senatori del centrosinistra, affinché abbandonassero la coalizione che li aveva eletti, rovesciassero il governo Prodi e si accasassero dalle sue parti. In più è ancora pendente a Madrid il processo a suo carico per falso in bilancio e violazione dell’antitrust spagnola nell’affare Telecinco.

La politica giudiziaria del Popolo della Libertà Provvisoria non potrà prescindere da queste impellenti esigenze penali del suo padrone, nonché delle decine di imputati e condannati che lo seguiranno in Parlamento e – in caso di vittoria – al governo. A cominciare da Marcello Dell’Utri che, condannato definitivamente a 2 anni per frode fiscale, rischia di finire in carcere se diventassero definitive anche le sue condanne in appello a 2 anni per tentata estorsione mafiosa e in primo grado a 9 anni per concorso esterno in associazione mafiosa.

Della depenalizzazione del concorso esterno (reato «inventato» dal pool di Falcone e Borsellino nell’ordinanza del processo «maxi-ter» a Cosa Nostra), il programma del Pdl nulla dice: ma molti suoi dirigenti, Berlusconi in testa, ne parlano da anni come di un’esigenza impellente. Probabile che, per salvare Dell’Utri nel caso in cui anche la Corte d’appello di Palermo lo ritenesse colpevole, si opti per la scorciatoia del ripristino dell’immunità parlamentare: in campagna elettorale, il Cavaliere ha promesso il ritorno al sistema dell’autorizzazione a procedere, ovviamente con effetto retroattivo. Per indagare e processare un eletto, i giudici dovrebbero chiedere il permesso al Parlamento, che deciderebbe a maggioranza. E la maggioranza berlusconiana risponderebbe, ovviamente, picche. Dunque il processo a Dell’Utri, come pure quelli a Berlusconi e a tutti gli amici e amici degli amici, si bloccherebbe per sempre.

Nel caso in cui gli alleati (An e Lega, sempreché esistano ancora) si opponessero a una norma tanto impopolare, resterebbe comunque una via subordinata per raggiungere l’impunità: l’annunciata «riforma delle intercettazioni», a cui il programma del Pdl dedica buona parte del capitolo sulla giustizia. Testualmente: «Limitazione dell’uso delle intercettazioni telefoniche e ambientali solo al contrasto dei reati più gravi», che Berlusconi ha spiegato essere solo «la mafia e il terrorismo», aggiungendo che «saranno introdotte pene severe per chi trasgredisce: 5 anni per chi ordina intercettazioni non permesse, 5 anni per chi le esegue, 5 anni per chi le diffonde, 2 milioni di euro di multa per gli editori che le pubblicheranno».

A parte il divieto di pubblicazione (purtroppo previsto anche dal programma del Pd), scatterà dunque l’arresto per i magistrati e per gli agenti di polizia giudiziaria che intercetteranno persone indagate per reati diversi da mafia e terrorismo: tipo quelli di Tangentopoli e quelli finanziari, ma anche l’omicidio, il traffico di droga e così via. E le intercettazioni già acquisite in precedenza? Siccome si applica sempre la legge più favorevole all’imputato, verrebbero cestinate su due piedi. E le migliaia di processi fondati su intercettazioni – compresi, per esempio, quelli per Calciopoli, per le scalate dei furbetti del quartierino, per il caso Berlusconi-Saccà e così via – andrebbero in fumo. Se poi si intervenisse sul concorso esterno in associazione mafiosa, potrebbero evaporare anche le intercettazioni che dimostrano i rapporti trentennali di Dell’Utri con la mafia. Valendo la norma anti-cimici soprattutto per il futuro, la magistratura verrebbe privata anche dell’ultimo strumento per scoprire i colpevoli dei reati più gravi.

Per intimidire ulteriormente i magistrati impegnati nelle indagini sui colletti bianchi, il programma del Pdl prevede poi una «maggiore distinzione fra pm e giudici» (non bastando ancora la separazione strisciante delle carriere imposta dall’ordinamento giudiziario Castelli-Mastella); e addirittura «norme costituzionali in tema di responsabilità penale, civile e disciplinare di magistrati»: basterà la denuncia di un potente per spaventarli e incoraggiarli a concentrarsi solo sui reati di strada. Perché è sui delitti dei poveracci, e solo su quelli, che si auspica la mano dura delle toghe, anche con l’«apertura di nuovi Centri di permanenza temporanea». Cioè di nuove gabbie-lager per extracomunitari. Tolleranza mille per i signori, tolleranza zero per tutti gli altri.

 
 
Inserto de L’Unità, 6 aprile 2008

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