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Lettera da Emiliano Morrone su Michele Barillaro

Ringrazio il mio amico Emiliano Morrone per avermi scritto questa lettera.
Avevo letto anche io le affermazioni del giudice Michele Barillaro poste in coda all’articolo di Alfio Sciacca sul Corriere della Sera di Giovedi 6 Marzo.
Le avevo lette ed avevo provato un senso di nausea che mi aveva impedito di pubblicare a mia volta un commento.


Lo fa Emiliano Morrone per me e lo ringrazio.
Voglio però, ora che Emiliano me ne da l’occasione, aggiungere anche io qualcosa a queste vuote parole di Barillaro, espressione, nel migliore di casi, di ignavia ed indifferenza.
Barillaro dice “E’ inutile rimestare nel torbido“, certo se tutto fosse limpido non ci sarebbe bisogno di rimestare per riuscire a capire cosa c’é sotto quel torbido. Ma se, nonostante siano stati fatti passare 16 anni prima di cominciare ad indagare, c’è finalmente un Giudice che vuole che si indaghi seriamente sulla sparizione di un’agenda nella quale potrebbero essere contenuti gli inconfessabili motivi della strage del 19 Luglio, credo che esprimere un simile giudizio non possa fare altro che tornare utile a quelle “varie persone o entità” ai quali “….la morte di Borsellino abbia fatto comodo“.
Che poi, guarda le coincidenze, potrebbero essere quelle stesse persone che gli hanno offerto una candidatura per accettare la quale il giudice Barillaro ha chiesto ed ottenuto dal CSM di essere messo in aspettativa dalla sua attività di Magistrato.

Speriamo che la sua aspettativa duri il più a lungo possibile, un politico come lui in più non può fare gran danno rispetto ai tanti parlamentari con cui si ritroverà sicuramente in buona compagnia, di un magistrato come lui ne facciamo volentieri a meno

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Caro Salvatore,

ho letto sul Corsera di ieri (6 marzo 2008) le tue dichiarazioni a proposito dell’«agenda rossa» di Paolo. Sono rimasto sconcertato dalle affermazioni del giudice Michele Barillaro, estensore della sentenza d’appello sulla strage di via D’Amelio, riportate dal giornalista Alfio Sciacca nel finale dello stesso articolo.

«È inutile rimestare nel torbido, non c’è un indizio serio. La certezza processuale è che Borsellino è stato ucciso dalla mafia. Tutto il resto, tutto quanto si è detto in tanti anni non ha mai trovato un riscontro. Certo il fatto che la morte di Borsellino facesse comodo a varie persone o entità è pacifico».

Mi chiedo se un giudice dello Stato, della Repubblica, possa esprimersi così. Me lo domando senza alcuna vena polemica.

A Paolo Borsellino interessava la verità, ed è in nome di questa che ha speso i suoi giorni, le sue energie e la sua vita.

Per tanto, la morte di Peppino Impastato è stata considerata un suicidio dagli inquirenti.

Non so se chi indaga fondi sempre le proprie conclusioni esclusivamente su elementi scientifici, su tracce inconfutabili, su prove da laboratorio.

Mi pare che, malgrado i test sofisticatissimi dei Ris e le intercettazioni disposte da pm motivati come De Magistris, la giustizia perda terreno e, anzi, rimanga impantanata. Io non so come finirà con lo spettacolare omicidio di Perugia né se le pacifiche conversazioni di Mastella e Saladino troveranno mai l’interpretazione corretta. Intanto, l’angoscia degli italiani per l’impunità dei forti aumenterà, e con lei il senso di incompiuto che ci logora; la coscienza d’essere impotenti e di dover campare pagando allo Stato un tributo quotidiano, in nome del contratto sociale.

Non credo affatto che una strage come quella di via D’Amelio si possa ricondurre solo alla mano della mafia. Un’organizzazione eccezionale, impeccabile e puntuale. Stranamente precisa nei tempi, azzecca ogni mossa: pare che non sbagli mai, che non trascuri il minimo dettaglio.

Quando la mafia, chiamiamola così, uccise Falcone, la moglie e la scorta, non riuscì a prevedere la posizione dell’auto su cui viaggiava il magistrato. Non poté calcolare che Falcone stava insolitamente dietro e che i suoi agenti lo precedevano con la macchina di servizio. Il satellite di Cosa nostra non funzionò, benché quel giorno il cielo non fosse chiuso né sapemmo di comunicazioni interrotte. Lì ci fu un intoppo, il piano dell’onorata società non andò liscio e per una fatalità, il fatto che Falcone volle stare alla guida, si concluse con successo. Per piazzare il tritolo e la centralina di controllo, ci volle parecchio. Tutto senza problemi. Quasi come il furto alla gioielleria Damiani di Milano. Ma alla Damiani un gruppo di ladri professionisti rubò solo oggetti di valore, sicuramente assicurati.

Più studiato fu l’assassinio di Paolo e dei suoi collaboratori. Facile, rapido, perfetto, se non fosse stato per l’«agenda rossa». Magari qualcuno dirà, non è improbabile, che fu sottratta come souvenir, come ultima memoria d’un giudice straordinario, per una sconosciuta sindrome del colonnello Giovanni Arcangioli, allora mi pare capitano. C’è da attendersi ogni trovata, in questa Italia alla deriva; dove le contiguità sono tante e tali che solo l’ardore dei giovani e altro sangue di martiri possono impedirne l’avanzata.

Non si possono accettare le parole di Barillaro. Intanto perché non vengono, con tutto il rispetto, da un giornalaio o da un parrucchiere. Non si possono accettare perché dicono e non dicono; perché chiudono una vicenda sulla base della verità processuale, che per definizione è incompleta.

Io vorrei tanto sapere che cosa avrebbe detto questo giudice, se al posto di Paolo Borsellino fosse stato ucciso suo fratello o se uno della scorta gli fosse stato parente. Probabilmente, nel commento di Barillaro la verità processuale avrebbe avuto altri connotati: il fatto non sarebbe stato pura azione di mafia per eliminare un magistrato scomodo. Barillaro avrebbe rilevato sfumature o contraddizioni macroscopiche, le stesse che i comuni cittadini ravvisano in quella terribile pagina di storia nazionale. Io ho l’impressione, caro Salvatore, che l’assassinio di tuo fratello sia legato ad affari enormi; che lo Stato ci sia dentro più di quanto possa pensare un uomo medio come me e, per ultimo, che i motivi veri della strage non tarderanno a emergere.

Con l’amicizia e la stima di sempre.

Emiliano Morrone

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