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Vite per la giustizia

Tommaso, Rosy, Francesco (clicca per ingrandire)

di Marcello Campomori

Lo scorso 8 aprile Francesco Mongiovì e Tommaso Catalano, invitati dalle Agende Rosse, hanno incontrato gli studenti della Scuola Secondaria di Primo Grado Giuseppe Ungaretti di Grosseto.
Pubblichiamo quanto scritto da un insegnante.

Questa volta ho guardato gli occhi. Quando si assottiglia la distanza tra la parola e la vita, la parola diventa vita, veicolo creativo di relazioni nuove, luogo dove la prossimità non spinge verso la paura, ma nella direzione di una comunione ancora più stretta. Ho lasciato perdere il quaderno degli appunti, ho guardato il volto di chi ha offerto la sua testimonianza e i volti dei ragazzi, le pieghe che prendevano sotto l’incalzare di parole vere, uscite come pietre preziose dalla ricchissima miniera di chi vuole rimanere dalla parte giusta. Una lezione per me, docente di religione, toccare con mano la verità sanguinosa ma feconda che racconta come la ricchezza aumenta con lo spendimento della propria esistenza. Un invito a non fare calcoli, a non guardare l’orologio del contratto, ma sfidare la paura e rimanere sullo sguardo degli studenti, accettando di essere giudicati, smascherati, incompresi, ma forti nel tentativo di lasciare loro l’insegnamento più efficace, la speranza. A cosa si deve l’andar su e giù per l’Italia di questi due amici se non per la speranza che loro stessi alimentano in chi li incontra?! La morte ha cercato di investire la loro vita con la forza bruta di un fuoco assurdo, loro hanno raccolto questo fuoco, color sangue, per accendere la speranza nelle persone che incontrano. Fanno i conti con una morte assurda che mostra la sua faccia ad ogni levar del sole, ma hanno imparato ad opporre, al buio del non senso, la luce della speranza.

Tommaso ha raccolto il testimone tenendo in braccio la madre che lo stava lasciando, promettendo che si sarebbe messo al servizio della legalità, della verità, della giustizia. La sua vera opera si compie quando chi, incontrando un uomo che offre se stesso, non fugge la paura dell’impegno, ma si lascia coinvolgere senza sapere dove andrà ma sapendo bene cosa farà.

Francesco è nato a Palermo e non se n’è andato anche quando la sua città sembrava avergli voltato la faccia, ha deciso di restare, prestando fede alle parole di Paolo Borsellino: “Non hanno ancora inventato una bomba che uccide l’amore”. Non ama citare frasi di altri, desidera che sia la sua testimonianza la parola più forte, ma, come mi ha detto prima di iniziare l’incontro con noi, ha preso come guida queste parole. “Per sconfiggere la mafia ci serve un esercito di maestre elementari”.

Nell’auditorium c’erano due persone, le mogli di Tommaso e Francesco. La loro presenza nascosta è la testimonianza che per forgiare parole che muovono le persone ci deve essere una consuetudine alla relazione, una passione per l’unità, il coraggio di procedere insieme. Ci rimane il desiderio di conoscere il laboratorio in cui si forma questa forte speranza, ascoltando chi condivide in modo così intimo l’impegno pubblico di questi due amici, cercando quelle parole di donna apparentemente escluse da queste vicende.

Questa traccia lasciata a Grosseto diventi il solco del nostro impegno.

Grosseto, 10 aprile 2019

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