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La conferenza stampa di Tinebra e Boccassini sulla collaborazione di Scarantino

Di seguito, la trascrizione della conferenza stampa tenuta da Giovanni Tinebra e Ilda Boccassini sugli sviluppi delle indagini sulla strage di via d’Amelio, nella data del 19 luglio 1994, a due anni esatti dall’eccidio:

GIOVANNI TINEBRA:
…Noi oggi qui celebriamo il secondo anniversario delle eccidio di via d’Amelio ed abbiamo la profonda, commossa, consapevole soddisfazione di celebrarlo nel modo giusto, cioé in maniera fattiva. Ieri infatti abbiamo chiesto ed ottenuto sedici ordinanze di custodia cautelare nei confronti di alcuni dei mandanti e degli esecutori materiali della strage.
(…) Voi sapete quali sono i miei sentimenti nei confronti dei media, sentimenti di stima, rispetto e consapevolezza della interdipendenza dei nostri compiti. Ciò però come vi ho sempre detto, esige piena lealtà ed assoluta responsabilità nell’esercizio delle rispettive funzioni, nostre giudiziarie, vostre di informazione. Non è consentito, alla luce di questi principi, anticipare in maniera veramente avventata, consentitemelo, notizie che possono avere effetti sconvolgenti e per le indagini in corso e per la sicurezza personale di quanti, collaboratori e familiari, magari sono ancora senza protezione.
Vi ho sempre detto, mi rendo conto di quelle che sono le vostre esigenze e vi vengo incontro, e ciascuno di voi ne è testimone, però vi prego, ricordiamoci che molte volte un malaccorto, malaccorto da un punto di vista di tempestività, sicuramente non di buona fede, esercizio del diritto-dovere di informazione puó portare conseguenze sconvolgenti, come nel caso che ci occupa. Vi posso dire che grazie a determinate precauzioni, che avevamo preso in precedenza, e alla eccellente fattività dei nostri collaboratori sul campo, abbiamo portato a termine interamente l’operazione, e sul profilo operativo procedimentale e sotto il profilo dell’assicurazione a misura di protezione delle persone interessate. Ma vi posso dire che abbiamo corso un grosso pericolo, quindi per favore, per il futuro, augurandoci che il futuro ci riservi ancora gradite sorprese come quella di oggi, consultiamoci un momentino e decidiamo assieme se è il momento di dare certe notizie o se piuttosto non è meglio aspettare un momentino per far sì che le notizie da dare siano più belle,più importanti Più rilevanti. Scusatemi ma ve lo dovevo dire.

Scarantino. Io credo di poter dire finalmente che questa Direzione Distrettuale Antimafia ha onorato i suoi impegni. Due anni fa, tra le macerie ancora fumanti e taluni focolai di incendio che stentavano a spegnersi, io e i miei collaboratori dicemmo “ce la metteremo tutta per arrivare in fondo a questa vicenda“, pur sapendo che avevamo davanti un’impresa titanica, pur sapendo che i precedenti non deponevano per un segno positivo di questo nostro proponimento.
E Cominciamo. Cominciammo da un numero di telaio malamente leggibile su un pezzo di motore di macchina reperito in mezzo a mille altri tra le macerie di via D’Amelio. È cominciata da là la storia delle indagini sulla strage di via D’Amelio. Mi ricordo, allora la DDA era composta dal dottor Polina, che ora è Roma, dal dottor Giordano, Petralia e Vaccara, che ora è Procuratore aggiunto a Messina.
…E ci mettemmo di buzzo buono a lavorare, con l’aiuto di tutti i pezzi dello Stato. Fu costituito il famoso gruppo stragi, dalla polizia di stato, quaranta tra ufficiali di pg e agenti, sotto la guida del dottor La Barbera, i quali cominciarono a lavorare in maniera seria, impegnata e indefessa con sommo spirito di sacrificio e altissima competenza. Ed è a loro che per primi io porgo il mio ringraziamento. Oggi non saremmo qua a dirci queste cose se non ci fosse stato il gruppo stragi della polizia di Stato. Le indagini su via D’Amelio sono firmate da loro, questo è giusto che si sappia.
E partimmo da allora, rivoluzionando un ufficio che fino a quel momento era stato dimensionato a ben altra attività giudiziaria, rivoluzionando l’organico di magistrati e di funzionari, grazie all’aiuto delle competenti direzioni del ministero, uno dei pezzi dei quali oggi ho il piacere di avere qui, Liliana Ferraro, vecchia amica sempre accanto a noi nei momenti di bisogno.
E cominció la nostra avventura. Si arrivó al furto della centoventisei e si arrivó a Scarantino. Vi ricordate cosa successe quando chiedemmo e ottenemmo la misura cautelare nei confronti di Scarantino? Manifestazioni popolari in sua difesa, tutta una serie di interrogativi, “ma chissà se è vero?”, “chissà se questi giudici di Caltanissetta hanno fatto bene il loro lavoro?”, “se hanno preso un abbaglio?”, e via di lì. Noi stringemmo i denti e continuammo. E arrivammo al telefonista. Indi arrivammo al carrozziere, indi arrivammo al primo livello della mafia, Profeta, braccio destro di Pietro Aglieri e Carlo Greco. Ne ottenemmo il rinvio a giudizio. Ma noi avevamo altre cose in corso. Ed ecco che finalmente viene la luce. Viene la luce dopo le indagini, e qui ancora una volta desidero sottolineare che abbiamo seguito il metodo Falcone, indagini sul campo. I collaboratori di giustizia ci sono, per dare colore ad un quadro che è già stato delineato nelle sue connotazioni essenziali. E finalmente abbiamo saputo di avere avuto ragione.
Abbiamo una piena confessione con quindici chiamate in correità e siamo solo agli inizi. Abbiamo modo di affermare sul campo e con i fatti che anche questa strage è stata ordinata da Totò Riina, il quale ebbe una riunione, con taluni pezzi della cupola, esattamente i capi dei mandamenti interessati sotto un profilo esecuzionale, vale a dire i mandamenti della Guadagna, Pietro Aglieri e Carlo Greco, e del Brancaccio, uno dei fratelli Graviano in rappresentanza degli altri. Si tenne questa riunione e si stabilì che Paolo Borsellino doveva morire perché avrebbe fatto più danno di Falcone e si passò alla subito fase operativa. Fase operativa che si è concretizzata nel reperimento della 126 famosa, nell’occultamento della stessa nell’officina di Orofino, nel caricamento della stessa, nel trasporto della stessa presso la casa di via D’Amelio e infine nel botto finale.
Abbiamo acclarato anche come elemento di riscontro anche la piena colpevolezza di Pietro Scotto, il telefonista. Abbiamo la riprova che avevamo visto giusto. Siamo arrivati a sedici. Possiamo dire ormai con definitiva sicurezza, come abbiamo sempre detto, teorizzato ed in gran parte anche dimostrato, che via D’Amelio è opera di cosa nostra. Abbiamo scoperto i mandanti, abbiamo gli esecutori. Non ci fermiamo, andiamo avanti. Ma cerchiamo, ove vi siano, anche il resto dei mandanti, dentro e fuori cosa nostra. Cerchiamo, ove vi siano, anche il resto degli esecutori.

Un’ultima notazione, perché è importante che si faccia. Noi abbiamo avuto la ventura, non perché siamo bravi ma solo perché le nostre indagini ci hanno portati ad incontrare detemrinati fatti, di affermare talune cose che a prima vista sembravano un poco strane, non vi parlo della commissione interprovinciale, ne parleremo in altra occasione, vi parlo invece del famoso discorso degli uomini d’onore riservati. Riina da un certo periodo in poi, affilia uomini d’onore che non presenta a nessuno. Abbiamo la riprova della esattezza di questa strategia del Riina.
Scarantino è uno degli uomini d’onore riservati.

(…)

 

FRANCESCO PAOLO GIORDANO:
Il nostro impegno ovviamente continua sempre nello spirito che ci ha animato sin’ora e noi guardiamo alla stagione dei processi dei dibattimenti ovviamente, perché consideriamo questo risultato come un punto di partenza che ci deve sollecitare, ci deve stimolare ad un impegno maggiore. Noi sappiamo che quello sarà il banco di prova e la verifica importante e stiamo cooperando proprio per cercare di portare al meglio quest’ipotesi accusatoria affinché questi processi si concludano con delle condanne come giusto che sia.

 

ILDA BOCCASSINI:
Volevo puntualizzare alcune osservazioni che mi sembrano importantissime in una giornata come questa. Ribadisco il concetto espresso dal capo di questo ufficio, a cui va tutto il mio riconoscimento per il lavoro svolto a Caltanissetta. Cioè sono state premiate ancora una volta le indagini investigative pure. Ci siamo mossi con una logica di aggressione sul territorio e questo è stato premiale nel momento in cui una delle persone che era responsabile di questo reato ha accettato di collaborare con lo Stato. A questo punto va detto che il lavoro di questa procura è stato possibile perché tutti i pezzi dello Stato si sono contattati. E a questo punto deve andare il mio ringraziamento personale, ma ritengo a nome di tutta la procura, alla dottoressa Liliana Ferraro che non ha mai abbandonato né Caltanissetta né altre procure. Senza l’aiuto del ministero di Grazia e giustizia, nella persona della dottoressa Ferraro, non sarebbe stato possibile ottenere oggi questi risultati. Ringrazio il collega Di Maggio, la cui esperienza, la professionalità e il coraggio dimostrato da quando ha assunto l’ingrato compito di essere vicedirettore del DAP. Senza l’aiuto di Di Maggio, senza la collaborazione del direttore di Pianosa, di tutti gli agenti a cui va il nostro ringraziamento totale, non sarebbe stato possibile gestire per la prima volta con Scarantino nel carcere di Pianosa( e non portato subito in una struttura extracarceraria), gli eccellenti risultati che noi stiamo ottenendo. Il coraggio, ripeto, di persone come Liliana Ferraro, Francesco Di Maggio, persone che forse… Liliana già non è più direttore degli affari penali, mi auguro che Francesco Di Maggio rimanga vicedirettore delle carceri, non lo so se questo succederà, e quindi per questo in questa giornata mi sento, come cittadino e come magistrato, di dire grazie a queste persone che hanno contribuito a questo eccellente risultato.
E mi chiedo perché queste persone ci hanno lasciato o un’altra forse ci sta per lasciare.
Voglio fare un’altra osservazione. I collaboratori di giustizia sono una realtà essenziale nel  paese. Lo ha dimostrato ancora una volta l’indagine sulla morte di Paolo Borsellino. Ma è arrivata, lo ripeto, questo concetto va ripetuto fino alla noia, perché vi erano già delle indagini che hanno consentito di valutare appieno quello che Scarantino Vincenzo ci diceva.
Ma attenzione, Scarantino Vincenzo è stato per ventuno mesi sottoposto al regime del 41 bis. In un carcere speciale come quello di Pianosa e non ha avuto la possibilità, come era giusto che sia, di avere contatti con altri detenuti esponenti di cosa nostra. Gli è stato consentito, così come la legge prevedeva, di avere colloqui solo con i propri familiari. Quindi il 41 bis è stata ancora un volta una scelta vincente. E lo dimostriamo con i fatti non con le parole.
Un’altra osservazione. Siamo appena agli inizi, è vero che abbiamo i dibattimenti in corso e questo sarà un momento molto importante. Però dobbiamo capire perché dal maggio 92 a tutto il 93 è stata portata in essere da cosa nostra una vera e propria dichiarazione di guerra contro lo Stato. Io La settimana scorsa ancora una volta come cittadina e poi come magistrato ho appreso con gratitudine dai colleghi di Roma che erano usciti con l’appartenenza dell’omicidio di via Fauro, del tentato attentato a via Fauro, e gli altri attentati, con cosa nostra. E allora questo qual è l’aspetto più importante? Che per la prima volta si è potuto di dimostrare che cosa nostra ha colpito fuori la Sicilia, e con Costanzo un obiettivo diverso. Con le altre stragi che cosa nostra per la prima volta colpisce un obiettivo apparentemente insignificante. E allora bisogna chiedersi perché e questo impone a tutti doverosamente di andare avanti.
Un’ultima osservazione e mi riporto alle parole del procuratore Tinebra. La notizia che è uscita è stato un atto di irresponsabilità da parte di chi l’ha pubblicata ma ancor di più, ritengo, e parlo a titolo personale, di chi ha divulgato la notizia, perché significa che dentro di noi c’è qualcuno che vuole remare contro le istituzioni e contro il lavoro che i magistrati fanno. Io mi auguro che si riesca a stanare la talpa e chi ha consentito questo, mettendo a repentaglio la vita del collaboratore di giustizia e dei suoi familiari, degli investigatori e di tutti i ragazzi che sono giorno e notte in mezzo ad una strada e tutte le indagini.
Mi chiedo perché ancora oggi sui giornale vengono pubblicate false notizie di due falsi teoremi che vedono ancora una volta in contrapposizione, che non è, le dichiarazioni di altro collaboratore di giustizia, Salvatore Cancemi, e oggi Scarantino. Io mi chiedo e chiedo al senso di responsabilità di quei giornalisti che dovrebbero conoscere la storia di cosa nostra, quanto possa essere pericoloso questa disinformazione periodicamente, costantemente, di voler creare tanta confusione, da ritenere, al di là di quello che è stato scritto proprio dalla procura nissena, di ritenere che nella strage di via D’Amelio e la strage per l’uccisione del dottor Giovanni Falcone ci sia stata una contrapposizione all’interno di cosa nostra. È gravissimo che ancora i giornali pubblichino questo tipo di notizie. Ed io vorrei capire perché. È soltanto una stampa libera, una stampa responsabile, una stampa professionalmente competente deve impedire che ciò avvenga. Perché se non avvertite questi pericoli, allora veramente la magistratura verrà lasciata sempre più sola. Grazie.

GIOVANNI TINEBRA:
A proposto di quello che ha detto la collega e che condivido, forse è il caso di spendere trenta secondi, non di più, sul ventilato contrasto all’interno di cosa nostra che avrebbe fatto sì che via D’Amelio sarebbe una risposta, come affermazione di potenza, a coloro i quali la loro potenza avevano affermato con l’eccidio di Capaci. Non è affatto vero. Si tratta sempre di un’unica mente criminale, intesa come summit di cosa nostra, che ha ordito la prima e la seconda strage. Ovviamente, secondo le regole di cosa nostra, che si ancorano solidamente al territorio, all’eccidio di via D’Amelio hanno partecipato forze dei mandamenti di Brancaccio e della Guadagna che non erano state coinvolte invece nell’eccidio di Capaci. Tutto qua. Quindi… tutt’altro segno che quello di dissidi interni e discordie. Al momento della strage di via D’Amelio i corleonesi avevano saldamente il potere e solo loro.

DOMANDA GIORNALISTA (donna, non meglio specificata):
(…) se tra i provvedimenti che sono stati emessi ce ne è anche uno nei confronti di Vitale o se il suo ruolo è stato confermato (…)
GIOVANNI TINEBRA:
Ecco, vede, questo qua è una della cose nei confronti delle quali noi lamentiamo una mancanza di collaborazione. Lei parla di persona che potrebbe anche essere indiziata e nulla più. Non c’è provvedimento nei confronti di Vitale, il quale, sicuramente sapendo dai giornali che è indagato, si guarderà bene dal farsi cogliere in castagna.

DOMANDA STESSA GIORNALISTA:
E l’ipotesi investigativa che ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati di Bruno Contrada
GIOVANNI TINEBRA:
Lei parla di fatti vecchi di due anni. Non l’abbiamo coltivata. (Voce del collega accanto che, a bassa voce, dice “coperto strettamente dal segreto”.) Lei mi chiede di cose coperte da segreto. Le posso dire che non è stata nessuna attivazione procedimentale. Le conseguenze, ove ve ne siano, traetele voi.

DOMANDA GIORNALISTA ATTILIO BOLZONI:
(…) diceva la dottoressa Boccassini che probabilmente c’è qualcuno che rema contro. Non è la prima volta che qualcuno rema contro. (…)
TINEBRA:
Infatti.
BOLZONI:
Non è la prima volta che alla vigilia di un’operazione (…) C’è sempre la fuga di notizie, (…) due volta nel caso Falcone, un volta nel caso Borsellino e Pietro Scotto e ultima, l’altro ieri (…) perché pare che qualcuno sia pure scappato.
TINEBRA:
No no no…
BOLZONI:
L’avete presa in tempo.
TINEBRA:
Appunto. Le devo dire con profonda soddisfazione, le devo dire che se si è trattato di un tentativo di rovinare le nostre indagini questo tentativo è andato…
BOLZONI:
Avete aperto un’inchiesta interna?
TINEBRA:
No, apriamo un’inchiesta esterna.
BOLZONI:
Esterna. Ma le notizie vengono da dentro.
TINEBRA:
Beh, intanto provengono da determinati posti. Accerteremo chi… Speriamo, almeno, chi le ha fatte uscire.
BOLZONI:
Peró c’è (…) prima di capire (…) esterno.
TINEBRA:
Ma vede, dottore Bolzoni, il discorso è che il nostro interno è costituito da un gruppo così unito, così coeso, che è assolutamente inimmaginabile che la fuga di notizie venga dal nostro interno. Non solo, questa potrebbe essere una vana enunciazione di principio senza riscontro, ma noi abbiamo la prova provata del fatto che non venga dal nostro interno, perché puntualmente appena avviene un minimo di divulgazione in certe direzioni, automaticamente la notizie esce, mentre prima no. Diciamo che, siccome non siamo nati ieri, ormai siamo attrezzati. E quindi non ci cadiamo più.

(…)

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