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Caso Antoci. Il Gip: «pure elucubrazioni mentali». Ecco perché non ci sono dubbi sull’attentato mafioso

Archiviata l’inchiesta bis dopo che la Commissione antimafia siciliana aveva avanzato dubbi sull’attentato mafioso subito da Giuseppe Antoci nel 2016 e sventato dalla sua scorta: “Sono pure elucubrazioni mentali non corroborate da alcun dato probatorio”. Come abbiamo sempre sostenuto con Gaetano Pecoraro, seguendo questo caso fin dall’inizio

“Sono pure elucubrazioni mentali non corroborate da alcun dato probatorio pensare a un coinvolgimento di Antoci o degli agenti della sua scorta”.

Fin dall’inizio, pochi mesi dopo, con Gaetano Pecoraro vi abbiamo parlato dell’attentato mafioso, sventato dalla scorta, del 18 maggio 2016 all’ex presidente del Parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci e vi abbiamo raccontato quest’anno i nostri dubbi su quanto concluso della Commissione antimafia siciliana che con un’inchiesta aveva lasciato aperte tre conclusioni: atto dimostrativo non destinato a uccidere o messinscena a sua insaputa, attentato mafioso (qui potete trovare il servizio successivo). Di queste tre “l’attentato di mafia è la meno plausibile”. Una posizione ribadita dal presidente di quella commissione, Claudio Fava. Qui potete vedere tutto quello che non ci tornava in queste conclusioni.

Ora anche il gip del Tribunale di Messina mette la parola fine a queste ipotesi dal punto di vista giudiziario. “Sebbene le indagini non abbiano consentito di risalire agli autori dell’attentato”, scrive la giudice per le indagini preliminari Simona Finocchiaro disponendo l’archiviazione dell’inchiesta bis, come riporta il Corriere della Sera, “la conclusione raggiunta dalla Commissione d’inchiesta e vigilanza sul fenomeno della mafia e della corruzione in Sicilia ossia che l’ipotesi del fallito attentato mafioso sia la meno plausibile appare preconcetta e comunque non supportata da alcun dato probatorio“.

“Più esplicitamente eventuali illazioni sul coinvolgimento di Antoci degli uomini e della sua scorta o ancora di Daniele Manganaro e di Granata (gli agenti che sventarono l’agguato con un conflitto a fuoco, ndr) appaiono pure elucubrazioni mentali non corroborate da alcun dato probatorio, non potendosi ritenere tale la sussistenza di eventuali incongruenze o dubbi nella dinamica dei fatti”. Non ci sono dubbi sulla insomma ricostruzione fatta all’autorità giudiziaria dalle persone presenti durante l’attentato. “Non si ravvisano elementi nemmeno iniziare per sostenere i soggetti coinvolti nella vicenda abbiano reso dichiarazioni false sulla dinamica dei fatti… In definitiva non si ravvisano ulteriori spunti investigativi e quindi deve disporsi l’archiviazione”. Le indagini della procura di Messina erano già arrivate alla stessa conclusione, anche se non è stato possibile identificare appunto gli autori dell’attentato: “Innegabile che tale gravissimo attentato è stato commesso con modalità tipicamente mafiose e al deliberato scopo di uccidere”.

Giuseppe Antoci è stato presidente del Parco dei Nebrodi e il suo protocollo di contrasto alla criminalità organizzata ha causato la perdita di un business milionario per la mafia. Per questo Il 18 maggio 2016 in una strada isolata c’è stato un attentato di stampo mafioso ai suoi danni: la macchina blindata e l’intervento tempestivo degli agenti della scorta lo hanno salvato dalle pallottole. Ad anni di distanza, adesso che Antoci non ricopre più alcun incarico pubblico, la sua figura a quanto pare sembra però essere ancora al centro dell’attenzione della malavita e di una possibile operazione di “mascariamento”, di macchina del fango volta a oscura la sua figura e la sua lotta ai clan.

Gli agenti della sua scorta sono stati recentemente promossi dal capo della polizia Franco Gabrielli per aver salvato Antoci da un “attentato di stampo mafioso”. “Mi sembra la giusta risposta a chi ha tentato di delegittimare gli uomini che quella notte mi hanno salvato la vita”, ha detto a Iene.it lo stesso Giuseppe Antoci.

Dopo che il caso era arrivato fino alla commissione nazionale antimafia, il nostro Gaetano Pecoraro ha detto: “Con la seduta si certificano tre cose. Primo: se la mafia dei Nebrodi in commissione antimafia siciliana veniva inquadrata come una mafia di basso livello (fatta sostanzialmente da quattro pastori), in commissione nazionale viene presentata per quello che è: un centro di interessi molto complesso, che unisce clan di diverse aree geografiche dell’isola. Una delle organizzazioni criminali più pericolose, per la sua capacità accaparrarsi enormi flussi di denaro pubblico (parliamo di miliardi di euro) senza mai dare nell’occhio. Secondo: l’attentato ad Antoci ci fu e questo, anche se ancora non sono stati trovati i colpevoli, è stato provato. Altroché ‘messa in scena’. Terzo. Non esiste alcuno scontro interno all’antimafia. Esiste la procura di Messina che indaga sull’attentato. Ed esiste una commissione regionale che – come detto in Senato – impegna il suo tempo in attività che non le sono consentite dalla legge e dalla costituzione Italiana. Una commissione regionale non può rifare le indagini fatte dai giudici, la legge non le dà gli strumenti per farlo. Le domande che mi faccio sono le stesse contenute nelle inchieste fatte nei mesi scorsi: perché la commissione antimafia Siciliana impiega tempo e risorse (pubbliche, ricordiamocelo) per attività che non le competono? A chi ha giovato sottostimare la mafia dei Nebrodi? A chi ha giovato mettere in dubbio l’attentato ad Antoci? Insomma: cui prodest?”.

Fonte: www.iene.mediaset.it


Nota della redazione

In un nostro precedente articolo (Caso Antoci: il ‘mascariamento’ dell’attentato e la commissione anti antimafia) avevamo espresso il nostro parere che andava ben oltre il concetto di «elucubrazioni»:
«Ci sono poi altre perplessità … che ci fanno pensare che per la commissione antimafia, per dirla con parole loro, l’obiettivo meno plausibile fosse la ricerca della verità. I finti dubbi sulla scorciatoia, i punti importanti dell’audizione del Procuratore Angelo Cavallo non riportati in relazione, le parole messe in bocca mai dette…»


 

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