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Quello che Ultimo non ci ha voluto raccontare

di Angelo Garavaglia Fragetta – 11 ottobre 2016

“L’amore di servire e non di esercitare il potere. Di fare le cose senza chiedere niente in cambio. Questo ci ha insegnato il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Valori che devono ispirare la nostra vita di Carabinieri e di uomini”. Parola di Sergio De Caprio, detto “Capitano Ultimo”, che aggiunge: “credo che il lavoro del carabiniere sia un donare e non un avere”.
Da un uomo con questi valori, che è diventato un eroe nell’immaginario collettivo grazie alle fiction delle reti di Berlusconi, ci saremmo aspettati un comportamento, se non da eroe, almeno da uomo di Stato.
Venerdì scorso, invece, De Caprio si è presentato nell’aula dove si svolgeva il processo “Trattativa Stato-Mafia” (tra gli imputati i colleghi Carabinieri del ROS Mario Mori e Giuseppe De Donno) per informarci della sua decisione di avvalersi della facoltà di non rispondere.
Se dalla faccenda della mancata perquisizione del covo di Riina, De Caprio esce dal processo (insieme a Mori) con un assoluzione perché il fatto (aver aiutato in qualche modo la mafia) non costituisce reato (non l’aveva capito e comunque non può essere provato il dolo), c’è un episodio inquietante che lo riguarda al quale, anche arrampicandosi sugli specchi, proprio non si riesce a dare una spiegazione logica degna di questo nome. E’ per paura delle possibili domande su questo episodio che venerdì scorso l’eroico Capitano si è avvalso della facoltà di non rispondere?
E’ il 6 Aprile 1993. Secondo le prime ricostruzioni, Sergio De Caprio e la sua squadra si muovono da Palermo per incontrare Giuseppe De Donno, che in quel periodo lavora a Napoli, per una “riunione di coordinamento” a Messina di cui però Giuseppe Scibilia, comandante del ROS della città, non sapeva nulla. Decidono poi di tornare insieme a Palermo. Sulla via del ritorno passano dalla litoranea in località Terme Vigliatore. Si trovano proprio vicino al punto in cui, nei giorni precedenti ed anche quel 6 aprile, veniva intercettato, sempre dal ROS, il boss mafioso latitante Santapaola. A quel punto si mettono però ad inseguire, sparandogli (uno dei colpi ha mancato la testa di un soffio), un ventenne di nome Fortunato Imbesi “scambiandolo” per il boss mafioso ricercato Pietro Aglieri, allora trentacinquenne.
Come mai non viaggiavano nell’unico tratto di autostrada che collegava Messina a Palermo? De Caprio prova a spiegarci che, soprattutto da quando Falcone era saltato in aria in autostrada, preferivano percorrere le statali. Il luogo dove si trovano gli uomini di Ultimo però, è ben distante dalla statale: siamo sulla strada che costeggia il mare.
Cosa ci facevano lì quegli uomini? Anche la Statale era un pericolo? E’ qui che Ultimo quasi si commuove raccontando che per andare a trovare i suoi genitori (presumibilmente in Toscana) quando era in licenza passava da lì perché quella strada “era bellissima”. Quindi Ultimo, nonostante avesse di fronte un migliaio di chilometri da fare per tornare a casa, allungava il percorso, uscendo dall’autostrada, evitando la statale e imboccando una strada costiera che nessuna guida turistica segnalava tra le numerose bellezze siciliane.

Ultimo, in tutte le sue deposizioni, sembra voler far intendere che, per tornare da Messina a Palermo usando la statale, si dovesse percorrere la litoranea. Le immagini seguenti vi serviranno per capire la deviazione necessaria per fare quella strada. Non si capitava lì per caso, ci voleva un motivo, e l’unico motivo plausibile, ascoltando De Caprio, era di natura sentimentale.


 

Proviamo ad immaginare alcune delle domande che avrebbe voluto fare il PM alle quali De Caprio si è sottratto:

Lavorando nella zona di Palermo, in quale occasione si era innamorato di quel tratto di strada della provincia di Messina?
Era normale per lei allungare un tragitto già estenuante (10/13 ore di auto) per raggiungere i suoi genitori, per andare a percorrere la litoranea della poco famosa località di Terme Vigliatore?
Era normale per lei costringere gli uomini che viaggiavano con lei ad allungare ancora di più il già tortuoso percorso che avete scelto per percorrere la Messina-Palermo dopo una giornata di lavoro per un bisogno di carattere “affettivo”?
E soprattutto: come mai alcuni dei suoi uomini dicono che non erano lì per motivi sentimentali ma per qualche operazione di Polizia?

Ora guardi queste immagini:



Voi che, secondo la sua ricostruzione, viaggiavate sulla strada che costeggia la costa, come avete fatto a credere di poter riconoscere dentro una macchina che usciva da un cancello a 40 metri di distanza, il boss latitante Pietro Aglieri (
che peraltro non somigliava per nulla a Fortunato Imbesi)?
Già, perché Imbesi uscito dal cancello, girò a destra, dalla parte opposta rispetto alle macchine del convoglio della squadra di De Caprio.

Un uomo comune che si avvale della facoltà di non rispondere può essere in qualche modo giustificabile.
Un Carabiniere dovrebbe rinunciare a tale facoltà per mettere davanti a tutto il dovere verso l’Arma e verso i cittadini che difende.
Cosa dovrebbe fare un “eroe” che si ispira al Generale Dalla Chiesa e che dovrebbe essere d’esempio per sconfiggere l’omertà che ha reso la mafia quasi invincibile, se non ha nulla da nascondere?

Approfondimenti:
http://www.19luglio1992.it/index.php?option=com_content&view=article&id=8699:capitano-ultimo-e-tutto-oro-quello-che-luccica&catid=2:editoriali&Itemid=4
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/01/19/processo-mori-dopo-provenzano-spunta-mancato-arresto-boss-santapaola/1351950/
http://www.radioradicale.it/scheda/442148/processo-dappello-mori-obinu

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