“Siamo come le foglie di un albero, quando arriva il nostro inverno e il vento diventa troppo forte per noi, ci spazza via.
Ma non finiamo, di noi resta l’impegno, la passione e l’amore che abbiamo saputo dare nella nostra vita e quelli non ci sarà mai nessun vento così forte da poterli spazzare via.
Mimmo resterà con noi, vivrà insieme a noi per sempre, con il suo coraggio, la sua forza, il suo amore per la Verità e con il suo sorriso.”
Salvatore Borsellino
Con profondo dolore, oggi salutiamo Domenico, detto Mimmo, Marzaioli, un uomo che ha dedicato la sua vita all’impegno civile e che ci ha onorato della sua partecipazione al Movimento delle agende rosse. Nato a Caserta l’8 marzo 1945, Mimmo è stato un esempio di dedizione e passione, dall’impegno politico alla lotta contro le mafie.
La sua storia, segnata dagli insegnamenti di una madre che ha vissuto le difficoltà della guerra e del fascismo, è stata una continua ricerca di giustizia e di riscatto sociale. Laureato in Scienze Economiche e Marittime, Mimmo ha saputo unire l’analisi lucida dei fatti all’azione concreta, prima nel PCI di Enrico Berlinguer e poi nelle istituzioni, come consigliere comunale di Caserta. Mimmo ha avuto un ruolo attivo nel contrasto alla camorra, sostenendo figure come Renato Natale e Lorenzo Diana e denunciando le infiltrazioni mafiose nel tessuto sociale e politico.
Il suo impegno si è rinnovato negli anni, con l’adesione al Movimento delle Agende Rosse e la costituzione del gruppo Gruppo Agende Rosse “Paolo Borsellino – Adriana Castelli e Susanna Crispino Attiviste nella Vita” partecipando attivamente alle iniziative in memoria di Paolo Borsellino, delle vittime della mafia e alla ricerca della verità sulle stragi del 92-93.
Nel 2022 Christina Pacella del direttivo delle Agende Rosse, aveva posto a Mimmo e ai vari coordinatori dei gruppi delle agende rosse, delle domane le cui risposte sarebbero state contenute nel libro “Fuori la mafia dallo Stato” che uscirà a breve.
Più sotto troverete le risposte di Mimmo.
Ricordiamo Mimmo con affetto e gratitudine, consapevoli che la sua eredità di passione, coraggio e dedizione continuerà a ispirare tutti noi.
I funerali si celebreranno domani 16 aprile 2025 alle 15 alla Tenda di Abramo, via Paolo Borsellino, Caserta.
MOVIMENTO AGENDE ROSSE (MAR) CAMPANIA “Paolo Borsellino”
Gruppo Caserta-Napoli nord “Adriana Castelli e Susanna Crispino”
Mi chiamo Domenico (detto Mimmo) Marzaioli, nato a Caserta l’8 marzo 1945, dopo il servizio militare, laureato in Scienze economiche e marittime (1968/1972), coniugato con Immacolata D’Alessandro laureata nello stesso Istituto Universitario Navale di Napoli. I nostri due figli: Fabio, Professore Universitario, Alessio, Professore Scuola Media Superiore, Chiara e Sebastian, due splendidi nipotini.
Pensando e ripensando agli anni troppo in fretta trascorsi della mia non breve esistenza ho potuto apprezzare tutto il valore che hanno avuto i suoi insegnamenti, poche parole, fatti ed esperienze che mi hanno aiutato a crescere, da bambino ad oggi, fino ad orientare le mie scelte e i miei stessi comportamenti quotidiani.
Aurora Avella, casalinga e socialista sposata con Americo, mio padre apprezzato orologiaio ma monarchico, ha concepito e generosamente donato la vita a 10 figli (due femmine e otto maschi) senza mai fare mancare a nessuno di noi il conforto, i consigli più giusti e adatti alle domande, alle esigenze, spessissimo diverse se non contrapposte, per età, per sesso e per sensibilità che derivavano soltanto dalle esperienze vissute negli oltre 20 anni che intercorrevano dalla prima figlia all’ultimo figlio.
Una vita vissuta da bambina tra la fine della I Guerra mondiale (luglio 1914/novembre 1918), l’inizio e la fine ventennio fascista (ottobre 1922/luglio 1943), da giovane sposa visse con ansia – per la partenza di papà al fronte greco/albanese – tutta la durata della II Guerra mondiale (giugno 1940/luglio 1943) fino alla Liberazione dell’Italia dall’occupazione nazifascista durante la II guerra mondiale (settembre 1943/maggio 1945).
Durissimo fu il periodo trascorso durante il ventennio fascista che, non più bambina, in seguito al licenziamento del papà, orgoglioso Macchinista di Prima classe delle Ferrovie dello Stato, visse in povertà, per avere rifiutato di tesserarsi al partito nazionale fascista.
Era il racconto che mamma faceva a noi piccoli primi figli, attorno al braciere, con intesa emozione.
L’avvio dell’offensiva fascista (28 ottobre 1940) sul fronte greco/albanese, voluta da Mussolini, al solo scopo di affermare, durante la II guerra mondiale, il ruolo autonomo dei fascisti verso i nazisti, il Regio Esercito Italiano, con forze insufficienti e scarsamente equipaggiato, andò incontro a disastro che segnò il destino di migliaia di giovani soldati. Tra i tanti mio padre tornò a casa con il braccio e la gamba sinistra anchilosati, spolpati, cioè dei muscoli e, dopo molti anni, ottenne il riconoscimento di Invalido di guerra!
Aurora, la mia stella polare non mancò di dedicare amore e affetto e, con l’aspettativa di tempi migliori, anche di delineare compiti familiari e orientare i sogni futuri di ognuno di noi. Come pure non mancarono, come è facile immaginare, il sovrapporsi di momenti di entusiasmo per la realizzazione di aspettative avverate con lunghi anni di sacrificio: alle cocenti delusioni e amarezze si alternavano speranze e felicità.
Gli anni ’68/’72 – quelli della mia formazione culturale – Laurea in Scienze Economiche e Marittime conseguita presso L’Istituto Universitario Navale al Maschio Angioino di Napoli – furono anni di studio e di lotta che, con i racconti della mia mamma, trasformarono il mio impegno civile in politico attivo prima nei gruppi di base cattolici.
Furono anni di lotta sociale e politica diffusa che, con la partecipazione di operai e studenti orientarono le mie scelte politiche e, nell’Università, segnarono la rottura dei rapporti di potere esercitati dai “baroni” che, perché politici, calendarizzavano gli esami solo i lunedì perché liberi da impegni parlamentari e, senza avere mai tenuto lezioni durante i giorni di frequenza, con saccente predisposizione decidevano in nostro andamento universitario futuro.
Nel mentre i professori assistenti, animatori reali della nostra formazione, venivano trattati, alla stessa stregua di noi studenti che reagimmo con l’occupazione dell’Università intensificando le ore di studio con maggiore impegno e rifiutando di svolgere esami con i Professori ordinari nei loro giorni di assenza di impegni parlamentari.
Dopo oltre tre mesi di occupazione – durante i quali molte furono le Assemblee affollate di studenti impegnati a seguire lezioni di Professori ordinari di Diritto Costituzionale, di Scienze Economiche e delle Materie contenute nei Piani di studio che rafforzavano la nostra volontà di approfondire Diritti e Doveri stabiliti nella Costituzione e gli Effetti sociali delle scelte politiche finanziarie – ottenemmo il riconoscimento retroattivo giuridico della titolarità dei Professori assistenti allo svolgimento delle sessioni di esame!
Nel 1974, con la partecipazione attiva al movimento studentesco e con la partecipazione alle prime lotte sociali ed operaie, mi iscrissi al PCI di Enrico Berlinguer.
Molte occasioni di riflessione sul fenomeno camorristico manifestatosi con la presenza e l’agire nelle nostre terre di capi camorra: inizialmente interessati alla gestione del contrabbando di sigarette estere che aveva il suo centro di smistamento a Napoli ove mafiosi palermitani e catanesi si rifornivano di carichi di sigarette attraverso Michele Zaza.
Rapporti che furono intensificati – anche attraverso l’obbligo di dimora – con Stefano Bontate, Gaetano Riina, Salvatore Bagarella, Luciano Liggio e, nella seconda metà degli anni ’70 numerose cosche divennero a mano a mano più attive nel traffico di stupefacenti, nel controllo e la gestione degli appalti a partire dalla gestione della ricostruzione post terremoto del 1980.
Furono questi gli anni nei quali la camorra andava intessendo la rete dei rapporti con i politici e, per il loro tramite, con le istituzioni rafforzando il loro potere economico e finanziario che spalancò le porte all’ingresso negli appalti delle grandi opere pubbliche, della gestione dei rifiuti e dei settori sociali e produttivi (ospedali pubblici, cliniche private, distribuzione del cemento, costruzioni, grande distribuzione commerciale, turismo e servizi finanziari).
In quegli stessi anni, partecipando alle iniziative sociali – ricoprivo allora – con Angelo Foglia, Presidente e Francesco D’Ambrosio, Direttore del Patronato Epasa – l’incarico di Segretario Provinciale della Confederazione Nazionale dell’Artigianato di Caserta – maturai la consapevolezza della necessità di contrastare la crescita invadente della Camorra come delle mafie nell’economia, nella società, nella politica e nelle istituzioni.
In conseguenza dell’impegno espletato con successo mi trovai a dover scegliere tra l’entrare a fare parte della Segreteria Provinciale del PCI e/o accettare l’incarico di Segretario Regionale della C.N.A. Campania: nel gennaio del 1981 scelsi di accettare l’incarico di Responsabile Provinciale dell’Organizzazione e componente della Segreteria Provinciale del Partito Comunista Italiano di Caserta. Una scelta compiuta dopo avere, nella realtà concreta, accertato che, per un verso, la certezza di avere elaborato una Proposta politica di Sviluppo dell’Artigianato condivisa nel gruppo dirigente provinciale e, per l’altro, che la domanda di conseguire obiettivi di sviluppo e di valorizzazione di un settore importante si scontrava, nel rapporto con le istituzioni locali (Comuni e Regione), con interessi consolidati e sottomessi ai gruppi di potere di riferimento invece che conseguire il bene comune!
In questi primi duri anni di impegno politico la camorra si manifestò con cinica arroganza l’assassinio di Franco Imposimato.
Sposato e Padre di due figli, fu ucciso l’11 ottobre 1983, all’uscita dalla fabbrica vittima di una “vendetta trasversale” decisa dalla Banda della Magliana, con la complicità della “camorra” e di “cosa nostra” per intimidire il fratello, Ferdinando Imposimato, giudice istruttore a Roma che, nel 1983, già aveva depositato la prima e la seconda sentenza del processo sul rapimento e l’omicidio dell’On. Aldo Moro, impegnato nei diversi processi di mafia, stava indagando sulla stessa Banda della Magliana.
“Della famiglia Imposimato conoscevo bene Franco, appassionato attivista della Sezione del PCI di Maddaloni, iscritto alla CGIL e amante della Cultura e dell’Ambiente fu tra i costituenti del “Gruppo Archeologico Calatino”, dell’Antica Calatia, l’odierna Maddaloni. Ricordo anche, a tale proposito, la sua passione per la pittura che lo portò a “colorare” le pareti oscure della Sezione comunista molto frequentata che spero qualcuno ne conservi la memoria oltre che foto.
Per mia sventura non potrò mai dimenticare con emozione profonda e rinnovata quel maledetto drammatico pomeriggio autunnale perché, ricoprendo l’incarico di responsabile dell’Organizzazione della Segreteria provinciale del PCI di Caserta, conosciuta la notizia dell’agguato, con le lacrime agli occhi, mi toccò di dovere informare tutti i segretari delle sezioni del PCI per mobilitare i compagni che accorsero numerosissimi nel piazzale antistante la Face Standard».
Solo dopo quel drammatico avvenimento ebbi la possibilità di conoscere, Ferdinando, la moglie di Franco, Maria Luisa Rossi e i figli Giuseppe e Filiberto, avendo partecipato, alla presenza numerosa di cittadini, giovani ed operai, alle iniziative pubbliche (sociali e istituzionali), organizzate da un manipolo di amici fraterni, ancora oggi impegnati.
Ferdinando ha improntato i suoi impegni di Magistrato come di Politico al rispetto delle leggi e alla coerenza del suo operato ai principi di Verità e di Giustizia saldamente ancorati all’attuazione piena della Costituzione.
Nella lotta alla camorra il confronto politico interno al PCI Provinciale di Caserta fu particolarmente impegnativo, in un periodo caratterizzato da assassinii e stragi politico/istituzionali: una crescita inarrestabile che contò – negli anni 1980/2004 – 646 omicidi compiuti dai clan di camorra cui aggiungere centinaia e centinaia di vittime innocenti, oltre mille morti, molti dei quali totalmente sconosciuti!
Le conclusioni del duro confronto politico cui pervenne il Comitato federale furono tali da essere, da una parte cospicua di dirigenti, per le analisi svolte e le iniziative decise, stigmatizzati come “Associazione Antimafia” non più un partito politico.
Furono anni difficili, durante i quali non mancarono minacce camorristiche fin dentro le sezioni localizzate nei territori dell’Aversano e della Costa, in particolare Lusciano, Casapesenna, Orta di Atella, San Cipriano, Villa di Briano, Villa Literno, Castelvolturno (condizionamenti, sequestro di iscritti impegnati nelle assemblee oltre che lo scioglimento del gruppo dirigente e la chiusura della sezione di Villa di Briano).
Minacce furono espresse con particolare virulenza a Casal di Principe ove, nel corso del Processo Spartacus, Antonio Bassolino denunciò l’arroganza del Clan Zagaria. “Il 25 aprile 1992 infatti ero andato nella sezione del Pci di Casal di Principe per intervenire ad un’assemblea. A un certo punto, irruppe nella stanza il capostipite del potente clan Zagaria, che iniziò a lanciare invettive e minacce contro di me e noi del Pci, colpevoli di “disonorare il paese” solo perché denunciavamo i loschi interessi dei clan.”
Intanto a Casal di Principe e nell’Agro aversano andava crescendo un forte movimento civile anticamorra.
A Casal di Principe Renato Franco Natale medico e fondatore, con altri cittadini, dell’Associazione Jerry Essan Masslo, impegnata – presso il centro Caritas Fernandes di Castel Volturno – nella tutela della salute e del reinserimento sociale dei migranti, referente regionale di Libera, impegnato tuttora nel recupero dei beni confiscati alle mafie a fini sociali. È, con altri attivisti, fondarono il Comitato Don Peppe Diana.
La breve esperienza da Sindaco e le prime intimidazioni.
Con l’insegnamento di don Peppe Diana, autore dell’Appello “Per amore del mio popolo non tradirò” andò affermandosi la volontà di liberare la Città di Casal di Principe dal dominio della camorra che occupava e condizionava l’esercizio pieno della libertà dalla cultura alla socialità, dall’economia alla politica. Andò così spontaneamente formandosi una coalizione che aggregava i Cittadini formati al rispetto dei valori costituzionali, primo tra tutti, la necessità di liberare la Città di Casal di Principe dal dominio della camorra che decisero di partecipare, con Renato Natale sostenuto da due liste civiche, alle elezioni amministrative del 1993.
L’elezione del Sindaco e il successo della coalizione fu salutato come la festa di tutti i cittadini fino ad essere citato da Roberto Saviano in Gomorra come “il primo ed unico Sindaco di Casal di Principe ad aver posto come priorità assoluta la trasparenza e la lotta alla camorra nella terra dei Casalesi”.
Eletto il 21 novembre 1993, l’anno successivo la camorra decise che l’esperienza amministrativa doveva finire ma avendo “contrattato” il passaggio di tre consiglieri al centrodestra, optarono per uccidere politicamente la nuova amministrazione. Nessuno doveva dimenticare che Casale, il paese dei Bidognetti e degli Schiavone, bastavano due delle cinque famiglie più potenti del “clan dei casalesi” per riaffermarne il dominio, gettando quintali di letame davanti la casa di Renato Natale e, come delirante avvertimento, il 19 marzo 1994 decretarono ed eseguirono cinicamente l’assassinio di un prete molto amato come don Peppino Diana.
Il messaggio era chiaro: qui comandiamo noi.
Intanto negli stessi anni Lorenzo Diana, insegnante e segretario provinciale del PCI, viene eletto nel Collegio di Aversa – tra la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica – ininterrottamente dal 15 aprile 1994 al 27 aprile 2006, con incarichi Istituzionali: Commissione permanente ai Lavori pubblici e, dal 21 novembre 1996 al 4 dicembre 2006 Segretario della Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia e delle altre associazioni criminali similari.
“Decenni di impegno politico anticamorra tra Casal di Principe e San Cipriano d’Aversa, dove sono nato e cresciuto – orgogliosamente affermava Lorenzo – mi hanno insegnato che non c’è territorio che non sia possibile cambiare. Nonostante mi sia imbattuto, anche con la sinistra, diffidente sulla possibilità di recuperare aree che molti ritenevano ‘perse’.”
Nel 1988 Casal di Principe fu attraversata da un corteo di camorristi armati e impuniti, pareva una realtà sudamericana. In tali degradanti condizioni, spesso prevaleva, la rassegnazione. Una fiammella di speranza si accese solo il 5 dicembre 1995: l’operazione Spartacus.
Spartacus, l’inchiesta e il processo resi celebri da Roberto Saviano. Lo scrittore ha avuto parole d’affetto per Lorenzo Diana: “L’ex senatore del Pds e Segretario della commissione Antimafia è stato un simbolo della lotta alla criminalità organizzata, uno dei primi oppositori del Clan dei Casalesi, quando la camorra non la combatteva convintamente neppure lo stato. Per la sua attività, a partire da metà anni 90, dopo l’operazione “Spartacus” che ha portato a un centinaio di condanne tra i Casalesi, ha vissuto sotto scorta per le minacce della camorra, in particolare del boss Francesco Schiavone detto “Sandokan”. È pertanto diventato “un’icona dell’antimafia militante”: l’unico politico citato da Roberto Saviano in “Gomorra” come esempio della lotta ai clan.”
“Lorenzo Diana è uno di quei politici – scriveva Saviano – che ha deciso di mostrare la complessità del potere casalese e non genericamente di denunciare dei criminali. Per questo i clan temono la sua conoscenza e la sua memoria. Temono che da un momento all’altro possa risvegliarsi l’attenzione dei media nazionali sul potere casalese, temono che in Commissione Antimafia il senatore Diana possa denunciare ciò che ormai la stampa ignora, relegando tutto a crimine di provincia”.
Lorenzo Diana vive sotto scorta da 20 anni, dal giorno in cui il “clan dei casalesi”, fino ad allora impunito, subì il primo grande colpo con oltre 300 ordinanze di custodia cautelare in carcere. Nella notte del 5 dicembre 1995 i camorristi e i loro familiari inveivano contro Diana, reo di aver “sollecitato” l’intervento dello Stato contro il clan. Più collaboratori di giustizia hanno illustrato il piano ideato dal “clan dei casalesi” per eliminarlo. Assieme a Renato Natale, che domenica scorsa è tornato sindaco di Casal di Principe, è stato uno dei pochi che già negli anni Ottanta non si piegò alla legge del più forte.
Una carriera politica la sua che si incrocerà a livello locale con quella di Nicola Cosentino. Lui a San Cipriano, il futuro sottosegretario a Casal di Principe, due chilometri di distanza ma percorsi diametralmente opposti. Quella di Lorenzo Diana non è un’antimafia ‘mediatica’, nonostante le conoscenze del fenomeno e delle logiche di potere siano molto più estese di altri volti più noti.
Senza le complicità e con le assenze politico-istituzionali, i Casalesi non avrebbero potuto dominare incontrastati per tre decenni, non sarebbero penetrati in tutta Italia, non avrebbero potuto prendere possesso di una finanziaria per condizionare circa 150 imprese nel Veneto. È plausibile aspettare che più di qualche altro colluso venga accertato?
La Campania, la più grande regione del Sud era ed è strategica, Cosentino era funzionale anche ad altri poteri, altrimenti non avrebbe mai potuto così rapidamente scalare una tale carriera politica. Se vogliamo cercare una chiave di lettura della forza di Cosentino e del clan dei Casalesi non basta considerare solo il territorio locale ma è il sistema Italia che scandagliato altrimenti perdiamo solo tempo.
La pubblicazione di Gomorra, il libro di Roberto Saviano, fu l’avvenimento eclatante che permise di ottenere spazio sui quotidiani nazionali. Anche a tale scopo il controllo del territorio doveva essere totale, compresi alcuni organi di stampa locali. Nicola Cosentino ha rappresentato e rappresenta un potere cresciuto con la politica corrotta che non può rinunciare al controllo della spesa pubblica.
Solo valutando secondo una visione più ampia era possibile che avvenisse, tra il primo e il secondo arresto di Nicola Cosentino, tornare come se nulla fosse sulla scena politica nazionale, tanto da incontrare Verdini nei giorni delle consultazioni per la nascita del governo Renzi.
Casal di Principe: dopo vent’anni torna Renato Natale sindaco anticamorra
Dopo vent’anni – Renato Natale vince con il 68% – dal suo primo mandato che durò solo 11 mesi. «Sento una responsabilità enorme, la comunità ha espresso voglia di cambiamento» Trenta anni fa ero vicino al cadavere di don Peppe Diana, «oggi assistiamo alla sua resurrezione e a quella del popolo casalese contro la camorra. Sento una responsabilità enorme, la comunità ha espresso voglia di cambiamento».
Nel corso del Processo Spartacus, tra l’altro, venne confermato l’esistenza un piano per assassinarlo simulando un incidente d’auto data la sua abitudine di passeggiare in bicicletta. Nel 2011 fu raggiunto da un’altra minaccia di morte per una storia connessa ad appalti infilando sotto la porta di casa sua un biglietto «Noi non siamo ancora morti, fatti gli affari tuoi e non fare esposti tu e l’ex assessore Antonio Corvino altrimenti ti ammazziamo. Ricordati che hai moglie e figli». Questa volta, però, ampia fu la mobilitazione del mondo politico e dell’associazionismo italiano.
Continua invece il suo impegno nel sociale, guidando l’Associazione Jerry Masslo e partecipando alla costituzione del Comitato Don Diana.
Con la sottoscrizione di un documento, circa mille cittadini, gli chiesero la candidatura a sindaco per le elezioni amministrative 2014.
L’8 giugno 2014 viene rieletto sindaco di Casal di Principe.
«Venni eletto nel 1993, l’anno dopo la camorra decise che non dovevo continuare. Avevano stabilito di ammazzarmi – ricorda Renato – poi, bontà loro, optarono per uccidere politicamente la mia amministrazione così tre consiglieri passarono col centrodestra».
Il municipio viene da due anni di commissariamento, sciolto per infiltrazioni camorristiche: «Va ricostruito – afferma Renato Natale – l’apparato comunale indebolito dalle inchieste anticamorra, in particolare l’UTC». Lo stesso Ufficio Tecnico Comunale fu travolto dall’inchiesta della Dda di Napoli sulle elezioni comunali del 2010 che sarebbero state inquinate dal voto di scambio.
Al collasso è anche l’economia. Le due principali attività del territorio, l’edilizia e l’agricoltura, sono al palo: «I nostri edili andavano in Emilia-Romagna a lavorare, con la crisi stanno a casa. Le coltivazioni soffrono l’effetto Terra dei Fuochi. Lo stato negli ultimi anni si è impegnato nel contrasto ai clan, adesso ci aspettiamo interventi che ci consentano di tornare a produrre».
La campagna elettorale Renato Natale l’ha chiusa nella piazza principale di Casal di Principe, impensabile appena tre anni fa.
La stampa nazionale ha accolto con stupore la notizia e Roberto Saviano ha commentato l’elezione a Sindaco di Renato Natale come l’inizio di una nuova era per Casal di Principe. “L’incredibile vittoria del sindaco anti-clan a Casal di Principe” cambia tutto e fa rinascere il sud. Perché stavolta la camorra ha perso.
Già nel 2012 aveva presentato una candidatura a sindaco sostenuta da tutte le forze politiche, che avevano rinunciato a presentare proprie liste. Tuttavia, la tornata elettorale fu annullata dall’intervento del Consiglio dei Ministri che a tre giorni dalla presentazione ufficiale delle liste sciolse il Comune impedendo di dar luogo a elezioni.
Si ricandida nel 2019 e viene rieletto con il 53,11%.
Tra i primi atti politico/amministrativi della nuova giunta di Renato Natale l’adesione all’Associazione nazionale Avviso Pubblico – Enti locali e Regioni per la formazione civile contro le mafie.
Anche a Caserta, il 28 maggio 1992, il Gruppo Consiliare “Caserta Città Nuova” pubblicò una Lettera Aperta ai Cittadini di Caserta per denunciare l’arroganza del potere democristiano.
“Il 23 maggio 1992, nel giorno della gioia più intensa per la venuta del Papa Giovanni Paolo II a Caserta e della tristezza più profonda per la strage terroristica di Capaci a Palermo nella quale furono trucidati i Giudici Giovanni Falcone e Francesca Morvillo e i tre Agenti di Polizia Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro, le intollerabili accuse sollevate dall’on. Giuseppe Santonastaso – arrogante padre padrone delle sorti delle nostre terre – al Padre Vescovo di Caserta Raffaele Nogaro suonarono offesa a quanti in silenzio riflettono sugli ultimi gravissimi accadimenti che interessavano il Paese, il Mezzogiorno d’Italia e la stessa Città di Caserta.”
Il maggiore rappresentante delle istituzioni nella Provincia di Caserta si era lasciato andare in vere e proprie indecenti escandescenze, accuse gratuite cui seguì, con un’accorta strategia, la richiesta del Segretario cittadino della DC al Vescovo Nogaro di confermare il giudizio espresso di collusione tra camorra e politici locali e di affidare la “resa dei conti” al sindaco di Caserta.
Tutto ciò, se ancora fosse stato necessario, avrebbe, comunque, evidenziato la scarsa capacità, della parte maggioritaria degli esponenti cittadini della DC, di tollerare la diversità di opinioni, di valutare la gravità del livello di infiltrazione criminale aderendo al richiamo di coerenza tra etica e politica e, infine, di non apprezzare l’impegno dell’associazionismo cattolico per la formazione politica e sociale di uomini liberi.
“Nella situazione attuale, segnata da preoccupanti ed estesi fenomeni di corruzione e di collusione con le “diverse camorre” per conquistare un potere perduto occupando spazi lasciati vuoti da altri nel mentre, al contrario – affermavo come Capogruppo di Città Nuova–Pds – era necessario avviare un deciso e profondo processo di rinnovamento dei partiti e della rivitalizzazione delle istituzioni per affermare le premesse su cui fondare il recupero della fiducia dei Cittadini seriamente compromessa.”
Un lavoro di lunga durata che guarda al futuro con la speranza di chi vuole rivolgere attenzione a ciò che si muove nel profondo della società casertana,
“Per stroncare questo clima di ampia collusione ambientale, finalmente irrompono sulla scena politica nuovi soggetti protagonisti del cambiamento, perché, nel rinnovare le rappresentanze dei partiti, innanzitutto si impedisca l’occupazione di tutti gli spazi di potere un ceto politico rampante che tanti guasti ha prodotto a Milano e nel Sud. Era, invece, necessario contribuire a ricostruire dalle fondamenta di una nuova civiltà del lavoro, ricca di idealità, permeata dai valori universali dell’uguaglianza, della solidarietà e della giustizia e, soprattutto rappresentata da Uomini e Donne di comprovata moralità espressioni autentiche di quella parte della società che vuole perseguire cambiamenti radicali degli assetti politici e istituzionali.
È l’ora di impegnarci tutti perché nessuno rimanga solo in questo momento difficile di cambiamento per ricondurre la politica a svolgere la propria funzione di servizio, per rivitalizzare profondamente le istituzioni e limitare l’invadenza devastante dei partiti sulle espressioni della vita economica, sociale e, nella nostra provincia, finanche etico-morale.”
La mia esperienza di Consigliere Comunale.
Nel maggio 1985, eletto nella lista del PCI e, nel 1990, nella lista Città Nuova–Pds al Consiglio Comunale di Caserta, collocato all’opposizione nella Città della Provincia più bianca d’Italia, ebbi modo di conoscere l’agire della DC che, con alleati di copertura, spadroneggiava nella gestione della Sanità, Urbanistica e Finanze.
Il confronto duro e sempre motivato non sortiva risultati – salvo rarissimi casi – per i quali era palese l’illegittimità delle proposte deliberative precostituite ad arte per favorire la “spartizione di appalti” per la realizzazione delle grandi opere pubbliche o della gestione di servizi tra gruppi imprenditoriali referenti dei partiti anche temporaneamente alleati.
Il clima di tensione sociale e politica andava divenendo insostenibile per il mutismo di Sindaco e Giunta all’incalzare dell’azione politica di PCI (prima), Città Nuova e dei Verdi (dopo) improntata alla massima, motivata opposizione sempre sostenuta da proposte alternative, con spirito di servizio e per dare voce alla domanda di trasparenza e partecipazione crescente dei Cittadini.
Una risposta propositiva dall’opposizione si imponeva anche per le scelte impegnative da adottare in materia di uso delle aree industriali (Saint Gobain), militari dismesse e dell’area vasta pregiata dei Monti Tifatini come delle colline di San Leucio: tutti obiettivi formalizzati con la presentazione di una Variante Generale Urbanistica proposta dal sindaco che trovò, a causa della ampiezza speculativa dei suoli interessati, la contrarietà di migliaia di cittadini e dell’opposizione consiliare.
Intanto, la gestione finanziaria del bilancio mostrava la tendenza alla crescita dell’indebitamento pubblico, aggravato dalla mancata colpevole riscossione dei tributi locali (in particolare degli oneri di urbanizzazione, occupazione suolo pubblico, raccolta e smaltimento dei rifiuti ed altri), le politiche sociali furono sostanzialmente azzerate facilmente riscontrabili dall’assenza assoluta di servizi socio/sanitari per bambini, donne e anziani.
La fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, dopo le elezioni amministrative del 1985 e, soprattutto, del 1990, l’azione politica congiunta di Città Nuova e dei Verdi fu orientata, nel Consiglio Comunale e nella Città, alla comunicazione dei fatti e misfatti che maturavano nelle stanze chiuse di un potere arrogante e omertoso. Non esisteva atto amministrativo che non fosse controllato e, se nel caso di palesi illegittimità e/o eventuali reati, inoltrato alle autorità amministrative e giudiziarie per gli accertamenti di competenza.
Furono questi gli anni della formazione dei cittadini, espressioni attive di larghi strati sociali, politici e culturali diversi che andavano manifestando consapevolmente la gravità dello stato di disagio in cui vivevano.
Nel Paese, nella Provincia e nella Regione, in questi stessi anni, il susseguirsi dei gravi e dolorosi avvenimenti criminali concorse ad estendere il “puzzo del compromesso morale, della contiguità e. quindi, della complicità” nel mentre si avvertiva la crescita del clima di concussione ambientale che si manifestò, con particolare vigore, nella mia Città di Caserta.
L’evoluzione della camorra, in particolare nella Provincia di Caserta, in “sistemi criminali integrati”, costituiti ad arte con la partecipazione attiva di politici collusi, istituzioni infiltrate, amministratori, professionisti, prenditori partecipanti, contribuì a rivoluzionare il modo stesso di “fare mafia” che, come fiume carsico, s’immerge nella fase della gestione degli affari ed emerge quando bisogna attuare assassinii e azioni stragiste per eliminare chi va avvicinandosi alla Verità perché Giustizia si affermi.
31 marzo 1993 – Il Sindaco Dc Giuseppe Gasparin, accusato di concussione, viene arrestato per avere estorto 250 milioni a una cooperativa e, poi, accusato anche per la lottizzazione di un’area di 35.000 mq. in periferia della città e, di seguito arrestato anche lo stesso Capogruppo del suo partito accusato di concussione. Gli arrestati chiamano in causa tutti i big politici della città ed aprono l’era nefasta della “tangentopoli casertana” che mostrò a tutti l’opera di demolizione della gestione pubblica delle risorse attuata per favorire la scelta di imprese edili compromesse e comunque disponibili a pagare tangenti!
22 Aprile 1993 – La tangentopoli assume dimensioni tali da far titolare la prima pagina di molti i quotidiani: L’Amministrazione comunale di Caserta, in manette! Un ciclone si abbatte su una delle province più bianche d’Italia.
L’ex sindaco Dc arrestato – per motivi di sicurezza viene rinchiuso in una caserma della polizia – confessa e così crolla gran parte dell’apparato di potere di Caserta. Quattordici sono le ordinanze di custodia cautelare emesse – nove quelle eseguite – per un vasto giro di tangenti su quasi tutti i più importanti lavori di edilizia privata e sugli appalti pubblici in città negli ultimi anni.
In carcere sono finiti consiglieri, assessori, esponenti di partito nel mentre due parlamentari democristiani, Giuseppe Santonastaso, sottosegretario ai Trasporti e Franco Lamanna, deputato europeo, hanno ricevuto due avvisi di garanzia.
La mattina precedente, per evitare lo scioglimento dell’Amministrazione per infiltrazioni mafiose, con le dimissioni flash di ventuno consiglieri comunali, tra arrestati e no, il Comune viene commissariato. Un esperimento questo ai limiti della legalità che fu riproposto con successo anche al Comune di Fondi (LT), sede del secondo centro di distribuzione agroalimentare all’ingrosso d’Europa,
La strage di Capaci avvenne mentre Giovanni Paolo II visitava Caserta. L’orario dell’attentato, le 17.57, e la confusione ad esso seguita, non avevano consentito al Papa di esprimere il suo cordoglio che, in diretta televisiva, al termine pronunciò parole di dura condanna: «Non c’è parola che possa esprimere in modo adeguato l’orrore che invade l’anima di fronte a così efferata crudeltà. Un nuovo atto di spietata violenza si aggiunge ai molti che hanno insanguinato l’Italia in questi anni, che in questo momento tanto delicato della vita del Paese la reazione a questo gesto faccia convergere l’impegno di tutte le persone di buona volontà nella riaffermazione dei Valori della Giustizia, della Pacifica convivenza, della Solidarietà che costituiscono il patrimonio più vero del caro popolo italiano».
In risposta alle minacce e agli eventi maturati, il “Movimento di solidarietà al Vescovo” – costituito da oltre cinquanta associazioni cattoliche, decine di parrocchie e di gruppi di volontariato urgentemente riunitisi – ha deciso e distribuito in tutta la città un volantino in cui si afferma: “Con l’animo ancora colmo di gioia per la visita del Santo Padre e di pari sgomento per l’uccisione del giudice Falcone, sentiamo la responsabilità di non cadere nella trappola delle indegne provocazioni”. Ma subito dopo aggiunge: “Nella nostra terra è quotidiana la violenza contro la vita umana. Gli affari prevalgono sistematicamente sulla difesa del territorio, sull’efficienza dei servizi sociali e sanitari, sulla creazione di posti di lavoro. Qui si emarginano i deboli, si mortificano i tentativi di solidarietà”.
Nonostante la tragica coincidenza – l’esecuzione della strage – il sottosegretario ai trasporti Giuseppe Santonastaso, il politico Dc che spadroneggia nel Casertano prendendo spunto dal viaggio del Papa in Piazza Dante a Caserta infierì contro il Vescovo di Caserta, Padre Raffaele Nogaro. Le origini del contrasto risalgono alle elezioni politiche dell’aprile 1992, quando il Vescovo Nogaro, presenti le associazioni cattoliche e cittadini, lanciò la “scomunica” sull’intera classe politica locale, invitando i cittadini a non votare chi aveva saccheggiato Caserta, la nostra Città.
Il 30 aprile 1992, in seguito agli arresti per la tangentopoli, il Vescovo parlando ai giovani della città affermava: “Qui la politica è collusa con la camorra”.
Nel corso della visita di Giovanni Paolo II, l’ex sottosegretario Santonastaso non perse l’occasione per affermare che “quel vescovo in verità è un diavolo”, aggiungendo: “Se fossi San Pietro, lo manderei all’inferno”.
Per tutta risposta, il “Movimento di solidarietà al vescovo” – costituito da oltre cinquanta associazioni cattoliche, decine di parrocchie e di gruppi di volontariato riunitisi urgentemente – ha deciso e distribuito in tutta la città un volantino in cui si afferma: “Con l’animo ancora colmo di gioia per la visita del Santo Padre, e di pari sgomento per l’uccisione del giudice Falcone, sentiamo la responsabilità di non cadere nella trappola delle indegne provocazioni”. Ma subito dopo aggiunge: “Nella nostra terra è quotidiana la violenza contro la vita umana. Gli affari prevalgono sistematicamente sulla difesa del territorio, sull’efficienza dei servizi sociali e sanitari, sulla creazione di posti di lavoro. Qui si emarginano i deboli, si mortificano i tentativi di solidarietà”.
Il 23 maggio 1992 alle 0re 17:58
fu eseguita la strage di Capaci, in un attentato terroristico/mafioso compiuto in autostrada nei pressi dell’uscita di Capaci, per assassinare il Magistrato antimafia Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e cinque Agenti di Polizia Antonio Montinaro, Vito Schifano, Rocco Dicillo e tanti feriti, fra i quali l’Agente di Polizia Angelo Corbo. Gli attentatori fecero esplodere un tratto dell’autostrada mentre vi transitava un convoglio di auto di scorta in movimento.
Una catena umana, mille mani strette le une alle altre, dal palazzo dei veleni fino alla casa in cui vivevano Giovanni Falcone e la moglie Francesca Morvillo. Alle 17,58, un mese dopo la strage di Capaci, questo lungo “filo” della speranza attraversa la città, si snoderà dal Palazzo di Giustizia fino a Via Notarbartolo, dove c’è la grande magnolia diventata “l’albero Falcone”, meta di un ininterrotto pellegrinaggio.
Intanto, molte erano le adesioni alla manifestazione sindacale del 27 giugno 1992 indetta dalla Federazione unitaria CGIL, CISL e UIL. Molte delegazioni provenienti dalla Campania, Calabria, Emilia-Romagna, la Provincia autonoma di Bolzano e da ogni parti de Paese,
Dopo aver indetto uno sciopero generale, la Federazione Unitaria Cgil, Cisl e Uil, organizzarono a Palermo la prima grande Manifestazione nazionale per la legalità e contro cosa nostra. Palermo, in quel giorno, fu invasa da migliaia di cittadini provenienti da tutta l’Italia.
Il 27 giugno, una grande manifestazione unitaria “Italia parte civile” vedrà sfilare a Palermo, per la prima volta, oltre 100 mila persone contro la mafia e per la legalità.
Dal porto di Napoli partì una nave stracolma di persone, una forte delegazione di lavoratori di Caserta e provincia. Non mi trattenni dal parteciparvi: fummo accolti dai palermitani che estesero le lenzuola bianche lungo tutte le strade cittadine fu quello un momento di profonde emozioni vissute all’unisono tra i partecipanti al corteo e i cittadini ai balconi al grido “Fuori la mafia dallo Stato’’!
Nel documento diffuso dalla Cgil, Cisl e Uil si leggeva: “Il potere mafioso deve essere isolato nelle coscienze, indebolito nelle sue connivenze con i settori inquinati delle istituzioni, dell’amministrazione, dell’imprenditoria, dei partiti”.
Il 19 luglio 1992 alle 16:58
La Fiat 126 con circa 90 kg di Semtex-H a bordo, parcheggiata nei pressi dell’abitazione della mamma di Paolo, esplode telecomandato a distanza, furono così trucidati, in Via D’Amelio a Palermo, Paolo Borsellino e i cinque Agenti di Polizia Emanuela Loi, Agostino Catalano (Capo scorta), Claudio Traina, Walter Cosina e Vincenzo Li Muli. Unico sopravvissuto gravemente ferito fu Antonino Vullo mentre parcheggiava uno dei veicoli della scorta.
Il 24 luglio i funerali di Paolo celebrati nella forma privata – avendo Agnese e i familiari rifiutato il “rito di stato” e accusato il governo di negligenza nella protezione del marito più volte minacciato – furono celebrati nella chiesa di Santa Maria Luisa di Marillac, ove il Giudice era solito partecipare alla messa nelle domeniche di festa.
L’orazione funebre fu pronunciata da Antonino Caponnetto, il giudice che aveva diretto l’ufficio di Falcone e Borsellino: «Caro Paolo, la lotta che hai sostenuto dovrà diventare e diventerà la lotta di ciascuno di noi». Il funerale, con la partecipazione di oltre diecimila persone, si svolse in un clima di profonda e diffusa commozione, interrotto solo da applausi.
Giorni prima, nella Cattedrale di Palermo, si era svolto il funerale dei cinque Agenti di Polizia, con ampia e commossa partecipazione dei familiari. All’arrivo dei rappresentanti dello Stato, una folla inferocita sfondò la barriera di 4.000 Agenti chiamati a mantenere l’ordine, gridando: “Fuori la mafia dallo Stato”. Il Presidente della Repubblica e il Capo della Polizia vennero tirato fuori a stento dalla calca.
Pochi giorni prima di essere ucciso, durante un incontro e in una intervista televisiva Paolo Borsellino aveva parlato della sua condizione di “condannato a morte”. Sapeva di essere nel mirino di “Cosa Nostra” consapevole che difficilmente la mafia si lasciasse sfuggire le vittime designate. A qualcuno aveva detto: “Devo fare in fretta, perché adesso tocca a me”.
Antonino Caponnetto, intervistato anni dopo ricordò che: “Paolo aveva chiesto alla Questura, già venti giorni prima dell’attentato, di disporre la rimozione dei veicoli nella zona antistante l’abitazione della madre ma la domanda rimase inevasa.” Come pure, nonostante, nel corso del suo ultimo intervento pubblico del 25 giugno, in memoria di Giovanni Falcone, avesse dichiarato di essere pronto a riferire alle Autorità giudiziarie competenti lo stato delle indagini cui era pervenuto ma non fu mai convocato. Ciò nonostante, la stessa richiesta di essere convocato in fretta – ben sapendo di essere in pericolo e che era arrivato il tritolo – per rendere testimonianza dei fatti accertati fu colpevolmente ignorata.
Antonino Caponnetto, che subito dopo la strage aveva detto sconfortato: “Non c’è più speranza …”
Dopo l’attentato, l’“Agenda rossa” di Paolo Borsellino, agenda che il giudice portava sempre con sé e dove annotava i dati delle indagini, non venne ritrovata.
In Via d’Amelio a Palermo si era consumata una strage di stato, eseguita da cinici criminali e ordita da settori deviati dello stato per fermare le indagini sulla strage di Capaci e sottrarre l’Agenda rossa nella quale Paolo appuntava notizie riservate.
È in questo clima convulso di tangentopoli e di esecuzioni di stragi andavano maturando anche a Caserta eventi della stessa gravità.
Il 9 maggio 1993, il Papa Giovanni Paolo II alla fine della celebrazione della Messa, evitando il rituale congedo della benedizione finale, urla l’anatema contro la mafia: “Dio ha detto una volta: non uccidere. Un uomo o la mafia, non può calpestare questo diritto santissimo di Dio. Questo popolo siciliano talmente attaccato alla vita, popolo che ama la vita, che dà la vita, non può vivere sempre sotto la pressione di una civiltà contraria, una civiltà della morte. Qui ci vuole la civiltà della vita. Nel nome di questo Cristo crocifisso e risorto, di questo Cristo che è via, verità e vita dico ai responsabili: convertitevi! Una volta verrà il giudizio di Dio!”.
Il 15 settembre 1993 la mafia uccide don Pino Puglisi a Palermo!
“L’omicidio non doveva apparire un delitto di mafia – racconterà Salvatore Grigoli, il suo assassino – bensì come l’opera di un tossicodipendente o di un rapinatore. Per tale motivo fu utilizzata una pistola di piccolo calibro e al sacerdote fu sottratto il borsello”.
Il 19 marzo 1994, il giorno del suo onomastico, nella Chiesa di San Nicola a Casal di Principe, don Peppe Diana, coautore del documento “Per Amore del mio popolo”, veniva assassinato dalla camorra, proprio in quella chiesa di cui era parroco, mentre si accingeva a celebrare messa.
Ancora mi chiedo, senza risposta, perché non accomunare in un unico destino don Pino Puglisi e don Peppe Diana?
Questa domanda non può essere lasciata senza risposta per evitare di decontestualizzare i giorni durissimi e contemporanei dell’attacco mafioso diretto a colpire chi operava, nella Chiesa come nello Stato, per la liberazione delle nostre terre bellissime e ancora disgraziate!
In tale contesto la Lotta alla mafia si impone come battaglia per la libertà e la democrazia.
L’iniziativa delle Chiese della Forania di Casal di Principe, sostenuta dal Padre Vescovo Raffaele Nogaro, espressione della chiesa militante, si svolgeva in un contesto nel quale, rotto il muro del silenzio e della complicità con le camorre, era orientata a richiamare la responsabilità dei partiti e delle istituzioni e a denunciare:
1) il degrado delle nostre terre (l’invadenza dei rifiuti tossici, la presenza delle cave);
2) la rimozione urgente di tutte le ingiustizie sociali (verso i migranti e i poveri);
3) l’affermazione della “la Pace contro tutte le guerre” (contrastando la vendita delle armi).
La rapida successione degli avvenimenti dimostra che le mafie intendevano fermare – con le stragi e gli assassini – i Magistrati impegnati nei processi e le Forze dell’Ordine nel contrasto come i Sacerdoti della Chiesa militante che, a Caserta come a Palermo, si opponevano all’aggressività criminale!
Fondamentale, in tale contesto, la presenza di Padre Nogaro che, con decisivo impulso, riorganizzò la Chiesa Diocesana e avviò le Visite Pastorali unitamente alle lettere, ai documenti e alle omelie concretizzando il sogno da realizzare a Caserta.
In questi anni la Cattedrale di Caserta riusciva a malapena a contenere la folta partecipazione di cittadini non solo cattolici. Particolare rilievo assumevano le Omelie dei Te Deum di fine anno durante le quali Padre Raffaele Nogaro, sintetizzando l’ascolto attento dei Cittadini, Associazioni, Movimenti e Partiti e volgendo lo sguardo alle condizioni reali della città, disegnava Caserta, la Città futura.
Per noi – sempre all’opposizione, isolati, derisi e sbeffeggiati – la presenza alle Omelie di fine anno assumeva il valore del riconoscimento dell’impegno sociale, prima che politico, profuso nelle Aule buie del Municipio della nostra Città amatissima. Nel mentre la partecipazione dei Cittadini, alle omelie di Padre Nogaro infondeva fiducia e lasciavano intravedere, in fondo al tunnel, la luce splendente di nuovi orizzonti.
Il Rispetto dell’Uomo, la Cultura e la Ricerca, la Caritas, la Pace, il Dialogo interreligioso, l’Accoglienza ai migranti, la Lotta alla camorra, furono i contenuti che caratterizzarono la svolta missionaria e l’assunzione della visione di Chiesa cui Padre Raffaele Nogaro ispirò esplicitamente il suo operato: «Non penso a una Chiesa ideale, penso a una Chiesa del “Popolo di Dio”, secondo le indicazioni del Concilio vaticano II». A tale proposito il Prof. Sergio Tanzarella, definì Nogaro come «uno dei vescovi più attenti a valutare la condizione della Chiesa nel tempo contemporaneo». E così il cuore si apriva alla Speranza di un mondo migliore.
La caratterizzazione fortemente alternativa dell’iniziativa dei consiglieri di opposizione, l’azione missionaria della Chiesa e l’accresciuta consapevolezza di crescenti fasce di cattolici, di laici progressisti, orientata a garantire, con urgenza e responsabilità, una svolta unitaria di sistema costituirono elementi fondamentali del risveglio culturale e della ricostruzione identitaria della comunità che andarono convintamente riconoscendosi nella “Civitas casertana”!
5 dicembre 1993 – A Caserta vince “Alleanza per Caserta Nuova”.
Il Prof. Aldo Bulzoni, 51 anni, docente di fisica negli istituti superiori, presidente diocesano uscente dell’Azione cattolica, è il nuovo sindaco di Caserta. Bulzoni, sostenuto da “Alleanza per Caserta nuova” è eletto con il 76% dei voti, una percentuale schiacciante surclassando Renato Coppola, candidato Dc.
Per Caserta si tratta di un vero e proprio terremoto politico, seppure annunciato, già al primo turno, il Candidato Sindaco Bulzoni era riuscito a primeggiare, riportando il 40,8% dei consensi e superando di gran lunga Coppola della Dc, fermo al 17,2%.
Dopo quarant’anni, la Dc perde il municipio in una delle città più bianche d’Italia: alle precedenti amministrative, lo scudocrociato era riuscito a raggiungere quasi il 60 per cento. Un tracollo, causato anche dalle inchieste della magistratura – maturate per le tantissime denunce dei consiglieri di Città Nuova e Verdi e dalla crescente azione dei cattolici e del volontariato – che spazzarono via gran parte della vecchia classe dirigente locale.
Il Movimento “Alleanza per Caserta Nuova”, battezzata come “laboratorio politico nazionale” è una formazione eterogenea che annovera esponenti politici della sinistra e dei verdi e da gruppi e movimenti raccolti attorno al vescovo, Raffaele Nogaro, considerato l’animatore del risveglio della città.
La Dc esce di scena miseramente. Aveva tentato una radicale operazione di cambiamento, puntando su volti nuovi e credibili, dopo il ciclone di Tangentopoli, colpita da numerosi arresti eccellenti non ebbe successo.
Incisivo il primo commento del Prof. Bulzoni: “Terremo fede agli impegni assunti in campagna elettorale, il nostro obiettivo principale è riportare la legalità. Lavoreremo per il futuro di Caserta, dopo un periodo in cui tutti i casertani sono rimasti oppressi dal dispotismo politico di un gruppo di potere legato a settori affaristici”.
In Campania adesso la dc è solo un ricordo. A Salerno e Caserta crollano i vecchi apparati di potere, i candidati del polo progressista vincono in quelle che erano considerate roccheforti democristiane e socialiste. Bulzoni e De Luca concordano su un punto: si tratta di un momento storico per le due città, “che si sono liberate dei vecchi giochi e sono pronte a costruire il proprio futuro”.
Il neosindaco di Caserta, Aldo Bulzoni, ricorda che “la battaglia è stata durissima, contro un ceto affaristico che ha svenduto la città e che ha cercato di avvelenare sino alla fine la campagna elettorale, grazie all’aiuto di personaggi che avevano e hanno con esso forte cointeressenze”.
L’azione di forte denuncia del Vescovo, l’impegno quotidiano degli unici Gruppi politici di opposizione, il crollo della Classe politica democristiana, per effetto delle inchieste della magistratura, la costituzione di Movimenti e Gruppi spontanei confluiti in Alleanza per Caserta Nuova, hanno determinato una rottura totale con il passato.
“Non è stato facile – spiega Bulzoni – riuscire a cacciare i mercanti dal tempio. Hanno tentato in tutti i modi, con l’appoggio di certa stampa, di strumentalizzare anche il nostro rapporto con il vescovo, cercando di allontanarlo da Caserta. Finalmente, soltanto a urne chiuse, ho potuto incontrare monsignor Nogaro: prima, quasi temevo anche solo di sentirlo al telefono”.
E adesso? Bulzoni punta a un coinvolgimento popolare per quello che ha già definito in campagna elettorale il “Governo della città, dopo anni bui di dispotico regime“.
Gli eventi riportati sono soltanto brani di una ricca ed estesa pastorale profetica di Padre Raffaele Nogaro che merita di essere conosciuta nella sua interezza nei lunghi giorni della Liberazione delle nostre terre bellissime.
Dal Sindaco Aldo Bulzoni fui chiamato a far parte della Giunta Comunale con deleghe impegnative al Bilancio e Finanze, Gestione Risorse Umane, Attività Produttive e Promozione Turistica.
È nell’esperienza di controllo e gestione amministrativa vissuta (appalti, questioni finanziarie, debiti e crediti fuori bilancio e destinazioni d’uso delle Aree industriali e militari dismesse) che la camorra si manifestava, con la presenza, anche in Consiglio Comunale di portatori politici e/o istituzionali di interessi speculativi, nel tentativo di condizionare le scelte!
Non mancarono, in questi anni, espliciti interventi di rappresentanti locali e dello stato volti a determinare l’assegnazione di appalti per raccolta e smaltimento di rifiuti o, anche, per condizionare l’utilizzo delle aree agricole pregiate per la realizzazione di infrastrutture. E così ricorrendo all’azione di tali rappresentanti fu realizzata la più grande struttura interportuale del Sud nella quale, con la modifica della destinazione urbanistica di un’area adiacente all’Autostrada, realizzarono il più grande Centro Commerciale della Campania, al quale seguirono, nelle aree industriali dismesse, la crescita abnorme di altre Grandi strutture di vendita e di Aree residenziali mancanti delle infrastrutture o, addirittura, anche soltanto per “ordinare”, per impellenti necessità, l’apertura domenicale dei nascenti grandi Centri Commerciali e facilitando, anche con il ricorso a interpretazioni anomale, la trasformazione delle sale cinematografiche in apertura di “maxi club” – vedi ex Magritte – per spacciare la droga!
Fu questo il periodo nel quale la camorra capeggiata da Nicola Cosentino esplicitamente trovò addirittura in Prefettura rappresentanti affidabili.
3 gennaio 1997 – il “clan dei casalesi” assalta la Città di Caserta
“Le intimidazioni diffuse, messe in atto in questi primi giorni del 1997, che hanno colpito operatori commerciali e turistici di Caserta, S. Maria C. V. e S. Nicola la strada, segnano una svolta significativa nell’iniziativa della camorra per affermare, in modo clamoroso e visibile, la presenza sul territorio con l’obiettivo di piegare la resistenza di quanti resistono al ricatto estorsivo e di intimidire tutti gli operatori economici eventuali future vittime.
Attacchi di gruppi camorristici ai cantieri edili e ad imprenditori affermati, con punte di particolare virulenza – culminati con il ferimento di chi osava opporsi – già si erano manifestati negli anni passati. Forti, unitarie e tempestive furono le iniziative delle Associazioni rappresentative del diffuso mondo imprenditoriale che portarono all’istituzione urgente della linea telefonica “S.O.S. Impresa” presso la Prefettura di Caserta.
Non deve, però, sfuggire a nessuno il “carattere diffuso” dell’iniziativa camorristica che, decapitata dai recenti successi delle Forze dell’Ordine e depotenziata dalla rottura dell’accordo scellerato con un sistema politico corrotto, tenta di affermare il predominio dell’illegalità sulla legalità e di imporre simbolicamente, nella Città capoluogo e nell’area casertana, la legge del pizzo contando sulla paura e sull’omertà. Né deve essere sottovalutato l’effetto, questo sì, deflagrante che può avere sulla già precaria situazione occupazionale, anche a causa della congiuntura economica sfavorevole, lo scoramento degli operatori economici colpiti o la rinuncia di nuovi investitori scoraggiati per il venir meno del fattore “sicurezza”.
Già nei giorni scorsi, pochi ma preoccupanti sintomi di estensione dei fenomeni impuniti di contrabbando, di abusivismo e di microcriminalità erano accaduti (scippi, rapine ed estorsioni) lungo le strade cittadine più commerciali sotto lo sguardo attonito di commercianti e cittadini.
Mi resi, perciò, interprete con nota del 23 dicembre precedente, presso la Prefettura, la Questura e il Comando dei Vigili Urbani della necessità che “lo Stato facesse sentire la sua presenza rassicurante nel momento in cui i cittadini mostravano una propensione a vivere la città. Un tale sforzo, affermavo, poteva essere sostenuto con una iniziativa coordinata dei diversi corpi di vigilanza e repressione per garantire ordine e sicurezza ai cittadini che reclamavano legalità e ripristino delle regole di convivenza civile.
Do atto oggi, pubblicamente, che tale sforzo, da parte delle Autorità preposte, è stato avvertito ed apprezzato dagli operatori economici e dalla Cittadinanza. Nonostante ciò, l’iniziativa di gruppi camorristici e/o di cellule criminali impazzite, per niente intimoriti dall’azione di prevenzione messa in atto dalle forze dell’ordine, non ha tardato a manifestarsi con sfrontatezza e virulenza.
Dopo la caduta di capi camorra casertani nuovi e più agguerriti clan camorristici hanno portato con una tracotanza mai vista l’attacco decisivo alla conquista di nuovi e più appetibili territori del casertano con un’azione criminale eclatante di tipo militare!
Nella nottata del 2 gennaio hanno organizzato e condotto attentati ad una decina di imprese turistiche e commerciali facendo esplodere altrettante bombole di gas a Caserta e a San Nicola la Strada e realizzato un attacco con lo scoppio contemporaneo di una catena di bombe contenenti, per rafforzarne l’effetto, pezzi di ferro lungo l’asse mediano della Rotonda di San Nicola la Strada con l’intento di spostare verso nord il nuovo confine dall’aversano verso il casertano!
Si tratta emblematicamente di uno dei tanti episodi che hanno caratterizzato la conquista di territorio dell’Antistato allo Stato!
Ecco perché non valgono semplici e rituali richiami alle mancate denunce fatte nel passato o allo scarso ricorso al telefono antiracket. Siamo di fronte, almeno nella realtà casertana, ad un’offensiva senza precedenti di gruppi criminali di “violare ed occupare” un territorio colpevolmente lasciato libero.
Unitaria e fortemente caratterizzata deve essere la reazione delle forze attive della Città e del comprensorio casertano perché si sconfigga sul nascere il tentativo di estendere il controllo camorristico del territorio e, al tempo stesso, si predispongano iniziative di forte e duraturo contrasto alla cultura della violenza, dell’illegalità e dell’antistato.
L’Amministrazione Comunale di Caserta, nell’esprimere solidarietà convinta alle vittime dei tentativi estorsivi invitando i Cittadini a resistere, chiama, fin da ora, le Istituzioni, le forze economiche, sociali e culturali: preparare un’adeguata ed ampia mobilitazione contro la violenza della criminalità organizzata, istituire un osservatorio permanente contro la criminalità e la camorra e garantire alle vittime assistenza e solidarietà rafforzando ed affiancando enti ed istituzioni a ciò preposte.
L’Amministrazione Comunale di Caserta ritiene, infine, necessario convocare il Coordinamento dei Sindaci del comprensorio casertano per definire strategie ed iniziative politiche, culturali ed istituzionali di lotta alla criminalità, nel mentre rivolge ai Parlamentari un invito a promuovere ogni iniziativa, presso il governo e la commissione antimafia perché a questa terra laboriosa, segnata dal duplice primato della disoccupazione e della criminalità, sia data l’occasione del riscatto.”
Appello del 3 gennaio 1997 rimasto senza risposte delle istituzioni preposte totalmente ignorato dalla stessa stampa locale.
La sconfitta elettorale dell’Alleanza di Caserta Nuova e ritorno a casa e la faticosa risalita ma esaltante rientro totale nel mondo lavorativo.
La bruciante sconfitta elettorale conseguente al degrado crescente del contesto sociale e politico che, con il rientro nei quadri dirigenti dei vecchi maneggioni politico/affaristici, l’azione dei Partiti, di tutti i partiti (da Rifondazione comunista al Partito della Libertà, passando per il Pd, Psi) collocatisi al Centrosinistra e Centrodestra uniti, portarono all’insediamento della prima giunta del PdL cui seguirono altre formatisi con la maggioranza degli stessi consiglieri comunali solo apparentemente alternativi diedero vita anche a maggioranze di centrosinistra fortemente rappresentate da “gruppi affaristici” in costante crescita del loro peso decisionale,
Come siete entrati a contatto con il Movimento delle Agende Rosse? L’incontro a Roma del Popolo Viola con il Movimento delle Agende Rosse.
Il ritorno all’impegno sociale e politico, dopo anni amarezze, fu inizialmente stimolato dalla partecipazione al “NOBDAY” a Roma il 5 dicembre 2009 con l’impegno organizzativo dal primo nucleo del Popolo Viola di Caserta, lo stesso che poi ha dato vita alla costituzione del Gruppo e alla gestione della pagina Facebook.
L’obiettivo principale rimane quello di chiedere le dimissioni di Berlusconi. Ma non solo. Con la partecipazione – affermavano i promotori – in questo gruppo vogliamo costruire un progetto (non un partito) di rinnovamento per il Paese a partire da proposte democraticamente decise.
Un obiettivo per il quale valeva la pena di impegnarsi e così incontrando casualmente, in Via S. Carlo a Caserta, Anna Frescofiore, Giovanna Visone e Manuela Dell’Unto, impegnate a raccogliere le adesioni per partecipare la Manifestazione Nazionale in fase di preparazione diedi la mia adesione.
La preparazione della Manifestazione Nazionale richiese un intenso lavoro sia a Caserta che a Roma sui vari temi del conflitto tra le scelte, spesso anticostituzionali e comunque gravi del governo Berlusconi per i contenuti confliggenti con le aspirazioni di un fronte popolare che andava crescendo nelle diverse realtà territoriali e nel Paese.
E, in quello stesso periodo mai potrò dimenticare la richiesta spontanea di Susanna – all’uscita dalla Feltrinelli di Caserta – di parere sulla scelta che di lì a poco andava maturando, il sogno di trasferirsi a Palermo per seguire lo stesso percorso di Paolo.
Furono questi gli anni nei quali Susanna, da poco tempo diplomatasi presso il Liceo classico Pietro Giannone di Caserta, partecipò alle iniziative del Movimento delle Agende Rosse, conobbe, con Salvatore, la storia di Paolo e maturò la scelta di fare il Magistrato.
Per la sua innata intraprendenza scelse, giovanissima, di trasferirsi a Palermo per conseguire la Laurea in Giurisprudenza nella stessa università di Paolo e Giovanni riuscendo a convincere Luisa Marigliano e Alessia Guerriero, sue amiche carissime a seguirla.
Dopo alcune settimane, trascorse per l’avvio dei corsi di studio e conoscere Palermo rincontrai Susanna piccola, dolce e più che mai felice per il nuovo inizio, appassionata, determinata e convinta attivista del Movimento.
Profondamente motivata dalla conoscenza e dalla condivisione delle idee di giustizia per le quali furono sacrificati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino nelle stragi ininterrotte di Capaci e di Via D’Amelio a Palermo, segno di una unica strategia ordita da “menti raffinatissime”, organizzate ed eseguite da cinici assassini allo scopo di impedire la ricerca della verità nel processo sulla trattativa stato-mafia.
Con l’Appello “19 luglio 1992: una strage di Stato”, Salvatore Borsellino costituisce il 15 luglio 2007 il Movimento delle Agende Rosse. Furono questi gli anni nei quali Susanna partecipò alle riunioni per la costituzione del Movimento, approfondì, con l’aiuto di Salvatore, la storia di Paolo e maturò definitivamente la scelta di fare il Magistrato.
Fu questo un periodo impegnativo che trascorse tra emozioni, turbamenti come pure non mancarono momenti di sofferenza che, con attente riflessioni, ritrovava le ragioni della Sua scelta di vita.
Nel mentre il Movimento delle Agende Rosse cresceva a dismisura anche il Popolo Viola di Caserta andava strutturandosi e il 5 dicembre 2009 era già pronto a partecipare alla grande Manifestazione Nazionale del NOBDAY a Roma. In Piazza della Repubblica, il luogo del primo appuntamento mentre andavano formandosi le delegazioni, fummo colti da una gradita sorpresa, incontrammo Salvatore Borsellino, Susanna Crispino, Fabrizia Fabbretti e scoppiarono abbracci e emozioni per il solo fatto di vederci di persona.
Il corteo, un fiume in piena, man mano, che le delegazioni si formavano partivano da Piazza della Repubblica per piazza San Giovanni: in tanti anni della mia vita di militanza nel Pci – escluso il funerale di Enrico Berlinguer – mai avevo visto una partecipazione così grande e combattiva.
Si respirava aria di Libertà, di forte tensione morale contro la corruzione e la mafia!
Dopo alcuni chilometri percorsi e la lunga marcia, al grido “Sono casertano non sono Cosentino”, arrivammo nei pressi della Piazza San Giovanni e, non potendo entrare, ci fermammo ad ascoltare gli interventi appassionati che si succedevano al Palco. La giornata già bellissima fu colorata dallo straordinario emozionante intervento di Salvatore Borsellino che nella fase finale non ebbe difficoltà a sostenere che in quella piazza “sentiva il fresco profumo della Libertà” mentre gli attivisti e la piazza gridavano “Fuori la Mafia dallo Stato” e lui chiamava alla Resistenza!
Fu quello il momento nel quale decisi di partecipare attivamente anche alle iniziative delle Agende Rosse, il Movimento nel quale, insieme ai miei amici, non abbiamo mai più smesso di partecipare.
Come pure momenti di gioia pura non mancarono nel conoscere Adriana Castelli, una donna attivista che, fin dai primi giorni che ebbi la fortuna di incontrare, spontaneamente mi offrì la possibilità di visitare tutti i luoghi delle stragi consumate nella Città di Palermo. Lunghe passeggiate per onorare Paolo, Giovanni, Francesca, Pio, Piersanti, Rocco, Gaetano, non guardavamo solo targhe evocative e non mancava di raccontarmi le loro storie e, in particolare ricordo, tra i tanti, in Via Isidoro Carini, quando trovò spoglia la lapide commemorativa di Carlo Alberto Dalla Chiesa, l’adornava di spighe di grano tenute strette dal nastro tricolore come pure alla vista della targa spezzata che indicava Via Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa non mancò di segnalare al comune lo sfregio con la richiesta di immediata riparazione.
Commossa attenzione dedicava alla visita alle Cappelle di Famiglia di Giovanni e Francesca – allora non erano state ancora traslate le spoglie di Giovanni al Pantheon – nel cimitero di Sant’Orsola e di Paolo al Cimitero di Santa Maria di Gesù cappelle semplici che profumavano di amore.
Furono questi gli anni della partecipazione a tutte le Manifestazioni più importati svolte dalle Agende Rosse e dalla Scorta civica di Palermo in difesa dei Magistrati impegnati nei processi di mafia e fare memoria attiva di tutte le vittime massacrate il 19 luglio 1992 nella strage di stato in Via D’Amelio a Palermo.
Moltissime persone bellissime, provenienti da tutte le parti dell’Italia e partecipanti alle iniziative divennero Amici ancora oggi attivissimi.
Palermo divenne, in poco tempo, la Città più impegnata nella lotta alla mafia perché Verità e Giustizia si affermassero sulla strage di Capaci e, soprattutto, sugli assassinii e la Strage di stato di Via D’Amelio per i quali ancora oggi, è stata conclamata l’esecuzione di cinici criminali di “cosa nostra” e, finora, non sono stati ancora individuate le responsabilità di quei pezzi dello stato collusi, “entità esterne, “menti raffinatissime” che, “accordi indicibili”, hanno ordito e fatto cinicamente eseguire da mafiosi l’ordine di morte.
Da allora la partecipazione alle manifestazioni nazionali più importanti di Palermo e alle tre giorni nazionale fu continua con l’unica interruzione dovuta al ricovero ospedaliero urgente per una forte fibrillazione atriale che avvertii al rientro della straordinaria tre giorni del luglio 2015.
Sabato 20 novembre si tenne, di fronte al Tribunale di Palermo, una manifestazione del Popolo delle Agende Rosse in sostegno al procuratore Antonino Di Matteo. Insieme ai suoi colleghi e ad Antonio Ingroia che stanno indagando sulla stagione delle stragi e sulla trattativa. una folla di attivisti e di cittadini, con l’intervento di Salvatore Borsellino, fratello del giudice Paolo, resero ai Magistrati Antimafia che, impegnati nei processi contro le mafie e sulla trattativa dello stato con la mafia, cercano la Verità perché Giustizia si affermi. Un’emozione unica è stata avere potuto intervenire a nome delle Agende Rosse della Campania per dichiarare il nostro pieno sostegno ai Magistrati e alle Forze dell’Ordine fedeli allo Stato per la liberazione delle nostre terre bellissime e del Paese dall’oppressione crescente del “sistema politico criminale”!
Indelebilmente resta anche il ricordo del 19 luglio 2011 della difesa attiva, l’occupazione e la sorveglianza notturna di centinaia di attivisti dell’Albero della Pace in Via D’Amelio – per noi il luogo sacro da sottrarre alle violenze – che difendemmo dalle strumentali ipocrite celebrazioni annuali di parlamentari di tutti gli schieramenti politici e di fascisti partecipanti al tradizionale corteo del Movimento sociale italiano.
E, di seguito la partecipazione alle manifestazioni del 26 luglio 2012 “Uniti tra noi, Uniti per Voi contro la mafia”; del 23 maggio 2012 la straordinaria Manifestazione organizzata da “Cittadinanza per la Magistratura”; il 27 maggio 2012 la prima udienza del Processo sulla trattativa dello stato con la mafia rinviata al 15 novembre 2012 seconda udienza del processo sulla trattativa stato/mafia nelle quali le Agende Rosse furono ammesse e poi escluse come parte civile e poi tante altre Manifestazioni ancora.
Essere stato presente, con migliaia di attivisti in questi momenti di partecipazione viva in una delle fasi della rottura più importanti dell’appiattita storia che ha rappresentano per me e, sono sicuro, per tanti giovani, donne e uomini, un momento da non dimenticare mai! Con l’Agenda Rossa in pugno, levata al cielo con gli occhi umidi di lacrime consapevoli di fare un giuramento di Amore per la Verità e di Sete di Giustizia!!!
Era la prima volta che, da solo partivo, dal Porto di Napoli per raggiungere Palermo e partecipare alle Manifestazioni programmate dalle Agende Rosse per la tre giorni dedicate a Paolo Borsellino e agli Agenti della Polizia che l’accompagnavano quel maledetto giorno della Strage di stato di Via D’Amelio a Palermo.
Alla fine della Manifestazione svoltasi nella mattinata – come solitamente facevano i vari gruppi delle Agende Rosse – consumavano insieme il pranzo – per riprendere le iniziative pomeridiane.
Era anche la prima volta che partecipavo ad una tale iniziativa fui invitato da Susanna, ormai palermitana di adozione, e, con mia grande sorpresa c’era Salvatore che alla sola vista ci abbracciammo forte come fossimo due fratelli che si conoscevano dalla nascita … un’insolita emozione attraversò tutta la mia persona, avevo incontrato il promotore del Movimento che più di tante altre, con il suo appello, aveva colto l’ansia che covava non solo nel mio animo: partecipare ad un movimento che, tra i suoi punti di forza, interpretava la durissima realtà dell’assassinio di Paolo, il suo fratello e di Emanuela, Agostino, Claudio, Walter e Vincenzo, i cinque Agenti di polizia trucidati come strage di stato ordita da settori dello stato collusi che fecero eseguire la strage da cinici criminali.
E tutto ciò Salvatore lo faceva perché coerentemente al rifiuto di Agnese, moglie di Paolo e Lucia, Manfredi e Fiammetta i suoi figli di celebrare il funerale di stato non ha mai voluto dare vita ad un’Associazione sostenuta con le donazioni libere dei propri stessi iscritti per impedire che il ricorso ai finanziamenti pubblici potessero condizionare l’agire libero delle Agende Rosse!
Gli anni successivi furono anni di crescita culturale, di sviluppo di rapporti personali con le tante Persone impegnate civilmente prima che politicamente alla ricerca della Verità sulle stragi di stato che da Portella della Ginestra ad oggi hanno interrotto la crescita democratica del nostro Paese.
A luglio 2012 alla fine della manifestazione conclusasi nel pomeriggio, su invito di Barbara De Luca, andammo insieme ai pochi ultimi presenti nello spazio antistante il Tribunale verso casa di Agnese per salutarla.
Dopo alcuni minuti, protetto da tre o quattro auto arrivò Nino Di Matteo e, in poco tempo, entrammo nell’androne delle scale con Salvatore, alcune Agende Rosse palermitane e Agenti di Polizia e, giusto il tempo di scendere con l’ascensore, sulla sedia a rotelle, avemmo la sorpresa di incontrare di Agnese, la moglie di Paolo, già dolorante per l’aggravarsi delle condizioni di salute,
In una atmosfera indescrivibile, Agnese rivolse a Nino Di Matteo, agli Agenti di Polizia e a tutti i presenti, con voce roca ma greve, l’appello accorato ad impegnarsi per la ricerca definitiva della verità che, tra l’altro, aveva già testimoniato con la pubblicazione del libro “Ti racconterò tutte le storie che potrò” e nel processo presenti i procuratori Sergio Lari e Domenico Gozzo di Caltanissetta.
L’incontro si concluse, con Salvatore in ginocchio con la testa reclina sulle gambe di Agnese e noi mano nelle mani, invocando, il “Padre nostro”: una scena che, al solo ricordo, mi fa accapponare la pelle tant’è stata l’emozione vissuta.
E così dopo esserci incontrati nelle diverse manifestazioni regionali e palermitane un gruppo di Attivisti e Amici si resero promotori della Costituzione del Movimento delle Agende Rosse Paolo Borsellino della Campania.
Un periodo vissuto intensamente per avere preparato, ispirati alle motivazioni dell’Appello di Salvatore Borsellino “19 luglio 1992: una strage di stato” Convegni pubblici tematici titolate “Resistere per esistere, lezioni di Resistenza quotidiana” che registrarono, con l’impegno concreto di tutti i coordinatori del Movimento che registrarono, tra i relatori alcuni tra i migliori relatori esperti – Magistrati, Professori universitari, Storici, Economisti sociali, Presidenti di Associazioni e Movimenti territoriali e altri ancora – di argomenti trattati e, soprattutto, una sempre larga e attenta presenza di partecipanti.
Molte anche furono le Manifestazioni Locali, Regionali e Nazionali cui la delegazione campana era attivissima.
Nello stesso tempo localmente abbiamo partecipato, ovunque invitati, alle iniziative presso le Scuole, in prevalenza, Medie Superiori, alle Associazioni delle Vittime delle mafie, ai Movimenti per la difesa dei Migranti e ai Comitati per la Difesa della Costituzione, per il Disarmo contro la Guerra.
Infine, con la possibilità di dare vita alla costituzione di gruppi locali, lo si è fatto in Campania anche tenendo in debito conto la diversità delle soluzioni associative come pure delle diverse sensibilità ideali sempre lungo il percorso indicato nello statuto e nel regolamento nazionale.
20 gennaio 2015 con Sabina Guzzanti Cineforum su “La trattativa” Multisala Duel di Caserta e 21 gennaio al Cinema Vittoria di Aversa cui parteciparono oltre 1.200 persone
La straordinaria serata “vissuta” con Sabina Guzzanti al Multisala Duel di Caserta e al Cinema Vittoria di Aversa con la partecipazione di oltre 1.200 bellissime persone, accorse, su invito del Movimento delle Agende Rosse di Salvatore Borsellino e dell’Associazione Caserta Film Lab, per cercare la Verità su #LaTrattativa,
È un film che riprende la migliore tradizione dei “capolavori” dell’impegno civile come quelli di Franco Rosi su un argomento ancora più impegnativo considerato il silenzio che lo accompagna ma … Noi Cittadini liberi pretendiamo di conoscere tutta la Verità, nient’altro che la Verità che seguì all’esecuzione della strage di stato di Via D’Amelio!
#LaTrattativa stato/mafia manifesta l’intreccio di larga parte del sistema politico ed istituzionale che, con i poteri occulti, i servizi deviati e le “mafie”, ancora oggi, tende a condizionare pesantemente la “democrazia” nel nostro bel Paese e, soprattutto, per sopravvivere, non si fa scrupolo, con il silenzio e la disinformazione, di autorizzare l’assassinio “istituzionale” di Nino Di Matteo, il Pool Antimafia di Palermo (Francesco Del Bene, Roberto Tartaglia, Vittorio Teresi), impegnati nel Processo sull’Attentato al corpo politico dello Stato, il Procuratore Generale di Palermo Roberto Scarpinato e gli Agenti delle scorte … una nuova “strage di stato” che vuole fermare nuovamente il procedere delle lancette della nostra storia!
Non è mancato, tra l’altro, di esprimere il fraterno sostegno a Nino Di Matteo, al Pool Antimafia di Palermo e agli Agenti di Polizia perché il nostro Bel Paese possa liberarsi dall’oppressione del “sistema politico criminale”!
14 novembre 2015 Manifestazione di Solidarietà a Nino Di Matteo
Sabato 14 novembre 2015 alle ore 10, il Movimento delle Agende Rosse e la Scorta civica di Palermo, avendo accolto l’Appello di Salvatore Borsellino hanno convocato a Roma una Manifestazione nazionale dei Cittadini impegnati nelle Associazioni e nei Movimenti dell’Impegno politico e civile contro le mafie per pretendere, dalle Istituzioni dello Stato “rompere il silenzio” sui gravissimi rischi che corrono il PM Nino Di Matteo e gli uomini della sua scorta.
Un silenzio complice che sta determinando l’isolamento istituzionale del PM più esposto e minacciato d’Italia solo perché titolare delle indagini nel processo sulla trattativa stato-mafia in corso Palermo.
Diversi collaboratori di giustizia (Vito Galatolo, Antonio Zarcone e Carmelo D’Amico) hanno riferito dell’esistenza di un progetto di attentato nei confronti del Giudice Di Matteo e, alcuni di loro, hanno addirittura riferito di un grosso quantitativo di tritolo già pervenuto nel capoluogo siciliano, pronto per essere usato.
In tale contesto le Istituzioni hanno taciuto qualunque parola di sostegno nei confronti del dottor Di Matteo.
Gli stessi organi di informazione, tranne poche eccezioni, non hanno mai speso una sola parola o mandato in onda alcun servizio televisivo sui rischi che il Giudice Di Matteo e i ragazzi della sua scorta debbono affrontare ogni giorno.
Abbiamo, pertanto, deciso di contrastare questo silenzio con una manifestazione nazionale, convocata il 14 novembre p.v. a Roma con partenza alle ore 10 da Largo Ricci, si snoderà con un pacifico quanto determinato corteo lungo le strade del centro storico e si concluderà con un sit-in in Piazza
Siamo il Popolo delle Agende Rosse che difende Nino Di Matteo: siamo molti, indignati, resistenti e tenaci sostenitori, per Amore di Verità e Sete di Giustizia, della liberazione dall’oppressione del “sistema criminale integrato” delle nostre terre bellissime! Per questo, con Salvatore Borsellino gridiamo: Resistenza!!!
Sabato 14 novembre a Roma saremo in tanti, plurali e motivati perché vogliamo #rompereilsilenzio delle istituzioni sulla sorte di Nino Di Matteo e degli Agenti della scorta, sui primi risultati del lavoro attento del Pool Antimafia di Palermo e sulla nostra pretesa di conoscere la Verità, nient’altro che la Verità su “La trattativa stato-mafia” che ha prodotto le stragi di stato del ’92\’93 e profondamente condizionato il presente\passato come il futuro\remoto del nostro bel Paese!
Il Comitato don Peppe Diana sarà a Roma perché come don Giuseppe Diana “Tra qualche anno non vorremmo batterci il petto colpevoli e dire con Geremia “Siamo rimasti lontani dalla pace abbiamo dimenticato il benessere. La continua esperienza del nostro incerto vagare, in alto ed in basso, dal nostro penoso disorientamento circa quello che bisogna decidere e fare sono come assenzio e veleno”
Il grido di sostegno per il Giudice Di Matteo dovrà arrivare dal cuore dei cittadini, a prescindere dalle loro convinzioni politiche, Vi invitiamo a partecipare numerosi e a donare a questa causa la vostra passione, il vostro spirito civile e la sete di giustizia e verità che hanno contraddistinto il percorso lavorativo del Giudice Di Matteo.
La lettera del PM Nino Di Matteo ai partecipanti alla manifestazione a Roma per #rompereilsilenzio!
“Oggi tanti Cittadini, provenienti da ogni parte del Paese, hanno scritto una bella pagina di libertà, partecipazione democratica, impegno civile, passione per la Giustizia e la Verità. Sento fortissimo il bisogno ed il piacere liberatorio di esprimere a ciascuno di voi la mia profonda e sincera gratitudine.
Ai promotori di questa iniziativa (le Agende Rosse e Scorta Civica) come a tutte le donne e a tutti agli uomini che, anche con notevole sacrificio personale, sono oggi accorsi a Roma. Vi ringrazio da uomo e da cittadino, prima ancora che da magistrato e servitore dello Stato.
In un paese dove l’apatia e l’indifferenza si diffondono sempre più pericolosamente nel tessuto sociale, voi oggi rappresentate la reazione di chi non vuole rassegnarsi, di chi pretende ancora di conoscere, di capire, di vivere e poter scegliere da cittadino informato e consapevole e non da suddito sciocco e facile strumento di volontà altrui.
Quella vostra di oggi non è semplicemente una testimonianza di solidarietà nei confronti di un magistrato in un momento di sua oggettiva difficoltà. È qualcosa di enormemente più grande ed importante. Un Paese senza memoria è destinato a non avere futuro.
… concludendo riporto l’invito conclusivo …
È una testimonianza della precisa consapevolezza che la lotta alla mafia, alla penetrazione e diffusione di metodi mafiosi nell’esercizio del potere, è la prima vera questione fondamentale, irrinunciabile, pregiudiziale ad ogni altra, per la tenuta della nostra democrazia.
Vi ringrazio ancora con tutta la forza del sentimento che mi avete suscitato.
La vostra attenzione, la vostra tensione morale e civile, mi conforta, costituisce per me uno stimolo forte, decisivo, ad andare avanti nel lavoro, nonostante tutto e nonostante le difficoltà e gli ostacoli sempre più alti.
Dobbiamo tutti, ciascuno nel suo ruolo e con le proprie capacità, trovare sempre la forza di combattere per la verità. Anche quando ciò ci esporrà a pagare un prezzo molto alto.
Le singole battaglie potranno anche perdersi, dobbiamo imparare a mettere in conto le sconfitte e le battute d’arresto; ciò che conta è proseguire nel percorso di ricerca della Verità, l’unica strada, diretta, semplice e perciò rivoluzionaria, che può finalmente portarci a vincere la guerra. Una guerra di resistenza e liberazione contro un sistema ed un metodo mafioso che dobbiamo necessariamente debellare se vogliamo assicurare ai nostri figli un futuro di dignità, libertà e democrazia.
Vi abbraccio con sincera riconoscenza.” Nino Di Matteo
14 marzo 2018 Saluto a Nino Di Matteo, al Comitato don Peppe Diana!
Alla Casa di don Peppe Diana a Casal di Principe sul tema “La ricerca della verità” è l’incontro che ha ospitato Nino Di Matteo, sostituto Procuratore della Direzione Nazionale Antimafia, gli attivisti del Movimento delle Agende Rosse del costituendo Gruppo Caserta/Napoli nord esprimono pieno e convinto sostegno all’azione di Nino Di Matteo, Pubblico Ministero, componente autorevole del Pool Antimafia di Palermo, impegnato nel “Processo sull’Attentato al Corpo politico dello Stato”, la cosiddetta “Trattativa mafia/stato”. E ringraziano il Comitato don Peppe Diana per avere aperto il confronto sul tema della “Ricerca della Verità” nel rapporto “Politica e Mafia” per promuovere una “riflessione critica” sull’efficacia della lotta alle mafie condotte, in particolare, la camorra – in queste nostre terre bellissime e martoriate – nonostante gli arresti eccellenti dei maggiori esponenti del “clan dei casalesi”!
In questi giorni, tra le tante questioni resta ancora da definire il ruolo di Nicola Cosentino, forse l’unico esponente di spicco delle mafie che abbia racchiuso, nella sua persona, contemporaneamente: secondo i giudici di primo grado, il ruolo di referente politico nazionale del clan dei Casalesi, oltre che di Coordinatore Regionale del PDL – Partito della Libertà anche quello di Sottosegretario all’Economia con delega al CIPE, il Comitato Interministeriale Programmazione Economica del Governo Berlusconi.
Temi questi che, siamo convinti offriranno, nel corso degli “Stati Generali delle Terre di don Diana” – convocati per il 19 marzo prossimo – spunti per un attento approfondimento e puntuale riflessione sul ruolo che gioca la “borghesia mafiosa” in questa nostra Provincia!
Il Movimento delle Agende Rosse di Salvatore Borsellino ha consentito, non solo a me, di maturare una consapevolezza dell’agire “sistemico” delle mafie e, soprattutto, di conoscere Persone, prima che Magistrati, straordinarie per l’onestà e la professionalità, come Nino Di Matteo e il Pool Antimafia di Palermo, impegnati “nel” Processo sulla Trattativa stato/mafia alla ricerca meticolosa della Verità, nient’altro che la Verità sui “mandanti” delle stragi del ‘92/’93!
Le stragi di Capaci e Via D’Amelio a Palermo, Via dei Georgofili a Firenze e in Via Pastrengo a Milano “colorarono del rosso sangue delle Vittime”, predestinate ed innocenti, le strade di diverse Città del nostro Paese in un contesto sociale, politico ed istituzionale compromesso, omissivo e complice che – ancora oggi – tenta di ostacolare la ricerca di una Verità già accertata: “la Storia del nostro Paese è stata deviata dal suo corso naturale per l’intervento attivo di “cinici” mandanti delle stragi”, operanti in quei settori dei partiti, dei servizi deviati e delle istituzioni che hanno “strappato” l’Agenda Rossa di Paolo Borsellino dall’auto proprio mentre brandelli di carne, ossa e sangue schizzavano fino al quarto piano della casa di Agnese, la mamma di Paolo per consegnarla a chi l’aveva ordinato”.
Dopo oltre 25 anni abbiamo il diritto, la pretesa di conoscere la Verità come condizione indispensabile, volta a difendere, con la Libertà, la Democrazia nel nostro Paese, anche per questa siamo “Partigiani” della Costituzione!
Grazie Nino, Grazie ai Familiari di don Peppe Diana, Grazie Renato, Grazie Valerio, Grazie Gianni, grazie a Tutti Voi che non vi siete arresi ma che, con Diogene, continueremo a cercare la Verità anche con il lanternino!
- Cosa significa per voi essere una/un attivista antimafia?
Improntare le azioni quotidiane della propria vita alla ricerca della Verità e all’affermazione della Giustizia nel contrastare le iniziative delle mafie nella società, nell’economia, nella politica e nelle istituzioni come Cittadino promotore e partecipante ai processi sociali, politici ed istituzionali.
In quanto Attivista e Portavoce del Movimento delle AR finalizzare l’impegno alla ricerca della Verità sulla strage di stato di Via D’Amelio a Palermo nella quale, in assenza del contrasto, di settori delle istituzioni, furono trucidati con Paolo Borsellino e cinque Agenti di Polizia: Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Cosina e Claudio Traina.
L’unico sopravvissuto fu l’agente Antonino Vullo, che al momento dell’esplosione, stava posizionando strategicamente una delle auto della scorta in una strada con aree di sosta mai regolamentate.
- Cosa significa per voi la parola: legalità? E la parola: giustizia?
La Legalità è intesa, sul piano puramente formale, il rispetto delle leggi approvate, a maggioranza, in Parlamento che, spesso, sono volte alla tutela di interessi particolari e, in molti casi, espressioni dirette di poteri forti esterni contrapposte alla necessità di garantire principi di Uguaglianza, di Pari Opportunità nel mondo del Lavoro, di Libertà, di Democrazia che trovano radici profonde nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e nei Principi Fondamentali della Costituzione.
Quanto più sono distanti le leggi dal rispetto dei Diritti e dei Principi tanto più la Giustizia viene violata.
È, in tale contesto che la disobbedienza civile contro il Servizio militare, contro la Guerra e in Difesa dei Diritti Civili non può essere negata né può essere considerata una motivazione tendete ad attenuare o depenalizzante la relativa sanzione penale.
Considerare la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e i Principi Fondanti la Costituzione di solidi riferimenti di un impegno sociale e politico al servizio del bene comune, della giustizia sociale, di un modello inclusivo di convivenza. Ispirati ad una concezione della politica fondata sui principi della nonviolenza, della sussidiarietà e della pace.
- Raccontate una esperienza che avete avuto da attivisti che vi ha segnato in modo positivo.
Con l’Appello “19 luglio 1992: una strage di stato” di Salvatore Borsellino del 15 luglio 2007 indica la necessità di risvegliare la coscienza civile di cittadini consapevoli e, perciò, liberi e dare vita, con chi lo avrebbe condiviso, al Movimento delle Agende Rosse le cui motivazioni riporto testualmente: “Per anni, dopo l’estate del 1992 sono stato in tante scuole d’Italia a parlare del sogno di Giovanni e Paolo, a parlare di speranza, di volontà di lottare, di quell’alba che vedevo vicina grazie alla rinascita della coscienza civile dopo il loro sacrificio, dopo la lunga notte di stragi senza colpevoli e della interminabile serie di assassini di magistrati, poliziotti e giornalisti indegna di un paese cosiddetto civile.
Poi quell’alba si è rivelata solo un miraggio, la coscienza civile che purtroppo in Italia deve sempre essere svegliata da tragedie come quella di Capaci o di Via D’Amelio, si è di nuovo assopita sotto il peso dell’indifferenza e quella che sembrava essere la volontà di riscatto dello Stato nella lotta alla mafia si è di nuovo spenta, sepolta dalla volontà di normalizzazione e compromesso e contro i giudici, almeno contro quelli onesti e ancora vivi, è iniziata un altro tipo di lotta, non più con il tritolo ma con armi più subdole, come la delegittimazione della stessa funzione del magistrato, e di quelli morti si è cercato da ogni parte di appropriarsene mistificandone il messaggio.”
L’avere avuto la possibilità di conoscere tante bellissime persone – nella mia non breve esperienza vissuta sempre come attivista del Movimento – ha segnato ed arricchito il mio stesso vissuto, nelle nostre terre bellissime, validando le chiavi di lettura dei contenuti e del modo di operare delle mafie, sempre più proponendosi come “sistema criminale integrato” e, con esse, promuovendo una visione rinnovata della cultura antimafia.
“Gioacchino Basile – ricorda Salvatore – mi dice che sarebbe mio diritto “pretendere” dallo stato di conoscere la verità sull’assassinio di Paolo, ma da “questo” Stato, dal quale ho respinto “l’indennizzo” che pretendeva di offrirmi quale fratello di Paolo, indennizzo che andrebbe semmai offerto a tutti i giovani siciliani e italiani per quello che gli è stato tolto, sono sicuro che non otterrò altro che silenzi.”
Allo stesso tempo, in memoria delle stragi e degli assassinii e di stato orditi da menti raffinatissime, entità esterne e fatti eseguire, con accordi indicibili, da cinici criminali, apprezzare. ciò nonostante. l’impegno coerente dei singoli splendidi attivisti, del Movimento delle Agende Rosse e dei tanti Protagonisti (Magistrati e Uomini dello Stato) succedutisi, in questi duri anni di contrasto e di lotta a “cosa nostra”, a tutte le mafie.
L’Appello ha dato a tutti noi – provenienti da aree geografiche diverse – la capacità di interpretare, in una visione unitaria, il modo di essere e di agire delle mafie nelle nostre diverse realtà territoriali.
Raccontate un’esperienza vissuta da attivisti che vi ha segnato in modo negativo.
Tutte le esperienze vissute, per me, sono state positive anche quelle vissute secondo visioni diverse, la diversità si sa è il lievito della democrazia, fino a quando la pratica della visione condivisa non si divarica nel perseguimento di obiettivi inconciliabili.
Uno proteso essenzialmente ad orientare la propria azione nella gestione di un bene confiscato in assenza delle necessarie competenze e senza aderire al Progetto “La RES – Rete di Economia Sociale” e l’altro nel continuare a promuovere, in una realtà come quella campana, la cultura antimafia, la formazione essenzialmente rivolta verso i giovani consapevoli e, perciò, liberi da possibili condizionamenti politico/istituzionali derivanti dal ricorso ai finanziamenti pubblici.
L’incedere degli avvenimenti che stanno scuotendo il nostro mondo richiedeva l’assunzione di un sempre crescente impegno nelle numerose iniziative in atto nelle nostre terre e per il mio stato di salute (intervento cardio chirurgico) pur avendomi costretto a selezionare gli impegni personali, in funzione dell’importanza, non mi impedisce, al tempo stesso, di sottacere che è andato sempre più ampliandosi la distanza tra il progetto e gli obiettivi, tra l’essere e l’apparire, tra i contenuti programmatici e i metodi di gestione, ecc.
L’emergere, infine, di elementi di incompatibilità non più soltanto operativa tra la connaturata limitatezza delle adesioni e delimitazione delle finalità che l’APS A.R.Ca. (acronimo di Agende Rosse Campania inopportunamente utilizzato) che intende legittimamente perseguire e l’ampiezza della rappresentanza che, in generale, il Movimento delle Agende Rosse della Campania – Paolo Borsellino – deve sempre proporsi di conseguire per realizzare l’obiettivo strategico generale di resistere lottando allo scopo di pretendere e conoscere la Verità sulla strage di stato del 19 luglio 1992 compiuta in Via Mariano D’Amelio e difendere, con la Giustizia, i principi costituzionali di Libertà e di Democrazia.
Tanto premesso, in data 11 dicembre 2015, ho comunicato le mie dimissioni irrevocabili da socio prima che promotore dell’APS A.R.Ca.
Dal 2016 al 2019 molti di noi hanno continuato a partecipare a tutte le iniziative locali e nazionali come “attivisti” del Movimento delle Agende Rosse di Salvatore Borsellino coerentemente aderenti al valore di contenuti dell’Appello alla partecipazione nelle lotte contro “cosa nostra” e contro tutte le mafie e a partecipare alle iniziative nelle scuole e nella società.
La Costituzione “Movimento Agende Rosse Campania Paolo Borsellino – Gruppo Caserta-Napoli nord – Attiviste in Vita Adriana Castelli e Susanna Crispino”
Il 12 luglio 2019, a Caserta (CE) in Via Galilei, 24 – presso il Cortile – con la partecipazione attivisti, convocati in Assemblea che, avendo condiviso l’Appello di Salvatore Borsellino del 18 luglio 2007 e data lettura dello Statuto e dei Regolamenti nazionali dell’”Associazione Agende Rosse” diede vita alla Costituzione del Gruppo Caserta-Napoli nord. Associazione, senza fini di lucro, che persegue scopi esclusivamente culturali volti a conseguire Verità e Giustizia sulla strage di Via Mariano D’Amelio del 19 luglio 1992 nella quale furono trucidati, con un attentato non solo mafioso, il magistrato Paolo Borsellino e i cinque Agenti di Polizia Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
Assassinii, tra l’altro, preceduti dall’attentato terroristico/mafioso del 23 maggio 1992 a Capaci, che colpì i Magistrati Giovanni Falcone e Francesca Morvillo – sua moglie – e gli Agenti Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.
Stragi efferate e prevedibili eseguite, però, nella assenza totale dell’adozione di misure di prevenzione che chiamano alla responsabilità, con “cosa nostra”, ampi settori dei partiti e delle istituzioni.
A tale scopo sostenere i Magistrati onesti e professionalmente riconosciuti e impegnati ai diversi livelli della Magistratura perché la Verità prevalga sul silenzio omertoso di ampi settori dell’informazione nella ricerca di chi ha ordito, organizzato ed eseguito cinicamente assassinii e stragi mafiose.
Promuovere con l’esempio di Adriana Castelli e Susanna Crispino – Attiviste nella Vita – l’informazione e la formazione culturale anti-mafiosa “delle giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità.”
Nella prima riunione l’Assemblea appena costituita nomina il primo Consiglio Direttivo che dura, in carica tre anni rinnovabili, salvo integrazioni e modificazioni, nelle persone di: Vincenzo Iovino, Coordinatore, Consiglieri Alessia Guerriero, Angela Abate, Domenico Lanzillo, Fernanda Sorrento, Innocenza Manno, Lucia Sibillo, Luisa Marigliano, Marilena Manno, Paola Settembre, Nicola Parisi, Rosa Manfra e Teresa Fusco e di Domenico Marzaioli, Coordinatore, Portavoce.
Susanna, piccola eppure appassionata e determinata, attivista convinta del Movimento delle Agende Rosse di Salvatore Borsellino essenzialmente motivata dalla conoscenza e condivisione profonde delle idee di giustizia per le quali furono sacrificati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino nelle stragi ininterrotte di Capaci e di Via D’Amelio a Palermo quale segno di un’unica strategia ordita da “menti raffinatissime”, organizzate ed eseguite da cinici esecutori allo scopo di impedire la conclusione delle indagini sulla trattativa stato-mafia.
Un percorso che aveva intrapreso brillantemente conseguendo, con lode, il 23 marzo 2015 la Laurea Magistrale in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Palermo discutendo la tesi su “La responsabilità da reato nei gruppi di società. Una comparazione con l’ordinamento anglosassone”, relatore il Prof. Vincenzo Militello dopo avere svolto un soggiorno di ricerca presso la Facoltà di Legge – University of Cambridge con la supervisione del Prof. John R. Spencer.
Dal novembre 2015 è dottoranda di ricerca in “Internazionalizzazione dei sistemi giuridici e diritti fondamentali” presso l’Università degli Studi della Campania – Luigi Vanvitelli – sotto la supervisione del Prof. Stefano Manacorda. La sua tesi dottorale ha ad oggetto l’interpretazione conforme al diritto europeo ed internazionale in materia penale. Collabora inoltre con la cattedra di Filosofia del Diritto del Prof. Ulderico Pomarici in qualità di cultrice della materia.
Dal gennaio 2017 svolge un soggiorno di studio presso l’Università Saint-Louis di Bruxelles sotto la supervisione del Prof. Yves Cartuyvels.
Grandi erano le sue aspettative anche se non si faceva illusione di riuscire a superare tutte le difficoltà per conseguire l’obiettivo principale: fare il Magistrato senza, con ciò, disdegnare di proseguire nella carriera universitaria!!!
Carissimi era come l’ha conosciuta Salvatore Borsellino, bravissima, attenta e sensibile e, spesso, diceva che, nei momenti difficili, venire a Palermo – in giorni diversi dalle iniziative – le era di conforto andare in Via D’Amelio e riflettere, protetta dall’Ulivo, per ritornare, con la generosità che le era propria, a studiare e a lavorare con un rinnovato impegno perché la meta non si allontanasse!
Una ragazza straordinaria per la passione e la costanza del suo impegno civile e culturale che, dall’esperienza professionale di Paolo, traeva insegnamento (nei suoi studi non mancava spesso di documentarsi per approfondire i temi di diritto penale, spesso, traendo spunto nella lettura delle sentenze di Paolo come di Giovanni) per affermarsi in un mondo, quello giudiziario come quello universitario, ove fortissima è – ancora oggi – la competizione!
Come pure momenti di gioia pura non mancarono nel conoscere Adriana Castelli e, tra i tanti, Amiche e Amici, moltissime persone bellissime attivisti motivati del Movimento.
Adriana Castelli, una donna generosa e straordinaria che, fin dai primi giorni, ebbi la fortuna di incontrare, spontaneamente mi offrì la possibilità di visitare tutti i luoghi delle stragi consumate nella Città di Palermo. Lunghe passeggiate per onorare Paolo, Giovanni, Francesca, Pio, Piersanti, Rocco, Gaetano, non guardavamo solo targhe evocative e Lei, appassionata, non mancava di raccontarmi le loro storie e, in particolare ricordo, tra i tanti, in Via Isidoro Carini, quando trovò spoglia la lapide commemorativa di Carlo Alberto Dalla Chiesa, l’adornò di spighe di grano tenute strette dal nastro tricolore come pure alla vista della targa spezzata che indicava Via Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa non mancò di segnalare al comune lo sfregio con la richiesta di immediata riparazione.
Durante una di queste passeggiate, mentre Adriana citava la storia delle tante vittime di mafia, pensai quanto sarebbe stato importante organizzare un vero e proprio “percorso della memoria” i cui accompagnatori, gratuitamente, offrivano le loro conoscenze ai nuovi partecipanti la tre giorni dedicata a Paolo Borsellino, ai cinque Agenti di Polizia che lo accompagnavano e alle tante altre vittime che hanno bagnato di sangue le tantissime strade di Palermo e lei, sempre così riservata, mostrò di essere felice ma … non ce l’abbiamo fatta.
Commossa attenzione dedicava alla visita alle Cappelle di Famiglia di Giovanni e Francesca – allora non erano state ancora traslate le spoglie di Giovanni al Pantheon – nel cimitero di Sant’Orsola e di Paolo al Cimitero di Santa Maria di Gesù cappelle semplici che profumavano di amore.
Con il trascorrere degli anni tra Adriana e Susanna si creò un tenerissimo rapporto di affetto, come di una mamma premurosa verso una figlia sensibilmente reattiva finanche alle parole non dette, bastava incrociarsi con lo sguardo e già i sentimenti esprimevano gioia e felicità.
Una sera, ricordo, passeggiando per le strade di Palermo nei pressi del bar dell’Università, Adriana radiosa com’era mi disse, vogliamo andare a casa di Susanna, prendiamo una bottiglia di vino Nero d’Avola le facciamo compagnia e una cenetta non sarà difficile strapparle. Non ci fu bisogno alcuno di pensarci e guidato ci incamminammo lungo strade buie – io non conoscevo i vicoli – per raggiungere la casa di Susanna. Bastò bussare e scoppiò la gioia di abbracciarla.
Trascorremmo una serata bellissima eravamo a “casa” non in bar le parole, i sentimenti, le emozioni si esprimevano con la spontaneità propria di amici conosciuti da sempre!
Furono questi gli anni della partecipazione a tutte le Manifestazioni più importanti svolte dalle Agende Rosse e dalla Scorta civica di Palermo in difesa dei Magistrati impegnati nei processi di mafia e fare memoria attiva di tutte le vittime massacrate il 19 luglio 1992 nella strage di stato in Via D’Amelio a Palermo.
La proposta di dedicare il costituendo Gruppo delle Agende Rosse di Caserta-Napoli nord a Adriana Castelli e Susanna Crispino, le nostre care Testimoni in vita.
Il ricordo di Adriana Castelli
Il 12 ottobre 2015, non c’ero, fui operato al cuore il 28 luglio dello stesso anno di rientro alla tre giorni palermitana: confesso ne rimasi profondamente amareggiato eppure pochi giorni prima – già era in ospedale – ci eravamo sentiti telefonicamente con la sua voce serena mi parlava delle sue condizioni di salute senza mai fare trasparire sofferenza alcuna quasi a volermi rassicurare.
Trovai tanto sollievo nel fatto che, con l’aiuto di Bruna e Loris, non fecero mancare la mia presenza portando un’Agenda Rossa, tre fiori gialli e bigliettini con la scritta “Giù le mani da chi indaga sulle stragi del ‘92/‘93”
Orgoglio e emozioni provai nel sapere che il PM Nino Di Matteo dichiarò: ‘È morta una grande persona che con umiltà e grande dignità ha testimoniato la bellezza e il profumo della passione per la verità e la giustizia’ e Salvatore Borsellino attestava: “Se ne è andata via l’Agenda Rossa, più vera, più pura” e proseguendo: “Si Adriana, nella clessidra della vita in ogni granello che è sceso c’era tutto il tuo amore, la tua umiltà, la tua passione per la giustizia e per la verità. C’erano i giorni in cui, con un’agenda rossa in mano, hai gridato vergogna a quei potenti finiti a processo per aver trattato con la mafia.”
E solo così avrà senso la nostra vita. Qualche tempo fa sulla tua bacheca hai scritto: “Un abbraccio a tutti i miei Amici, in particolare, a quelli con i quali ho condiviso i sei anni più belli della mia vita recente. E tutto l’amore che posso ai ‘miei’ Magistrati e ai loro Angeli custodi, a Salvatore e a tutti gli Amici Agende rosse che hanno reso la mia vita indimenticabile, intensa, appassionata… viva’.
Si Adriana, tu sei viva, e ora conoscerai la verità accanto a Giovanni e a Paolo. Proteggi i giusti, quelli che tu chiamavi i tuoi amori, e veglia su di noi, donaci forza e fede per continuare a combattere. Grazie di essere venuta su questo mondo e grazie per quello che ci hai insegnato, ma ora vai nella luce più splendente. Ciao, Adriana!”.
Alle figlie Nadia, Patricia e Silvia, composte nella dignità del loro dolore e agli amici di Adriana che si abbracciano con gli occhi lucidi, c’è tristezza, nostalgia, ma soprattutto tanto amore nel ricordare questa piccola grande donna alla quale, non da solo, vogliamo bene!
Questo il ricordo di Susanna Crispino
Triste e tragica fu – per me – apprendere il 4 marzo del 2018 la notizia della fulminea dipartita di Susanna, quella ragazzina casertana che volle, fortissimamente volle frequentare l’Università di Palermo, la stessa di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, per laurearsi e fare il Magistrato!
“Sono costernato e triste come un padre che perde la propria figlia – questo il mio primo, spontaneo straziante pensiero – e penso quanto sia ingiusta e innaturale la vita: perché strappare alla nostra terra Susanna? Una ragazza a cui è stata negata la realizzazione dei suoi “sogni” nemmeno tanto lontani”.
Il giorno della celebrazione del rito funebre, presenti la mamma Maria Pia, il papà Nazareno e la sorella Annarita, i suoi Professori, gli studenti e gli amici del Movimento delle Agende Rosse, Salvatore Borsellino non volle mancare, portò il suo saluto, con tanta difficoltà, dolore infinito e un’emozione profondissima che lo costrinse ad interrompere più volte e sfinito si lasciò stringere forte come mai mi era capitato di assistere.
Queste le sue parole: Susanna, il mondo non sarà lo stesso senza di te, senza il tuo sorriso, la tua bontà, la tua dolcezza, il tuo coraggio, la tua saggezza, la tua determinazione. La tua anima farà parte di noi per sempre.
Per salutarti vorremo dedicarti le parole più belle, le stesse parole d’amore con cui riempivi la nostra vita, ma il dolore è troppo forte, le lacrime scendono troppo in fretta. Lasceremo parlare i tuoi messaggi per pensarti in qualche modo ancora tra noi, perché è impossibile pensarti altrove e per raccontarti a chi non ha avuto la fortuna di conoscerti: Salvatore, vado a dormire con la voce di Paolo che mi riecheggia le ragioni della mia scelta: “sono morti per noi ed abbiamo un grosso debito verso di loro.”.
Susanna nata a San Giovanni Rotondo (FG) il 29 giugno nel 1989 e continua a vivere non solo a Caserta, tra di noi nella nostra memoria dal 4 marzo 2018.
La dedica dei familiari: “Amarti è stato facile, dimenticarti sarà impossibile. Rivivi nella Luce di Dio.”
- Esiste la mafia nella vostra città? Come si può riconoscere? In quali ambiti si cela?
SI CHIAMA CAMORRA!
Storicamente la camorra, anzi “le camorre” hanno sempre avuto una presenza disarticolata e diffusa nelle Città della Provincia di Caserta e un insediamento che “nasce appena dopo la fallita rivoluzione partenopea del 1799” come organizzazione rurale capeggiata territorialmente da uomini d’onore che erano ligi al rispetto del codice di comportamento dettato dalle mancate risposte dello stato: sicurezza, racket e tangenti.
Durante questi anni di apparente immobilismo prese corpo la Nuova Camorra Organizzata (NCO) di Raffele Cutolo che, nel tentativo di unificare e verticalizzare i clan sul territorio, dopo pochi anni con uno spargimento enorme di sangue, fu definitivamente sconfitta.
Andava così affermandosi la Nuova Famiglia, una confederazione di clan creata ad hoc dal boss quali Michele Zaza, i fratelli Nuvoletta e Antonio Bardellino (affiliati a Cosa Nostra) e da altri capi banda interessati alla gestione del “contrabbando di sigarette estere” che aveva il suo centro di smistamento a Napoli ove anche mafiosi palermitani e catanesi si rifornivano.
Nel breve tempo i rapporti andarono intensificandosi – favoriti dall’obbligo di dimora di mafiosi nelle nostre terre – e, nella seconda metà degli anni ’70, diversificando le attività con la gestione, il traffico e la distribuzione di stupefacenti.
Antonio Bardellino e Mario Iovine, sempre attenti alle nuove opportunità, entrano in contatto con Badalamenti e Buscetta e, come nuovi referenti in Campania, si affiliarono per controllare il narcotraffico. In tal modo il clan dei casalesi trasformò, la sua struttura organizzativa in un’organizzazione che, restando orizzontale, acquisì come valore aggiunto il comando verticistico.
L’eroina raffinata esportata in Nordamerica facevano capo ai palermitani e agli agrigentini. In quel periodo i mafiosi siciliani, secondo dati ufficiali, esercitavano il controllo della raffinazione, spedizione e distribuzione di circa il 30% dell’eroina consumata negli Stati Uniti.
Il “clan dei casalesi” nasce nella metà degli anni ’70 dai conflitti tra Antonio Bardellino e Mario Iovine e tutti gli altri clan dell’agro aversano che avevano abbandonato la NCO.
In poco tempo per la forza organizzativa – oltre 150 capizona affiliati e un esercito di oltre 9.000 aderenti – fu considerata tra le più importanti organizzazioni criminali d’Europa.
Nei primi anni Ottanta con l’espansione del traffico di droga e con il controllo delle prime opere pubbliche si aprì un conflitto durissimo tra i diversi clan durante il quale lo stato non ebbe immediata cognizione che con il crescere del dominio del “clan dei casalesi” andava attuandosi la trasformazione in una vera e propria “holding criminale”.
Alla fine degli anni ‘80 e l’inizio dei ’90 nel clan, per insanabili conflitti interni per la successione al vertice si scatena una guerra di camorra che collocò il Comune di Casal di Principe, l’area urbana col più alto tasso di omicidi d’Europa.
Non mancarono in quegli anni drammatici, minacce ai Magistrati Cafiero De Raho, Raffaele Cantone, a Roberto Saviano autore di Gomorra, alla giornalista Rosaria Capacchione, all’On. Lorenzo Diana mentre deponeva come teste di accusa nel processo e a Renato Natale, l’attuale sindaco di Casal di Principe.
Come pure, con efferatezza, fu assassinato il 19 marzo 1994, il giorno del suo onomastico don Peppe Diana mentre si preparava a celebrare la messa che, come avvenne con don Pino Puglisi, avevano impostato la loro pastorale alla lotta della criminalità, In particolare don Peppe, nel documento “Per Amore del mio Popolo” definì “La Camorra oggi è una forma di terrorismo che incute paura, impone le sue leggi e tenta di diventare componente endemica nella società campana”.
Negli anni del dominio opprimente del clan, prevaleva la rassegnazione che fu interrotta il 5 dicembre 1995 dalla maxioperazione detta Spartacus nata dalla collaborazione di pentiti che portò ai processi “Spartacus”, all’arresto di Schiavone e Bidognetti e alla latitanza di importanti esponenti del clan.
Dopo la sentenza del Maxiprocesso a “cosa nostra” il 15 gennaio 2010, con la sentenza si chiude “il secondo Maxiprocesso italiano” al clan dei casalesi Spartacus-1 che, nel silenzio e nell’indifferenza dell’informazione italiana, ha giudicato e condannato gran parte dei capi “clan dei casalesi” che fanno riferimento al temuto boss Francesco “Sandokan” Schiavone.
Il “clan dei casalesi” è indicato dalla Commissione parlamentare antimafia come uno dei più potenti e pericolosi d’Europa.
“I numeri che ci permettono di definire Maxiprocesso lo “Spartacus–1” dal momento del blitz alla lettura del verdetto passano ben 10 anni, sono riportati in sintesi.
Oltre 115 persone processate, 21 gli ergastoli, oltre 750 anni di galera inflitti. I documenti della D.I.A. delineano il quadro con maggiore precisione: “L’operazione, avviata nel 1993 con lo scopo di aggredire i clan camorristici dominanti nella provincia di Caserta e, in particolare, quello dei casalesi, ha consentito l’emissione di oltre 300 ordinanze di custodia cautelare in carcere nonché il sequestro e la confisca di beni per migliaia di miliardi di lire. Si è proceduto al sequestro di 199 fabbricati, 52 terreni, 14 società, 12 autovetture e 3 imbarcazioni per un valore complessivo di 354 miliardi di lire. Inoltre, sono stati sequestrati beni mobili ed immobili, frutto di attività illecite, per un valore complessivo di circa 400 miliardi di lire.
Tra gli arrestati figurano uomini politici, appartenenti alle forze dell’ordine, nonché imprenditori campani. Il processo ha coinvolto esponenti di spicco della politica locale, accusati di aver intrattenuto rapporti con uomini del clan dei Casalesi e di aver condizionato l’attività politica e imprenditoriale.
I gravi reati per cui è stata riconosciuta la responsabilità a vario titolo degli imputati (dall’associazione camorristica al concorso esterno a numerosi delitti con l’aggravante mafiosa, dall’estorsione alla turbativa d’asta) testimoniano come i casalesi abbiano infiltrato alcune amministrazioni locali campane.
Il giorno della lettura del verdetto, il Tribunale di S. Maria Capua Vetere è stato blindato. Non c’era solo un’aula bunker, ma tutto il circondario del tribunale fu trasformato in un gigantesco bunker: oltre 200 tra poliziotti e carabinieri, cani anti-bomba, due elicotteri in volo continuo nei cieli.
La camorra, nel periodo caratterizzato da assassinii e stragi politiche ed istituzionali, iniziò una scalata inarrestabile che contò – negli anni 1980 al 2004 sarebbero stati compiuti dal clan 646 omicidi cui aggiungere centinaia e centinaia di vittime innocenti …. oltre mille morti, molti dei quali totalmente oscurati.
Negli anni successivi fino ai giorni nostri furono assassinate altre 40 vittime innocenti e predeterminati dalla camorra in Campania e, in tale contesto particolarmente atroci furono gli assassinii del “clan dei casalesi” che colpirono Domenico Noviello un piccolo imprenditore, sotto protezione, per essersi ribellato al pizzo diversi anni prima e Raffaele Granata, padre del sindaco di Calvizzano, per non avere voluto pagare il pizzo.
La sera del 18 settembre 2008 viene ferocemente eseguita la “strage di San Gennaro” ad Ischitella di Castelvolturno – presso la sartoria etnica Exotic Fashion – vengono assassinati a colpi kalashnikov Kwame Antwi Julius Francis, Affun Yeboa Eric, Christopher Adams del Ghana, El Hadji Ababa e Samuel Kwako del Togo, Jeemes Alex della Liberia, sei ragazzi vittime innocenti, lavoratori e rifugiati.
La “strage di San Gennaro”, una delle pagine brutali della storia criminale, è stata l’azione criminale più violenta attuata dalla camorra casertana. A commetterla, secondo la matrice stragista e terroristica, furono cinque esponenti del “clan dei casalesi” che, guidati dal boss Giuseppe Setola, intendevano riaffermare, con 17 morti in sei mesi, il controllo del territorio.
il 19 settembre, giorno successivo la strage, centinaia migranti inscenarono una protesta violenta, contro la camorra e le condizioni di degrado in cui vivevano.
Joseph Ayimbora, del Ghana, sopravvissuto fingendosi morto, nonostante centinaia di colpi sparati, guardò in faccia chi lo aveva sparato e, in sede processuale, la sua testimonianza fu decisiva ai fini del riconoscimento degli autori della strage. Tutti gli assassini furono arrestati e condannati per “strage con l’aggravante dell’odio razziale”: ergastolo per Giuseppe Setola, Davide Granato, Alessandro Cirillo e Giovanni Letizia, 28 anni per Antonio Alluce.
Resta ancora da definire il ruolo di Nicola Cosentino, referente nazionale del clan dei casalesi, l’unico esponente di spicco delle mafie che abbia racchiuso contemporaneamente, nella sua persona, funzioni politiche, Coordinatore regionale di Forza Italia ed istituzionali come sottosegretario all’economia del Governo Berlusconi.
Dalla lettura di diversi libri sulle mafie, a memoria, non mi risulta che in una sola persona – mafia, camorra, ‘ndrangheta – siano stati concentrati poteri politici ed istituzionali oltre che criminali tali da assurgere ai massimi livelli della criminalità organizzata capaci non di condizionare ma volte a determinare le scelte politiche ed economiche del Paese dalle quali la camorra non abbia tratto vantaggio.
A tale proposito mi chiedo perché, in queste nostre terre disgraziate, non sia stata commisurata una pena adeguata alle interdipendenze criminali del ruolo svolto?
Su questo punto un’attenta riflessione critica deve essere fatta sulla “persistente sottovalutazione” dei rapporti tra i partiti, le istituzioni e la camorra imprenditrice: non si spara ma va diffondendosi il dominio della ‘stessa’ nell’economia e nella società non soltanto a Caserta, in ciò favorita anche dalla perdurante grave e profonda crisi economica!
Infine, una considerazione sento il dovere di fare: “comparando la realtà della “mafia siciliana” con “la camorra campana” – sono sempre più convinto – che continuano a persistere “preoccupanti elementi soltanto apparentemente distintivi” che sembrano, intrecciarsi casualmente nel tempo e che, al contrario, dobbiamo constatare – nostro malgrado – che non esiste alcuna “separazione tra l’attacco della mafia allo Stato e il radicamento della camorra nei partiti e nelle istituzioni locali!”
Il Movimento delle Agende Rosse di Salvatore Borsellino ha consentito, non solo a me, di maturare una consapevolezza dell’agire “sistemico” delle mafie e, soprattutto, di conoscere Persone, prima che Magistrati, straordinarie per l’onestà e la professionalità, come il Dr. Nino Di Matteo e i componenti del Pool Antimafia di Palermo, impegnati “nel” Processo sulla Trattativa stato/mafia alla meticolosa ricerca della Verità, nient’altro che la Verità sui “mandanti” delle stragi del ‘92/’93!
Le stragi di Capaci e Via D’Amelio a Palermo, Via dei Georgofili a Firenze e in Via Pastrengo a Milano “colorarono del rosso sangue delle Vittime”, predestinate ed innocenti, le strade di diverse Città del nostro Paese in un contesto sociale, politico ed istituzionale compromesso, omissivo e complice che – ancora oggi – tenta di ostacolare la ricerca di una Verità già accertata: “la Storia del nostro Paese è stata deviata dal suo corso naturale per l’intervento attivo di “cinici” mandanti delle stragi”, operanti in quei settori dei partiti, dei servizi deviati e delle istituzioni che hanno “strappato” l’Agenda Rossa di Paolo Borsellino dall’auto mentre brandelli di carne, ossa e sangue schizzavano al quarto piano della casa di Agnese, la mamma di Paolo per consegnarla a chi l’aveva ordinato”.
Dopo oltre 25 anni abbiamo il diritto, la pretesa di conoscere la Verità come condizione indispensabile, orientata a difendere, con la Libertà, la Democrazia nel nostro Paese, anche per questi motivi siamo “Partigiani” della Costituzione!
Cosa direste ad un giovane che vi domanda: come si combatte la mafia?
Nelle nostre terre la camorra non è estranea alla società, né alla politica e neanche alle istituzioni: sono troppe e diffuse le collusioni sicuramente il frutto amaro di aree nelle quali troppe sono le famiglie che ancora vivono delle attività invisibili della criminalità.
Come pure i politici, non tutti ma la gran parte degli eletti sono il frutto di una selezione totalmente estranea alla domanda drammatica e inevasa di lavoro, di cura, di cultura delle popolazioni che dovrebbero rappresentare e, soprattutto, mai orientata al rispetto dei valori della moralità, dell’onestà, della competenza, spesso, traditi da giochi di poteri nei quali la camorra è sempre presente anche nei ceti medi della borghesia meridionale.
Nel silenzio assoluto dell’informazione libera mai sottomessa, di istituzioni esempi virtuosi di un modo di essere non conformista ma formalmente e sostanzialmente rispettosa dei principi universali di libertà, uguaglianza e giustizia sociale la Costituzione stessa è usata per legiferare in funzione del potere temporalmente rappresentato, stranamente sempre proteso a favorire i potentati ereditati mai coerenti con la crescente tragica domanda dei bisogni degli ultimi, dei senza parola.
Basta volgere lo sguardo alla gravissima involuzione in atto delle politiche economiche e sociali: i possessori di redditi alti non possono fare, anche in momenti della crisi, un solo passo indietro se poi verifichiamo sul piano sociale e guardiamo a ciò che sta accadendo sotto gli occhi di tutti, per quanto appannati passano essere, nell’ambito del lavoro, della salute, della cultura e della giustizia cos’altro deve essere fatto per vedere i corrotti e i mafiosi chiaramente protetti purché i miliardi di euro vengano spesi per favorire i grandi gruppi sociali e finanziari?
E la guerra che inesorabilmente avanza ai confini delle nostre terre nel mentre politici e informazione ipocritamente promuovono un benessere di facciata?
È in questo contesto terrificante che si impone prioritariamente che un esercito di maestri di strada vengano arruolati perché ascoltare, leggere, studiare e consapevolmente agire come Cittadini di un Paese libero da oppressioni inaccettabili!
Ecco la mafia non verrà sconfitta perché ad una vita che finisce un’altra nascerà ma sarà sconfitta soltanto se creiamo condizioni culturali basilari volte a leggere e scrivere pagine nuove della storia che verrà.
Mimmo Marzaioli
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