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‘Mattarella sr uomo d’onore’. Caruso condannato per il libro

di Sandra Rizza – 17 marzo 2017

Per il suo libro “Da cosa nasce cosa” era stato citato dal capo dello Stato che, con i nipoti Bernardo jr e Maria, gli aveva chiesto un risarcimento di 250 mila euro per aver “infangato la figura di Mattarella padre” e per aver descritto “in maniera grossolana” i rapporti politici del fratello Piersanti. Ieri il giornalista Alfio Caruso è stato condannato per diffamazione dal Tribunale civile di Palermo: insieme alla Longanesi, editrice del volume incriminato, deve corrispondere 10 mila euro di risarcimento a ciascuno dei tre eredi del vecchio Bernardo. Ma non è tutto. Con una decisione senza precedenti, il giudice Maura Cannella ha stabilito che a pagare dovrà essere il solo Caruso: al giornalista toccherà l’onere di “tenere indenne la casa editrice di quanto questa sia tenuta a corrispondere agli attori”. Lo scrittore dovrà, in pratica, sborsare 30 mila euro, coprendo anche il risarcimento imposto alla Longanesi.

Dall’alto del Quirinale, il presidente della Repubblica può tirare un respiro di sollievo: la reputazione del patriarca Bernardo, sulla cui figura si stagliano le ombre di numerose citazioni nelle carte dell’Antimafia, è salva. Alla base del verdetto di Palermo, più volte rievocata come un totem, c’è la sentenza del Tribunale di Roma che nel ’67 condannò il sociologo Danilo Dolci per diffamazione nei confronti dell’allora ministro Bernardo Mattarella, ritenendo provata “l’insuperabile contrarietà alla mafia mantenuta nel corso di tutta la sua carriera politica”.

A nulla sono valse le richieste dell’avvocato Fabio Repici, legale di Caruso: oltre a evidenziare come la sentenza del ’67 “appartenga a quella giurisprudenza reazionaria che spesso negava la stessa esistenza della mafia”, il penalista ha prodotto le dichiarazioni accusatorie di Buscetta e Marino Mannoia, arrivate anni dopo la sentenza Dolci, e un verbale aggiornato del pentito Franco Di Carlo che racconta come il vecchio Bernardo gli fu presentato con la qualità di “uomo d’onore”. Il giudice Cannella, titolare della prima sezione civile, si è dimenticato di Buscetta e Mannoia (in sentenza non sono citati) e ha giudicato “tardivo” il verbale di Di Carlo “rispetto ai termini istruttori”.

Non è la sola anomalia di un processo che negli ultimi due anni – dall’approdo di Sergio Mattarella al Quirinale – ha visto un’insolita rotazione dei giudici titolari. Dopo che l’ultimogenito del patriarca Bernardo è diventato il capo dello Stato (e del Csm), ben tre magistrati si sono alternati alla prima sezione. Il primo, Enrico Catanzaro, il 12 ottobre 2015 aveva proposto una conciliazione, suggerendo di inserire sul sito della Longanesi una semplice nota con l’esito del processo Dolci, del quale Repici ha chiesto la revisione. Catanzaro aveva inoltre prospettato di sollevare Caruso dal risarcimento. Ma i Mattarella hanno rifiutato.

Da allora, motivi burocratici hanno imposto l’arrivo del giudice Sebastiana Ciardo che si è spogliata del procedimento, avendo già in passato accolto una domanda risarcitoria dei Mattarella contro la fiction “Il Capo dei Capi”. È toccato così alla Cannella scrivere la sentenza che oggi Repici giudica “ferocemente punitiva”. Il giudice ha gravato il giornalista dell’intero risarcimento, citando l’articolo 8 del contratto con Longanesi, nel quale però Caruso si assumeva gli oneri di “eventuali azioni giudiziarie”, solo se determinate dalla cessione dei diritti a terzi. “È la prova – dice il legale – che il mio cliente andava castigato in modo plateale”.

Sandra Rizza (Il Fatto Quotidiano)


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