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La Procura generale di Reggio Calabria chiede la prescrizione dell’accusa per mafia a carico di Rosario Cattafi

12 gennaio 2021 – Rosario Pio Cattafi? Un uomo di mafia. Sicuramente un affiliato semplice fino all’ottobre 1993. Da quella data in poi no. Almeno secondo la Cassazione, che aveva annullato la sentenza d’appello con rinvio nel processo scaturito nell’operazione “Gotha 3”, uno dei capitoli dell’inchiesta condotta dalla Dda sulla mafia barcellonese.
Un procedimento in cui si disponeva un nuovo processo a Reggio Calabria per i suoi rapporti con la mafia dagli anni ’70 al 2000.
Adesso il sostituto procuratore generale Giuseppe Adornato si è adeguato a quell’assurda decisione chiedendo alla Corte d’Appello di Reggio Calabria, di dichiarare il “non doversi procedere per estinzione per prescrizione” del reato di associazione mafiosa (416 bis c.p.) e che al contempo si “ridetermini la pena per il reato di calunnia, per il quale la sentenza della Corte d’appello di Messina, parzialmente annullata, è già passata sul punto in cosa giudicata, tenuta presente la recidiva e la riduzione per il rito, in anni 3 di reclusione”.
Il motivo? “Perché si ritiene che la prova di partecipazione dell’imputato alla cosca è dipesa prevalentemente dal rapporto privilegiato e personale che egli aveva con Gullotti (capo dell’ala militare barcellonese, condannato con sentenza definitiva per l’omicidio del giornalista Beppe Alfano, anche se è in corso un paradossale processo di revisione proprio a Reggio Calabria, ndr)” e che per gli anni successivi al suo arresto non siano emersi “elementi probatorio adeguati a comprovare una condotta specifica”.
Ovviamente la palla passerà ora alla Corte che dovrà fare le sue valutazioni, ma nel frattempo vale la pena ricordare una serie di fatti.
Cattafi, finito sotto processo con l’accusa di essere il capo della mafia di Barcellona Pozzo di Gotto e di aver tenuto, in questa veste, i contatti con le famiglie di Cosa nostra catanese e palermitana, in passato era stato anche indagato (e archiviato) dalla Procura di Palermo nell’ambito dell’indagine sui Sistemi Criminali, ed anche a Torino nel procedimento sulla morte del giudice Bruno Caccia.
In pochi ricordano che Rosario Cattafi venne scarcerato il 4 dicembre 2015 dalla corte di appello di Messina con un provvedimento che applicò ad personam un principio giurisprudenziale sconosciuto al tempo alle vicende giudiziarie di mafia.
Nell’ambito della sentenza “Mare Nostrum” viene ribadito come Cattafi era “…all’epoca indagato per associazione mafiosa a Milano, indicato poi dal – pentito, ndr – Chiofalo come uomo di onore, circostanza ribadita da Sparacio e altri collaboratori”.
E sono totalmente riscontrati da una serie di intercettazioni i contatti con il boss Gullotti, in merito alle quali il Tribunale di Messina Sezione Misure di Prevenzione ha evidenziato “una familiarità ed una comunanza di interessi che va ben oltre il mero rapporto di conoscenza”.
La Procura generale di Reggio Calabria sostiene che non vi siano ulteriori elementi eppure, tra i mafiosi più vicini a Cattafi, accanto a Gullotti, c’erano anche i nomi di Angelo Porcino e di Santino Napoli.
Porcino è stato condannato con sentenze definitive per associazione mafiosa ed estorsione aggravata, mentre Napoli, il 24 gennaio 2018, è stato raggiunto da una misura cautelare per associazione mafiosa nell’operazione “Gotha 7”, con il gip che dispose gli arresti domiciliari.
Così come scrisse il sostituto Procuratore generale di Messina Salvatore Scaramuzza presentando il ricorso in Cassazione contro la sentenza di appello che aveva ridotto a 7 anni la pena nei suoi confronti escludendo l’aggravante del ruolo di capo promotore, “il Cattafi è figura certamente atipica nel panorama criminale. In particolare, le prove in atti convergono nel descrivere l’imputato quale uomo dotato di notevoli attitudini relazionali e di non comuni abilità, anche sotto il profilo professionale”.
E proprio quel suo essere figura di raccordo (è stato un esponente di peso dell’estremismo di destra nel messinese e in rapporto anche con Pietro Rampulla, altra figura tra mafia ed eversione nera) avrebbe avuto un ruolo di peso all’interno delle dinamiche mafiose.
Proprio nei giorni scorsi il Gip di Messina ha disposto un approfondimento di indagine per quanto riguarda il delitto del giornalista Beppe Alfano.
E ci sono decine di dichiarazioni di collaboratori di giustizia che lo riguardano, da Federico Corniglia a Giovanni De Giorgi, Giuseppe Chiofalo, Umberto Di Fazio, Eugenio Sturiale, fino ad arrivare ad Angelo Siino, Carmelo Bisognano, Carmelo D’Amico e Giuseppe Mirabile.
Non solo. Nel processo trattativa Stato-mafia è emerso come anche Totò Riina, quando era detenuto nel carcere di Parma, avesse avuto interesse per l’avvocato barcellonese. Lo aveva raccontato l’agente di polizia penitenziaria Cosimo Chiloiro. Davanti alla Corte d’assise di Palermo aveva raccontato l’episodio: “Ero nella saletta delle conferenze, in attività di vigilanza. Riina cominciò a parlare durante la pausa dell’udienza. Eravamo solo io e il detenuto. In quel momento disse che voleva proseguire l’udienza per vedere se parlavano dello ‘zio Saro’, trafficante di armi”. Quel giorno in cui Riina si era lasciato andare a quelle esternazioni, in aula, c’erano il generale Eugenio Morini e il colonnello Giovanni Paone. Si parlava della nomina di Francesco Di Maggio a vice-capo del Dipartimento di amministrazione penitenziaria, della gestione del confidente Luigi Ilardo – ucciso prima di diventare collaboratore di giustizia – e di Rosario Pio Cattafi. “Di Maggio – aveva riferito Morini, che in due occasioni lo accompagnò per interrogare l’avvocato di Barcellona Pozzo di Gotto – me lo descrisse come il referente del boss Santapaola per il milanese ed il Nord Italia”.
Per approfondire ulteriormente la figura di Cattafi vale la pena rileggere alcuni passaggi del ricorso in Cassazione contro la sentenza di appello presentato dalla Procura generale messinese. E si comprende perché si resta sbalorditi dall’assordante silenzio istituzionale e degli organi di informazione che ruota attorno ad una figura chiave nel panorama criminale siciliano e non solo.

Aaron Pettinari (AMDuemila)

 

Mafia barcellonese, a Reggio chiesta la prescrizione per Rosario Cattafi

11 gennaio 2021 – Prescrizione per estinzione del reato mafioso. E’ questa la richiesta avanzata dal sostituto procuratore generale Giuseppe Adornato, che potrebbe mettere fine al processo stralcio “Gotha 3” davanti alla Corte d’appello di Reggio Calabria per l’avvocato barcellonese Rosario Pio Cattafi. Un processo che doveva decidere sulla sua appartenenza a Cosa nostra barcellonese solo fino al 2000, perché dopo quella data non c’erano elementi sufficienti a supporto dell’accusa. In pratica quello di Reggio Calabria è un procedimento che, dopo il rinvio della Cassazione del 2017, in questi anni è stato sempre aggiornato tra impedimenti dei giudici e degli avvocati, e per i problemi legati alla pandemia. E adesso è maturata la prescrizione. L’udienza di trattazione è fissata per il prossimo 20 gennaio. Scrive tra l’altro il magistrato reggino che “… non sono emersi elementi probatori adeguati a comprovare una condotta specifica dopo l’arresto dell’ottobre del 1993, per cui da questa data deve essere ritenuta cessata per lui la partecipazione al reato permanente associativo…”.

Nel 2017 la Cassazione decise sul troncone dell’operazione antimafia “Gotha 3” che riguardava oltre a Cattafi anche il boss Giovanni Rao, e il “cassiere” di Cosa nostra barcellonese Giuseppe Isgrò. Per loro due, con il rigetto dei ricorsi difensivi, le condanne d’appello decise a Messina nel novembre del 2015 diventarono definitive: 5 anni e 8 mesi per Rao, 7 anni e 6 mesi per Isgrò. Per Cattafi invece i giudici della V sezione penale dichiararono inammissibile il ricorso della Procura generale. E questo significò che cadeva definitivamente il ruolo di “capo” della mafia barcellonese che gli era stato attribuito in precedenza dall’accusa. Poi stabilirono che bisognava rifare tutto in relazione alla condanna decisa dalla Corte d’appello di Messina per la sua appartenenza all’associazione mafiosa barcellonese solo fino al 2000, statuendo cioé che dopo quella data non c’erano elementi sufficienti a supporto dell’accusa.

Tornando al processo in corso a Reggio Calabria il sostituto procuratore generale Adornato ha poi chiesto la rideterminazione della pena a 3 anni di reclusione per il secondo reato che faceva parte del procedimento, cioé la calunnia a danno dell’avvocato Fabio Repici e del collaboratore di giustizia Carmelo Bisognano. Accanto alle accuse della prima ora s’era infatti aggiunta in corso d’opera una contestazione suppletiva, in relazione a un esposto presentato nel luglio 2011, a un verbale di sommarie informazioni rese ai Ros nell’ottobre 2011, e infine a un interrogatorio del luglio 2012; atti in cui Cattafi accusò falsamente Repici di aver determinato la collaborazione di Bisognano, per indurre l’ex capo dei Mazzarroti a rilasciare dichiarazioni accusatorie nei suoi confronti. Questa parte della sentenza è ormai divenuta definitiva.

Nuccio Anselmo (Gazzetta del Sud)

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