di Michela Diani
”Non ci sarà chiesto se siamo stati credenti, ma credibili” (Rosario Livatino)
”In questo paese per essere credibili, occorre essere ammazzati” (Giovanni Falcone)
Traggo il titolo dell’articolo dal libro che il giornalista Paolo De Chiara ha scritto su Lea Garofalo e che racconta più che la sua storia, la sua passione e il suo impegno.
Non è la prima donna che nella storia, non solo italiana, con il suo no determinato e deciso cambia il corso della sua storia personale e anche del paese a cui appartiene.
“Le donne“, ha detto Paolo De Chiara, durante la presentazione del libro (“Il coraggio di dire no. Lea Garofalo la donna che sfidò la ‘ndrangheta“) che si è tenuta a Villa Litta, in provincia di Milano, ”quando si mettono in testa una cosa, la fanno e la ottengono”.
Insistono, vanno avanti; le donne della Calabria vengono ammazzate dalla ‘ndrangheta perché danno fastidio, perché hanno coraggio. E Lea dava molto fastidio.
Secondo i racconti della sorella Marisa, Lea era una donna piena di vita e una mamma attenta e premurosa, talmente presente e vivace che riuscì a trasmettere alla figlia Denise i suoi stessi ideali e il suo amore per la Giustizia. Non si fece alcuna remora nel procedere verso la dignità della verità, anche se ciò comportò per lei la scelta di una vita molto faticosa e all’interno di un programma di protezione. Come altre donne che hanno denunciato la mafia e che con la loro denuncia hanno comportato un numero considerevole di arresti hanno condotto una vita precaria e anche bistrattata da uno stato assente e per nulla generoso con chi fa questo tipo di scelte.
La particolarà di Lea fu che in vita non venne mai considerata credibile e la sua figura non fu mai ricordata, benché lo sia con diritto e a tutti gli effetti, una testimone di Giustizia, ma fu sempre divilgata come una collaboratrice di Giustizia, assimilata quindi a un pentito.
Trovo quindi che sia giunto il momento di urlare a gran voce il diritto che questa donna possiede e che è quello di riprendersi la dignità dovuta e che lo Stato le ha negato.
Attorno a Lea si intrecciano sentimenti ed emozioni forti. A tutti gli effetti un femminicidio, mette in rilievo la forza che le donne di mafia hanno quando decidono di prendere una posizione forte contro la famiglia e contro il codice d’onore.
Tra l’altro questo elemento mi risulta molto interessante proprio per una sorta di similitudine con i delitti di femminicio che nulla hanno a che vedere con la mafia in se stessa, ma che indirettamente, rispecchiano questo stesso tipo di mentalità e cioè quel senso di ribellione a un ‘codice nascosto ed obbligato’ che si oppone alla affermazione della libertà.
Lo Stato fu ingiusto nei confronti di Lea. La giudicò e le attribuì perfino epiteti irrispettosi sebbene fosse una testimone di giustizia, fu perfino maltrattata anche da coloro che avrebbero dovuto proteggerla. Un paradigma a tutti gli effetti di quella follia italiana che con i giusti si comporta da vigliacca.
Dalle pagine del libro emerge una Lea che pur nella confusione e nella fatica di una storia così burrascosa e messa a dura prova, non ha mai perso se stessa. Commise solo l’errore di innamorararsi della persona sbagliata. Ciò la rende molto simile a qualunque donna, a qualunque persona che si fida della persona sbagliata e ad essa si affida, pagando un prezzo troppo elevato per la sua libertà.
Ed è questa normalità che sconvolge, proprio perché fu piena di una dignità che le donne contemporanee si sognano, se non cominciano a guardare a questi tipi di modelli in luogo di veline e personaggi famosi tratti dai reality.
In un Italia in cui qualsiasi modello valido è stato distrutto, in cui la vita collettiva si costruisce guardando a personaggi che divengono modelli indiretti come persone ambigue e di scarso spessore umano, abbiamo più che mai bisogno in questi anni di rivoluzione e cambiamento di andare a ripescare quei volti e quelle anime che hanno intriso questo paese della loro Bellezza.
Solo così faremo un omaggio ai morti, riportando in vita, nella vita reale quello per cui sono morti. La libertà, la bellezza, il coraggio, l’onestà, la vitalità, la passione, gli ideali.
Lea Garofalo era una donna semplice, senza alcuna ambizione di potere o di apparire, una donna umile che voleva semplicemente una cosa: vivere una vita autentica lontana dalle bugie e dalla sopraffazione del denaro, dei prepotenti e dell’omertà.
Ci credeva talmente tanto nella costruzione di questa dimensione sociale che lasciò perfino il marito di cui si era originariamente innamorata pur di essere fedele a se stessa e al proprio cammino.
Io sono stufa però di commemorare i morti. Sono stufa di giornate dedicate ai ricordi.
Sono stufa di parlare di queste persone nelle occasioni particolari di un evento senza che ciò comporti un vero cambiamento reale nella vita delle persone.
Come sarebbe stata guardata Lea Garofalo dalle mamme fuori da scuola oggi? Come sarebbe stata guardata dalle persone della sua città?
Oggi, esattamente come allora, nella nostra società chi denuncia è l’infame e non chi compie il reato. Per la strana legge della paura, la mafia può da sempre contare su tanti cittadini vigliacchi- apparentemente perbene – che la difendono e ne preservano la conservazione.
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