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Giovanni Falcone ed il professore di filosofia

Il dott. Stefano Racheli, procuratore generale presso la Corte di Appello di Roma, ha ragione quando afferma che “i fatti si succedono con una tale velocità, e con una tale escalation di spessore che non si fa in tempo a meditare su di un accadimento che già il quadro generale è scompaginato da un nuovo evento” (Canti forte e pensi piano pappagallo brasiliano, blog UGUALE PER TUTTI,16 maggio 2008). 

Il dott. Racheli ha cosí commentato la “cacciata” dalla mailing list di Magistratura Democratica del dott. Felice Lima ed ha messo in relazione questo fatto con altri che presentano aspetti analoghi, come la delegittimazione del giornalista Marco Travaglio in seguito all´esposizione in televisione di avvenimenti riguardanti la storia del presidente del Senato Renato Schifani.

Ognuno puó attribuire a questi fatti un significato ed un´importanza che ritiene opportuni e puó metterli in collegamento fra loro oppure no. Personalmente ho provato a riflettere su di essi perché li ritengo significativi e sono giunto alla conclusione che le vicende di Felice LimaMarco Travaglio presentino questo punto di contatto: entrambi vogliono solo fare il proprio dovere ed entrambi diventano per tale ragione dei rompiscatole.

Il dott. Felice Lima é un noto rompiscatole giá da una quindicina di anni. Tra i primi ad accorgersene le famiglie mafiose di Catania che all´inizio di giugno 1992 furono vicine a risolvere il problema a modo loro, con le armi. Infatti Cosa Nostra arrivó ad un passo dall´eliminare il dott. Lima, all´epoca magistrato in servizio presso la procura della cittá etnea. La notizia é dei giornali dell´estate 1992, periodo in cui l´organizzazione criminale scelse la via dell´attacco frontale ai Servitori dello Stato non disposti a trattare. Infatti nel febbraio 1992, la mafia fece evadere il boss Giuseppe Di Salvo (che il dott. Lima aveva fatto condannare all´ergastolo) per uccidere il dott. Lima. I carabinieri incaricati della traduzione del Di Salvo verranno condannati per procurata evasione. Di Salvo non porterá a termine la sua missione, sicché per punirlo, la mafia incomincia ad uccidergli i parenti. Dopo l´uccisione del fratello, Di Salvo decide di riconsegnarsi e, per timore di essere a sua volta ucciso, chiede come garante della sua costituzione Nino Caponnetto, l´ex capo dell´ufficio Istruzione di Palermo allora giá in pensione (Antimafiaduemila n°2 2008 e Il caso De Magistris, Antonio Massari, 2008).
Nonostante il pericolo di vita, il giudice Lima non ha mai mollato e continua a lavorare nel solo modo che conosce, senza compromessi. Questo lo si deduce anche dai suoi interventi sul BLOG Uguale per tutti. Non conosciamo il contenuto delle sue lettere alla mailing list di MD, ma possiamo immaginare che anche in quella sede esprima il suo punto di vista con la stessa coerenza e con sommo disagio degli specialisti delle mail a posto, che alla fine hanno decretato la sua esplusione in quanto egli “scriverebbe troppo”. Sospettiamo che le ragioni della sua esclusione siano altre.



L´alpinista Felice Lima

Marco Travaglio é un giornalista che racconta fatti, cioé una persona che fa con passione il proprio lavoro. Dopo la sua partecipazione alla trasmissione Che tempo che fa il 10 maggio 2008, Travaglio si é trovato al centro di un´azione di delegittimazione condotta a prescindere, cioé indipendente dalla veridicitá delle sue affermazioni riguardanti i legami societari del sen. Renato Schifani negli anni ottanta con individui come Nino Mandalá condannato negli anni successivi per fatti di mafia.
In quest´azione di delegittimazione si é distinto il vicedirettore del quotidiano La Repubblica Giuseppe D´Avanzo, che in due pezzi del 13 (“La lezione del caso Schifani“) e del 14 maggio (“Non sempre i fatti sono la veritá“) ha accusato Travaglio di lavorare con un metodo che non informa il lettore, lo manipola, lo confonde. D´Avanzo, per dare a tutti un esempio di questo presunto metodo di manipolazione, ha affermato nel secondo articolo che il legale di Michele Aiello avrebbe saputo dal suo assistito che questi avrebbe pagato un soggiorno estivo a Travaglio in Sicilia nel 2002. Michele Aiello é stato
condannato il 18 gennaio 2008 in primo grado a 14 anni di reclusione per una serie di reati che vanno dall´associazione mafiosa alla truffa alla rivelazione ed utilizzazione di segreto d´ufficio. “Ditemi ora chi può essere tanto grossolano o vile da attribuire all’ integrità di Marco Travaglio un’ ombra, una colpa, addirittura un accordo fraudolento con il mafioso e il suo complice?” scrive Giuseppe D´Avanzo cercando un paragone con il caso di Renato Schifani.

Il punto é che il confronto suggerito da D´Avanzo dura lo spazio di un nanosecondo, il tempo necessario per una secca smentita da parte di Travaglio (“Il giornalismo ed il caso Schifani“, 15 maggio 2008) e per una dichiarazione dell´avvocato di Michele Aiello (“Il Riformatorio“, Marco Travaglio, L´UNITÁ, 17 maggio 2008) che scrive di non aver mai  parlato con il suo assistito a tale riguardo. D´Avanzo scrive allora che “il ricordo di Aiello é stato raccolto da fonti vicino all´inchiesta”.
Marco Travaglio cita invece nel caso del sen.  Renato Schifani dei fatti che peraltro sono giá stati accertati in una sede giudiziaria dove il sen. Schifani ha perso nel 2002 una causa nei confronti del giornalista Marco Lillo del settimanale L´ESPRESSO.

A distanza di diverse settimane non é ancora chiaro dove siano le fonti vicino all´inchiesta. La sensazione é che il pezzo di Giuseppe D´Avanzo avesse come obiettivo la delegittimazione di Travaglio a prescindere dai fatti, che con una banale telefonata sarebbe stato possibile accertare.
I contorni e le finalitá di questa presa di posizione di D´Avanzo nei confronti di Travaglio sono ancora tutti da chiarire. Ma il tentativo di minare la credibilitá del lavoro di Marco Travaglio é stato palese. D´Avanzo ne é comunque uscito piuttosto male: la sua replica del 15 maggio alla lettera di Travaglio parla da sola.

Perché il dott. Felice Lima e Marco Travaglio si trovano al centro di questo fuoco di sbarramento che prescinde dai fatti in ogni modo? Credo che la risposta la dia Giovanni Falcone nella intervista che riportiamo di seguito quando il magistrato cita il suo professore di filosofia e ci parla dell´alpinismo.
Si tratta di un´intervista di estrema attualitá anche per i recenti sviluppi del “caso” Luigi De Magistris, PM di Catanzaro il cui operato nell´inchiesta Toghe lucane é stato vagliato dalla procura di Salerno su denuncia di magistrati e altri soggetti coinvolti nell’inchiesta stessa. Il 4 giugno 2008 la procura di Salerno ha chiesto l´archiviazione della posizione del dott. De Magistris ed ha pesantemente censurato l´operato di soggetti istituzionali che hanno ostacolato l´attivitá inquirente del magistrato, ravvisando ad esempio una “pressante attività di interferenza alle indagini posta in essere dai vertici della Procura della Repubblica di Catanzaro, e resasi sempre più manifesta con il progressivo intensificarsi delle investigazioni da parte di De Magistris (“De Magistris: gravi ingerenze sul suo lavoro“, Giuseppe Baldassarro, repubblca.it, 4 giugno 2008)”.
In pratica la richiesta di archiviazione della procura di Salerno ribalta la posizione del dott. De Magistris da accusato in vittima di un sistema che ne ha bloccato l´operato:
“il contesto giudiziario in cui si è trovato ad operare Luigi De Magistris, appare connotato da un’allarmante commistione di ruoli e fortemente condizionato dal perseguimento di interessi extragiurisdizionali, anche di illecita natura”.
Il quadro che emerge degli uffici giudiziari di Catanzaro e Matera é devastante. Infatti la procura di Salerno sta vagliando “l’ipotesi investigativa della indebita strumentalizzazione di attività di indagine coordinate dalle Procure di Matera e di Catanzaro nei confronti di collaboratori di polizia giudiziaria e di giornalisti. Fra gli atti investigativi troviamo anche un´intercettazione telefonica in cui Felicia Genovese, sostituto procuratore di Potenza finita indagata per abuso d’ufficio nell’inchiesta del dott. De Magistris Toghe lucane, chiede aiuto ad Antonio Patrono, componente del Consiglio Superiore della Magistratura ed ex presidente dell’Anm. Il contenuto dell´intercettazione é piuttosto imbarazzante e Patrono non ha potuto far altro che confermare la telefonata.

Dopo queste notizie un organo del CSM responsabile di aver chiesto il trasferimento del dott. De Magistris ad altra sede ed altra funzione avrebbe dovuto immediatamente fare le valigie e dare dimissioni di massa. In particolare una persona come il consigliere Letizia Vacca, che definí Clementina Forleo e Luigi De Magistris “cattivi magistrati”, non solo si sarebbe dimessa ma avrebbe chiesto anche scusa delle sue indegne dichiarazioni. Indegne anche perché espresse prima ancora della pronuncia ufficiale del plenum del CSM nel merito dei provvedimenti a carico dei due magistrati.
Ció sarebbe accaduto in un qualsiasi paese perlomeno decente, dalla Papua Nuova Guinea al Belize. In Italia nulla di tutto questo. Al 7 giugno 2008 non si hanno ancora segni di vita da parte del CSM, neanche a livello di procedimento disciplinare per i soggetti appartenenti alla magistratura chiamati chiaramente e pesantemente in causa dalla procura di Salerno. Con quale autoritá possa poi un CSM cosí gravemente delegittimato “governare” la magistratura non é possibile capire.

L´impressione che si prova andando a fondo nel “caso” De Magistris é che alcuni esponenti politici abbiano contribuito ad isolare ed ostacolare il  PM di Catanzaro,  ma il marcio appare molto piú radicato all´interno della stessa magistratura dove singoli soggetti sono sospettati di aver operato per il perseguimento di interessi extra-giudiziali, anche di natura illecita, sfruttando il ventre molle della politica e di parte della classe dirigente disposta a tutto pur di fare affari. Questo é il fatto piú grave che emerge dalle inchieste condotte dal dott. De Magistris e dalla procura di Salerno e che aiuta a capire il perché del silenzio del CSM: il re é nudo. Nell´azione di delegittimazione del dott. De Magistris il potere politco ha probabilmente le responsabilitá minori.

L´intervista di Luca Rossi a Giovanni Falcone

L´intervista, tratta dal libro “I Disarmati. Falcone, Cassará e gli altri” (Luca Rossi, Mondadori, 1992) e´ della fine degli anni ottanta. E´ passato poco tempo dalla nomina di Antonino Meli a Consigliere Istruttore di Palermo (18 gennaio 1988) e dalla famosa denuncia di Paolo Borsellino sullo sfascio degli uffici preposti alla lotta alla mafia a Palermo (“Lo Stato si e´ arreso, del pool sono rimaste solo macerie“, intervista rilasciata a Saverio Lodato ed Attilio Bolzoni il 19 luglio dello stesso anno).

  

„Formalmente, non esiste piu´ un pool. Ci sono processi assegnati singolarmente e basta.“

„Perche´?“

Falcone alza le sopracciglia.

„Perche´ c´e´ lui.”

Meli.

„D´altra parte, il riflusso era ampiamente previsto. Buscetta mi disse: prima cercheranno di distruggere me, poi lei. Ma non credo che ci sia chissa´ quale disegno: non credo alla dietrologia. Mi sembra piu´ semplice: c´e´ una obiettiva difficolta´ a comprendere il nuovo. Le mie dimissioni nascevano da questo: se fare quest´attivita´ crea distrurbo, tanti saluti. E quando si afferma che Borsellino dice sciocchezze, allora diventa anche un dovere morale. Quello che abbiamo fatto assieme non era niente di nuovo: era esattamente cio´ che fecero altri in tema di terrorismo. Solo che qui c´era l´immobile clima siciliano. Non e´ vero che noi abbiamo fatto la differenza: e´ che nel paese dei ciechi, beati i monocoli. Ed io non sono stato costretto a rientrare nei ranghi, perche´ non ne ero mai uscito: questa e´ la realta´. Quando tutto viene sbriciolato e Borsellino viene linciato, mi sono limitato a dire: fare il magistrato non e´ una investitura divina, ne´ un fatto personale. Se si creano le condizioni per lavorare, se le Istituziono garantiscono, vado avanti; se no, via.”

 

“Il fatto e´ che il sedere di Falcone ha fatto comodo a tutti. Anche a quelli che volevano cavalcare al lotta antimafia. In questo, condivido una critica dei conservatori: l´antimafia e´ stata piu´ parlata che agita. Per me invece meno si parla, meglio e´. Ne ho i coglioni pieni di gente che giostra con il mio culo. La molla che comprime, la differenza: lo dicono loro, non io. Non siamo un´epopea, non siamo superuomini: e altri lo sono molto meno di me. Sciascia aveva perfettamente ragione: non mi riferisco agli esempi che faceva, ma piu´ in generale. Questi personaggi, prima si lamentano perche´ non ho fatto carriera; poi, se mi presento per il posto di procuratore, cominciano a vedere chissa´ quali manovre. Gente che occupa i quattro quinti del suo tempo a discutere in corridoio; se lavorassero, sarebbe molto meglio. Nel momento in cui non ti impegni, hai il tempo per criticare: guarda che cazzate fa quello, guarda quello che e´ passato al PCI, e via dicendo. Basta, questo non e´ serio. Lo so di essere estremamante impopolare, ma la verita´ e´ questa. Sono convinto che ci sia bisogno di una versione piu´ duttile: non e´ tutto in bianco e nero.

 

Quando si comincio´ a lavorare sui Salvo, Rocco Chinnici voleva bruciare le tappe, e alla fine dei conti io risultavo quello che non voleva mai arrestare, quello che diceva: stiamo attenti, andiamoci adagio, vediamo la rete delle connessioni. Bruciare le tappe, a volte ti fa andare indietro. Io esorto tutti alla prudenza, non si possono affrontare questi problemi se non vi e´ una societa´ che lo vuole. Ma tutto questo non viene compreso, e purtroppo avviene il contrario: si azzerano i tentativi di andare avanti. Del resto, e´ gia´ un enorme risultato essere ancora qui, anche se nel contingente non lo si nota. Si e´ gridato allo scandalo per le assoluzioni del maxi-ter, trascurando i sei ergastoli confermati. Bene. Andate a prendere le sentenze degli anni Settanta, e poi mi dite. Questi erano i padroni di Palermo, e godevano di una sostanziale impunita´; si e´ creata un´inversione di tendenza. E nessuno ci ha potuto accusare di leggerezza, nessuno ha detto: aria fritta, panna montata. Al massimo, si e´ invocato un certo garantismo. Questi sono risultati. Non si potra´ tornare indietro. L´importante e´ creare una struttura in cui nessuno potra´ acccusare altri di essere un centro di potere.”

 

“Un altissimo magistrato, parlando di me, disse a Chinnici: riempilo di processetti, cosi´ non rompe. Il discorso del centro di potere e´ sbagliato nell´impostazione: qualsiasi processo mi si dia, anche uno solo, mi consente di arrivare dovunque. E non perche´ io sia particolarmente bravo, ma perche´ le indagini sono cosi´ complicate che hai necessariamente bisogno del quadro generale. Io sono arrivato al maxi-processo con l´omicidio di Alfio Ferlito. Faceva parte di un gruppo della mafia catanese in opposizione a Nitto Santapaola, venne ucciso nel giugno ´82 a Palermo: era la prova evidente che c´erano rapporti tra la mafia catanese e quella palermitana. Ma per inquadrare un omicidio devi inquadrare i collegamenti, e allora diventano importanti le conoscenze. Prima cosa, la zona dell´omicidio: Partanna. Mettiamo sotto controllo i telefoni dei personaggi locali, in particolare Riccobono. Cominciano ad emergere i collegamenti: con Gaspare Mutolo, Domenico Condorelli, Domenico Russo. E soprattutto, viene fuori un traffico di stupefacenti di dimesioni straordinarie, che fa capo alla Thailandia, a Koh Bah Kin. Cominciano ad essere arrestati i corrieri, e uno di loro, Francesco Gasparini, arrestato in Francia, collabora: ci parla dei canali della droga a Palermo. Contemporaneamente, facciamo indagini sul kalashnikov che ha ucciso Ferlito, e che allora era un´arma nuovissima: lo compariamo con altri episodi, l´omicidio di Inzerillo, di Bontade, la presunta rapina alla gioielleria Contino, il tentato omicidio di Contorno, l´omicidio Dalla Chiesa. Dalle perizie emerge che in tutti questi episodi e´ stato usato lo stesso kalashnikov, e per Ferlito e Dalla Chiesa se ne e´ aggiunto un secondo. A questo punto e´ chiaro che tutti i fatti vanno esaminati congiuntamente, sono legati l´uno all´altro, ed e´ chiaro anche come si crea il processo monstre: ma e´ l´unica maniera, altrimenti non cavi un ragno dal buco. E´ il fenomeno che e´ mostruoso e che comporta questi risultati: non sono io l´accentratore. Non l´ho inventata io la mafia. Certo, se vogliamo dire che  l´informazione e´ potere, va bene, il risultato e´ un centro di potere. Ma chiunque abbia un lavoro specializzato e lo sappia fare bene e´ un centro di potere. Il bravo chirurgio e´ un centro di potere, chi spegne i pozzi di petrolio e´ un centro di potere: piu´ e´ sofisticato il bagaglio culturale, piu´ diventi centro di potere. La garanzia, per me, e´ sempre stata il rispetto della Legge: al maxi, non una eccezione di nullita´ processuale e´ stata accolta in primo grado. Questa e´ la garanzia. Ma quale potere? Mi hanno offerto su un piatto d´argento un posto al CSM, e l´ho rifiutato. Questo e´ il centro di potere?”

 

“Perche´ lo fa?”

Sorride.

“Lasci stare.”

“No, davvero, perche´?”

Guarda i monitor. C´e´ l´immagine in bianco e nero del corridoio oltre la porta blindata. Si vede l´angolo di un tavolo, un uomo seduto. L´immagine trema leggermente.

Dice: ”Non mi piace parlarne.”

“Perche´?”

“Perche´, nella migliore delle ipotesi, faccio la figura del retorico coglione. E allora, sono cose mie. Le tengo per me.”

“E lei cos´e´?”

Luccica.

„No“ dice. „Niente giustiziere, niente missionario. E neanche mi sono mai posto il problema del potere. Anzi. Il potere e´ una gran rottura di scatole.“

„Lei ha potere?“

„Si, come influenza. Il potere di chi e´ ritenuto esperto in determinati problemi. Il potere di chi non ha potere.”

Abbassa il tono.

“Vede” dice. “Si rischia sempre di essere retorici.”

“Cerchi di non esserlo.”

Allarga una mano, la piega in basso; guarda la scrivania. Dice: “Sono i valori della vita. Si vede che i miei non coincidono con quelli della generalita´.”

Generalita´.

“Vale a dire?”

“Chiunque e´ in grado di esprimere qualcosa, deve esprimerlo al meglio. Questo e´ tutto quello che si puo´ dire. Non si puo´ chiedere perche´. Non si puo´ chiedere ad un alpinista perche´ lo fa. Lo fa, e basta. A scuola avevo un professore di filosofia che voleva sapere se, secondo noi, si era felici quando si e´ ricchi o quando si soddisfano gli ideali. Allora avrei risposto: quando si e´ ricchi.”

Fa una pausa breve.

“Invece, aveva ragione lui.”

 

Palermo, metá anni ottanta.  Nella foto gli alpinisti del gruppo “Ufficio Istruzione”:
Giovanni Falcone (primo a sinistra), Giuseppe di Lello (secondo da sinistra),
Paolo Borsellino (quarto da sinistra) e Leonardo Guarnotta (sesto da sinistra).
Al centro la “guida” Antonino Caponnetto (quinto da sinistra).
Il successo della spedizione palermitana fu possibile grazie anche all´assistenza
fornita da Oscar Luigi Scalfaro (terzo da destra).

“Ayala non ha torto. Sono stato tutt´altro che contento dell´uscita di Borsellino. Mi fanno ridere quando dicono che era una faccenda orchestrata tra me e lui. Anzi. Fu un problema.”

“Perche´?”

Allarga gli occhi, prende un´espressione didattica, di ovvieta´.

“Mi ha aumentato la conflittualita´ dell´ufficio.”

Conflittualita´.

Apre la mano.

 

“Nel momento in cui sollevi un grande problema di sostanza e non curi la forma, ti fottono e nalla forma e nella sostanza. Borsellino, sotto il profilo umano, fece quanto di piu´ generoso si poteva fare, e per questo ho sentito il dovere di stargli accanto. Ma dal punto di vista politico fu un grande errore. Solo la forza dei fatti ha impedito che lo schiacciassero. Nella grande amicizia, c´e´ una divergenza tra noi riguardo le tattiche. Il CSM non si e´ mai chiesto: i problemi sollevati da Borsellino ci sono o non ci sono. No. Hanno detto: non devi rivolgerti ai giornali. Attraverso la delegittimazione di Borsellino, volevano delegittimare anche me, trasformando il caso Borsellino-Meli in Meli-Falcone. Dire: ecco qua chi sono i paladini dell´antimafia. A quel punto Borsellino diventa marginale. E´ importante dire se Falcone ha sbagliato tutto, se se ne deve andare. Che e´ quello che, in teoria, il CSM avrebbe dovuto dire: in Sicilia va tutto bene, e tu Falcone te ne devi andare dalle palle. Per questo feci la lettera di dimissioni; solo esaltando ed elevando il livello dello scontro si poteva fare chiarezza, e questo si e´ rivelato fondamentale per non essere schiacciati. Altrimenti, saremmo stati costretti all´angolo. Sarebbe venuta fuori un´antimafia d´accatto, Borsellino dice le bugie; e allora no: prendetevela con me. Vi diro di piu´: mi sono rotto, me ne voglio andare. L´unica divergenza con Borsellino era sulla tattica: non mi piace andare allo scontro se non sono preparato. Lo dico sempre: che tu abbia ragione non significa niente. Devi avere alcuni che te lo dicono, e che lo sostengono. Se ci scopriamo troppo spesso, ci bruciamo. E´ allucinante ma e´ cosi´.

 

La mafia dura da decenni: un motivo ci deve essere. Non si puo´ andare contro i missili con arco e frecce: in queste vicende certe intemperanze si pagano duramente. Con il terrorismo, con il consenso sociale totale, potevi permettertele: con la mafia non e´ cosi´. Nella societa´ c´e´ un consenso distorto. Altro che bubbone in un tessuto sociale sano. Il tessuto non e´ affatto sano. Noi estirperemo Michele Greco; poi arrivera´ il secondo, poi il terzo, poi il quarto. In un manoscritto sequestrato a Spatola c´e´ scritto: la mafia non esiste, si chiama omerta´. La vera mafia e´ quella dei giudici, che usano la parola mafia contro i deboli. Questi concetti sono radicati nelle popolazioni del sud. Amicizia, onore: sono valori censurabili? No. E´ un errore considerare queste organizzazioni prive di ideologia. Se fosse cosi´, basterebbero pochi drappelli di poliziotti. Come quando si parla di collaborazione dei pentiti. Ma veramente credete che Buscetta venga fuori come un coniglio dal cappello? Esce perche´ riconosce lo Stato. Vede che gli puo´ servire. Strumentalizza lo Stato?  E allora, una donna violentata che denuncia gli aggressori, cosa fa? Strumentalizza lo Stato? Buscetta ha ottenuto dalle gabbie lo stesso silenzio, lo stesso rispetto, di Michele Greco. Gli e´ stato riconosciuto che era la strada giusta. Quando Contorno dice a Greco signor Greco, gli fa un insulto gravissimo. Doveva dire “don”, “zu”, usare un termine di rispetto.

 

Se non si capisce tutto questo, come si puo´ pensare di fare dei passi avanti? La mafia ha un´organizzazione ferrea: si deve basare su dei valori. Non sono i nostri, ma e´ miopia non vederli. Questo ci si ostina a non capire: sono uomini, non vermiciattoli. Li chiamiamo pecorai, ma sono il precipitato della saggezza siciliana: e´ gente che ti comanda con gli occhi. Una volta, un collega di Milano, chiese a Buscetta, durante un interrogatorio: ma mi spiega come fate voi mafiosi ad imporvi, a dialogare con tutti. Come con una bella donna, disse Buscetta: ti accorgi subito che ci sta. Prima devi capire questo, poi risolvi i problemi. Io sono tutt´altro che un missionario, ma questa e´ la realta`. La mafia e´ il segno di un´identita´: per la Sicilia, per la nostra storia. Tutto sommato, il meno peggio che le poteva capitare. Noi abbiamo avuto cinquecento anni di feudalesimo, e poi il totale disinteresse dello Stato; immaginiamoci se non ci fosse stata quest´identita´. La forte identita´di un popolo puo´ produrre questo frutto malato, perche´ diventa distorsione di valori: in questo senso, non e´ il tessuto canceroso sul tessuto sano, ma una malattia complessiva. L´amicizia e la famiglia, se diventano vincoli di clan, si trasformano radicalmente, diventano malattia. Ieri sera, un amico mi diceva: qui non si domanda perche´ una persona fa una determinanta cosa, ma: cosa vuole. Il senso della collettivita´ non esiste, c´e´ solo un sistema complesso ed intrecciato di interessi privati. Del resto, che cos´e´ la mafiosita´ se non pretendere come privilegio cio´ che ti spetta come diritto?”

 

“L´organizzazione mafiosa in se´ e´ un´altra cosa, e non tollera rapporti di subalternita´ a niente. Sopra Michele Greco non c´e´ nessuno. Quando si dice il terzo livello generlamente si equivoca una frase detta da me: ma intendevo tutt´altra cosa. Avevo distinto i reati mafiosi in tre categorie:al primo livello, i reati d´ordinaria amministrazione, come l´estorsioni ed il contrabbando; al secondo, reati che servono ad assicurare la funzionalita´ interna dell´organizzazione, come l´omicidio di chi sgarra; al terzo, quelli che assicurano la sopravvivenza dell´organizzazione nel suo complesso, gli omicidi eccellenti. Invece, ci si e´ riferiti ad un fantomatico terzo livello, intendendo una specie di vertice poilitico-finanziario della mafia. Non nego che ci siano rapporti con la politica, e possano esistere trame trasversali, ma pretendere che ci sia una sorta di strategia occulta, con un vertice che dirige la mafia dal di fuori, e´ sbagliato. Il mafioso non si sottopone a nessuno. Quando a Calderone offrono l´iscrizione alla P2, lui si pone il problema: come faccio a giurare fedelta´ a due cose diverse. E rifiuta, perche´ per lui l´unico giuramento che conta e´ quello alla mafia.

 

Un uomo politico puo´ essere affiliato a Cosa Nostra, ma solo se ha le qualita´ dell´uomo d´onore: altrimenti, non conta nulla. Quindi, il problema non e´: ma come fa una banda di pecorai a dirigere un impero di miliardi; il problema e´ che la banda usa e strumentalizza tutti. Chiama tizio e gli dice: fai fruttare i nostri trenta miliardi. E´ una realta´ semplice, ed il collegamento che determina fra criminalita´ organizzata e criminalita´ dei colletti bianchi e´ esplosivo: ma e´ una cosa diversa dal terzo livello. Non essere a contatto con la realta´ porta a cantonate pazzesche. Quando si parla di mafia, si tende ad oscillare fra due poli: o la si sminuisce, negandone l´unitarieta´, o la si descrive come un´organizzazione onnipotente, che comanda ogni cosa. In entrambi i casi, si impedisce una strategia seria.

 

“Credo che le cose si facciano con i granelli di sabbia. Mi rifiuto di credere che Cassara´ non sia servito a niente. Se i risultati li vogliamo tutti e subito, forse; ma non e´ cosi´. Viene sempre il momento in cui devi pagare: piu´ la cosa e´ importante, piu´ il prezzo e´ elevato. Io lo sto pagando. Quando si dice che il pool non e´ mai esistito, si dice una cosa vera e falsa. Supposto che io sia Maradona, senza la squadra non ce la avrei mai fatta. Ma allora, se concorro per uno squallido posto di procuratore, si dice che faccio la prima donna. Se dico che me ne voglio andare, allora non ho il senso delle Istituzioni. Se rimango a lavorare con il pool, faccio un centro di potere. Cosa devo fare? Qualsiasi cosa faccio viene immediatamente enfatizzata. Se partecipo ad una riunione con Orlando, divento collaterale ad Orlando, se mi invitano ad un convegno del PCI, apriti cielo. Ritengo di fare un lavoro utile ed arriva qualcuno e dice che non lo devo fare. Allora, cambio. Allora no, ti dicono di rimanere. Dico che voglio fare il calzolaio, e mi dicono di fare cappelli. Va bene, dico, faccio cappelli: allora non ho il senso delle Istituzioni. Ricevo i giornalisti in un momento delicato delle indagini, sorrido; bene, Falcone sorride ironicamente, vuol dire che e´ in contrasto con Di Pisa.

 

Mi stanno bene le critiche se mi inducono a pensare: ma questa e´ solo volontá di bloccare. Tutta la vicenda con Meli e´ un segno di questo, ed e´ la dimostrazione piu´ chiara, emblematica, della scollatura tra magistratura e societa´. Era una vicenda personale e sono intervenuti fattori di opportunita´ politica, di utilizzo di ambienti esterni, che hanno trovato utile sfruttare la questione personale. Faccio un esempio. Magistratura democratica, che ha tre consiglieri al CSM e quindi e´ minoranza, ha sempre sostenuto la nescessita´ di criteri rigidi, privilegiando l´anzianita´, per limitare lo strapotere delle correnti e l´uso spregiudicato delle clientele. Quindi, quando si e´ posta la questione Meli-Falcone, ha votato Meli. Si e´ radicalizzato al massimo: da una parte la preofessionalita´, dall´altra l´anzianita´ senza demerito. Si e´ sfruttata la caratterialita´ di Meli, ben chiuso nel suo particulare, e il sentimento becero dell´amicizia, pensando: Falcone, scornato per lesa maesta´, abbandonera´ tutto.  In Commissione antimafia Meli mi ha rivolto accuse da manicomio a proposito dei Costanzo di Catania, e il CSM ha detto subito: bene, trasferiamoli tutti e due, cosi´ si scannano tra loro e tutto si blocca. Il tentativo era di ridurre tutto ad uno scontro personale, misero. Oppure, come la nomina per l´Alto Commissario. Oltre a Sica, i candidati erano Parisi e Falcone. Me lo dissero amici, Ministri, le fonti piu´ diverse: ma non quelle ufficiali. Non venni informato di essere candidato. Ma si e´ mai sentito un candidato a cui nessuno dice nulla? Il giorno dopo la nomina di Sica, Gava dice: eh, non si poteva nominare Falcone, sarebbe stato andare contro al CSM. E poi, guarda un po´, con Sica si sceglie Riggio, e allora scopri che Riggio e´ il primo dei non eletti nelle liste del PSI, stesso sponsor di Sica. E´ chiaro che, in un ottica che non mi scandalizza, si  e´ temuto che io fossi espresssione del PCI, e che se si fosse proseguito su questa strada ne sarebbero venute grane al Governo.

 

Tutto questo ha un grado di corporativismo allucinante, di ignoranza totale della realta´, che porta ad  una concezione del magistrato assurda, per il duemila. C´e´ il rispetto formale di una legge che andava bene per il sistema pluriclasse, in cui la classe al potere, liberale, poteva applicarla, perche´ le era funzionale. Subito dopo l´unita´ d´Italia, la legge era l´espressione di un lucido disegno, ed il magistrato era espressione di quegli interessi. Oggi e´ espressione di tensioni diverse,e deve soggiacere ad una serie di compromessi. Ci troviamo con una Magistratura che ha abolito il sistema gerarchico piramidale, ed e´ stata una nobilissima battaglia, ma l´ha sostituito con il nulla. Adesso abbiamo una Magistratura avvitata su se stessa, un´associazione di mutuo soccorso che e´ potere, non servizio. E allora, dite quel che volete della Cassazione, di Carnevale, ma non e´ questo il problema. Dopo Carnevale, ne verra´ un altro. Nel momento in cui la Legge e´ mediazione tra gruppi differenti, esplode il problema, ed il Magistrato e´ costretto a scegliere: il vecchio e´ decrepito, ma il nuovo stenta. E allora ecco, basta che crei la situazione e non ci si muove piu´. Nel mio caso, basta contrappormi un magistrato piu´ anziano; basta che a livello politico venga agitato lo spauracchio comunista. Basta affermare che io sono uno sceriffo, che mi metto il codice sotto i piedi. Non importa che tutto questo non sia affatto vero: il risultato e´ stato raggiunto ugualmente. I giudici hanno piu´ paura di questo che della mafia. Il CSM puo´ farti un provvedimento disciplinare, puo´  trasferirti; la mafia ammazza solo quelli come me. In quest´ ottica si fomentano le risse, ci si impallina. Il metodo non e´ diverso da quello mafioso: fomentare le separazioni, operare sempre nell´ombra, non uscire mai con posizioni nette. In questo senso, io sono un corpo estraneo, in un ambiente che mi respinge: non me ne fotte niente, ne´ della mafia ne´ del CSM. Tutti devono sapere che non si possono fidare di me: nessuno mi puo´ dare etichette. Ma beati i paesi che non hanno bisogno di eroi. Voglio dire: dove le strutture non hanno bisogno di corpi estranei. Se si fa un paragone tra l´Fbi e la nostra Polizia, tra una struttura media molto forte ed una che esalta solo le grandi individualita´, mi dite quale serve di piu´?”

“Chi ha ucciso il pool? La volonta´politica o le inerzie della casta?”

“Tutti e due. Le minori responsabilita´ le ha il potere politico.”

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