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Filippo mi chiamo e Filippo resto per sempre

Filippo Ceravolo aveva 19 anni ed è stato ucciso, per “sbaglio”,  il 25 ottobre del 2012 durante un agguato di stampo mafioso sulla strada statale che collega il piccolo comune della provincia di Vibo Valentia con Pizzoni.
Filippo stava rientrando a casa.

I sampietrini quella sera orientavano la menzogna del vivere coi piedi a terra e la coscienza più in alto, così scomoda in quel suo passo da tradire, perché crivellata di colpi su ritagli di pelle chiara, che conobbero per la prima volta il colore scuro del sangue, provandolo, come dimostrazione che la morte assecondata alla malerba, può firmarsi sfidando la tenuità del cielo, aggravandone la sua durezza.

Filippo, un giovanissimo col cuore di piuma, accantona la sua automobile in panne e chiede un passaggio, così come si chiedono pugni di parole gentili che non risentono di alcuna affatturazione, ma si spendono in un gioco di equilibri intonati dalla richiesta di essere accompagnato verso il nido, poiché le braccia grandi della sua famiglia l’attendono per conoscere e riconoscere la sua purezza in ogni istante.

L’amore mentre costruisce il nido civilizza l’universo, ma di quella sera ancora s’avverte il fragore dei respiri, che diventano così spigolosi da infrangere l’aria fresca.

S’annusa l’assenza, tetra e volgare di chi spara e fugge, convinto che il silenzio non abbia una dimensione, invece, quando è pensato diventa materia.

Filippo vive a Soriano Calabro e intona parole per chiedere un passaggio, inconsapevole di essere un bersaglio sbagliato.

Un bersaglio sbagliato dalla pelle di cera, dai piedi agili di calciatore, ed occhi grandi come un sole ingemmato.

Un bersaglio sbagliato che non comprende la scelta della malerba, che lo uccide alle spalle mentre lui spera.

Batte le palpebre velocemente Filippo, e poi il buio si impatta con una violenza tale da estendersi come una serpaia sul suo destino, che arrogante gli profetizza già la sua destinazione.

Una serie di colpi l’annientano.

Sedeva insieme alla libertà del pettirosso, che incantato dalle sue ali, si prepara a spiccare il volo per posarsi sul miracolo del nido, ma Filippo non vola più.

Filippo non sogna.

Filippo muore trafitto dall’ingiustizia e da un universo straniero, che pronuncia parole stonate, che stordite s’agitano e si sperdono per le strade, e nella landa degli illacrimati una parte del Paese si consuma e si strugge, perché anche Filippo parte per sempre, come Paolo Borsellino e Giovanni Falcone.

Parte giovanissimo… E forse incontrando il giudice, stringendolo in un abbraccio gli avrà detto «Paolo m’hanno ucciso perché indosso portavo la colpa di essere un bersaglio sbagliato, ma non era quella la mia identità… Io mi chiamo Filippo e resto Filippo per sempre».

«Filippo ti chiami e Filippo resti per sempre.

Indosso porti la meraviglia dei tuoi occhi grandi, ed il destino dei piedi da calciatore.

La malerba uccide i giovani per i quali ho dato la vita, come se volessero attentare all’essenza del mio ottimismo che, come ginestra, resiste all’incertezza del deserto.

Filippo ti chiami e Filippo resti per sempre.

Resina d’Amore, fiore che resiste insieme a me».

Non esiste un posto sbagliato per morire, ma soltanto un posto giusto per morire.

Silvia Camerino

 

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