di Salvatore Borsellino
Salvatore Borsellino, fratello del magistrato Paolo, scrive una lettera aperta al vicepresidente del CSM Giovanni Legnini
Gent.mo Prof. Avv. Giovanni Legnini
Vice Presidente del Consiglio superiore della magistratura
Le scrivo, nella Sua qualità di rappresentante apicale dell’Organo di autogoverno della magistratura. Ho appreso che per il prossimo 11 settembre l’organo da Lei guidato (seppure presieduto dal Capo dello Stato) ha convocato, per audirli e per valutarne eventuali responsabilità, il dr. Antonino Di Matteo, la dr.ssa Anna Maria Palma e il dr. Carmelo Petralia, tutti magistrati che due decenni fa e più si occuparono di indagini e processi relativi alla strage di via D’Amelio del 19 luglio 1992, nella quale furono uccisi mia fratello Paolo e cinque giovani agenti della Polizia di Stato con funzioni di scorta a mio fratello.
Come senz’altro Lei saprà, nell’ultimo processo, giornalisticamente denominato “Borsellino quater”, definito con la sentenza emessa dalla Corte di assise di Caltanissetta (la cui motivazione è stata depositata il 30 giugno scorso), mi sono costituito parte civile sia nei confronti degli imputati di strage (Madonia e Tutino) sia nei confronti degli imputati di calunnia (Scarantino, Andriotta e Pulci) e saprà anche che, al momento delle conclusioni, il mio difensore ha chiesto la condanna di tutti gli imputati a eccezione di Vincenzo Scarantino, la condanna del quale non ho esitato a dire pubblicamente che avrebbe costituito una vera e propria vergogna per l’Italia.
In effetti – saprà anche questo – la Corte di assise di Caltanissetta ha condannato tutti gli imputati a eccezione di Vincenzo Scarantino, in relazione al quale i Giudici hanno ritenuto che egli fosse stato determinato da terzi a materialmente eseguire le calunnie che con certezza erano state ideate da altri, e in particolare da infedeli rappresentanti delle Istituzioni.
Proprio a tale riguardo, mi sono speso in questi anni sia quale parte civile nel processo sia per dovere civico fuori dal processo a lottare perché emergessero le responsabilità di coloro che dall’esterno (collocati in posizioni di potere ufficiale) hanno concorso con i mafiosi di Cosa Nostra nella strage di via D’Amelio e di coloro (sempre annidati nei gangli del potere) che si sono resi responsabili di «uno dei più gravi depistaggi della storia», per riprendere le parole della Corte di assise di Caltanissetta.
In questo ho dovuto perfino assumere posizioni di conflitto con la Procura di Caltanissetta (nella sua composizione di questi ultimi anni), se si considera che quell’Ufficio requirente proprio nel corso del dibattimento del processo “Borsellino quater” aveva chiesto e ottenuto l’archiviazione per gli esponenti della Polizia di Stato individuati come possibili corresponsabili del depistaggio e che lo stesso Ufficio, solo dopo la conclusione del giudizio di primo grado del processo “Borsellino quater” e dopo che la Corte di assise aveva col dispositivo della sentenza trasmesso l’intero incartamento ai pubblici ministeri per valutare le ulteriori iniziative da prendere in ordine alle vicende delittuose emerse indubitabilmente nel dibattimento (a partire dal “depistaggio Scarantino”), si è trovato finalmente costretto a esercitare l’azione penale per alcuni appartenenti alla Polizia di Stato che sotto la guida del defunto dr. Arnaldo La Barbera avrebbero realizzato la fase esecutiva del “depistaggio Scarantino”.
Com’è evidente a chiunque, tuttavia, quel criminoso depistaggio, per dispiegare appieno tutti gli effetti, ha avuto l’avallo formale o la convalida postuma, quando non addirittura la condivisione, da parte di esponenti della magistratura, non solo requirente ma anche giudicante.
Limitando qui l’analisi alla magistratura requirente, ho potuto accertare, durante l’ultimo dibattimento, chi abbia avuto un ruolo attivo nelle indagini finalizzate alla falsa collaborazione con la giustizia da parte di Scarantino (ché il falso “pentimento” di Scarantino, dopo quello altrettanto falso di Valenti, Candura e Andriotta, è stato evidentemente l’obiettivo per il quale si sono spese quasi in via esclusiva le energie “investigative” degli inquirenti) e nella cura delle relazioni con il dr. Arnaldo La Barbera, al quale fu dato (fuori da ogni ragionevolezza giuridica e pratica) il ruolo di assoluto dominus nello svolgimento di tutte le indagini.
Ora, venendo ai motivi di questa mia nota, le prove raccolte nel dibattimento del processo “Borsellino quater” dimostrano al di là di ogni ragionevole dubbio che i due magistrati della Procura di Caltanissetta con i quali il dr. La Barbera ebbe un rapporto oltremodo privilegiato e preferenziale furono il dr. Giovanni Tinebra e la dr.ssa Ilda Boccassini. Aggiungo che è risultato anche come il dr. Antonino Di Matteo nella vicenda giudiziaria della strage di via D’Amelio con il dr. La Barbera non ebbe alcun tipo di rapporto.
Del resto, quale parte civile del processo “Borsellino quater” ho fornito alla Corte d’assise, che ne ha disposto la formale acquisizione facendolo divenire patrimonio probatorio, un documento che ha una forza dimostrativa enorme su chi siano stati, alla Procura della Repubblica di Caltanissetta del tempo, i magistrati che si assunsero pubblicamente la paternità (sarebbe meglio forse dire la genitorialità) della “collaborazione con la giustizia” di Vincenzo Scarantino.
Quel documento consiste nell’audioregistrazione della conferenza-stampa svoltasi il 14 luglio 1994 (19 luglio 1994 ndr) su iniziativa della Procura della Repubblica di Caltanissetta, indetta per riferire agli organi di informazione sull’ordinanza di custodia cautelare che era stata eseguita il giorno precedente e fondata sulle “rivelazioni” di Scarantino, che aveva iniziato a “collaborare con la giustizia” il 24 giugno 1994, subito dopo un “risolutivo” colloquio investigativo con il dr. Arnaldo La Barbera.
Ove il Consiglio superiore della magistratura, che pure immagino abbia fatto un qualche accertamento prima di scegliere (non so in base a quali motivazioni) quali magistrati (requirenti) convocare quali possibili responsabili del “depistaggio Scarantino”, non ne abbia ancora fatta formale acquisizione (sebbene sia disponibile a chiunque sull’archivio del sito di Radio Radicale), Le segnalo che in quella conferenza-stampa i Magistrati che declamarono come una vittoria della Giustizia il “pentimento” di Scarantino furono il dr. Giovanni Tinebra e la dr.ssa Ilda Boccassini, unici a intervenire, se si fa eccezione per le pochissime parole pronunciate dal dr. Francesco Paolo Giordano.
Se le informazioni in mio possesso sono corrette, prendo atto che il Consiglio superiore della magistratura, non potendo convocare il defunto dr. Tinebra, ha omesso di convocare la dr.ssa Boccassini e il dr. Francesco Paolo Giordano, cioè gli unici magistrati che si assunsero pubblicamente il merito della “collaborazione con la giustizia” di Vincenzo Scarantino.
Soprattutto, Le segnalo che il dr. Antonino Di Matteo al momento di quella penosa (oggi possiamo ben definirla così) conferenza-stampa non era ancora nemmeno stato assegnato alla trattazione del fascicolo sulla strage di via D’Amelio.
Questo mi fa dire che, con ogni probabilità, quel che si vuole imputare al dr. Di Matteo è altro, e in particolare il ruolo che egli ha avuto, quale magistrato della Procura della Repubblica di Palermo, nei processi per la “trattativa Stato-mafia” e per la mancata cattura di Bernardo Provenzano. E, se così è – e chiunque abbia seguito l’enorme mole di attacchi istituzionali e non che al dr. Di Matteo sono giunti fin dai più alti vertici dello Stato e da folti schieramenti della Magistratura associata sa che così è -, io sento oggi l’obbligo morale di invitarLa a evitare che l’Organo da Lei attualmente guidato (seppure, com’è noto, ancora per pochi giorni) si presti a compiere quella che non potrebbe che essere considerata una rappresaglia ai danni del dr. Di Matteo.
Se Ella ha, come sono certo, letto le motivazioni delle sentenze dei processi “Borsellino quater” e “trattativa Stato-mafia” avrà potuto constatare come emerga in modo nitido che le responsabilità di coloro che nel 1992 e negli anni successivi operarono in contiguità con Cosa Nostra o addirittura ne diressero le operazioni assassine e stragiste sono state particolarmente diffuse e individuabili ai livelli più alti degli apparati istituzionali.
Rispetto a quel contesto e da quegli stessi ambiti del potere, ormai da anni, il dr. Di Matteo è stato individuato come un nemico mortale. Egli da magistrato potrà senz’altro, come chiunque altro, aver commesso degli errori nella sua ormai lunga carriera. Ma altrettanto indubitabilmente è uno di quei (purtroppo non tantissimi) magistrati che non si è mai tirato indietro, per convenienza personale o amore del quieto vivere, quando nelle vicende giudiziarie delle quali è stato chiamato a occuparsi si profilavano coinvolgimenti di soggetti da altri, in dissidio con la Costituzione e con le leggi della Repubblica, considerati intoccabili.
E poiché è questo ciò che oggi si vuole fare pagare al dr. Di Matteo, rimanere in silenzio mi avrebbe fatto sentire complice di una manovra ingiusta e di fatto finalizzata anche ad alzare una nebbia impenetrabile sugli osceni scenari criminali del 1992 e del 1993.
Anche per questo ho deciso di scriverLe. E anche per questo continuerò, finché ne avrò fisica possibilità, a non lesinare ogni sforzo per ottenere verità e giustizia sulla strage di via D’Amelio.
Le porgo i più distinti saluti.
Milano, 8 settembre 2018
Salvatore Borsellino