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Posts tagged as “Maxiprocesso”

Il Diario della Memoria – Paolo Borsellino – terza e ultima parte

Paolo Borsellinodi Luciana De Luca per Il Quotidiano del Sud

«Paolo non volle fuggire. Si sacrificò per amore e per la sua Palermo»


Il giudice Borsellino venne assassinato il 19 luglio del 1992. Il fratello Salvatore lo ricorda. Dall’amore per il jazz a quello per la legge

 

Link alla prima parte

Link alla seconda parte

Quando Borsellino e Falcone dovettero scrivere la sentenza istruttoria del maxiprocesso, lo Stato ritenne di non essere in grado di proteggerli e li portò insieme alle loro famiglie, di punto in bianco, con degli aerei militari, all’Asinara, dove soggiornarono nella foresteria nuova di Cava d’Oliva. È risaputo che in seguito dovettero pagare anche di tasca loro le bibite che avevano consumato. E Paolo, scherzosamente, soleva dire a Falcone: «Minchia Giovanni, quantu vinu avemu bevuto».

Nino Di Matteo
Nino Di Matteo e Salvatore Borsellino

«Io devo rimproverarmi il fatto che una volta andato via da Palermo – avevo 27 anni – ho creduto di aver risolto i miei problemi, cioè di essermi lasciato quello che non mi piaceva alle spalle. Mentre Paolo – e questo è uno dei suoi pensieri più belli – diceva: “Palermo non mi piaceva, per questo ho imparato ad amarla”. Mi piace ricordare questa sua frase perché quando parlo di mio fratello non posso fare a meno di parlare d’amore, lui ha sacrificato la sua vita per amore, sapendo di sacrificarla, e consapevole del fatto che solo con la sua morte avrebbe potuto vincere la sua battaglia. Se fosse rimasto in vita lo avrebbero attaccato, denigrato, come avevano già fatto con Giovanni Falcone, come fanno oggi con Gratteri, De Magistris, Di Matteo. È come se Paolo morendo avesse lasciato ai giovani un’eredità importante. Da quando l’hanno ucciso la mia vita è profondamente cambiata. Soltanto dopo ho compreso che non basta essere bravi cittadini e seguire le leggi ma ognuno di noi deve fare qualcosa anche di piccolo, ma deve farlo, perché soltanto così non ci sarà bisogno di eroi e di santi come a me non piace chiamarli, che sacrificano la loro vita perché gli altri, tutti noi, gli indifferenti, non hanno fatto abbastanza.

Mio fratello non aveva mai accettato che io fossi andato via da Palermo e in tutte le telefonate mi chiedeva di ritornare. E io – ora mi rendo conto – gli davo delle risposte cattive perché gli dicevo: “Paolo, cosa torno a fare, ora non c’è più la mafia? Adesso c’è lavoro per un ingegnere?”. Credo che le mie risposte gli facessero male ma lui continuava, ogni volta, a chiedermi di tornare. Nella nostra ultima telefonata, due giorni prima della strage, fui io, invece, quasi pregandolo, a chiedergli di lasciare Palermo, di farsi trasferire a Milano o a Torino, perché tutti sapevamo cosa stava per accadergli e lui per primo. Ma Paolo quella volta si alterò e mi rispose: “Io non accetterò mai di fuggire. Io sarò fedele fino all’ultimo al giuramento che ho fatto allo Stato”. E in quelle parole sentii quasi un rimprovero nei miei confronti per le scelte che avevo fatto seppur dettate da esigenze lavorative».

Strage di via D'Amelio
Via Mariano D’Amelio – 19 luglio 1992

Quella domenica del 19 luglio del 1992 Salvatore Borsellino stava lavorando al computer nella sua casa di Milano. All’improvviso sua moglie lo chiamò e gli disse di correre perché in televisione aveva sentito la notizia di un attentato a Palermo. Ma Salvatore non aveva bisogno di correre perché già sapeva – nonostante la frammentarietà delle prime notizie – cosa poteva essere accaduto. Quando riuscì a prendere un aereo per la Sicilia ancora non aveva la certezza che suo fratello fosse stato ammazzato: «Per tutto il viaggio da Milano a Palermo – in una condizione di sospensione mentale – parlavo con mio fratello e gli chiedevo se ce l’avesse fatta. Poi, una volta sceso dall’aereo raggiunsi mia madre che era stata portata in ospedale nonostante non avesse riportato delle ferite, ma perdere un figlio è la ferita più grande per una madre, che non potrà mai rimarginarsi. E fu da lei, dalla sua voce, che io ascoltai quelle parole definitive: “Tuo fratello è morto”. Mamma, da quel momento, ci ha regalato altri cinque anni della sua vita trascorsi in buona parte affacciata a quello stesso balcone dal quale aveva tante volte salutato suo figlio e dal quale vedeva quell’albero di ulivo che aveva voluto far piantare in quella buca scavata dall’esplosione, nella terra bagnata dal sangue di Paolo e dei ragazzi della sua scorta che hanno sacrificato la vita insieme a lui. Io, però, credo che mia madre avrebbe voluto morire nello stesso istante in cui è morto suo figlio.

«Io continuo a lottare per la verità e la giustizia»

 

Salvatore Borsellino
Salvatore Borsellino

Anche la mia vita da allora è profondamente cambiata. Ho cercato in tutti questi anni di combattere per la verità e la giustizia che ancora non solo non ci sono ma sembrano addirittura più lontane e cercando di tenere viva la memoria di Paolo obbedendo a quel giuramento che ho fatto a mia madre quando, con ancora nelle orecchie quel boato che lei sapeva le aveva portato via il figlio, chiamò me e mia sorella Rita per dirci che da quel giorno noi saremmo dovuti andare dappertutto, ovunque ci avessero chiamati, per non fare morire il sogno di Paolo. “Fino a quando qualcuno parlerà di vostro fratello, vostro fratello non sarà morto”, ci disse. Io non so se quello che faccio serve a non fare morire il sogno di Paolo, io credo che il suo fosse un sogno così grande che non ci sarebbe bisogno di quel poco che faccio io per farlo vivere, però è un giuramento che ho fatto a mia madre e che manterrò fino all’ultimo giorno della mia vita».

Fine della terza e ultima parte.

Fonte: Il Quotidiano del Sud

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