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Strage di Bologna, presidente familiari vittime: ‘Vicini a Nino Di Matteo’

di David Marceddu – ilfattoquotidiano.it

In occasione del trentaquattresimo anniversario della strage fascista che fece 85 morti e 200 feriti, migliaia di persone sono scese in piazza a Bologna per ricordare quel sabato mattina d’agosto. Paolo Bolognesi, a capo della associazione che raggruppa di chi fu coinvolto nella tragedia (è anche deputato Pd), dal palco si è dichiarato a fianco del pm della trattativa Stato-Mafia. Come rappresentante del governo, sul palco montato in stazione, il romagnolo Giuliano Poletti, titolare del Lavoro: “Il Governo italiano non dimentica né questa né nessuna altra strage né nessun altro atto di terrorismo“, ha detto il ministro che poi si è detto a favore dell’introduzione del reato di depistaggio. Ma i tanti sopravvissuti e familiari delle vittime, attendono di vedere i fatti: “Non crediamo più a nessuno”, spiega la sorella di Mirella Fornasari, morta nella strage mentre lavorava. “E’ 34 anni che il governo promette”, le fa eco un’altra parente.

David Marceddu

 

COMUNICAZIONE LETTA DAL PRESIDENTE PAOLO BOLOGNESI A NOME DELL’ASSOCIAZIONE TRA I FAMILIARI DELLE VITTIME DELLA STRAGE ALLA STAZIONE DI BOLOGNA DEL 2 AGOSTO 1980

2 agosto 2014

Questa stazione, come 34 anni fa.
Il primo sabato di agosto, come 34 anni fa.
La prima giornata di vacanze per molti, come era naturale che fosse.
L’inizio di una tragedia per altri: per le 85 vittime di quell’ordigno micidiale, per i 200 feriti, per le loro famiglie, per i loro amici, ma anche per i bolognesi, per tutti gli italiani, per l’Europa perché quella bomba che, 34 anni fa squarciò la stazione di Bologna, arrivò a turbare i cuori e le coscienze di tutte le persone perbene, lasciando segni indelebili, come indelebili nella memoria sono le immagini di quel giorno: la stazione ridotta ad un cumulo di macerie, i corpi martoriati di innocenti, superstiti che piangevano, altri inebetiti dallo shock, le sirene delle ambulanze, l’ autobus 37 usato come camera mortuaria.
In particolare, però, in quel 2 agosto 1980, alle 10.25, ci fu un istante surreale: subito dopo lo scoppio della bomba, questo piazzale per un momento fu totalmente invaso dalla polvere e dal silenzio. Da quell’istante preciso, quella polvere e quel silenzio ce li saremmo ritrovati davanti tante volte e, da quel giorno, noi familiari delle vittime della strage alla stazione non abbiamo mai smesso di lottare contro quella polvere e quel silenzio, che in troppi avrebbero voluto rendere eterni su quel vile massacro e soprattutto sulle responsabilità di chi lo progettò e di chi lo eseguì.

Dopo anni di inchieste e di processi, nonostante molteplici tentativi di intossicazione delle indagini, i nomi degli esecutori e dei depistatori non sono più avvolti dalla polvere e dal silenzio, ma possiamo scandirli a voce alta: sono i terroristi fascisti Francesca Mambro, Valerio Fioravanti e Luigi Ciavardini, gli esecutori materiali; sono il gran maestro della loggia massonica P2 Licio Gelli, il faccendiere Francesco Pazienza, il generale Pietro Musumeci ed il colonnello Giuseppe Belmonte, vertici del Sismi (servizio segreto militare) e piduisti, i depistatori.
Ancora avvolti dal silenzio e dalla polvere rimangono i nomi dei mandanti e degli ispiratori politici, ma, come abbiamo scritto l’anno scorso sul manifesto, la verità è a portata di mano. Le sentenze, che hanno condannato esecutori materiali e depistatori, pongono le basi per arrivare proprio ai mandanti e di questo sono ben consapevoli i mandanti stessi: solo così si possono spiegare gli inauditi privilegi di cui hanno finora goduto i terroristi fascisti. Francesca Mambro e Valerio Fioravanti, pur non avendo mai collaborato con la giustizia, sono da anni completamente liberi, dopo aver scontato solo 2 mesi per ogni morte causata. Solitamente la vita di un ex detenuto non è facile, ma questo non vale per i due più sanguinari terroristi della storia d’Italia, che beneficiano entrambi di un lavoro, ben retribuito e, per stessa ammissione di Fioravanti, hanno anche ben poche spese, visto che c’è chi fa a gara per pagare i loro conti.
Quando l’Avvocatura dello Stato, nell’ottobre scorso ha avanzato a costoro la richiesta di risarcimento danni che la legge riconosce, la risposta dei loro protettori è stata la riesumazione della inconsistente pista palestinese da parte dei mass media, un modo incisivo per tranquillizzare pubblicamente i due terroristi. Con la solita logica dell’omertà, il messaggio ben chiaro è sempre lo stesso: “State tranquilli, mantenete il silenzio sulle responsabilità vostre e di chi armò le vostre mani e non sarete mai abbandonati”. Per questi personaggi risulta molto facile ottenere l’impunità. Le indagini a loro carico presentano troppo spesso lacune e singolari dimenticanze. Ad esempio nel caso dell’assassinio del presidente della Regione Sicilia, Piersanti Mattarella, avvenuto nell’anno della strage, il 1980, Valerio Fioravanti ne è stato scagionato, nonostante la moglie della vittima, Irma Chiazzese, che assistette impotente all’agguato mortale, lo avesse riconosciuto tra i killer del marito. La signora aveva per di più segnalato l’impressionante somiglianza tra l’assassino di Mattarella e l’identikit di colui che aveva ucciso a sangue freddo Valerio Verbano, lo studente romano che stava conducendo una propria inchiesta sui rapporti tra estremismo di destra ed apparati dello Stato. Ebbene: grazie ad un recente libro di Giovanni Grasso, dedicato all’omicidio Mattarella, abbiamo saputo che l’automobile dei killer del presidente siciliano (allievo ed amico di Aldo Moro) portava una targa falsa, composta coi pezzi di altre due targhe rubate. I pezzi rimanenti di quelle targhe furono ritrovati due anni dopo in un covo torinese frequentato da militanti di estrema destra legati ai Nar: vi si recava spesso anche una ragazza – Jeanne Cogolli – che, è stato accertato, fu tra quanti furono informati in anticipo della strage che i fascisti stavano preparando per il due agosto. Il ritrovamento di quelle targhe poteva stabilire un collegamento diretto tra i Nar di Fioravanti, l’assassinio di Mattarella e la strage di Bologna. Però non furono eseguite verifiche, i pezzi delle targhe non furono messi a confronto: gli inquirenti del delitto Mattarella giudicarono “compatibile” ma non decisiva quella circostanza, e la magistratura di Bologna non ne fu comunque informata. Va altresì ricordato che Alberto Volo, un fascista palermitano, legato al medesimo ambiente frequentato da Fioravanti in Sicilia, dichiarò che l’assassinio di Piersanti Mattarella era stato voluto da Licio Gelli.
In alcuni casi, sono stati tutelati gli esecutori: quei killer che agivano al servizio degli interessi convergenti di mafia, terrorismo, servizi segreti e utilità politiche che, di volta in volta, hanno agito per eliminare personaggi scomodi, alimentare la tensione, manipolare la realtà. Se è vero che la legge è uguale per tutti, evidentemente non tutti sono uguali davanti alla legge. I debiti di riconoscenza nei loro confronti sono ancora notevoli. Sono questo insieme di complicità, di connivenze e superficialità che, dopo 34 anni, ancora non permettono di arrivare alla completa verità sulla strage.

Nel manifesto di quest’anno abbiamo scritto:
LE VECCHIE COPERTURE SONO CADUTE
SI APRONO GLI ARCHIVI SEGRETI DELLA REPUBBLICA
I MANDANTI AVRANNO UN VOLTO
I RESPONSABILI POLITICI DOVRANNO SPIEGARE L’OMERTÀ

Infatti la direttiva del 14 aprile scorso, emanata dal Governo e firmata dal Presidente del Consiglio, di fatto è la più grande declassificazione di documenti nella storia d’Italia, che rende consultabili a chiunque tutti gli atti relativi alle stragi che vanno dal 1969 al 1984: Piazza Fontana (1969), Gioia Tauro (1970), Peteano (1972), Questura di Milano (1973), Piazza della Loggia (1974), Italicus (1974), Ustica (1980), stazione di Bologna (1980) e Rapido 904 (1984). Non solo i Servizi segreti, ma tutte le Amministrazioni dello Stato dovranno versare i documenti all’Archivio centrale dello Stato. Questa è la conclusione della battaglia dei familiari delle vittime delle stragi terroristiche avviata sin dal 1984 con la proposta di legge di iniziativa popolare per “L’abolizione del segreto di stato nei delitti di strage e terrorismo”. Il percorso è stato lunghissimo, 30 anni quasi come la durata dello stesso segreto previsto nella legge del 2007.
<Uno dei punti qualificanti della nostra azione di Governo è proprio quello della trasparenza e dell’apertura>, ha affermato il Presidente del Consiglio <In questo senso va la decisione di oggi che considero un dovere nei confronti dei cittadini e dei familiari delle vittime, di episodi che restano una macchina oscura nella nostra memoria comune>.
Le parole “apertura” e “trasparenza” non fanno parte, però, del dna di chi pratica il contrario – la storia ce lo ha insegnato e ripetuto – e quindi il provvedimento ha suscitato diffusi nervosismi, ovvietà da contro-informazione che ricordano i “vecchi tempi”. “Non si scoprirà nulla”, “sono documenti già visti”, “non troverete la pistola fumante”. Minimizzare per depotenziare, appunto. Fatti salvi i casi di ignoranza in buona fede.
Dato oggettivo è, però, che finalmente gli archivi sulle stragi interessate dalla direttiva, vengono aperti: quello che, da decenni, chiedevano i familiari delle vittime delle stragi ai quali è sempre stato negato, con mediocre gergo burocratese e tanta arroganza, di accedere a quella documentazione per esercitare il diritto di cittadini alla verità. E la domanda che la società civile si è posta e si pone è: perché se questi documenti sono visti e rivisti – come sosterrebbe la “squadra” dei minimizzatori – intorno ad essi non è mai caduta, fino ad oggi, la cortina dell’inaccessibilità?
Il messaggio politico è di grande importanza: da questo momento non ci saranno più coperture per i responsabili.
Ora non si pensi che con questo tutto sia risolto, oggi occorre far rispettare la legge ed impedire che i tempi di attuazione siano eterni.

Fino ad oggi, la politica non ha contribuito a combattere efficacemente l’omertà di Stato. Per continuare sulla strada della trasparenza democratica è necessario un ricambio profondo ai vertici dei Servizi segreti che non possono essere gli stessi che, fino ad oggi, hanno coperto le responsabilità di esecutori, mandanti e ispiratori politici. Che non possono essere, ancora, quelli che a distanza di decenni, continuano a tenere chiusi a chiave, nei loro archivi, documenti che potrebbero contribuire alla verità sulle stragi, protetti da un segreto senza regole. Oggi qualcosa inizia a cambiare, il tempo delle coperture e dei silenzi è finito. Ma attenzione: ogni cambiamento ha bisogno di uomini che sappiano cambiare. Persone nuove, consapevoli che il rispetto dei cittadini è il fondamento della democrazia. Che ognuno di noi ha diritto alla verità. Pensiamo sia giunto finalmente il tempo per un giudizio anche politico sul terrorismo che determini l’allontanamento dalle istituzioni di chi lo ha favorito anche solo con la sua colpevole inerzia.
Apprendiamo che la Procura di Bologna ha chiesto l’archiviazione della cosiddetta “pista palestinese”, dopo dieci anni di fuorvianti ipotesi, anche questo ostacolo alla verità è caduto.
L’anno scorso abbiamo depositato presso la procura di Bologna una voluminosa memoria, basata su elementi concreti emersi anche in altri processi per terrorismo e in quelli relativi al fallimento del Banco Ambrosiano a carico dello stesso Licio Gelli, per sollecitare una lettura complessiva del disegno stragista, nell’auspicio di arrivare anche per quella via ad ulteriori accertamenti di responsabilità, anche quelli più elevati, relativi alle menti che idearono e vollero la strage del 2 agosto 1980. Al momento non abbiamo ottenuto risposte.
Ancora una volta, in alcuni ambienti ci sono resistenze che alimentano la strategia della polvere e del silenzio sui fatti “scomodi” della storia del nostro Paese.

Ma, fortunatamente, non tutti sono sordi alle richieste di giustizia e verità: nell’aprile scorso, i giudici della Corte di Cassazione hanno reputato necessario un nuovo processo a carico dei neofascisti Maggi e Tramonte, accusati della strage di piazza della Loggia del 28 maggio 1974 e frettolosamente assolti grazie a quello che la Cassazione ha definito un “garantismo distorsivo”, che ha finito per svilire tutti i numerosi indizi raccolti contro di loro. La Cassazione ha criticato l’esasperata opera di segmentazione del quadro accusatorio complessivo ed ha invece sollecitato i giudici di rinvio ad analizzare gli elementi di prova sotto una visione complessiva.
Ed è proprio quella visione complessiva che la nostra Associazione ha sempre sollecitato sulla lettura di quegli anni sanguinosi della nostra storia, la stessa lettura complessiva che era stata l’acuta intuizione investigativa del grande magistrato Mario Amato, ucciso dai NAR di Fioravanti e Mambro, che ha pagato con la vita il suo coraggio e la sua onestà. Le indagini di Mario Amato, poi rivelatesi decisive per raggiungere le condanne per la strage di Bologna, vertevano sui legami tra estremismo neofascista, massoneria occulta, criminalità organizzata e potere politico, economico e finanziario, legami ancora oggi molto stretti, legami di potere che inquinano e condizionano l’attuale vita democratica del nostro Paese. Sono quei legami su cui ancora oggi non si vuole indagare, su cui si vuole che cali, anche qui, la polvere dell’oblio ed il silenzio dell’omertà. Ma noi non stiamo in silenzio e non smettiamo di chiedere che si faccia piena luce su quei torbidi legami.

Si faccia piena luce sull’omicidio di Valerio Verbano. Si faccia piena luce sull’omicidio di Sergio Calore, ex terrorista di destra che aveva cominciato a collaborare con la giustizia. Si faccia piena luce sulla figura di Massimo Carminati, vicinissimo a Fioravanti ed alla banda della Magliana, attualmente ancora elemento criminale di primissimo piano. Si faccia piena luce su Gennaro Mokbel, l’uomo nero di Finmeccanica, vicino a Carminati ed alla banda della Magliana e tanto amico di Fioravanti e Mambro da vantarsi, in una intercettazione, di aver sborsato più di un milione di euro per tirarli fuori dal carcere. Pochi mesi fa, lo stesso Mokbel è tornato ai disonori delle cronache perché coinvolto pesantemente nell’organizzazione della latitanza di Marcello Dell’Utri, datosi alla fuga alla vigilia della sua condanna per concorso esterno in associazione mafiosa. Un’ulteriore dimostrazione di quanto certi sordidi legami siano tuttora saldi ed attivi. Tra l’altro la stampa si è dovuta interessare di lui dopo l’uccisione del suo fedele cassiere ed è emersa l’entità immensa delle somme sottratte con le operazioni finanziarie in cui è stato implicato lo stesso Mokbel e il mondo di estrema destra che lo circonda.

Dopo 34 anni, in un mondo che cambia, la battaglia della nostra Associazione per una completa chiarezza e trasparenza sugli anni di piombo, non ha perso attualità; sull’uso politico delle stragi e del terrorismo si sono infatti costruite e rinsaldate carriere, relazioni e complicità inconfessabili, che tuttora influenzano la vita democratica, politica ed anche economica e finanziaria del nostro Paese. Per questo, assieme a giustizia e verità, la trasparenza continua ad essere uno dei principali obiettivi dell’impegno dell’Associazione familiari delle vittime.
Una trasparenza che deve tradursi in responsabilità dello Stato in relazione alle proprie carte, alla propria storia, ai propri archivi. Abbiamo bisogno di una nuova cultura dei documenti che deve passare per una legislazione chiara, funzionale a uno Stato democratico che vuole conoscere il proprio passato e costruire il proprio futuro. A tal fine riteniamo sia centrale la corretta gestione della trasparenza degli archivi degli organi dello Stato, dalla Presidenza del Consiglio, al Ministero degli Esteri, agli Archivi Militari. Stiamo lavorando affinché si attuino gli accordi tra il Ministero della Giustizia e quello dei Beni Culturali, per adattare vecchie caserme ad archivi, facendo versare anticipatamente i documenti relativi a terrorismo, mafia e reati finanziari, digitalizzandoli. La nostra Associazione, assieme alle altre associazioni dei familiari, è in prima fila su questo progetto ed anche la digitalizzazione dei documenti relativi ai processi svolti nel tribunale di Bologna sta procedendo con l’aiuto dei volontari dell’AUSER. Abbiamo la convinzione che la digitalizzazione degli atti dei processi penali relativi alle stragi e a tanti altri episodi criminali avvenuti nel corso della storia della nostra giovane democrazia, possa moltiplicare le occasioni di approfondimento e chiarezza della nostra storia recente e che, attraverso la loro analisi ed il controllo diffuso su di essi, si possano correggere molte ricostruzioni strumentali e conclusioni approssimative.
Tutto ciò permetterà di scrivere in modo corretto la storia politico criminale del nostro Paese e anche di raccontarla ai nostri ragazzi. Il nostro impegno con le scuole c’è sempre stato e ora sarà più organico grazie al protocollo d’intesa firmato tra le Associazioni Familiari delle Vittime del terrorismo e delle stragi e il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca.

Da questa piazza, oggi, vogliamo esprimere a chi invece, dall’interno dello Stato, ha combattuto e combatte per salvaguardare questi valori, la nostra più profonda gratitudine; ne citiamo uno per tutti: Nino Di Matteo, il Pubblico Ministero che si occupa dell’inquietante vicenda relativa alla trattativa Stato-mafia. Per il suo impegno, questo valoroso magistrato è stato oggetto di una vera e propria condanna a morte pronunciata dal boss mafioso Totò Riina. “Si muore quando si viene lasciati soli” diceva Falcone. Ebbene, la nostra risposta è anche questa piazza: a fianco di Nino Di Matteo noi ci siamo, ci siamo tutti noi!

In ambito parlamentare, gli impegni presi dall’allora ministro Graziano Delrio, nello scorso anniversario della strage, in merito ai risarcimenti alle vittime e ai loro familiari, sono stati in parte attuati; gli ostacoli sono stati innumerevoli ed hanno causato un notevole ritardo: l’impegno a completare l’attuazione della legge 206 da parte del governo resta. Ci auguriamo che entro la fine del corrente anno tutto sia risolto.
Alla Camera dei deputati abbiamo presentato un progetto di legge per l’introduzione del reato di depistaggio che, con modifiche, è stato approvato il 30 luglio 2014, dalla Commissione Giustizia della Camera. Il testo è pronto per l’Aula. Da questo palco, chiediamo che la Camera lo approvi al più presto. Questa legge proposta dai familiari delle vittime rimasta nei cassetti della Camera da ben 4 legislature – sostenuta da migliaia di cittadini – è un atto di rilevanza storica perché, per la prima volta in Italia, si sanzioneranno pesantemente anche i depistatori con un reato ben preciso.
Allo stesso modo riteniamo molto importante l’istituzione, in questa legislatura, della Commissione Parlamentare d’Inchiesta sulla morte di Aldo Moro: più si riesce a guardare indietro, diceva un grande statista, più avanti si riuscirà ad andare. E andare avanti, in una democrazia compiuta, significa smascherare e perseguire i delinquenti che, anche, purtroppo, dall’interno degli apparati dello Stato, hanno continuato e continuano a tramare contro le fondamenta della democrazia e della libertà. 34 anni sono passati da quel giorno in cui questo piazzale, fu invaso da un silenzio irreale e coperto da una fitta coltre di polvere; contro quella polvere e quel silenzio, per 34 anni, abbiamo combattuto e continuiamo a combattere.

Grazie a chi ci aiutò quel giorno a togliere quella polvere e continua ad aiutarci, chi magari non era ancora nato, ma ci sostiene nelle nostre battaglie civili, chi ancora una volta è con noi per rompere il silenzio e l’oblio.
Grazie anche a voi, alla vostra presenza e sostegno, silenzio ed oblio non vinceranno mai su giustizia e verità! Grazie!

Paolo Bolognesi (2 agosto 2014)

 

 


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