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Sono Giovanni Falcone e sono vivo

di Federica Giovinco

Chi si mette in mezzo prende, si sa, la parte migliore delle botte.”
Giovanni Falcone, oggi, non deve essere raccontato con una sterile e risaputa biografia.
Giovanni Falcone, oggi, deve essere raccontato come un rivoluzionario, un crocefisso, una vittima della magistratura, dello Stato e di Cosa Nostra.
Quattro sono gli eventi della sua vita che lo hanno portato nella chiesa di San Domenico di Palermo, quel 23 maggio 1992, quando alle ore 17:58, Brusca azionò il telecomando che provocò l’esplosione di 1000 kg di tritolo sistemati all’interno di fustini in un cunicolo di drenaggio sotto l’autostrada.
Il primo fra tutti fu il suo ingresso nel pool antimafia istituito da Chinnici e continuato da Caponnetto, un pool di magistrati che lavoravano insieme su tutte le indagini di mafia perché, come diceva Falcone, “il braccio destro non può non sapere quello che fa il suo braccio sinistro”. A lui il merito di un nuovo metodo investigativo, quello senza confini territoriali, che lo porta dalla Sicilia all’America, perché ad una mafia organizzata doveva corrispondere una giustizia organizzata. Non solo. Bisognava passare dalle banche e dalle imprese, perché i soldi lasciano una scia incancellabile ed i processi avevano bisogno di questo, di una struttura accusatoria in cemento armato.
Il secondo evento fu il primo maxi processo agli intoccabili di Cosa Nostra ed ai tremendi corleonesi, costato ben 360 condanne per complessivi 2665 anni di carcere e undici miliardi e mezzo di lire di multe da pagare.
Terzo evento, il più triste, il più vergognoso per un organo costituzionale così importante come il Consiglio Superiore della Magistratura, si rivelò essere la mancata elezione a Capo Ufficio Istruzione come sostituto di Caponnetto, a lui preferito Antonino Meli per anzianità. Ben sappiamo che le ragioni erano altre. Falcone era troppo innovativo, troppo ostinato, troppo onesto e troppo poco o meglio, per niente accondiscendente a soddisfare certe richieste. Falcone andava delegittimato così da diventare bersaglio facile dei mafiosi. Il CSM lo rese solo nel suo ambiente e debole nell’immaginario pubblico.
Quarto evento, quello che fece diventare Falcone profeta della sua morte e dei suoi assassini, fu l’attentato dell’Addaura, località dove il giudice aveva fittato una villa per le vacanze. Nessuno doveva sapere che lui fosse lì con sua moglie Francesca, ma una bomba inesplosa fu ritrovata sugli scogli adiacenti la casa.
Iniziò una tortura mediatica a questo giudice scomodo, alcuni gli chiedevano addirittura come mai lui fosse ancora in vita e, davanti a tanta crudeltà e ignoranza, lui rispondeva così:”Questo è il Paese felice in cui se ti si pone una bomba sotto casa e la bomba fortunatamente non esplode, la colpa è tua che non l’hai fatta esplodere”. Non solo i suoi colleghi, non solo alcuni giornalisti, ma soprattutto la politica, quella senza distinzione di colore, lo aggredì e, letteralmente, mise al rogo senza pietà. Leoluca Orlando, esponente del centro sinistra, in diretta tv sottolineò che era stato lui a dire che esisteva un rapporto tra i rispettabili imprenditori Salvo e i rispettabili politici Lima, e lui rispose: “Ma c’era bisogno che lo dicessi io perché si sapesse del rapporto fra i Salvo e i Lima?” Orlando voleva farglielo sapere ai mafiosi, che era Falcone quello che andava a dire in giro certe cose, perché aveva riarrestato il suo amico Ciancimino che lo aiutava con gli affari e con gli appalti quando il suddetto Orlando rivestiva la carica di sindaco. Totò Cuffaro, esponente della Democrazia Cristiana, in tv lo ha definito “giudice corrotto” che delegittimava la pulita e onesta classe dirigente siciliana. Oggi è più semplice parlare di mafia perché eroi come Falcone hanno sfondato il muro dell’omertà ed hanno fatto la rivoluzione senza armi, facendosi ricadere addosso tutti gli insulti, tutte le accuse, le offese e le condanne a morte per permettere a noi di poter camminare su un terreno già seminato. Falcone è stato massacrato ed ammazzato già prima di morire, ma non ha mai pensato di abbandonare questa lotta. Falcone è stato pugnalato da colleghi con cui lavorava spalla a spalla, colleghi come Ayala che, anche se mai indagati, nel processo sulla morte di Borsellino hanno cambiato versione troppe volte per essere retti e onesti uomini di coscienza. La verità ha solo una versione! Politici che trattavano con Riina e che trattano con Messina Denaro, politici che a livello non solo statale ma regionale, in ogni regione, provinciale, in ogni provincia e comunale, in ogni comune, che trattano con la mafia, che spesso sono essi stessi la mafia: questi hanno ammazzato Falcone e questi vogliono ammazzarlo di nuovo. Ma Falcone non è morto fin quando ci sarà qualcuno che continuerà a parlarne e a fare come lui ha insegnato. Falcone non è morto perché le sue idee vivono e camminano sulle gambe di chi non si piega e di chi combatte non cedendo nemmeno 1 millimetro alla paura: per ammazzare davvero Falcone dovete ammazzarci tutti. IO SONO GIOVANNI FALCONE!

Federica Giovinco

Da: Bisignanoinrete.com

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