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Processo trattativa, dalle parole di Riina al papello

Di Matteo durante la requisitoria: “Canali di comunicazione tra Berlusconi, Dell’Utri e il boss corleonese”
di Lorenzo Baldo ed Aaron Pettinari

“C’erano diversi e numerosi canali di comunicazione tra Riina-Dell’Utri-Berlusconi. È lo stesso Riina che lo racconta mentre è intercettato in carcere senza sapere di essere ascoltato”. Riparte dalle parole del Capo dei capi, deceduto lo scorso novembre, la requisitoria del sostituto procuratore nazionale antimafia, Nino Di Matteo (in aula assieme ai pm Francesco Del Bene, Vittorio Teresi e Roberto Tartaglia) al processo trattativa Stato-mafia. Dichiarazioni che secondo il magistrato offrono importanti riscontri all’impianto accusatorio ricostruito in dibattimento. “A me mi hanno fatto arrestare Bernardo Provenzano e Vito Ciancimino, non come dicono i Carabinieri” diceva ‘u curtu il 22 maggio del 2013 mentre si stava recando in una saletta delle videoconferenze per seguire un processo a Torino. Parole riportate in una relazione dall’assistente di polizia penitenziaria Bonafede e che sono state ripetute anche nel corso dell’esame. Qualche giorno dopo, il 31 maggio, stavolta mentre si preparava ad assistere ad un’udienza del processo trattativa, era tornato a dar voce alle proprie considerazioni: “Non ero io a cercare loro per trattare con me ma erano loro per trattare con me. Io non cercavo nessuno”.
Riina ha dimostrato di avere grande interesse per questo processo – ha spiegato Di Matteo rivolgendosi alla Corte – Si parla dell’ascesa del culmine della sua carriera criminale fino alla sua cattura, e dei suoi rapporti con lo Stato. La prima volta che si lasciò andare ad esternazioni di questo tipo è stato al processo di Reggio Calabria per l’omicidio Scopelliti quando, durante una pausa, disse ai giornalisti: ‘come è che Mancino aveva annunciato qualche giorno prima dell’arresto che mi avrebbero catturato?’”. E’ dalle esternazioni fatte agli agenti di polizia penitenziaria che i pm hanno dato il via alle intercettazioni in carcere durante la socialità nel carcere Opera di Milano, con Alberto Lorusso. Di Matteo ha dunque passato in rassegna le dichiarazioni del boss corleonese definendo immediatamente “infondate” le teorie per cui Riina sapesse di essere intercettato: “Non era consapevole di essere intercettato nello spazio esterno del carcere – ha ribadito – Se fosse stato consapevole o avesse avuto un sospetto serio, non avrebbe parlato così a lungo e approfonditamente di quasi tutti gli omicidi di cui si è reso protagonista e non si sarebbe vantato, con profili di autoesaltazione e di culto della propria personalità sulle stragi e sugli omicidi eccellenti. Inoltre, non avrebbe parlato tante volte con riferimento a questioni private, dei suoi congiunti, della moglie e dei figli e non avrebbe parlato così approfonditamente di suo nipote, Giovanni Grizzafi, in riferimento alle aspettative che nutriva rispetto alla prossima scarcerazione di quest’ultimo che gli avrebbe permesso di tessere le fila di tante situazioni. Se avesse avuto un serio sospetto di essere intercettato nello spazio esterno non avrebbe mai parlato di beni patrimoniali riconducibili alla sua famiglia. In alcuni momenti delle conversazioni con Lorusso parla di beni che ha nella disponibilità di cui nessuno aveva sospettato”. Passo dopo passo dal pm sono state passate in rassegna le varie intercettazioni.

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Rocco Chinnici con Giovanni Falcone e il capo della Mobile Ninni Cassarà sul luogo dell’omicidio di Pio La Torre
(© Franco Zecchin)

L’odio per i magistrati Chinnici, Falcone e Borsellino
In quelle lunghe ore di conversazioni, tutte registrate dalle cimici del carcere, Riina aveva parlato di una lunga serie di fatti, commentando omicidi, gli attentati e Rocco Chinnici, a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, fino alla condanna a morte nei confronti dello stesso Nino Di Matteo. Parlando del magistrato, Riina aveva detto nelle intercettazioni: “Ti farei diventare il primo tonno, il tonno buono… Ancora ci insisti? Perché, me lo sono tolto il vizio? Inizierei domani mattina… Minchia ho una rabbia… Sono un uomo e so quello che devo fare, pure che ho cento anni”. Il nome del pm venne fuori anche in riferimento alle polemiche seguite alla citazione come testimone dell’ex capo dello Stato Giorgio Napolitano (‘Questo Di Matteo, questo disonorato, questo prende pure il presidente della Repubblica’), a cui Riina immagina di fargli fare la fine del procuratore Scaglione, assassinato nel 1971: “A questo ci finisce lo stesso”.

Riina e la trattativa
Secondo i pm Riina “è stato il principale ideatore e artefice ed esecutore di quel vero e proprio ricatto allo Stato condotto a suon di bombe ed omicidi eccellenti. Successivamente c’è stata una evoluzione della trattativa con la individuazione, sotto l’aspetto del terminale mafioso, di Provenzano, a partire da una certa data in poi, quale soggetto mafioso più affidabile per trattare”. Tornando alle parole del capomafia, registrate dalle cimici della Dia, Di Matteo ha ricordato i riferimenti a Cancemi ed il commento sulla strage di Capaci (“mi disse che ci dobbiamo inventare su Falcone… se lo sanno la cosa è finita…”), quelli su Bernardo Provenzano, Leoluca Bagarella e Giovanni Brusca (“Io sempre contro la legge sono… Totò Riina ce n’è uno… invece gli doveva dire se tu sei convinto che è così vattene dall’Italia… ti metti un cartellino e dici io non ho fatto niente… e se ne è andato a Firenze… A Firenze ci devi mandare Binnu… codardo che non sei altro… fa parte di essere un carabiniere… se non vuole stare dove deve stare”).
Particolare attenzione è stata riservata all’intercettazione del 22 agosto 2013, quella dove il Capo dei capi fa riferimento a Silvio Berlusconi. “Però in qualche modo mi cercava – diceva il boss – poi mi ha mandato a questo per incontrarmi e mi cercava… perché l’ho messo sotto per il fatto di Palermo… fatto cadere le antenne…”. E poi ancora continuava: “Ci siamo arrangiati gli abbiamo fatto questo ammonimento e non l’ho cercato più (…). Poi scimuniti di mio cognato e Brusca ci sono andati a parlare… non lo ha capito Bagarella che era inaffidabile?”. E poi ancora: “Mio cognato cercava Dell’Utri, ma che di dovevano dire a Dell’Utri? Ma noi altri abbiamo bisogno di Giovanni Brusca per cercare Dell’Utri? Questo Dell’Utri è una persona seria… Che c’è bisogno di Dell’Utri per farsi presentare lo stalliere?”.
Nei dialoghi intercettati in carcere – ha proseguito il magistrato – Riina più volte parla dei canali tramite i quali avrebbe potuto contattare Dell’Utri”, l’ex senatore imputato nel processo per minaccia a corpo politico dello Stato e detenuto perché condannato per concorso in associazione mafiosa. E se il 10 ottobre 2013 Riina tornava a parlare della trattativa (“Riina fu trattato non che Riina trattava… voialtri trattavate Riina”) confermando quanto detto agli agenti di polizia penitenziaria, nella conversazione del 25 ottobre 2013 faceva riferimento a Spatuzza ed ai fratelli Graviano (“non mi ha nominato mai… non mi conosce… chiama i due fratelli… stavano a Milano… avevano Berlusconi…”). Secondo il pm quando “Riina parla dei fratelli Graviano e dice ‘avevano’ ed è consapevole dei rapporti che avevano i fratelli Graviano, per i loro canali, con l’imprenditore e poi politico Berlusconi. Alterna momenti di sincera confidenza con dei momenti in cui invece assume ufficialmente la parte di chi non sa nulla”.

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Palermo, 12 febbraio 2016. Massimo Ciancimino in udienza presso l’aulabunker del carcere Ucciardone

Nessuna manomissione sul “papello”
Altro capitolo affrontato in aula durante la requisitoria è l’analisi dei documenti prodotti da Massimo Ciancimino a cominciare dal “papello”. Una fotocopia su cui, ha sottolineato Di Matteo, “non è stata rilevata alcuna manomissione dalla polizia scientifica”. Se le analisi compiute non hanno permesso di risalire all’autore del documento “le analisi tecniche hanno appurato che la carta risale a un periodo databile fra il 1986 e il 1990, mentre la tecnica della fotocopiatura è quella della fusione a caldo, che riporta al periodo fine anni Ottanta-metà anni Novanta”. Dunque, secondo la ricostruzione dell’accusa, a un’epoca compatibile con il 1992, ovvero l’anno in cui Riina, in base alle testimonianze di diversi pentiti, avrebbe scritto “un papello di richieste per fermare le stragi” consegnandolo a uomini delle istituzioni, gli ufficiali dei carabinieri Mori e De Donno, imputati nel processo in corso.
Ma elementi di riscontro, secondo l’accusa, vi sarebbero anche analizzandone i contenuti. “Nel documento si parla di ‘annullamento del decreto legge 41 bis’ – ha proseguito Di Matteo – Noi sappiamo che questo elenco di richieste furono presentate ai carabinieri del Ros prima della strage di via d’Amelio e qui si parla, appunto, di ‘decreto legge’, approvato l’8 giugno del 1992, convertito in legge solo dopo l’8 agosto del 1992”. Altro punto chiave è poi quello del “riconoscimento beneficio dissociati – Brigate Rosse – per reati di mafia”. Il Pm ha ricordato le dichiarazioni dell’ex vicecapo del Dap, Edoardo Fazzioliquando disse che nel secondo semestre del ‘92, qualche mese prima della sua sostituzione, proprio mentre veniva presentato il papello, si discuteva all’interno del Dap di come dare attuazione alla previsione delle aree di detenzione omogenee, che potessero valere per i mafiosi come era accaduto per i dissociati del terrorismo, con un regime di detenzione più blando. Ci sono poi le coincidenze con le dichiarazioni di Giovanni e Roberto Ciancimino sulla revisione del maxi processo o sul sequestro dei beni, sul tema della dissociazione abbiamo acquisito anche le dichiarazioni di Gaspare Mutolo il quale ha riferito che a margine di uno degli interrogatori di Paolo Borsellino sentì Borsellino lamentarsi con qualcuno della Dia dicendo ‘questi sono pazzi vogliono introdurre il beneficio della dissociazione!’”.
E a riscontro alle parole di Mutolo si sono aggiunte le dichiarazioni dell’ufficiale Dia, il colonnello Di Petrillo.
Rispetto alle modalità di conservazione del papello dopo la morte dell’ex sindaco mafioso, è stata ricordata la vicenda della perquisizione dell’abitazione di Ciancimino jr all’Addaura nel febbraio 2005. “Massimo Ciancimino ha dichiarato che questo documento era contenuto nella sua cassaforte. La cassaforte era lì e nessuna l’ha vista, chi ha fatto il sopralluogo molti anni dopo sa quanto fosse facilmente raggiungibile – ha proseguito Di Matteo ravvisando palesi contraddizioni di molti testi che in questo processo sono venuti a raccontare le modalità della perquisizione – Quella non era una perquisizione qualsiasi. Si era alla ricerca di documenti importanti per la ricerca del tesoro di Vito Ciancimino. Sono venuti sei ufficiali di polizia giudiziaria che hanno fornito versioni contrastanti. Ed è palese l’anomalia del capitano Angeli che mentre la perquisizione è ancora in corso ordini ad un appuntato, Samuele Lecca, di fotocopiare alcuni manoscritti, in una copisteria esterna da consegnargli successivamente”.
E’ stata poi ricordata l’intercettazione telefonica tra Giovanni Lapis (che in aula si è avvalso della facoltà di non rispondere) ed il suo legale, Giovanna Livreri, in cui si faceva riferimento proprio a quella perquisizione e sulla presenza del papello nella cassaforte.
In riferimento al post-it che Ciancimino jr ha dichiarato essere allegato alla fotocopia del papello in cui è scritto “Consegnato spontaneamente al colonnello Mori” Di Matteo ha evidenziato che “la grafia è quella di Vito Ciancimino. Per la Scientifica, la carta risale a un periodo fra il 1986 e il 1990“. E a chi sostiene che quel post-it fosse riferito ad una copia dell libro “Le mafie”, consegnato da Vito Ciancimino a Mori, il pm ha ribattuto: “Che senso ha che chi scrive un libro, un documento destinato alla diffusione, annoti ‘consegnato spontaneamente a Mori’?”.

Le carte di don Vito e la calunnia a De Gennaro
Secondo l’analisi scientifica anche il “contropapello”, il manoscritto che inizia con la dicitura “Mancino-Rognoni”, è un documento “vergato a mano da Vito Ciancimino”. “Non abbiamo un elemento di prova per dire che è stato consegnato alle due parti in trattativa – ha detto il pm – Anche qui la datazione della carta è compatibile con quel periodo”.
Altri appunti riconducibili all’ex sindaco mafioso riguardano la vicenda del passaporto richiesto e che portò al suo arresto, all’accusa di falsa testimonianza di Mori e De Donno dopo la deposizione al processo di Firenze, la richiesta di incontro con Luciano Violante e gli interrogatori con Caselli. Di Matteo ha anche ricordato i documenti sequestrati a don Vito nella sua cella a Rebibbia, nel 1996. “Tra i fogli – ha evidenziato il sostituto procuratore nazionale antimafia – c’è in particolare uno in cui è scritto: ‘le carte richieste per individuare la casa del boss (Riina ndr) mi sono state portate incomplete… il capitano ha ritardato e intanto è intervenuto l’arresto. Per quanto riguarda il piano cosiddetto politico di intesa con i carabinieri sono partito per Palermo il 17.12.92 e sono tornato il 19 ho avuto un incontro con il capitano e gli ho detto che ho avuto il contatto…’. Vito Ciancimino scrive che accanto al piano della collaborazione attrvero gli incontri che aveva con Provenzano per fornire notizie per arrestare Riina c’era il piano politico della trattativa che era un piano distinto”. “Dal 1992 al 2002 – ha ricordato – nessuno ha chiesto a Vito Ciancimino un’interpretazione autentica di quelle parole, rispetto il piano politico della trattativa e sulla triangolazione che aveva con i carabinieri ed i mafiosi. Sarà merito del figlio Massimo quello di aver riacceso la luce su una pagina importante che nessuno aveva voluto leggere”.
E’ vero – ha detto Di Matteo – che Massimo Ciancimino ha prodotto i documenti a rate, probabilmente per cercare di mantenere vivo e costante l’interesse nei suoi confronti ed è vero che ha detto il falso dicendo di aver visto il padre scrivere la dicitura De Gennaro, ma non c’è mai la prova e non c’è motivo di pensare, o un indizio, per affermare che abbia mai personalmente falsificato uno solo dei documenti che ha consegnato. Anzi questa iper-produzione è indicativa di una qualsivoglia volontà di falsificare la documentazione”.
Per quanto riguarda l’accusa di calunnia nei confronti di Gianni De Gennaro – ha aggiunto – Massimo Ciancimino è colpevole e secondo noi non merita le attenuanti generiche. Perché non è plausibile che, rispetto alla consegna di un documento così importante, non abbia la contezza della precisa identità di chi glielo ha fornito dandogli anche le indicazioni su cosa riferire ai magistrati“. Inoltre, durante la fase dibattimentale del processo “Massimo Ciancimino ha fornito piena confessione del fatto ma così come è colpevole di calunnia e non merita le attenuanti generiche, allo stesso modo è per noi credibile su altri fronti della trattativa e ha il merito di avere sollecitato i ricordi e risvegliato la memoria di tanti che fino ad allora avevano taciuto. Come ad esempio la dottoressa Ferraro, Luciano Violanti ed altri“.

Foto di copertina: Salvatore Riina (© Fotogramma) e il “Papello”

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da: AntimafiaDuemila.com

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