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La piovra nel carrello

LA PIOVRA NEL CARRELLO

                       Appunti per un «mafia movie»
Strane cose succedono nel supermercati del Sud: i soldi della. cocaina, diventano scontrini di acquisto della mortadella, i boss sono gli unici che non evadono le tasse e nasce una nuova classe operaia del riciclaggio.
Spunti per una sceneggiatura: l’incredibile rapporto della commissione Antimafia e le notizie che filtrano dalle pagine di un coraggioso quotidiano calabrese (e poi si dice che l’Italia è in declino…)
 

Seduto di fronte al computer, lo sceneggiatore di un «mafia movie» italiano sta cercando di scrivere un soggetto. Non ha ancora deciso se è per il cinema o per la televisione, ma sa che il filone comunque non è ancora secco.
                                                      

Un possibile inizio è facile: notte di Ferragosto, noto ristorante italiano a Duisburg, in Germania, dove cenavano i calciatori italiani poi campioni del mondo.
Proprietario, camerieri e amici stanno facendo tardi a serrande chiuse. Killer venuti dalla Calabria freddamente fanno fuori tutti, un po’ come succede all’inizio dei Tre giorni del condor. Scena senza musica, rumori attutiti, nessun grido, nessun «mamma mia»; poi partono i titoli di testa e comincia la storia che comprenderà riti e barbarie antiche, miscelate con traffico sudamericano di cocaina, servizi segreti, uomini politici di livello locale e magistrati impiccioni che faranno una brutta fine. (Bello, ma un po’ anni Settanta).
Seconda possibilità: l’incipit del prossimo romanzo di Andrea Camilleri, II campo del vasaio, appena uscito per l’editore Sellerio. Il commissario Montalbano ha un incubo: bussano a casa sua nella notte, gli si presenta davanti il questore, smarrito, che chiede ospitalità e un bicchiere d’acqua. Il commissario va in cucina a prenderglielo, ma quando torna nella stanza, invece del questore si trova davanti Totò Riina. Il boss è sbrigativo: mi hanno incaricato di formare il nuovo governo, ho un elicottero qui fuori che mi aspetta. Provengano sarà vicepresidente, uno dei fratelli Caruana andrà agli Esteri, Leoluca Bagarella alla Difesa. «Io sono qui per offrirle il posto di ministro dell’Interno: mi risponda subito». Poi Montalbano si sveglia, naturalmente madido. (Bello, ma impossibile avere i diritti).
 Infine gli viene in mente una terza opzione, senza sparatorie e senza grandi simboli. La scena iniziale è in un ipermercato m Calabria. Grande, moderno, in mezzo al niente. È un venerdì sera, gli ultimi clienti sono usciti, la lunga linea di trenta casse è deserta e la maggioranza di esse era stata chiusa tutto il giorno. Il centro spegne le luci, la vigilanza fa il giro di controllo, il parcheggio è vuoto. Ed ecco arrivare un minivan accompagnato da un Mercedes blindato. Dal primo scendono una decina di uomini che si sistemano alle casse, le riaprono, risettano gli orari e cominciano a battere scontrini. Sono velocissimi e molto compresi del loro lavoro, spesso si aiutano con un palmare; altri uomini li osservano. Sono gli operai più specializzati che l’Italia conosca, ma sono anche dei raffinati sociologi: gente che sa generare infiniti carrelli della spesa, tutti credibili, ognuno diverso dall’altro, ma in linea con le tendenze dei consumi del Paese. Le casse incessantemente battono passate di pomodoro, spaghetti, penne, acqua minerale, shampoo, colombe pasquali, tagli di carne, dentifrici, latte, pannolini, carne, surgelati, scarpe da ginnastica, dvd, creme idratanti, stepper, microonde in offerta speciale… Uno dopo l’altro, i carrelli virtuali si riempiono e gli scontrini escono dalla fessura della cassa, ognuno diverso dall’altro, ognuno diventa il modello di un italiano e dei suoi consumi. Lavorano per ore, uno tra loro controlla l’ammontare definitivo che devono raggiungere. Quando sono arrivati alla cifra di 128mila euro. Gli che erano arrivati con il Mercedes blindato consegnano la cifra in banconote: sono di diversi tagli, molta della carta è spiegazzata. Il totale di cassa è stato raggiunto, la somma degli scontrini corrisponde all’incassato., il lavoro è fatto, l’autista del minivan accompagna tutti a casa e dà loro appuntamento per la prossima uscita. Gli uomini della Mercedes telefonano col cellulare: “ Il lotto C di Milano è pulito. Tutto bene, ciao”.

 

La scena — luci secche, niente musica, pochissime parole, campi lunghi sul supermercato deserto – non dovrebbe durare più di cinque minuti. Poi parte la storia che non vedrà nessuno di questi personaggi pentirsi, perché essi sono tra i più fidati soldati del capitalismo mafioso internazionale. Fedeli, intelligenti e scrupolosi; gente che in galera ha avuto molto tempo per essere addestrata, gente che non ha grilli per la testa e si accontenta del giusto. Come nei grandi istituti di credito, dove c’è un front desk che si espone e un back desk che riguarda una per una, al centesimo, le operazioni finanziarie mondiali, anche la ndrangheta ha il suo back desk. Migliore di  di Société Generale, migliore di Merrill Lynch o di Ubs.
(Lo sceneggiatore pensa che questo sia un buon inizio; concreto, minimalista, un po’ alla Scorsese in Casinò quando racconta come funziona Las Vegas. Il problema naturalmente è come il film andrà a finire).
 

Come tutti sanno, mafia, criminalità organizzata, collusioni tra delitto e politica, economia canaglia, non fanno parte della campagna elettorale, mentre ne erano state parte consistente per cinquant’anni. La politica italiana non se ne interessa più, così come non si sente dai leader nulla su quanto succedendo nel nostro meridione, dove invece succede tutto.
Ma ogni tanto capita qualcosa di imprevisto. Per esempio, la relazione che il 19 febbraio scorso, a governo morente è stata consegnata ai presidenti di Camera e Senato da parte del presidente della commissione Antimafia.

La commissione Antimafia, in Italia, è una delle più antiche istituzioni della Repubblica. Sì costituisce da 15 legislature e  i volumi di  carta che ha prodotto formano una sterminata biblioteca. Alcune parti sono ancora oggi di Stato, molte parti sono ancora coperte da omissis milioni di pagine che la compongo dal dopoguerra audizioni, interpretazioni, lettere anonime, servizi segreti, annunciazioni («la mafia non esiste»), controannunciazioni ( mafia ha preso il potere»), specificazioni («la corrente democristiana di Andreotti è il referente di Cosa Nostra»). Stragi, cadaveri eccellenti, spiegazioni burocratiche, emergenze,  occultismo, dietrologie, collusioni al vertice: tutto si può leggere nella storia della commissione Antimafia.
Ma non era mai successo quello che è avvenuto ora. Il presidente della commissione Antimafia della XV Legislatura, Francesco Forgione (giovane deputato di Rifondazione Comunista con un curriculum di coraggio civile in Sicilia), ha presentato un agile volumetto di 244 pagine, interamente dedicato alla ‘ndrangheta calabrese e approvato all’unanimità.

Il testo è diretto, non privo di ritmo è qualità letterarie. Il suo contenuto è agghiacciante perché il Parlamento e il Senato vengono informati dell’avvenuta presa di potere in Calabria di una formidabile organizzazione criminale che governa, guadagna, sfrutta e uccide. La ‘ndrangheta, paragonata ad al Qaeda per la rete che ha formato e la modernità con cui conduce la sua politica (vengono fomiti tutti i nomi dei capi e dei luogotenenti), praticamente governa un’intera regione con due milioni e mezzo di abitanti, e le istituzioni repubblicane locali semplicemente si adoperano per facilitarle il compito. Alla fine della lettura, la domanda che viene spontanea non è «riuscirà lo Stato a contrastarla?», quanto, piuttosto, «si accontenteranno del loro territorio o vorranno espandersi?». Su questo punto la relazione della commissione è piuttosto pessimista, anche perché avamposti della ‘ndrangheta sono già m forte attività in Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Liguria; la sua potenza economico finanziaria è paragonabile a quella di un piccolo Stato, e il suo ministero degli Esteri sembra più efficiente della Farnesina.
                                                  

Traffico di cocaina (i calabresi hanno ricevuto dai colombiani il virtuale monopolio della distribuzione in Italia e buonissime posizioni in mezza Europa), controllo quasi monopolistico degli appalti pubblici, stretta ferrea sull’enorme quantità di finanziamenti che arriva dall’Europa, sono il core business del partito azienda. In particolare, spiega la commissione, la ‘ndrangheta controlla tutto il cemento, la mobilità (la famigerata autostrada Salerno-Reggio Calabria), la distribuzione alimentare (imponendo i fornitori con la costruzione assurda di sempre più ipermercati e centri commerciali), il grandioso porto di Gioia Tauro dove, da sempre, intasca una tassa su ogni container spostato. Possiede poi il monopolio della forza, che detta legge quotidianamente in Calabria e nelle altre zone assoggettate. E reparti di élite capaci di colpire alla Terminator, come è successo a Duisburg, ma anche di dosare al minimo il livello di fuoco sul proprio territorio (i cadaveri eccellenti in Calabria sono stati pochissimi negli ultimi vent’anni: Ludovico Ligato, capo delle Ferrovie, il magistrato Antonino Scopelliti e il vicepresidente della Regione Francesco Fortugno. Anche se a questi si può suggestivamente aggiungere la morte a Baghdad di Nicola Calipari, il dirigente del Sismi che era riuscito a penetrare nei santuari della ‘ndrangheta internazionale e da questa era particolarmente odiato). Nulla di paragonabile, comunque, alla mattanza periodicamente scatenata dai cugini siciliani.
Riguardo ai «temi eticamente sensibili» poi, la ‘ndrangheta è saldamente conservatrice: è per la religione cattolica, per il matrimonio indissolubile e contro le coppie di fatto. Riguardo alla «politica», la ‘ndrangheta mai si è posta come eversiva: l’ha semplicemente succhiata, pagata o minacciata quando ce n’era bisogno. Senza particolari emergenze.

Un giorno, quando l’Italia sarà anche formalmente crollata come entità, ci ricorderemo di questo documento, che approvarono tutti i mèmbri della commissione, e del bestseller internazionale di un giovane scrittore, Roberto Saviano, che raccontava analoghe storie nella sua Campania di camorra.
Gli storici poi si interrogheranno sul perché la politica italiana fu all’epoca così indifferente, interessandosi a un obsoleto Nord e non guardando a un effervescente Sud.
 

Ma lo sceneggiatore del «mafia movie» non deve andare sulle grandi teorie, deve restare sul «basico». E il «basico» glielo offre proprio il rapporto della commissione Antimafia.
Dunque, dunque. A pagina 130 un breve capitolo si intitola «Un caso emblematico». Narra la vicenda dei supermercati Despar, potente ed efficiente marchio nazionale della grande distribuzione alimentare italiana. Beh, ora si sa che è roba di proprietà della mafia, ma lo si è scoperto poco a poco. Si cominciò a sospettare quando si scoprì che la rete distributiva della Sicilia orientale era nelle mani di un certo Scuto, che aveva passato i suoi guai con accuse di riciclaggio. Poi si è scoperto che i supermercati Despar della Sicilia occidentale erano di proprietà (attraverso prestanome) addirittura del più grande boss latitante di Cosa Nostra, il famoso Matteo Messina Denaro di Trapani. Poi si è venuto a sapere che Despar Campania era una filiazione di Scuto. E, infine, la commissione parlamentare Antimafia ci comunica che il signor A. G. di Cosenza, presidente di Despar – quasi ventimila dipendenti su tutto il territorio nazionale — ha tra i suoi soci il prestanome del capo mafia di Trapani e l’uomo indagato di riciclaggio delle cosche di Catania. Si scopre che tutta la storia va avanti da almeno dieci anni. Si scopre che un’indagine su tutto ciò era stata bloccata dall’ex procuratore generale di Catanzaro Mariano Lombardi. La commissione Antimafia mette a verbale l’audizione del procuratore della Direzione nazionale antimafia Emilio Ledonne che rivela (indagine del 2004) che un solo commercialista di Cosenza, del «gruppo economico» G., gestisce, in pratica, tutta la ricchezza economica della Calabria. Si scopre che la Despar di G. ha firmato un accordo con le Coop per cui, a partire dal 2006, si costituisce un gruppo di acquisto in comune che prende il nome di Centrale Italiana, che potrà contare su 500 fornitori e una contrattazione di 4 miliardi di euro in termini di prodotti acquistati. E infine si scopre che il Gruppo G. è uno dei maggiori finanziatori del centrosinistra in Calabria, pieno di elogi per il governatore Agazio Loiero.
Sono in corso indagini? Probabilmente sì, ma sono circondate dalla massima riservatezza, anche se si comprende che è la Direzione nazionale antimafia a occuparsene direttamente, coinvolgendo almeno cinque procure.
L’unico giornale che ne ha dato notizia, con una serie di precisi e ben informati servizi firmati dal direttore Paolo Pollichieni, è il quotidiano Calabria Ora. Ed è lì che si trovano accenni agli «scontrinifici» e la descrizione di un meccanismo che, ammetterete, è geniale.
 

II modello Al Capone (che alla fine venne arrestato per evasione fiscale) nel nostro caso è del tutto obsoleto e l’ipotesi su cui lavorano le procure è del tutto opposto: i mafiosi di oggi non evadono, anzi sono i maggiori contribuenti. Non solo. In tempi di stagnazione economica la loro strategia è di aumentare i punti vendita e di presentare bilanci che sono tra i migliori – dell’economia italiana. Nel caso Despar, aumento del numero dei supermercati, che oggi sono ben 2.019 in Italia, fatturato aumentato del 10 per cento, fino a raggiungere i quattro miliardi, politica espansiva, che è arrivata a «dare lavoro» a 18 mila dipendenti. Tutto in regola. E uno zoccolo duro di solidi profitti naturalmente spinge i bravi imprenditori a espandersi, a entrare in altre attività, a rispondere in modo assolutamente trasparente a qualsiasi sospetto della guardia di finanza, che m genere cerca evasori e non buoni pagatori.
Ma, a ben guardare, conviene essere buoni amici dello Stato, perché i vantaggi superano ampiamente i costi. C’è infatti — come spiega la commissione Antimafia — una massa formidabile di denaro liquido da riciclare. Un dato tra i tanti che la commissione cita: a Milano si calcolano in 120 mila i consumatori fissi o saltuari di cocaina e, volendo calcolare gli ormai prezzi stracciati, si può ragionevolmente pensare che, nel solo capoluogo lombardo, una cinquantina di euro a settimana per la polvere i milanesi che vogliono «tenersi su» la mettano in bilancio. Il calcolo del volume di denaro vero (banconote) che ogni settimana viene drenato lo può fare chiunque
Ma l’Istat, che stabilisce periodicamente panieri, che analizza le crisi esaminando il calo della fettina e l’aumento della mortadella, non ha mai messo nelle sue statistiche uno stile di vita che negli ultimi dieci anni si è imposto con forza e allegria, facendo dell’Italia il primo consumatore di cocaina d’Europa e forse del mondo.

 

Lo sceneggiatore del mafia movie adesso ha veramente  le sue gatte da pelare. Ha per le mani dei personaggi anonimi, ma deve lavorarci molto sopra e non farli apparire  folkloristici. È gente intelligente, determinata che si schermo  di vecchi riti e formule, ma che in realtà ci tiene all’Italia. Quello che guadagna, e sono miliardi, lo investe in buona parte qui. A loro modo sono dei patrioti.
Vorrebbero anche il ponte sullo Stretto, più ancora che per i profitti, per lasciare un segno del loro passaggio nel mondo. I loro padri hanno patito spesso fame e galera, loro hanno girato  il mondo. Conoscono la Colombia, la Russia, la Germania, sanno fare la selezione del personale , conoscono il mercato immobiliare, gli hedge fund e i paradisi fiscali. Hanno una forma abbastanza raffinata del welfare. Hanno un’idea dello sviluppo economico, conoscono la pochezza della politica e i piccoli desideri dei  suoi rappresentanti: chiunque sarà eletto, con i loro voti dovrà venire a trattare con loro. semplice ragione che lo ha sempre fatto.
E questa idea di trasformare, davanti agli occhi di tutti, quello che si spende clandestinamente in cocaina in innocenti carrelli della spesa inesistenti, registrati negli scontrini di un supermercato (un supermercato costruito apposta per la realizzazione di questo miracolo), in fin dei conti è scelta più morbida, più civile, di una guerra. Guerra che, se qualcuno volesse fargliela, sarebbero però in grado di sostenere con una ferocia inaudita.
Forse, conclude lo sceneggiatore, basterebbe seguire il testo della relazione della commissione Antimafia, perché null’ altro che un testamento, una dichiarazione di resa della vecchia Italia. E fare, dell’anonimo studioso manipolatore dei carrelli della spesa, un eroe sconosciuto dei nostri Un uomo semplice, che torna a casa e mangia con la moglie in cucina, che prende uno stipendio non alto, che va a messa, che fa il tifo per la sua squadra di calcio, che fa un picnic la domenica, che non teme di essere ammazzato.
Di una cosa lo sceneggiatore è sicuro: ci deve essere anche, ma sullo sfondo, un ambiente che si oppone, ci devono essere i ragazzi puri che sanno tutto perché l’hanno capito in casa e non sopportano che scorra tanto sangue; ci devono essere le associazioni come Libera di don Ciotti che portano a Bari centomila persone in nome di una scelta morale contro la mafia e che stilano gli elenchi di chi, da un secolo, è stato ammazzato perché aveva capito (spesso solo qualcosa) e si era opposto. L’elenco di questi morti ammazzati lo pubblichiamo nelle prime pagine di questo giornale, sotto la testata «J’accuse».                  

 

• II testo della Relazione della commissione Antimafia è scaricabile dal sito della Camera
dei Deputati, all’indirizzo:
http://www.camera.it/_dati/leg15/lavori/documentiparlamentari/indiceetesti/023/005/INTERO.pdf
La casa editrice Baldini Castoldi Dalai manda in libreria 1’8 aprile prossimo ‘NSrangheta
di Francesco Forgione, basato sugli atti della commissione Antimafia.
• II quotidiano Calabria Ora è raggiungibile su interne! digitando
www.calabriaora.it. Vale la pena di aggiungerlo ai preferiti.
• Le storie dei supermercati Despar tra Trapani e Agrigento sono state pubblicate dal settimanale Grandangolo di Agrigento. Per quei supermercati ci fu un serio scontro all’interno di Cosa Nostra, che, secondo un pizzino trovato nel nascondiglio di Provenzano, venne risolto anni fa con un pagamento furféi. Gli analisti della polizia investigativa hanno facilmente decodificato «furfe» come un sicilianismo dal francese «forfait». A Giuseppe Grigoli, prestanome del boss Messina Denaro nel business dei supermercati Despar (l’uomo che gestì furfe), sono stati recentemente sequestrati 300 milioni di euro.   
 

 

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